giovedì 27 maggio 2010

Gli ottimisti

Gli ottimisti sono persone d'azione perchè sono convinti di avere un grande controllo sul loro avvenire. Quasi sempre sono animati da un fervente desiderio di riuscire e sanno che questa passione può spingerli a coprire lunghe distanze. Si rinnovano a intervalli regolari. Non fraternizzano con persone negative e per mantenere cariche le batterie cercano di accompagnarsi sempre ad individui pieni di entusiasmo, alimentando spirito e cuore insieme.
Sono assolutamente convinti che, come dice la Bibbia, un cuore allegro sia un'ottima medicina.

domenica 23 maggio 2010

Etica, Lealtà, Sacrificio e Passione: 700 volte Zanetti in nerazzurro

Per Mourinho le vittorie dell'Inter sono solo frutto del lavoro di squadra, ma tra tutti i giocatori ce n'è uno speciale: il capitano alla 700esima partita in nerazzurro. "E' la vittoria più importante, più bella".

Per José Mourinho le vittorie dell'FC Internazionale Milano sono sempre e solo frutto del lavoro di squadra, ma tra tutti i giocatori che sabato sera hanno conquistato la UEFA Champions League grazie alla vittoria per 2-0 contro l'FC Bayern München ce n'è uno speciale che forse meriterebbe qualche plauso in più, almeno per la sua storia personale: il capitano Javier Zanetti, alla 700esima partita con la maglia nerazzurra. "E' la vittoria più importante, più bella", ha detto l'argentino dopo 15 anni di Inter.

Che la Beneamata abbia una chiara impronta argentina è ormai chiaro a tutti e forse solo Diego Maradona si sarà stupito nel vedere Zanetti e Esteban Cambiasso nel cuore del centrocampo che sarebbe diventato campione d'Europa. 15 anni di Inter, la fascia di capitano, la sua immagine mentre alza la Coppa dei Campioni che resterà impressa nella memoria dei tifosi e forse anche su qualche francobollo: "E' la vittoria più importante, più bella, credo che questa squadra lo meriti", ha detto a UEFA.com. "Io sono orgoglioso di essere il capitano di questa grande Inter".

Dopo un inizio stentato nella fase a gironi, l'Inter ha smesso di balbettare mantenendo la propria personalità contro qualsiasi avversario, in casa come in trasferta. Il momento della svolta è stato, secondo il capitano, a Stamford Bridge: "Credo che dopo la partita con il Chelsea, a Londra, abbiamo capito che questa squadra poteva arrivare in finale", ha spiegato. "E questa sera abbiamo vinto una partita meritatamente contro un grande avversario come il Bayern".

Se Zanetti merita un complimento più degli altri per la storia che lo ha legato a doppio filo all'Inter, il suo connazionale Milito lo merita per una stagione straordinaria che ha portato l'Inter ha vincere tre coppe in una sola annata - non era mai successo a una squadra italiana. "Milito merita tutto quello che gli sta accadendo perché è un grande attaccante, è arrivato quest'anno con tanta umiltà e credo abbia dimostrato tutto il suo valore", ha detto Zanetti con un sorriso da fratello maggiore.

A 36 anni - ma bisognerebbe controllare meglio all'anagrafe - Zanetti ha raggiunto quello che la maggior parte dei calciatori può solo sognare. Fare meglio di così è quasi impossibile ma, come si dice, l'appetito viene mangiando. "Le motivazioni si trovano sempre, credo che abbiamo comunque tanti obiettivi avanti a noi e spero che potremo continuare a prepararci al meglio per continuare a vincere", ha assicurato 'Pupi'.

sabato 22 maggio 2010

Giampaolo Fabris, l' interprete critico dei consumi di massa

1938-2010 Scomparso il sociologo della post-modernità

Alberoni: ha indagato la società con occhi sorprendenti Alla fine non riusciva più a leggere. Diceva: che seccatura Cominciò alla Doxa nel 1962, nel 1965 fondò Demoskopea
 
