Imola. Quando parliamo di innovazione in generale si pensa al livello tecnologico dell’azienda, alla sua capacità di adattarsi ai cambiamenti tecnici, ci si dimentica che l’innovazione passa sempre di più anche dalla qualità del lavoro, che nasce dalla collaborazione, dalla condivisione e dalla qualità dei rapporti umani tra colleghi e con i clienti.

Questa, almeno, è la filosofia di Antreem, una giovane e dinamica realtà imolese che realizza progetti digitali complessi e multicanale. La sede è in Strada Provinciale Selice 51, nella torre nei pressi dell’uscita dell’autostrada di Imola.

Fabio Poli, Ceo di Antreem

“Crediamo in un team di consulenti con un incessante voglia di imparare e di portare effettivamente lo stato dell’arte dell’innovazione e l’eccellenza della creatività nei progetti – raccontano Fabio Poli, Ceo di Antreem e Pierangelo Raffini, Head of business development -. Ci occupiamo di tutta la progettazione e realizzazione, dalla definizione del bisogno, al design, fino all’implementazione e alla messa in produzione. Svolgiamo consulenza di progetto, di processo e organizzativa per la Digital transformation”.

LE ORIGINI
Ma facciamo un passo indietro e ripercorriamo la giovane storia di Antreem che, per buona parte, è anche la storia professionale del suo fondatore Fabio Poli.

“Sono un ingegnere informatico e la mia prima esperienza è stata in Capecod, altra azienda imolese dove ho conosciuto Pierangelo Raffini – racconta Poli -. Fu un mio professore a consigliarmi di contattarli per un periodo di tirocinio in preparazione della tesi di laurea. Era un momento in cui l’azienda stava crescendo, prima ancora di laurearmi mi chiesero di rimanere. Sono stati tre anni particolarmente stimolanti perché, pur essendo una piccola realtà formata da una quindicina di persone, tecnologicamente era all’avanguardia. Ho fatto un percorso di crescita importante: entrai come sviluppatore e dopo un paio d’anni ero quello che gestiva i progetti più importanti”.

Tre anni in Capecod, e poi?

“Chiusa quell’esperienza nel 2010, entrai in un’altra realtà, Just Funny Games, fondata qualche mese prima da due soci con l’obiettivo di lavorare nel mondo del gaming mobile, la classica startup fondata da alcuni ragazzi che ci mettono dentro un po’ di risorse. Eravamo giovani, io mi ero appena sposato e mi diedi un anno di tempo per vedere come poteva andare. Funzionò. Avendo già occupato ruoli organizzativi, svolgevo funzione di direttore generale, mentre gli altri soci avevano ruoli operativi. Stava esplodendo il mondo del mobile e le nostre competenze, alcuni di noi avevano fatto già esperienza negli Stati Uniti, erano molto richieste nel mondo B2B. Eravamo effettivamente all’avanguardia in Italia sul fronte tecnologico. Ciò che guadagnavamo dai progetti business veniva investito in ricerca e sviluppo nel mondo dei giochi. L’azienda crebbe e nel giro di due anni siamo passati da tre a otto persone. Ma come capita spesso, ad un certo punto si rompe qualcosa, e, venendo a mancare la condivisione sulla visione strategica, nel 2012 chiusi anche questa esperienza con l’intenzione di dare vita ad una mia impresa”.

Arriviamo così ad Antreem…

“Esatto. Ma per partire con certe ambizioni serviva un socio di capitali, fu a questo punto che chiesi una mano a Pierangelo. Tramite la sua rete di relazioni iniziammo a ragionare anche con dei partner importanti del nord Italia, in particolare dell’area milanese. Ma la cosa non ci convinceva e alla fine il partner lo trovammo vicino a noi, Imola Informatica. Così nel 2012 nacque Antreem. All’inizio eravamo tre soci: io, Imola Informatica e Stefano Maggiore, che era stato il tratto di unione tra me e Imola Informatica, di cui era dipendente. Come operativi, oltre a me e a Stefano, vi erano due dipendenti con cui avevo già lavorato in Just Funny Games. Allora non vi erano le condizioni per l’entrata di Pierangelo, ma siccome sia per me che per lui la parola data ha un grande valore, l’impegno era di creare le condizioni per un suo ingresso. Così è stato nel 2017 e dopo circa un anno è diventato socio”.

