venerdì 24 agosto 2012

Cravatta, guai a chi me la tocca

L'imprenditore Matteo Marzotto difende l'accessorio: "Io non vedo una diminuzione dell'uso della cravatta in senso assoluto, mi sembra anzi che resti un simbolo di rigorosa formalità". 


Nell'ambiente della moda la cravatta è spesso un optional. Ma l'imprenditore Matteo Marzotto, 45 anni, presidente della Maison Vionnet, ce l'ha sempre. Ha il suo stile e lo difende. Che cosa pensa di politici e imprenditori che, sempre più spesso, adottano uno stile casual come è successo a Sun Valley e nel Maryland? «Attenzione a non fare confusione: gli americani sono molto precisi. Ci sono particolari situazioni in cui danno istruzioni sul dress-code. Quando specificano, ed è appunto il caso degli incontri di Sun Valley e del Maryland, che l'abbigliamento deve essere informale, la decisione è stata pianificata. Io non vedo una diminuzione dell'uso della cravatta in senso assoluto, mi sembra anzi che resti un simbolo di rigorosa formalità. Che mi trova assolutamente d'accordo». 

Faccia un esempio di come secondo lei andrebbe portata la cravatta.
«Una giacca spezzata con una cravatta colorata sdrammatizza. Oppure si può abbinare un completo di tweed a una bella cravatta chiara. L'importante è creare un contrasto: io le acquisto sempre volentieri, perfino nei negozi degli aeroporti, perché mi diverte magari una certa riga o mi piace un particolare punto di colore».
Quali sono le sue marche preferite? «Marinella e Finollo sono due must del gentiluomo italiano. Devo dire, però, che anche Ratti fa una cravatta eccezionale. Non me le faccio mai regalare, le scelgo da solo perché ho le mie manie».





domenica 19 agosto 2012

Pensa giovane

Non importa l'età, l'importante è l'atteggiamento fresco e giovane che bisogna tenere nei confronti di ogni cosa: sul lavoro, nella politica, nello stile di vita, negli atteggiamenti verso le persone e le novità. 
Pensare giovane aiuta a rinnovarci continuamente, ad avanzare e a trovare nuove energie. 
Pensare giovane prepara al cambiamento, al futuro, al pensiero globale, a diventare cittadino del mondo. Se una cosa ha successo in un altro Paese, può averne anche da noi. Le differenze anche culturali non sono un limite, ma una risorsa.

Ci sono giovani che sono già "cristallizzati" nel sistema e nel pensiero e adulti che invece coltivano il pensiero giovane e aperto che gli permette di vedere oltre e cambiare le cose. Quando smetti di "pensare giovane" o di sentirti giovane inizi ad avere il classico atteggiamento rigido e limitato della vita. Questo va a discapito della capacità di gestire il cambiamento, di sviluppare creatività e di continuare nella crescita personale.

Non abbassare mai le antenne, sii sempre curioso, intraprendi nuove strade.


Cambiare prospettiva

... Se siete ancora costretti a lavorare per un capo che non vi piace, come prima o poi capita quasi a tutti, non lagnatevi, ma guardate alla vita con atteggiamento positivo, cercate di venire a patti con voi stessi, lavorate con impegno, guadagnatevi lo stipendio e coltivate le amicizie. Stabilite buoni rapporti con le persone con cui venite in contatto nel lavoro e, se siete ancora insoddisfatti, ponetevi l'obiettivo di separare la vita privata dalla vita lavorativa. Dedicatevi ad attività che vi gratificano e vi divertono nel tempo libero, ricordate che il capo e l'azienda vi pagano anche perché possiate concedervele e vi sentirete più soddisfatti, vivrete con più piacere la vita privata e il lavoro...

giovedì 16 agosto 2012

Grey economy: la crisi combattuta dai 50enni

Sono nati tra il 1945 e il 1965. Spesso già in pensione. Ma in Germania li stanno richiamando al lavoro. E negli USA li schierano contro la crisi.

NEW YORK. Abbiamo costruito noi questa crisi, saremo noi a risolverla. La generazione del baby boom affronta la prova più importante: lasciare ai figli un’economia rinata, un bilancio pubblico sostenibile, le condizioni per una ripresa dell’occupazione. Dagli Stati Uniti alla Germania, c’è una musica nuova. Basta piagnistei sullo shock demografico, sul crac delle pensionie della sanità, sul terremoto sociale provocato dall’arrivo alle soglie dell’età pensionabile dei babyboomer (i più anziani dei quali stanno per raggiungere la fatidica soglia dei 65 anni, età legale della pensione in molti paesi occidentali). Stufi di essere colpevolizzati, i baby boomer vogliono essere la soluzione, non il problema. In America si rimboccano le maniche e decidono di lavorare fino e oltre i 70 anni, anche per supplire all’impoverimento collettivo della grande crisi.