«Caro Franco, è una seccatura non riuscire più a leggere». Dieci giorni fa, dal letto dove giaceva malato, Giampaolo Fabris si rivolgeva all' amico Francesco Alberoni, in visita nella sua casa. Si sono salutati e abbracciati per l' ultima volta. «Il fisico era minato dalle lunghe sofferenze ma il viso roseo non lo tradiva», racconta affettuosamente lo scrittore-sociologo, ricordando il collega, di 8 anni più giovane, che ieri se n' è andato per sempre. «Con Giampaolo Fabris scompare un maestro e un amico. Il suo contributo sull' interpretazione della società in cui viviamo è stato negli ultimi decenni fondamentale», testimoniano Claudio Velardi, Antonio Napoli e Massimo Micucci, soci di Reti Spa, Gpf, la società che a lui faceva capo, da due anni presieduta dalla figlia maggiore Monica, «erede di un bagaglio di storia, memoria e conoscenze». Giampaolo Fabris era nato nel 1938, a Livorno, ma la sua città è Milano: la metropoli italiana dei consumi e del marketing, ante litteram, centro del boom economico che esplode negli anni Sessanta. Ed è questa l' epoca in cui il sociologo muove i suoi primi passi, prima di diventare apprezzato docente universitario, consulente d' impresa, saggista. Del resto, nel capoluogo lombardo c' è l' humus ideale per svolgere l' attività a cui il giovane ricercatore avrebbe dedicato la vita. Autentico pioniere del settore, nel 1962, Fabris comincia a lavorare per la Doxa, Istituto di indagini di opinione pubblica. Ed egli stesso, in seno alla società, crea il dipartimento di ricerche sociali. Negli stessi anni Francesco Alberoni è docente all' Università Cattolica. «Fabris non è stato un mio allievo - spiega -. Tuttavia, frequentava il mio Istituto, così ci siamo conosciuti e subito presi. C' era feeling tra noi. A quei tempi, anch' io ero concentrato su certe tematiche. Nel 1964, pubblicai Consumi e Società, primo saggio del genere in Europa. Un' assoluta novità. Giampaolo lo lesse, lo capì e lo apprezzò immediatamente». E non fu un caso se, nel medesimo anno, Fabris scrisse Motivazioni e pubblicità. In sostanza, il giovane sociologo raccolse e sviluppò quel filone che Alberoni avrebbe abbandonato per dedicarsi ad altri argomenti di ricerca. Tuttavia, tra i due, la collaborazione e l' amicizia («Giampaolo era affettuoso ma non invadente, aveva stile e gusto») rimasero solide, nel tempo. Nel 1965, Fabris assieme a Bartolo Mardessich e Carlo Erminero, fonda «Demoskopea», uno dei principali istituti di ricerca sull' opinione pubblica. Ma, nei primi anni Ottanta, decide di cambiare linea, denunciando manipolazioni e strumentalizzazioni dei sondaggi da parte del mondo politico. Il suo nome, quindi, si lega alla società di ricerca GPF & Associati. Da qui, l' osservatorio dinamico che gli consente di monitorare, in tempo reale e con strumenti originali, i fenomeni e le dinamiche che traghettano l' Italia dalla modernità alla post-modernità. «Aveva messo a punto un metodo davvero sorprendente - conferma Alberoni -. Tutta la società scorreva sul suo tabellone, un quadrante dove venivano illustrate graficamente e puntualmente, da sinistra a destra, in alto, in basso, al centro, le tendenze di ogni tipo: politica, religione, consumi, stili di vita». Occhialini tondi, sguardo acuto, Fabris ha seguito fino all' ultimo i trend socio-culturali, lavorando per le maggiori aziende italiane e internazionali. Editorialista e scrittore fecondo, al profilarsi della crisi economica, che è anche crisi di marketing, esprime il suo pensiero «maturo» nel saggio Societing.

Fumagalli Marisa

giovedì 20 maggio 2010

Sui problemi

Di fronte ai problemi è molto importante pensare a se stessi come risolutori, non come vittime della vita o sfortunati. Quando troviamo un ostacolo, indietreggiamo un attimo, studiamo una soluzione per superare la difficoltà o aggirarla. Ci sono sempre più opzioni, riflettere e cercarle è quello che fa la differenza. 
Imparare a prevedere, per quanto possibile, i problemi, le situazioni negative è un altro elemento che porta sulla strada di un vita felice e piena. Quante volte le nostre azioni ci fanno intuire o ci rendono consapevoli che potranno potranno portarci dei problemi, ma speriamo che ciò non avvenga aggrappandoci a una mera speranza che si rivela tale. Prendere consapevolezza che le cose possono andare male è essenziale. 
Questa è la vita. Fatta di momenti felici e di tristezza. Anche la tristezza è uno stato d'animo salutare se non "coltivata" nel tempo a giustificazione o cronicizzata fino a divenire depressione. Impariamo a parlare dei sentimenti negativi e dei nostri problemi, condividere un dolore lo dimezza nel nostro spirito, così come condividere una gioia la raddoppia in noi. Anche le lacrime non devono spaventare. Sono anch'esse un dono di Dio e esprimono in modo inequivocabile il nostro sentimento.

Gli uomini

Gli uomini quando sono tristi si limitano a piangere sulla propria situazione.
Quando si arrabbiano, allora si danno da fare per cambiare le cose.