Pierangelo Raffini, Head of business development

Raffini: “Da dicembre 2017 sono Head of Business Development con il ruolo di responsabile dello sviluppo del business e direttore vendite. Fabio è stato un dipendente dell’azienda dove io ero socio e tra noi c’è sempre stato un feeeling imprenditoriale, tanto da richiedere una mia collaborazione quando pensò di fondare Antreem. La cosa era molto interessante, anche perché da sempre sono un innovatore, a me piace lavorare con i giovani e fare esperienze nuove e all’avanguardia. Non mi tirai indietro anche se allora non c’erano le condizioni per un mio ingresso, cosa avvenuta nel 2017. Questa è un’attività sempre sulla cresta dell’innovazione, quindi per me molto stimolante, anche se non mancano i rischi. Tra di noi c’è sempre stata condivisione di un’etica imprenditoriale e sociale. Dopo un periodo di rodaggio sono diventato socio perché è qualcosa che sento anche mia e oggi non mi pento di questa scelta. Anche se sono quello con più esperienza, se non altro per l’età, quindi ho anche una sorta di ruolo di mentoring, mi rendo conto che c’è sempre qualcosa da imparare, questo mi permette di rimanere fresco, dinamico e di poter dare un aiuto per fare crescere questa impresa”.

Poli: “Permettetemi una battuta: ho capito quando Pierangelo fosse importante per quella azienda (parlo di Capecod) quando se n’è andato, circa un anno prima di me. Stimavo Pierangelo dal punto di vista umano, ma non avevo compreso fino in fondo il suo ruolo e il valore aggiunto che portava in azienda”.

Sala riunioni di Antreem

ANTREEM OGGI

Dal 2012 ad oggi Antreem ha fatto notevoli passi in avanti…

Poli: “Per fare impresa serve anche un po’ di ambizione, sia io che Pierangelo ne abbiamo e per questo guardiamo sempre avanti. In questi anni siamo cresciuti, oggi siamo una cinquantina di persone. Però il nostro è un settore in cui essere piccoli è pericoloso, nei prossimi anni, in questo campo, non ci sarà più spazio per piccole realtà, quindi c’è la necessità di crescere ulteriormente. Crediamo di avere tutte le carte caratteristiche per essere un centro di attrazione di talenti e per continuare a crescere e a strutturarci, un po’ per ambizione ma anche per necessità, perchè diversamente, a nostro modo di vedere, tra 10 anni sarebbe difficile continuare a fare questo lavoro rimanendo un’azienda di 50 persone”.

Cerchiamo allora di capire il tipo di lavoro che svolgete.

Poli: “Lavoriamo su tutta la parte di progettazione e implementazione di servizi digitali e i nostri clienti sono aziende molto strutturate, tipicamente sopra i 500 milioni di euro di fatturato. Sul territorio Cefla è un nostro cliente storico ed il più importante, ma tra tutti quelli che abbiamo è uno dei più piccoli. I nostri clienti sono prevalentemente in ambito finanziario, dal 2015, tramite partner, stiamo lavorando molto anche all’estero con alcuni dei più grossi gruppi finanziari a livello mondiale. In questo momento stiamo portando avanti un progetto in Giappone con la quarta banca a livello mondiale, lavoriamo su una parte del progetto, però le riunioni con il cliente per lo stato di avanzamento lavori le fa una nostra persona”.

Perchè allora non vedete un futuro per una realtà dalle dimensioni come la vostra?

Poli: “Siamo in un settore che è relativamente giovane, è nato vent’anni fa, ma il suo sviluppo lo stiamo vivendo oggi, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo delle interfacce e il “service design” della progettazione di servizio. In questo settore siamo molto apprezzati dai clienti perché lavoriamo con un livello qualitativo molto alto pur non essendo grandi e particolarmente strutturati. È prevedibile che nel giro di pochi anni, crescendo il livello qualitativo atteso dai clienti, player molto più strutturati, che si stanno consolidando a botte di acquisizioni saranno privilegiati nelle scelte dei clienti e quindi si stringerà sempre di più l’opportunità per aziende piccole di fare lavori di qualità. Già oggi ci viene richiesto di lavorare su progetti dove l’ideale sarebbe mettere 30 persone, cosa che noi per ovvi motivi non ce lo possiamo permettere. Quando i clienti esigeranno qualità e quantità, noi dovremo farci trovare pronti”.

Potete raccontarci alcuni progetti?

