venerdì 26 settembre 2008

"La mia vita in bilico nel casinò Wall Street"

Broker a New York: auto di lusso, un bell'appartamento. Si sentiva Signore dell'Universo. Dopo il crollo di Lehman Brothers aspetta rassegnato che anche il suo mondo finisca.
Vittorio Zucconi inviato di Repubblica.
NEW YORK - "Esco di casa quando voi dormite, come i ladri. Perché adesso questo sono diventato per voi, il malfattore, l'untore, io che fino a ieri ero l'incarnazione del nuovo secolo americano, questa sera potrei tornare a casa con la mia vita in una scatola, buttata alla rinfusa con i ritratti dei figli che non vedo mai, la foto della moglie che sta già parlando con l'avvocato divorzista, il cappelluccio dei New York Yankees, la coppetta vinta nel torneo aziendale di softball a Central Park, il blackberry muto e il rolodex di clienti che sei mesi fa mi chiamavano a casa di notte per offrirmi soldi e oggi non si fanno trovare. Oggi sono il predatore diventato preda e quella scatola sarà la mia bara di cartone".
"Esco alle quattro, quattro e mezzo nel New Jersey, dove eravamo venuti in tanti a cercare una casa e un giardino per crescere i figli piccolini lontani dalle trappole di lusso di Manhattan, sparpagliati nelle cittadine costruite lungo la ferrovia locale del New Jersey, la NJ Transit, paesi come Summit, Chatham, Madison, Morristown, fino a Dover, la stazione di testa, la terra dei cavalli e delle colline, e sembra di stare in Via col Vento, non a un'ora da New York. Ogni mattina lo stesso orizzonte e lo stesso incubo della bara di cartone alle cinque". "Un filo di alba che si alza sopra la skyline d'estate in fondo all'autostrada numero 78, buio da lazzaroni in inverno, con l'orecchio alla radio per sapere quale dei tunnel sotto lo Hudson che portano in città, il Lincoln, lo Holland, sia già intruppato da altri ladri come me dentro le loro Bmw, Audi, Rover, Porsche, Mercedes (mai Cadillac, quella è roba da giardinieri italo americani arricchiti) in leasing, che fanno la gara dei topi grassi per arrivare primi dentro le scatole di cristallo attorno a Times Square e Broadway.
Le strade dove siamo scappati dopo il massacro dell'11 settembre che bruciò vivi tanti di noi nelle Torri. Conoscevo tanti di loro e vivevano qui, lungo il percorso del treno e dell'autostrada, miei vicini, grigliata al sabato e birra alla domenica. Guidiamo veloci, sapendo che la polizia del New Jersey ci conosce e chiude un occhio sul limite, correndo per scoprire se il nostro mondo sia finito mentre dormivamo agitati e quando tornerò a casa per non vedere i miei figli già addormentati dovrò dire a mia moglie, se è ancora sveglia e non ha già firmato i documenti del divorzio, che sono un disoccupato. Un milionario con le pezze al sedere, senza soldi per pagare le rate di quella casa che non avrei mai dovuto comperare, senza fondi per le scuole private dei figli, senza scorte per saldare i debiti dello shopping nelle boutique dei "mall" di lusso, e senza nessuna possibilità di trovare un altro posto. Non c'è bisogno di un master a Yale per sapere che il livello delle spese sale sempre con il livello del reddito e anche oltre: questa è la terra del credito. Sarò un profugo come almeno altri 70 od 80 mila come me, che oggi vagano per le vie di Manhattan con il Range Rover a due settimane dal pignoramento per morosità, agitando come barboni da Zegna e Armani curriculum che non interessano a nessuno. Per dare la caccia a posti che non ci sono più, neppure a un decimo di quello che avrei guadagnato ieri.