Malcom X

sabato 15 maggio 2010

L'Amore

L'Amore è l'origine, la causa e lo scopo di tutto quanto è grande, nobile e bello. Il volgo crede, secondo la mitologia, che la bellezza sia la madre dell'Amore, invece è l'Amore che crea la bellezza, è l'Amore che da espressione allo sguardo, grazia al corpo, fascino allo spirito, vibrazioni alla voce; l'Amore produce le nobili ambizioni, l'Amore produce il genio.

Alphonse Karr

Profeti del tempo

Profeti del tempo. Come le nuvole ci rivelano in che direzione soffiano i venti in alto sopra di noi, così gli spiriti più leggeri e più liberi preannunciano con le loro tendenze il tempo che farà. 

F.W.Nietzsche

venerdì 14 maggio 2010

La felicità per Gandhi

La felicità e la pace del cuore nascono dalla coscienza di fare ciò che riteniamo giusto e doveroso, non dal fare ciò che gli altri dicono e fanno.

Gandhi

giovedì 13 maggio 2010

Ipad, eccolo finalmente!

Concorrenza sleale. Tutti i rischi dei cibi che sembrano italiani

Il valore dei prodotti non originali è stimato in 60 miliardi Circa tre volte superiore al fatturato dell'esportazione

Food made in Italy, la ripresa passa attraverso l'export che nei primi due mesi dell'anno è aumentato del 2,6 per cento. L'umore del settore è positivo. Dai risultati di una ricerca di Federlimentare che Corriere Economia anticipa, emerge un dato significativo per tracciare il pensiero dell'industria alimentare italiana: 8 aziende su 10 (l'81,3%) guardano con ottimismo alla ripresa del settore. In particolare il 57,3% lo fa (nel breve e medio periodo) all'insegna di una moderata fiducia, mentre il 24% con la certezza che la ripresa dell'economia è vicina.

Premio alla qualità
L'indagine «100% made in Italy», che sarà presentata a Cibus 2010 di Parma, è stata realizzata attraverso un questionario sottoposto a oltre 150 brand alimentari con almeno cento anni di storia alle spalle. «Il 2009 è stato un anno difficile per tutti e l'industria alimentare italiana ha tenuto non soltanto perché è anticiclica, ma perché le nostre aziende hanno investito in qualità e in sicurezza», commenta il presidente di Federalimentare Gian Domenico Auricchio.
Il 2010 si apre con un segnale confortante: nei primi due mesi la produzione è salita del 2% e l'export registra un +2,6%. Per Auricchio, ci sono tre condizioni per poter essere fiduciosi.
La prima è che l'Ice continui a dare il contributo prezioso per l'espansione all'estero che ha portato sinora. La seconda è che il sistema creditizio continui a essere al fianco delle imprese nel 2010 così come lo è stato nel 2009, per permettere a molte aziende di investire per la crescita e la trasformazione. La terza è la lotta alla contraffazione. Un fenomeno, quello del cosiddetto Italian sounding (cioè l'imitazione dei nostri prodotti grazie all'utilizzo di nomi e di immagini che richiamano l'Italia), che presenta cifre stratosferiche, visto che a fronte dei 20 miliardi di euro di prodotti alimentari esportati nel 2009 ne sono circolati nel mondo circa 60 relativi a imitazioni di scarsa qualità, vendute a un prezzo più basso.

I numeri dell'imbroglio
Italian sounding significa che sugli scaffali dei supermercati di tutto il mondo per ogni barattolo di salsa o di pomodoro pelato «autentico» e per ogni pacco di pasta o confezione di olio extravergine nostrani ne esistono tre che traggono in inganno i consumatori stranieri sfruttando l'immagine, i colori, le marche e le denominazione italiane.
Nord America ed Europa sono le aree a maggiore rischio di «agro-pirateria». Negli Stati Uniti e in Canada il mercato del falso fattura complessivamente 24 miliardi di euro a fronte di un export dei prodotti alimentari autentici pari a circa tre miliardi: in pratica, soltanto un prodotto alimentare su otto è veramente italiano.
In Europa il business dell'imitazione tocca complessivamente i 26 miliardi di euro contro un export alimentare che vale circa 13 miliardi di euro, quindi per ogni prodotto italiano vero ne esistono circa due taroccati.
Nel resto del mondo l'Italian sounding vale dieci miliardi di euro contro un export che ne vale quattro. Dietro ai sughi «Da Vinci» e «Gattuso», all'olio «Pompeian» e ai pomodori in scatola "Contadina» non c'è un'azienda o un produttore che sia italiano.