Poli: “Su molti progetti ci è richiesta la massima riservatezza. Posso però fare qualche esempio. Parto da Cefla con la quale abbiamo anche pubblicato un case history che è di pubblico dominio. Dal 2012 lavoriamo con la business unit medicale su tutta la parte di interfaccia bordo macchina dei loro macchinari, per capirci i display attraverso i quali i loro operatori lavorano. Alcuni li abbiamo sviluppati noi, altri abbiamo contribuito a progettarli, su altri ancora abbiamo fatto sia l’una che l’altro cosa. Siamo partiti come fornitori, le prime applicazioni mobile della business unit medicale le sviluppavamo noi. Ora, in un’ottica di omnicanalità, è diventato importante che i dispositivi a bordo macchina e quelli esterni parlino lo stesso linguaggio e quindi hanno chiesto a noi di supportarli anche su questo aspetto. Stiamo anche portando avanti un bellissimo percorso su tutta la parte post-vendita e li abbiamo supportati a rivedere il modello con cui loro si interfacciano con i manutentori che sono in giro per il mondo. Avevano un’esigenza di riuscire a controllare un po’ meglio questo flusso di lavoro che non sempre è svolto da dipendenti Cefla. La soluzione finale è stata una applicazione smartphone attraverso la quale i manutentori fanno tutto. Questo progetto l’abbiamo sviluppata interamente come Antreem, l’applicazione è la punta dell’iceberg, ma l’importante è tutto la parte strategica che sta dietro”.

Lavorate però molto anche in ambito bancario e finanziario.

Poli: “Siamo stati chiamati a sviluppare diversi home banking, inoltre abbiamo lavorato su applicazioni che utilizzano i promotori finanziari nel rapporto con i loro clienti e gli stessi clienti per il controllo delle loro pratiche. Per il Teatro Piccolo di Milano abbiamo curato, assieme a Vivaticket, tutta la parte di biglietteria elettronica. Come potete capire lavoriamo in settori anche molto differenti tra di loro e il tipo di lavoro che andiamo a fare cambia di volta in volta. In generale siamo in grado di affiancare il cliente fin dalla fase iniziale per andare a capire chi è il loro utilizzatore finale e perché deve utilizzare quel tipo di servizio, nella seconda fase si scende nel dettaglio per andare a definire tutta la parte di user experience e, quindi, l’interfaccia necessaria per raggiungere quegli obiettivi che abbiamo definito, fino all’implementazione e all’applicazione mobile. Da due anni siamo anche partner del consorzio ABILab, il laboratorio dell’Associazione Bancaria Italiana dove siedono i principali istituti di credito italiani e alcuni partner che, come noi, devono collaborare allo sviluppo strategico dal punto di vista tecnologico”.

Come mai tra i vostri clienti mancano enti e strutture pubbliche?

Raffini: “Non siamo entusiasti di lavorare su questo fronte. Per un’azienda i pagamenti e i tempi di riscossione sono fondamentali e non sempre con il pubblico c’è questa certezza. Dopo di che occorre dire che il Governo attraverso il ministro per l’Innovazione tecnica e Digitale ha creato una strategia per la digitalizzazione dei processi, ed entrare in questi ambiti non è per nulla facile. E’ comunque vero che, in un mondo che va spedito verso la digitalizzazione di ogni processo, i servizi che offriamo possono essere utilizzati da qualsiasi realtà: banche, strutture finanziarie, industria medicale, multiutility e, quindi, anche tutta la pubblica amministrazione che eroga servizi al pubblico. Oggi non esiste un settore che non abbia bisogno di servizi digitali o della digitalizzazione dei processi sia che lavori con utenti finali (B2C), che oggi in gran parte utilizzano lo smartphone, sia che lavori con fornitori o distributori (B2B). Noi lavoriamo molto sul mondo mobile e della omnicanalità, ma abbiamo anche esperienze legate a ciò che oggi viene definito l’Internet delle cose (IoT)o IdC (Internet of things), tutti temi che intercettano qualsiasi settore”.

Spazio ufficio di Antreem

L’EMERGENZA COVID-19

Cosa ha significato per voi l’emergenza legata al Covid-19?

