Dilaga la tentazione di ridurre ogni conflitto a una battaglia della luce contro le tenebre. Ma il mondo non assomiglia a «Star Wars», per capirlo è molto più utile l’«Iliade»
L’attualità di Omero, che non esalta la forza vittoriosa ma la comprensione, anche tra nemici, di fronte alla sventura
Mauro Bonazzi, “Corriere della Sera – La Lettura”, 10 gennaio 2016
Tutti, nel poema, presumono di essere dalla parte del giusto e si ritengono quindi legittimati a imporre il proprio volere con grande prepotenza Ma l’esito è sempre diverso dalle attese e sui protagonisti ricadono conseguenze dolorose Di fronte al gesto di Priamo che lo supplica perché gli restituisca il cadavere di Ettore, anche Achille, che era una furia devastatrice, raggiunge una nuova consapevolezza e impara finalmente ad accettare la sua condizione di essere mortale
Che la forza sia con te. Il lato oscuro e la potenza della luce. Devi affrontare le tenebre dentro di te, risvegliare la coscienza delle particelle di luce che si nascondono nel buio: solo così t’incamminerai sulla via della salvezza e della vittoria. Star Wars, penserà qualcuno. In realtà è il manicheismo, una religione fiorita al tempo dell’Impero romano, che concepiva tutta la realtà come lotta perenne tra i due principi opposti del bene e del male, dello spirito e della materia. È uno schema di pensiero più diffuso di quanto si pensi. Il mondo che ci circonda è complesso, così enigmatico da risultare a volte incomprensibile. Dividere tra il bene e il male, la luce e il buio, è una tentazione allettante, la soluzione a tante incertezze. Funziona bene in politica, dove sempre di più l’opposizione è tra i buoni e i cattivi, i corrotti (gli altri, molti) e gli onesti (noi, pochi). L’America ha bisogno di un John Wayne, ha appena tuonato Donald Trump. Arrivano i nostri, i cattivi sono avvertiti. Anche in Italia di programmi e idee si parla sempre meno, l’imperativo è la purezza. Il potere oscuro della corruzione imperversa, tutto sta per crollare, troppi hanno già ceduto; ma se resisterai al fascino delle tenebre, conservando incontaminata dentro di te la purezza, non tutto sarà perduto. La casta colpisce ancora: che la forza sia con te.
Sulla forza, sul bene e sul male, gli eterni problemi dell’esistenza umana, riflettevano anche Simone Weil e Rachel Bespaloff nel 1941, mentre intorno dilagavano le armate naziste — quelle vere, ben più tenebrose delle loro imitazioni cinematografiche. Lo facevano leggendo e rileggendo un vecchio poema, che raccontava di una guerra fra i Greci e i Troiani, e di un combattimento tra due eroi, Ettore e Achille. L’Iliade. Storie lontane, ma in realtà attualissime, perché la guerra, la violenza, la forza sono una presenza ricorrente nel mondo degli uomini. Niente di nuovo sotto il sole, rispetto al futuro remoto di Star Wars: che il mondo degli uomini giri intorno alla forza lo aveva già spiegato Omero. Ma i suoi canti resistono alle semplificazioni del «noi contro loro» che tanta fortuna hanno oggi; svelano una realtà diversa nelle cose umane, più complicata, meno rassicurante ma forse più vera.
Perché in Omero c’è la forza, ma nessuna fascinazione. Non c’è niente da risvegliare, solo l’illusione di chi crede di saper controllare la forza e inevitabilmente ne viene travolto. Tutti, nel poema, presumono di essere dalla parte del giusto e si ritengono legittimati a imporre il proprio volere. Ma l’esito è sempre diverso dalle attese, le conseguenze dolorose. Agamennone che crede di poter piegare Achille e assiste alla rotta del suo esercito; Achille che, per umiliare Agamennone, causa la morte del suo più caro amico; Patroclo e Ettore che non si sanno fermare al momento giusto e pagano con la vita. La forza inebria chi crede di possederla, ma nessuno la possiede veramente. «Ares, la guerra, è imparziale, e uccide chi ha ucciso». Vincitori e vinti si assomigliano. La forza è un’illusione.
È una vicenda nota, che si ripeterà continuamente nella storia umana. Omero la canta con infinita pietà e partecipazione. Fa bene, perché questi eroi sempre eccessivi — che mangiano come cinghiali, uccidono spietatamente, piangono come fontane, litigano come bambini, dominano su eserciti immensi — sono come noi: come noi affrontano situazioni difficili, si preoccupano per i propri cari, s’indignano per le ingiustizie. Greci o Troiani, sono uomini che soffrono e combattono: a volte vincono e a volte perdono, inseguendo le loro passioni, esposti alle contraddizioni dell’esistenza. Sbagliano perché vivono. L’Iliade o il poema della forza (questo il titolo del saggio di Simone Weil). Ma anche una meditazione su quell’impasto di grandezza e miseria che è l’uomo.