«Al di là dell'orgoglio che si può provare perché imitano i nostri prodotti in quanto sono i migliori al mondo per qualità e sicurezza - dice Auricchio - il danno dell'agro-pirateria è duplice: c'è sia quello economico sia quello di immagine, che a mio avviso è maggiore. Con la legge Ronchi sul made in Italy si è fatto un primo passo verso la tutela dei nostri prodotti, ma in un momento in cui c'è crisi e minore disponibilità a spendere, il rischio che i prodotti che imitano e che costano meno possano sottrarci mercato è più alto: la contraffazione è un handicap potenziale molto alto per il nostro export».
Il calo dell'euro è un vantaggio? «Certo un dollaro meno debole dà fiato, visto che gli Usa sono il secondo mercato di esportazione dopo la Germania». Ma da solo non basta.

FAUSTA CHIESA - Corriere Economia

lunedì 10 maggio 2010

Alessandro, clochard per scelta: «Ero un broker da 800 milioni all’anno»

«La svolta quando in tv vidi i bimbi somali che morivano di fame». «Mi sentivo come un contenitore vuoto»

MILANO - Adesso si fa chiamare il filosofo dei poveri, «perché do loro tranquillità, insegnandogli a sopravvivere». Lui, che di professione fa il barbone per scelta, è una sorta di faro per il mondo dei clochard, in particolare per quelli che bazzicano la stazione di Lambrate. Lui è Alessandro Marcolin, 65 anni, una laurea in economia e commercio e una vita all'incontrario: dalle stelle alle stalle. Da broker assicurativo fino al 2001, a senza tetto per un «bisogno di ritrovarmi». Un professionista da 800 milioni del vecchio conio all'anno, a squattrinato completo, ma con il cellulare. Un clochard atipico che insegue il motto: «puliti, sbarbati e lavati». E spiega: «Chi perde dignità del proprio corpo, ha già perso la dignità di se stesso».

Da un'esistenza agiata, con il primo cavallo da montare a 12 anni e la prima Fiat 600 superaccessoriata a 18, girando in lungo e in largo il globo, ad una sola panchina per dormire, al binario 7 della stazione di Lambrate. Alessandro Marcolin, che non dimentica i suoi trascorsi di nero sanbabilino «che col tempo mi hanno scoglionato», parla citando Erich Fromm ed Hermann Hesse. Fa colazione al bar della stazione, naturalmente offerta dai tanti pendolari che lo conoscono. Mangia alla mensa dei poveri con tessera delle Opere di San Francesco datata 2002, e si lava nei bagni della stazione. Veste scarpe Tod’s e cappotti Loro Piana, scelti con cura nel guardaroba della Caritas. Poi, per raccontare della sua svolta, sorseggia bianco secco e usa espressioni poetiche e forbite del tipo: «Una vita trascendentale. Mi sentivo un contenitore vuoto, in corsa per il successo, ma senza valori».

I ricordi partono dal suo primo amore, a 24 anni, durante una crociera quando «mi sono innamorato di una donna sposata, molto ricca. Le chiesi di lasciare il marito e di venire a vivere con me, ma mi rispose di no. Credo non avesse capito niente dell’amore». Quindi accenna alla moglie e alle due figlie, di 25 e 36 anni, ormai grandi e autonome. «Hanno capito la mia scelta di vita. La più grande, che ha una laurea in architettura, ha ereditato la mia società di brokeraggio. La piccola, invece, ci ha sofferto molto». La svolta avviene in una sera di nove anni fa, a casa di amici benestanti. Alla televisione c’è un servizio su alcuni bambini somali mal nutriti e malati. «Le mogli degli amici, con la solita finta morale, esclamarono: poverini, poverini, che pena! Ma non fecero niente. Io, invece, risposi che ero molto più coerente e che non mi interessava un fico secco di quei bimbi. Ma quella notte non riuscii a dormire. E dentro di me ritrovavo solo il vuoto».

Così, negli otto mesi successivi, Alessandro Marcolin, mette insieme le idee e decide. «Me ne sono andato. Senza accettare critiche alla mia scelta, altrimenti sarei stato condizionato. La mia non è espiazione: quello che ho fatto, l’ho fatto con serenità. Ero in cima alla piramide e adesso sono alla base, ma ho molte più gratificazioni. Essere utile agli altri e avere la loro stima. Non colmare la vita facendo soldi a tutti i costi».