Poli: “Potrei cavarmela con una battuta, siamo un’azienda che ha assunto anche durante il Covid. Questo per dire che siamo in un settore in espansione. Sul fronte smart working eravamo già strutturati, per cui abbiamo accelerato un percorso in essere. In Antreem viene data grande autonomia alle persone, ad esempio non abbiamo i marcatempo. Siamo abituati a lavorare ad obiettivi, se uno inizia a lavorare alle 9 o alle 10 non interessa, se uno lavora meglio di sera che al mattino non è importante. Da sempre c’è stata grande disponibilità al lavoro da casa in base alle esigenze personali. Partiamo da un presupposto che il nostro è un lavoro fortemente intellettuale e quindi dire alle persone ‘lavora perché devi’ non ha assolutamente senso. Non abbiamo un aspetto quantitativo da misurare, l’importante é la qualità del lavoro che viene svolto. Dando autonomia alle persone, responsabilizzandole, il livello qualitativo erogato aumenta. Tenete anche conto che in Antreem c’è poca differenza culturale tra i vertici e l’ultimo entrato, il nostro neoassunto è comunque una persona laureata, ciò che può variare è l’esperienza. In generale i nostri dipendenti sono tutte persone estremamente curiose e il coinvolgimento è maggiore se entrano dentro al progetto, al motivo per cui devono farlo”.

Raffini: “Una delle caratteristiche di Antreem è la forte attenzione verso la persona, sull’e-care c’è una convinzione aziendale, che nasce principalmente da Fabio e che condivido totalmente, che va oltre la flessibilità del lavoro e abbraccia diversi aspetti della vita di una persona che sceglie la nostra Azienda. Ad esempio, ci sono percorsi di grande attenzione per le donne se decidono di avere un figlio sia prima che dopo il parto. Poi un altro aspetto fondamentale è tutto ciò che riguarda la formazione, la nostra materia prima sono le persone e la professionalità è fondamentale, dedichiamo quindi molto tempo, a partire dalle lingue, inglese in particolare e all’aggiornamento costante sui linguaggi di programmazione e la ‘contaminazione’ positiva dei saperi. E ancora la salute: a disposizione di tutti noi c’è un fisioterapista. E così via”.

Allora, quali i problemi e quali le opportunità di questo periodo molto particolare?

Poli: “Il nostro è un settore privilegiato, evidentemente il digitale non ha subito di fatto rallentamenti e con i clienti con cui già lavoravamo stiamo continuando a farlo, mediamente quest’anno lavoreremo più degli altri anni. Non mancano però alcuni elementi critici, che rischiano di trascinarsi a lungo perché siamo tutt’altro che usciti dall’emergenza. In primo luogo, la creazione di nuovi rapporti lavorativi. Siamo un’azienda in crescita, avevamo fatto investimenti importanti per fare uno step di crescita ulteriore e oggi paghiamo un po’ questa incertezza. Molte aziende hanno congelato quei progetti che non erano prioritari o dettati da un’urgenza operativa. In secondo luogo, molte aziende stanno facendo cassa integrazione, quindi i nostri interlocutori, che magari lavorano quattro ore al giorno, rischiano di essere affogati dalla gestione ordinaria e non sono in grado di fare partire nuovi progetti, e men che meno lo fanno con un nuovo partner, cambiano solo se vi sono motivi importanti”.

LA SCELTA DI IMOLA

Perchè la vostra sede è a Imola e non a Milano, che è il centro nevralgico dell’economia italiana?

Poli: “E’ vero, per chi fa un lavoro come il nostro la piazza è Milano, i nostri clienti italiani sono principalmente là. Allora la scelta non può che derivare da una decisione ponderata. Siamo partiti dal concetto che ci interessava un alto livello della qualità della vita, ma anche mantenere un rapporto continuativo con i nostri dipendenti, sulle grandi piazze c’è molto turnover. L’idea è stata quella di instaurare un rapporto tra azienda e dipendente totalmente diverso, quasi una sfida a voler dimostrare che si può lavorare bene anche senza essere a Milano”.

Una sfida vinta?

Poli: “Al momento direi di sì. Quando si dice che i giovani per lavorare devono andare all’estero, io non sono così d’accordo. Se un giovane vuole andare all’estero per fare un’esperienza diversa fa benissimo, però dire che sul nostro territorio non si possono fare percorsi di un certo tipo non sono assolutamente d’accordo. Noi siamo la dimostrazione reale che non è così, sia sul fare azienda che sul fronte lavoro. Abbiamo rapporti con multinazionali in giro per il mondo, ma lavoriamo da Imola. E mi sembra che non siamo l’unica realtà a farlo…”.