Così, senza giudicare, Omero impartisce la sua lezione. Ragioni e interessi, desideri e idee si mischiano continuamente, fino a diventare indistinguibili. Achille e Agamennone avevano entrambi ragione e entrambi torto. La tentazione, fin troppo umana, è quella di arroccarsi nelle proprie convinzioni, scegliendo la via dello scontro. Ma la forza non risolve niente, è un potere che inebria e perde. Organizzare la realtà nei termini di un’opposizione manichea tra la luce e le tenebre non serve a chiarirne la complessità; quasi mai distinguere tra i buoni e i cattivi aiuta a prendere decisioni corrette. Come tanti uomini di oggi, anche gli eroi omerici sono troppo fragili e insicuri per capire che la vera forza è nel compromesso. Compromesso: «una parola che puzza», ha scritto Amos Oz, esperto in materia per il suo impegno nel processo di pace in Medio Oriente e anche per un matrimonio che dura da 42 anni. Il compromesso è il preludio per soluzioni possibili, dolorose (perché «un compromesso felice non esiste»), ma magari efficaci. «Il compromesso è sinonimo di vita», con buona pace di quanti in Italia gridano all’inciucio ogni volta che qualcuno osa proporre un confronto. Non si esprimeva diversamente Nestore, cercando di riconciliare Achille e Agamennone. Prima che i conflitti divampino, non sarebbe meglio verificare se si possono disinnescare?
Ancora siamo alla superficie.
Per capire il messaggio più profondo dell’Iliadebisogna seguire le vicende di Achille, l’eroe più grande, più bello, più potente.Queste virtù, che tanto piacevano nella Germania nazista, in realtà contano poco. Quello che lo distingue è la lucidità con cui affronta il buco nero dell’Iliade , ciò che più angoscia la vita degli uomini. Il cuore del poema non è la forza e non è neppure il conflitto: è la morte.
La guerra di Troia durò dieci anni; il racconto dell’Iliade copre una cinquantina di giorni. Ma tutto si gioca nei due o tre giorni che seguono la morte di Patroclo, quando Achille rinuncia a tutto per mettersi in cerca del senso ultimo delle cose, per confrontarsi con l’assurdo della condizione umana. Improvvisamente la morte si rivela per quello che è: uno scandalo, che priva di qualunque valore l’esistenza degli uomini, di ciascun singolo essere umano e dell’umanità nel suo insieme. Creature effimere, che un giorno appaiono e un giorno spariranno, riassorbite in un processo di perenne trasformazione. «Come le foglie, così le stirpi di uomini». Che senso ha tutto questo?
Nessuno, è la risposta di Achille, una furia devastatrice che non ha più nulla di umano. Se niente ha senso, tutto deve essere distrutto. Verrebbe voglia di definire Achille il primo nichilista. Di certo il lato oscuro di Darth Vader, con la sua piccola ambizione di dominare l’universo, impallidisce al cospetto di tanta radicalità. Il poema entra in una dimensione onirica, si trasforma in un incubo. Achille uccide tutti quelli che incrociano il suo cammino; combatte con un fiume che è tracimato per i troppi cadaveri; fa scempio del corpo di Ettore. L’Iliade, il poema della forza.
Ma, arrivato al fondo della disperazione, Achille capisce. Nella sua tenda appare Priamo, il re di Troia, il padre di Ettore. Supplica l’assassino di suo figlio perché gli renda il cadavere, così da poterlo seppellire. Di fronte a un simile gesto, Achille raggiunge una nuova consapevolezza sulla condizione umana. Una cerimonia funebre è il tentativo di dare senso e valore umano al fatto bruto di un corpo che si decompone. Questo vuole Priamo e Achille impara finalmente ad accettare la sua condizione di essere mortale. Il mondo intorno a noi probabilmente non ha senso, è un meccanismo cieco che ingloba e distrugge tutto. Gli uomini non sconfiggeranno la morte. Ma possono comunque conferire un valore umano alla loro vita. Costruire. È l’eterna battaglia tra natura e cultura. Achille e Priamo piangono insieme; si guardano, si ammirano. Si scoprono uomini in un mondo indifferente. È difficile immaginare una scena più intensa. Riconoscersi uomini tra uomini, imparare a stare insieme.
Il poema si avvia alla fine. Achille concede una tregua per i funerali. Poi la guerra riprenderà: è inutile farsi illusioni, così vanno le cose tra gli uomini. Ma il poeta della forza ha mostrato anche altro. «Quel che Omero esalta non è il trionfo della forza vittoriosa, ma l’energia umana nella sventura»: con le parole di Rachel Bespaloff, ecco l’ultima lezione del poeta. In un angolo della tenda, ai piedi di Achille, c’è il suo nuovo scudo, bellissimo: sull’orlo campeggia un fiume che scorre impetuoso; in mezzo c’è una città, si celebra un matrimonio, dei ragazzi danzano.
Bibliografia
Il saggio di Simone Weil (1909-1943) L’Iliade o il poema della forza è stato pubblicato da Asterios nel 2012 a cura di Alessandro Di Grazia (traduzione di Francesca Rubini). L’edizione più recente del testo Iliade di Rachel Bespaloff (1895-1949) è uscita da Castelvecchi nel 2012 (prefazione di Jean Wahl, traduzione di Valerio Bernacchi). Contro il fanatismo, un saggio dello scrittore israeliano Amos Oz, è uscito da Feltrinelli nel 2004 (traduzione di Elena Loewenthal)