Adesso Marcolin è al binario 7, senza rimpianti. Si alza ogni mattina alle 5.30 e si lava nei bagni della stazione «per non disturbare i pendolari che arrivano con il treno delle 6». E ci tiene a dire che ha trovato posti di lavoro a 40 persone, «di cui 20 lavorano ancora, mentre gli altri si sono persi in droga e alcol». Il «filosofo dei poveri» passa le sue giornate in giro per la città: i parchi e i giardini quando non piove, le biblioteche per leggere e scrivere e gli incontri con gli amici di «nuova generazione», clochard come lui. «E di notte metto i panni del buon samaritano, per aiutare e incoraggiare il popolo dei senza tetto». Poi, per dimostrare di essere al passo coi tempi, nonostante la sua condizione di indigenza, si dilunga sulla situazione politica attuale: «Ci stanno portando via anche la vita. Ma noi italiani abbiamo il grande dono di arrangiarci. Siamo un popolo fantasioso, con molta intuizione e cultura».

Michele Focarete

domenica 9 maggio 2010

I nostri Obiettivi

Gli obiettivi sono il carburante della vita, danno lo scopo ad essa e ti consentono di trovare energia e passione. La prima regola fondamentale è scriverli e identificarli chiaramente questi obiettivi, come ci può leggere in qualsiasi manuale o libro che affronti il tema dell'autorealizzazione. Ma è vero. Quando si scrive, si mettono dei confini, si è costretti a chiarirsi, a decidere, a definire esattamente per cosa abbiamo intenzione di lottare e cosa in cui crediamo. Inoltre è una forma di concretizzazione delle mete prefissate. Ci sono scadenze, date, possiamo pensarle, vederle, anche modificarle se abbiamo alzato troppo l'asticella al momento di redigerli. Ma sono lì davanti a noi. A questo punto è una questione di credibilità interiore, siamo di fronte all'unico vero giudizio che ci deve interessare: quello di noi stessi.

Quando si scelgono gli obiettivi, si sceglie una strada da percorrere, è essenziale che non sia solo un freddo processo mentale, ma anche spirituale, con il Cuore. Condizioneranno le nostre scelte future, determineranno le nostre attività, la scelta degli impegni a cui fare fronte, dove infondere la nostra energia. Poi concentrarsi sui sotto obiettivi. Perchè ogni grande risultato è frutto di tanti piccoli risultati, tanti step successivi, che pianificati, portano alla vittoria. Personale e unica. Quella che ci fa sentire bene, liberi e soddisfatti della nostra vita. Quale sia l'obiettivo che ci siamo posti.

Nella professione, nella vita privata, nello sport: porsi gli obiettivi è fondamentale. E' un metodo di crescita. Si impara l'autosufficienza e si accresce la propria autostima. Il passo successivo è quello di leggere e rileggere, pensare costantemente a questo o questi obiettivi, cercare di provare la sensazione che potremmo avere una volta raggiunti. Pensare se occorre modificare qualche sotto obiettivo, modificare quindi la rotta, perchè a quel punto siamo come dei comandanti che conducono la loro nave verso un approdo deciso. Sappiamo dove andare, ma dovremo tenere in considerazione anche gli elementi circostanti. Potremmo decidere delle brevi variazioni, o delle modifiche sul percorso, ma il nostro obiettivo è li davanti a noi. Lo possiamo vedere, lo abbiamo chiaro. Quanta potenza c'è in questo modo di agire e pensare.

Quando si scrive, come quando si legge, la mente lavora e tende a rendere reale il tutto. Questo avvicina e aiuta il progetto che ci siamo prefissati. La tendenza umana a rimanere fedeli a noi stessi farà il resto. Gli obiettivi che ci siamo posti saranno raggiunti.
Non dimentichiamo mai che gli obiettivi, alla fine, sono dei sogni con delle scadenze. 

sabato 8 maggio 2010

8 MAGGIO - Giorno della Memoria del terrorismo interno e internazionale: La lunga scia di una tragedia

di Miguel Gotor

Il 1980 fu un anno terribile per l'Italia perché il terrorismo raggiunse l'apice della sua spinta sovversiva. Ormai la memoria di quegli eventi si fa confusa o è del tutto assente: confusa per chi c'era e, davanti a una minestra fumante, guardava il telegiornale in silenzio, come se ascoltasse un quotidiano bollettino di una guerra incivile; assente per chi non c'era e non è stato educato a ricordare.

In quel tragico anno il terrorismo "rosso" (le Br, Prima linea, il pulviscolo di organizzazioni nate per imitare i fratelli maggiori) uccise 24 uomini; quello "nero" (con i Nar) ne assassinò 4, rendendo inoltre la sua manovalanza disponibile a perpetuare il più grave attentato della storia repubblicana, quello della stazione di Bologna, dove il 2 agosto 1980 morirono 85 persone. I due progetti eversivi sembrarono darsi la mano per stringere al collo il corpo della democrazia italiana: da una parte, con la pratica di una serie di omicidi selettivi che colpivano i riformisti di questo paese e quanti compivano con professionalità il proprio dovere con l'obiettivo di radicalizzare vieppiù il conflitto: giornalisti come Walter Tobagi, professori come Vittorio Bachelet, il generale Enrico Galvaligi, e soprattutto magistrati chiamati a pagare un tributo di sangue come categoria che sarebbe sconcio dimenticare in un tempo in cui si parla con troppa leggerezza da più parti di un fantomatico "partito dei giudici".