LO SVILUPPO

Come funziona la ricerca dei nuovi clienti?

Poli: “Prima dell’ingresso di Pierangelo, quindi fino al 2017, di fatto lavoravamo per passaparola, erano i nostri stessi clienti che ci consigliavano ad altri loro clienti. È anche vero che lavoriamo ‘solo’ con una ventina di clienti, e con i primi 10 facciamo l’80%. Non abbiamo l’esigenza di inserire 100 clienti nuovo all’anno. Possiamo permetterci di selezionarli, puntiamo sulla qualità del progetto, facendo però attenzione che non sia un cliente problematico, ad esempio dal punto di vista economico. Nel dubbio preferiamo dire di no. Inoltre, ci interessano maggiormente quei clienti con i quali, magari entriamo con piccoli progetti, ma c’è l’opportunità di lavorare in maniera continuativa e in crescita. Ora però con l’ingresso di Pierangelo siamo entrati in una seconda fase e ci siamo dati l’obiettivo di lavorare in maniera più strutturale sul fronte commerciale. Abbiamo accentuato la presenza e l’organizzazione di eventi, l’ingresso in ABILab va nel senso di farsi conoscere e di dimostrare, stando seduti allo stesso tavolo, di potere operare ad alto livello. Andiamo a raccontare a potenziali clienti cosa abbiamo fatto e cosa potremmo fare. Tra i nostri partner vi sono anche l’Università di Bologna e il Politecnico di Milano con il quale abbiamo fatto dei workshop in ambito Luxury”.

Raffini: “Ci siamo strutturati anche perché per attuare strategie di sviluppo, bisogna fare network, farsi conoscere. La mia esperienza nel settore commerciale e la conoscenza del mercato ci sta aiutando ad aumentare la rete di conoscenze anche attraverso collaborazioni con società che offrono servizi a terzi con cui possiamo integrarci. Stiamo facendo crescere all’interno una rete commerciale per raggiungere un maggior numero di potenziali clienti, affidarsi solo a pochi clienti, seppur interessanti, non è mai una buona politica, anche per la concentrazione del rischio. I nostri account devono avere delle competenze tali da potersi sedere al tavolo con funzioni aziendali di primaria importanza. Stiamo potenziato la comunicazione e il marketing, avvalendoci anche di una società esterna, per far girare il nostro brand il più possibile in ambito nazionale. Sul mercato internazionale, per ora, operiamo tramite partner, ma abbiamo progetti anche in tal senso. L’obiettivo ultimo, chiaramente, è quello di aumentare sensibilmente il fatturato, vogliamo crescere e vogliamo farlo in fretta”.

Al momento sembra che la vostra scelta sia quella di crescere in maniera autonoma, di essere voi il motore dello sviluppo.

Poli: “Sì, la strada che ora stiamo percorrendo è quella di essere noi il motore di uno sviluppo per creare un gruppo molto più grande, il nostro scopo, quindi, non è diventare attrattivi per altri. Per il 2020 ci siamo dati come obiettivo di fatturato il superamento della soglia dei 3 milioni e mezzo di euro e nel giro di un paio d’anni vorremmo superare i 10 milioni. Chiaramente per arrivare a questi numeri non è pensabile una crescita lineare. Quindi cercheremo di farlo acquisendo società. Per il tipo di lavoro che facciamo c’è un rapporto diretto fra il numero dei dipendenti e il fatturato, e pensare di triplicare il numero di persone mantenendo alto il livello qualitativo è difficile, se non andando, appunto, ad acquisire altre aziende più piccole che abbiano però un livello qualitativo elevato”.

Spazio ufficio di Antreem

IL MERCATO E LE PROFESSIONALITA’

A livello di professionalità com’è oggi il mercato?

Raffini: “L’acquisizione delle risorse umane è un problema tipicamente italiano, se hai bisogno di persone che abbiano competenze tecnologiche fatichi a trovarle. C’è una richiesta di ingegneri elettronici ed informatici in tutto il mondo produttivo, anche nei settori tradizionali, che non trova riscontri nelle offerte di lavoro”.

Poli: “In Emilia Romagna mancano queste figure, le aziende oggi stanno assumendo dei laureati in chimica perché i fisici, i matematici, gli informatici sono finiti, nel senso che ogni anno se ne laureano molto meno di quelle che servirebbero”.

Quali i motivi?