Sono un broker di "investment bank", settore "hedge funds" e "derivate" che neppure sto a spiegarvi che cosa siano perché non l'ho mai capito neppure io, se non che erano formule create da "idiot savants" sui computer per far fare soldi a tutti, finché ce n'erano, e adesso per farli perdere a tutti. I nostri "managing directors", quelli che a fine anno devono distribuire i sei, sette, anche nove, proprio come Lehman, miliardi di bonus fra i dipendenti, ci dicono di non preoccuparci, anche se non capiamo le formule che lampeggiano sui nostri monitor, perché "noi siamo come i casinò e non possiamo mai perdere, perché abbiamo la percentuale assicurata su tutte le operazioni e il 20 per cento sui profitti del cliente". "The sure thing", il sogno di tutti i giocatori, scommettere sul sicuro, a corsa finita, e con i soldi degli altri, nel giro infinito dei credito che sciabordava come l'acqua nella stiva di una nave e bagna tutti. Fino a quando l'acqua finisce e tutti restiamo a secco, come adesso. La mia banca è una delle poche ancora vive, e non vi dirò quale, almeno questa mattina, mentre vi parlo, avvio il motore senza sgasare per non svegliare i bambini e accendo l'autoradio. Ma anche la mia sanguina e boccheggia come tonni sul ponte di un peschereccio destinato appunto a finire in scatola, una di quelle banche d'affari, cioè senza conti correnti, mutui, flusso di cassa e di soldi dei cadaveri dello stipendio fisso che depositano i loro stipendi che oggi vorremmo tanto avere anche noi, noi che prima neppure guardavamo in faccia chi ci proponeva operazioni sotto i 10 milioni di dollari, il minimo per accedere ai nostri prodotti.
Eravamo gli dei senza controlli governativi, senza quei rompiscatole moralisti e statalisti che fanno le pulci alle banche commerciali, esaltati come i pionieri di un mondo nuovo e senza frontiere, noi che dalle scatole di cristallo e targhe di bronzo alle porte, Bear Stearns, Lehman Brothers, Morgan Stanley, Goldman Sachs, JP Morgan, AIG, giocavamo ai "Masters of the Universe", ai signori dell'universo. E oggi ci guardiamo allo specchio lavandoci i denti alle quattro chiedendoci che mestiere potrebbe fare un prete se un giorno qualcuno dimostrasse che Dio non c'è più. Al mio piano che guarda su Broadway, quando ci sto, perché per almeno una settimana al mese svolazzo tra Chicago, Dallas, New York, San Francisco, Miami, Los Angeles per vendere i miei prodotti - ho più "miglia" nel conto che l'intera Air Force americana - a clienti che fino a ieri ci inseguivano e oggi ci accolgono come un ispettore del fisco, i cubicoli dei traders, le truppe d'assalto che trattano le azioni e di noi "brokers", i mediatori dei grandi affari, sono sempre più deserti. Nella mia banca, a questo piano, eravamo in 35 ancora nel mese di maggio, fino a un venerdì alle cinque, quando il capo di tutti i capi ci chiamò per dire che 30 di noi avrebbero potuto dormire fino a tardi, lunedì, e non tornare. Grazie e tanti cari saluti.