Solo nel 1980 i neofascisti uccisero Mario Amato e i terroristi rossi Guido Galli, Girolamo Minervini e Nicola Giacumbi. Dall'altra, con l'immonda pratica della strage indiscriminata contro cittadini inermi che seguiva le ondate della cosiddetta "strategia della tensione", iniziata con Piazza Fontana nel 1969 e finita nel 1984 con l'attentato del treno di Natale. Un'azione accompagnata da depistaggi di apparati dello stato che aveva la finalità, fino al 1974, di creare le condizioni per un golpe militare, e, successivamente, di stabilizzare il quadro politico.

Oggi si celebra al Quirinale, davanti al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la quarta edizione del "Giorno della memoria" delle vittime del terrorismo e delle stragi e il pensiero va anzitutto a quanti sono morti in difesa e per conto delle istituzioni repubblicane a causa di una efferata violenza politica e ideologica. Da più parti si chiede che tali celebrazioni non abbiano un tono retorico, ma sta soprattutto a noi evitare di renderle tali, nella misura in cui riusciamo a partecipare del loro significato civile, senza svuotarle di senso con la nostra indifferenza o, peggio ancora, malizia.

Anzitutto, ricordare le vittime del terrorismo è necessario come forma di risarcimento civile che la comunità deve ai loro famigliari, troppo a lungo dimenticati, quasi costretti a doversi vergognare del lutto spesso con un sentimento di frustrante umiliazione. Si è vissuta una lunga stagione in cui il cuore mediatico del discorso batteva al ritmo dei terroristi che raccontavano le proprie gesta o esponevano il loro pentimento.

In secondo luogo, serve come forma di mobilitazione civile. In effetti, negli ultimi tempi si sono moltiplicate le iniziative volte a ricordare le vittime di quegli anni da parte di associazioni, centri studi, scuole, fondazioni, circoli che hanno dato luogo a inedite manifestazioni di cittadinanza attiva e consapevole. Non solo libri come quello di Umberto Ambrosoli e Benedetta Tobagi, ma anche raccolte di testimonianze come il volume Sedie vuote, nato dall'impegno di un gruppo di ragazzi trentini; oppure la staffetta in bicicletta in onore di Marco Biagi, organizzata dall'ordine dei commercialisti di Bologna, o il cd rom Vittime curato dall'associazione Aiviter.

A questo proposito è decisivo il ruolo della ricerca storica, e non a caso nell'odierna Giornata della memoria sarà esposto il progetto della Rete degli archivi per non dimenticare, che ha censito a livello nazionale i documenti relativi al terrorismo, allo stragismo, alla violenza politica e alla criminalità organizzata individuando gli archivi pubblici e privati dove sono raccolti. Anche la buona informazione potrebbe fare molto, ad esempio ricordando che in questi mesi è in corso a Brescia il processo per la strage di Piazza della Loggia del 1974, ove, udienza dopo udienza, si confrontano i manichini ormai invecchiati imputati di quella tragedia e la carne viva di mogli, mariti, fratelli, figli che, a distanza di 36 anni, ancora aspettano giustizia.

Infine, la celebrazione di oggi è importante come forma di vigilanza civile: rimuovere è il modo migliore per favorire il ritorno dei fantasmi del passato e impedisce di creare una coscienza per distinguere e capire. Di recente è uscito un libro presso l'università di Macerata intitolato I dannati della rivoluzione. Violenza politica e storia d'Italia negli anni 60 e 70, a cura di Angelo Ventrone, in cui è presente un interessante saggio di Giovanni Moro. L'autore sottolinea come la memoria su quel periodo sia «difettosa o del tutto assente», ambiguamente sospesa tra tragedia e magia.

Parlare di quel passato è ancora difficile in quanto significa toccare «un nervo scoperto che suscita emozioni, polemiche, furori ideologici» che inducono a preferire la strada della dietrologia o del riduzionismo piuttosto che quella della responsabilità politica, civile e storica. Avviene perciò un curioso cortocircuito: «Il massimo di vicinanza del dibattito pubblico a quel periodo corrisponde a un massimo di amnesia su di esso», e da questa trappola deriva una dimenticanza ancora più grave. Gli anni 70 sono stati anche un'età preziosa, caratterizzata da un elevato livello di partecipazione, di riforme e di riconoscimento di nuovi diritti dell'individuo, della famiglia, del lavoro, ma un manipolo di uomini ha parlato il linguaggio delle armi riducendo al silenzio un'intera generazione che preferisce tacere oppure non riesce ad abbandonare i panni del reduce.