Poli: “Uno dei principali, a mio avviso, è che manca la percezione di quanta domanda di tecnici informatici ci sia da parte delle aziende. Certo laurearsi in ingegneria informatica non è facile, ma secondo me ai ragazzi non viene detto che se scelgono questo percorso e se hanno voti decenti, sei mesi prima di laurearsi hanno già dieci aziende che bussano alla loro porta. Purtroppo, sono pochi quelli che scelgono questo percorso, anche nelle lauree triennali. Noi abbiamo iniziato, assieme ad altre aziende del territorio, a fare questo tipo di contaminazione in alcune scuole superiori del territorio, purtroppo solo Paolini e Alberghetti. Ospitiamo diversi ragazzi ogni anno per i corsi di alternanza scuola – lavoro, facciamo incontri dentro agli istituti per fare capire che esiste un certo tipo di carriera e che si può fare in un’azienda a Imola. Poi rimaniamo in contatto con quelli che fanno questa scelta, ospitandoli in azienda anche durante il percorso universitario, mettendo a punto dei percorsi lavorativi incentrati sulle loro esigenze di studio. L’obiettivo è di coltivarli per averli poi realmente operativi una volta che sono laureati. Ci rendiamo conto che è una semina di lungo termine, della quale evidentemente non beneficiamo solo noi, Mi auguro che altre aziende seguano questa strada, perché l’obiettivo comune è quello di avere un territorio più ricco. Se ogni anno ho dieci laureati di ingegneria informatica in più a Imola e da me ne viene a lavorare uno, sono contento per il mio nuovo collega, ma anche per gli altri nove che vanno ad arricchire il tessuto imprenditoriale locale”.

Raffini: “Spesso si fanno scelte universitarie poco ragionate, in questo caso, invece, c’è una strada aperta e chiara in termini di opportunità future. L’altro aspetto interessante è che questo settore non fa distinzione tra uomini e donne, ma, purtroppo sono pochissime le ragazze che fanno questa scelta, nonostante ci sia una grande possibilità di carriera. Il problema è anche di percezione. Pur usando sempre di più gli smartphone e tutte le tecnologie informatiche, siamo pieni di app e gran parte dei servizi li svolgiamo con i cellulari, non rendendoci conto che oggi tutti i device, le attrezzature, le macchine, le auto, funzionano con del software e dietro a tutto ciò c’è tanto lavoro e, quindi ovviamente, molta richiesta e tante opportunità per figure di questo tipo per moltissimi anni. Quando mi capita di parlare ai giovani insisto molto su questo tasto illustrando come certi diplomi e lauree danno uno sbocco certo al mondo del lavoro”.

Si fatica a trovare professionalità e in questo contesto ancor di più figure femminili, come mai?

Poli: “A mio avviso c’è anche un retaggio culturale difficile da scalfire, secondo il quale le donne sono meno portate degli uomini per le materie scientifiche. Ancora oggi quante ragazze troviamo negli Istituti tecnici o tecnologici? E di conseguenza anche ad Ingegneria se ne iscrivono molto meno. Si tratta di una situazione a mio modo di vedere priva di fondamento. Se è vero che l’uomo e la donna possono avere caratteristiche differenti, non credo che, nei lavori intellettivi ci sia una prevalenza di un sesso sull’altro. In Antreem non facciamo nessuna discriminazione di genere. Fra l’altro la nostra tipologia di lavoro, per la sua flessibilità, si coniuga benissimo con esigenze personali e familiari. In Antreem ci sono molte donne, non siamo purtroppo al 50% anche per la difficoltà a trovarle, ma abbiamo avviato tanti percorsi di part-time, più o meno ampi, attenti a queste dinamiche, valide per tutti, ma in particolare per le donne. Tenete conto che la nostra età media è di 33 anni, proprio il momento in cui si decide di mettere su famiglia e di far nascere dei figli”.

Quindi…

Poli: “In generale c’è la necessità da parte di tutti, aziende, istituzioni, famiglie, di capire bene verso dove sta andando la nostra economia. Pensare che tutto continui ad essere come è stato dal dopoguerra fino agli anni ‘80 e ‘90 è assolutamente sbagliato e un errore da non compiere. Ci sono nuove attività, nuove professionalità che occorre esplorare e che occorre favorire. Quindi a cominciare da chi ha ruoli di governo per finire con le scuole e le famiglie, c’è la necessità di tenere conto e facilitare queste nuove tendenze”.

(Valerio Zanotti - Leggilanotiza)