Io sono stato fortunato, sono fra i cinque sopravvissuti, ma a una condizione: devi scordarti di avere una famiglia, una casa, una vita, non voglio più sentire storie di mogli che piagnucolano e bambini che hanno la partita di pallone, chiaro? Chiarissimo. Ora siamo in cinque a fare il lavoro di 35. Rivedrò mio figlio quando licenzieranno anche me o quando si sposerà. Un giorno di permesso credo che per l'occasione me lo daranno. Qui dentro, come alla Lehman, dove mi avevano ingaggiato con bonus grassi nel 2005, con palate di stock che non potevamo vendere e ora valgono meno della carta igienica, siamo tutti giovani, o almeno lo sembriamo, trent'anni o poco più. La Lehman era "the place to be", il posto dove stare, perché Fuld, il presidente, il Master dei Master dell'Universo, era il più aggressivo e spregiudicato di tutti, enormi rischi, enormi guadagni, andate e moltiplicate i profitti e i bonus, ci dicevano dalla Washington repubblicana, ma per fortuna sono scappato in fretta. I direttori portavano a casa milioni di bonus a fine anno, noi un gradino sotto, mezzo milione, oltre lo stipendo di 250 mila dollari, vagonate di quattrini che i più sciocchi buttavano subito in barche, seconde case, condomini di lusso venduti a prezzi di rapina per sfilare appunto quei ghiotti bonus e costruiti nei quartieri di Manhattan già malfamati e rasi dai "luxury condos" con annessi ristoranti. A New York tutto respira con i polmoni di Wall Street, quando i polmoni si sgonfiano, tutto si gonfia, ristoranti, rette per asili privati da 20 mila dollari l'anno, alberghi da 1.500 a notte per la junior suite, fitness club. Non ci sono quarantenni, attorno a me. Gli anni in questo mondo che lavora dalle 5 del mattino alle 10 di sera, perché oggi i mercati non chiudono mai e puoi fare o perdere fortune a Singapore o a Londra o a Mosca mentre dormi, sono come gli anni dei cani, contano per sei o sette di voi umani. A quarant'anni, o sei assurto al cielo del top management, con garanzia di paracadute d'oro se ti buttano dalla finestra o ti sei fatto un fondo per conto tuo tirandoti dietro i clienti che avevi servito prima. O sei un relitto che nessuno vuole più. Nemmeno nei tempi grassi, figurarsi ora.
Lunedì scorso, dopo il collasso di Lehman, venticinque dei miei ex amici e colleghi sono venuti qui per offrirsi. Ho fatto una proposta a uno solo di loro, che era un mio capo e nel 2006 aveva intascato due milioni e mezzo di bonus a dicembre. Gli ho offerto 150 mila dollari lordi annui, senza bonus, lo stipendio iniziale che prende un ventenne con un Master in Business venuto da Harvard o da Stanford. Ha detto che ci penserà, perché con 100 mila dollari all'anno, pagate le tasse, ci paga si e no cinque mesi del proprio stile di vita che gli costa 15 mila dollari al mese. Sorry, prendere o lasciare e non è detto che domattina ci siano ancora io, la mia banca e l'offerta. Non sono amareggiato, non ce l'ho con nessuno. Noi in America diciamo che "it was good while it lasted", è stato bello fino a quando è durato, come un amore, una vacanza, un ciclo vittorioso della tua squadra. Soltanto mi addolora sentirmi trattato come una prostituta che ora i clienti fingono di non conoscere dopo avere fatto la coda per andare a letto con lei a qualsiasi prezzo. Quando garantivamo noi, con le nostre formule scritte da geni della matematica come il mio capo, che è un pazzo capace di lavorare 24/7 e nei pochi momenti liberi esegue le Variazioni di Goldberg su uno Steinway da concerto, i milioni di aria fritta accumulati da ventenni brufolosi in California che avevano costruito una "punto.com" fatta di panna montata e volevano tradurre in soldi veri le loro stock options prima che si squagliassero, eravamo i santi protettori della nuova America post industriale e tutta a credito. Chi se ne importa se prendevi il quinto dei profitti, quando i profitti si misuravano a diecine di milioni?
Domani sarò anche io assorbito da un'altra banca e licenziato per esubero, o buttato dalla finestra, o ripescato da quel governo che credeva nella santità del libero mercato e oggi corre con il secchio dell'acqua per spegnere più incendi di quanti secchi abbia, ma non porto rancore. Nessuno mi ha obbligato a lavorare per un casinò. Nessuno mi aveva promesso 40 anni di posto sicuro con pensione, orologio d'oro e liquidazione a 65 anni. L'ho sempre saputo che alla fine dell'autostrada 78 non c'era la pentola d'oro, ma una scatola di cartone. Almeno potrò dire al mio capo, al genio che non ha mai visto i suoi figli e compila equazioni come fughe di Bach, che i suoi New York Yankees mi hanno sempre fatto schifo".

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