Per questo insieme di ragioni l'iniziativa di oggi è significativa: aiuta a tenere accesa la fiamma dell'ethos pubblico italiano in un momento difficile della coscienza nazionale del paese e invita a riflettere sulla qualità della nostra democrazia, quella di ieri, di oggi e di domani. A pensarci bene, non è poco.

Sulla morte

A gran parte delle persone ripugna pensare alla morte, alla propria fine. Imperterriti, passano la maggior parte della vita ad accumulare beni come in "Mastro Don Gesualdo" del Verga, ignorando che arriverà per tutti quel giorno. Anche a discapito degli altri, a volte senza nessun senso Etico, senza Morale, spostando l'asticella dei Valori sempre più in basso...
Sarebbe più saggio riflettere invece sull'ineluttabilità della morte. Fa parte integrante della vita che ha un suo inzio e una sua fine, dallo Zenith al Nadir, ed è vano cercare di sfuggire ad essa. Vivere con serenità, con la tranqullità di sapere che si può far fonte all'imprevisto o all'improvvisa sfortuna, è la cosa più saggia. Non saper dire mai basta servirà ben poco nel momento di passare oltre.

giovedì 6 maggio 2010

Se il bello diventa semplice c'è la genialità

di Mario Moretti Polegato *

Le cose belle sono difficili, scriveva Platone. Per questo le crisi non ci devono fare paura, ma anzi sollecitare la nostra fame di cambiamento. La nostra voglia di anticipare, destabilizzare, sfidare e disturbare il mercato. In fondo, innovare significa mettere in crisi un processo consolidato, è un momento di discontinuità, una rottura all'interno di un'evoluzione conosciuta. Le innovazioni sono tanto più probabili nei momenti di transizione, perché l'incertezza di queste fasi riduce la resistenza al cambiamento, sia nella società sia nelle economie nazionali e dentro le imprese.

Volendo "osare" concludere il pensiero dell'uomo che ha "inventato" le Idee, direi che l'innovazione è rendere semplici le cose belle. Geox è un'impresa innovativa perché ha trasformato un'idea in innovazione, cambiando le regole. È per questo motivo, e non per retorica, che ogni crisi porta con sé un grande potenziale d'innovazione.

Ho recentemente parlato di queste cose davanti a una platea di 400 studenti alla Columbia Business School a New York - ospite dell'amministratore delegato della Borsa della città americana Duncan Niederauer - un tempio della creatività, della fantasia contemporanea, e un luogo dove si generano le idee. Ho raccontato la storia della mia azienda. Geox è nata negli anni 90 e oggi è uno dei più importanti produttori di scarpe al mondo. Io ho avuto successo e con me Geox, che prima di essere un'azienda è un'idea, perché ho fatto diventare realtà un'intuizione. Perché ci ho creduto.

Il concetto era semplice e logico, dovevo trovare un sistema per far respirare le scarpe con le suole in gomma. Per farlo ho pensato al principio della traspirazione, fare dei buchi nelle suole e applicare una membrana microporosa in grado di far passare il vapore acqueo prodotto dall'uomo, ma non l'acqua e gli agenti esterni. Quindi il piede traspira e non si bagna. Fine.

Questa storia semplice, frutto di una logica disarmante, ha fatto il giro del mondo. È stata studiata in tutte le più importanti università. In molti si chiedono quale sia l'alchimia che risiede alla base dei risultati di Geox. Io dico sempre che serve un'idea, un sogno. In questo caso la differenza è stata la capacità di unire la moda alla tecnologia. Insomma, siamo nell'era in cui due giovani matematici, come Larry Page e Sergej Brin, i fondatori di Google, grazie a un algoritmo diventano due specie di rockstar. Osannati e idolatrati in tutto il mondo. La tecnologia, l'innovazione e la creatività scientifica sono diventati trendy. E sono convinto che proprio la spinta del sogno debba essere il fondamento di qualsiasi innovazione. Senza la capacità di gettare lo sguardo oltre ciò che è il nostro orizzonte conosciuto, non è possibile alcuna crescita innovativa.

Poi ci vuole uno spirito giovane. Il coraggio di rischiare è essenzialmente la cifra di un'anima giovane. Ed è per questo che il nostro paese rischia di restare indietro. Nelle economie veloci e in crescita i giovani non solo governano grandi imprese, ma sono spesso i fondatori di grandi avventure imprenditoriali. L'Italia, invece, è un paese di vecchi e dobbiamo convincerci che i giovani rappresentano la speranza del futuro. Sono colti e bisogna ascoltarli di più, dare loro più entusiasmo, farli partecipi del cambiamento di cui ha bisogno questa vecchia Italia. Un paese che è vecchio in tutto, ma che è al tempo stesso appassionante, con una grande storia e un potenziale da esprimere.

Anche a me è capitato di non essere capito quando ho iniziato la mia avventura imprenditoriale. Quando ho proposto la mia innovazione a tutti i più importanti marchi di calzature, ho ricevuto molte porte in faccia, mi guardavano come se fossi un alieno. Così ho deciso di fare da solo. È anche per questa esperienza che nella mia azienda la presenza di under 35 è massiccia: i giovani hanno una mente più aperta, hanno meno pregiudizi e preconcetti, più facilmente sanno cambiare punto di vista. E poi fanno le cose con emozione.

La centralità delle idee e la capacità di realizzarle ci ricordano che l'imprenditorialità è un fatto personale, che si può insegnare solo in parte. Gli imprenditori sono degli audaci visionari, persone spinte dalla passione, attratte da un fenomeno, animate da un sogno e capaci di «collegare ciò che apparentemente non ha alcun senso», ossia di mettere in relazione due o più concetti apparentemente scollegati, di prendere due o più cose totalmente diverse e di unirle in modo nuovo, generando un effetto sorpresa sul mercato. Il vero imprenditore è per definizione un innovatore, perché ha la capacità di tollerare il rischio e di convivere con l'incertezza.

Poi c'è un motore indispensabile dentro ogni avventura imprenditoriale. Questo motore sono le difficoltà. La crisi è la migliore benedizione che possa arrivare a persone e paesi, scriveva Albert Einstein, perché la crisi porta il progresso. La creatività si genera dalle difficoltà nello stesso modo in cui il giorno sorge dalla notte oscura. È dalla crisi che nascono l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi, supera se stesso senza essere superato. «Senza crisi non ci sono sfide, e senza sfida la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non ci sono meriti. L'unica crisi che ci minaccia è la tragedia di non voler lottare per superarla».
 
* Mario Moretti Polegato è fondatore e presidente della Geox

mercoledì 5 maggio 2010

Diritti e Doveri

"In Italia si parla sempre di diritti e mai di doveri. In Italia si finge di ignorare o si ignora che ogni diritto comporta un dovere, che chi non compie il proprio dovere non merita alcun diritto."

Citazione del padre della Fallaci

lunedì 3 maggio 2010

Acquisire fiducia per essere felici

A volte ci comportiamo come bambini, viziati e incoscienti. Immaginiamo che tutto debba essere facile, senza problemi particolari, come da bambini quando si faceva affidamento continuamente sugli altri. E' importante uscire da questo atteggiamento, a volte inconscio, ma contradditorio nella lettura della realtà. Le difficoltà sono di questo mondo, una volta adulti e occorre porsi nell'atteggiamento giusto per affronatrle.
Circondarsi di amore, di benevolenza, di riconoscimento, aiuta ad affrontare anche le difficoltà diversamente se si è pervasi da collera o odio, diffidenza, ansia.
Acquisire fiducia in se stessi e imparare a procedere da soli, prendendo coscienza del proprio potenziale interiore, sono fondamentali per riuscire in ciò che si fa nella vita. Così come lavorare costantemente su se stessi per migliorarci, correggerci, levigarci, apprendere.
Avere fiducia in se stessi porta soddisfazione e pace interiore. Sviluppa generosità, onestà, condotta morale e sincerità. Porre uno stop ai pensieri negativi, alla visione negativa della vita e degli altri è la chiave di volta per il cambiamento. Non bisogna mai dimenticare questa semplice, ma impegnativa regola che ci consente di attingere e riversare continuamente sugli altri e noi stessi effetti positivi. Umiltà nell'approccio, nel giudizio, nei rapporti, nel lavoro, con la serena consapevolezza di essere forti dentro; saper distinguere tra l'essenziale ed il superfluo, dando ad ogni cosa il giusto peso, imparare a non difendere l'accumulo della proprietà fine a se stessa: per me sono questi i segreti per vivere felici.

sabato 1 maggio 2010

Orgoglio per il proprio lavoro

Un uomo chiamato a fare lo spazzino dovrebbe spazzare le strade così come Michelangelo dipingeva o Beethoven componeva o Shakespeare scriveva poesie.
Egli dovrebbe spazzare le strade così bene da far si che tutti gli ospiti del cielo e della terra si fermino per dire: qui ha vissuto un grande spazzino che faceva bene il suo lavoro.

M.Luther King