La più prestigiosa università privata della California, Stanford, ha creato un istituto che si chiama Longevity. Questo centro non si o c c u p a m i n i m a mente di geriatria, bensì del “lato positivo” della longevità: come sfruttarne le potenzialità mettendo a frutto le riserve di energie, di intelligenze e di competenza della generazione più numerosa. Proprio Stanford, a Palo Alto nel cuore della Silicon Valley, è il centro di un’economia fondata sui “ragazzini” come Mark Zuckerberg di Facebook. Eppure è lì che il Longevity Institute equipara la generazione delle “pantere grigie” (o brizzolate) a una nuova risorsa strategica, su cui fare perno per un’altra ondata di innovazioni, alla pari con le energie rinnovabili e la biogenetica, i Big Data e le nanotecnologie. Solo negli Usa, i nati fra il 1945 e il 1965 sono 76 milioni, più di un quarto della popolazione. Ne fanno parte gli ultimi tre presidenti: Bill Clinton, George Bush e Barack Obama. In Inghilterra controllano l’80% della ricchezza nazionale. I demografi ci hanno descritti come “il maiale dentro il pitone”, per illustrare graficamente il rigonfiamento nella “pancia” della popolazione: prima di noi, i nostri genitori erano stati decimati dalla guerra e comunque non vivevano così a lungo; dopo di noi ci sono le generazioni sottili della denatalità. Questo “accidente” demografico, unico nella storia dell’umanità, è diventato l’occasione per un processo. A sentire i governanti che applicano l’austerity, i banchieri centrali, gli esperti di pensioni, saremmo noi il peso che affonda i bilanci pubblici in tutto l’Occidente. Siamo accusati – a turno – di stare incollati alle nostre poltrone escludendo i più giovani; o viceversa di oberare le future generazioni col costo delle nostre pensioni. Generazione-sandwich è un altro nomignolo: schiacciati come il prosciutto nel panino in mezzo a due pressioni, da una parte gli anziani a cui bisogna pagare le pensioni, dall’altra i figli che non trovano lavoro. Se andiamo in pensione troppo presto sfasciamo i conti pubblici, se non ci andiamo siamo il “tappo” che rallenta le assunzioni dei giovani?

A invocare la riscossa della generazione dei baby-boomer, è sceso in campo l’ultimo diretto(segue dalla copertina) re del New York Times e oggi autorevole opinionista dello stesso quotidiano, Bill Keller. Che ha scritto una sorta di Manifesto per tutti noi, le generazioni che includono i Clinton e gli Obama. “The Entitled Generation”, ci definisce Keller: che si può tradurre come “La generazione privilegiata”. Keller riprende tutti i capi d’imputazione che ci sono stati rivolti. Da destra, la generazione dei baby boomerè accusata di avere partorito il Sessantotto e il femminismo, le rivolte antiautoritarie e il boom della marijuana, tutto ciò che ha fatto a pezzi i valori tradizionali, il collante della società. “La Peggior Generazione”, la definì un consigliere di Bill Clinton, Paul Begala, che descrive i baby boomer come «i più egoisti, egocentrici, autoreferenziali, presuntuosi, indulgenti con se stessi». Keller contrattacca: «Tra noi ci furono quelli che andarono a combattere in Vietnam e quelli che protestarono contro la guerra. Dai nostri ranghi sono usciti i banchieri d’azzardo di Wall Street ma anche i geni imprenditoriali di Steve Jobs e Bill Gates». Il capo d’accusa più importante è in un rapporto-bomba della Third Way, un think tank vicino al partito democratico. È una radiografia della spesa pubblica negli ultimi 50 anni, reinterpreta la storia economica con un criterio nuovo. Divide il ruolo dello Stato in due missioni fondamentali. Da una parte gli investimenti: la modernizzazione delle infrastrutture, la scuola, l’università. Un’altra parte corposa della spesa pubblica sono gli “entitlement”, i diritti acquisiti: pensioni, assistenza sanitaria. Via via che la generazione dei baby boomerè passata dalla giovinezza all’età adulta, dagli studi alla professione, dalla contestazione al potere, la “linea blu” degli investimenti è scesa, mentre la “linea rossa” dei diritti acquisiti è schizzata verso il cielo.

Nel 1962, per ogni dollaro di spesa federale 32 centesimi venivano destinati agli investimenti, solo 14 centesimi andavano ai diritti acquisiti. Oggi gli investimenti sono crollati al 14% mentre i diritti acquisiti assorbono il 46%. «Nel 2030 – scrive Keller – cioè nell’anno in cui il più giovane di noi baby boomer andrà in pensione, i diritti acquisiti assorbiranno il 61%e per gli investimenti nel futuro non resterà quasi nulla». Keller mette i baby boomer di fronte alla sfida di oggi. «Non è colpa nostra se siamo tanti. È colpa nostra se facciamo resistenza contro il cambiamento. Forse non siamo la più nobile di tutte le generazioni, ma essendo la più larga, possiamo usare il nostro peso per spostare le politiche nella direzione giusta». L’editoriale di Keller ha scatenato un vespaio di reazioni. La maggior parte dei lettori del New York Times – ovviamente baby boomer – non accettano neppure la definizione di “entitlement”: quasi che pensioni e assistenza sanitaria fossero un privilegio calato dall’alto e non dei diritti guadagnati, finanziati con le tasse e i contributi sulla busta paga. Ma lo spirito che anima Keller è vivo e vegeto in un’altra reazione della società americana. Che studia come attrezzarsi per trasformare lo shock demografico in una rivoluzione positiva. Mettendo a frutto le straordinarie energie della generazione più popolosa, per farne un motore di rinascita. L’industria e il marketing hanno già lo sguardo verso l’orizzonte più lontano. Dopotutto un mito del made in Usa come la moto Harley Davidson è rinato da quando è diventato l’oggetto del desiderio per gli ex-hippy, ex contestatori, la tribù attempata di Woodstock e della Summer of Love.

In Germania sono le aziende a ripensare il pensionamento flessibile in modo rovesciato – non per pre-pensionare, ma al contrario per prolungare il contributo di consulenza e di formazione dei dipendenti più anziani. In America si ri-progettano ufficie luoghi di lavoro, per adattarli ai ritmi di vita e di concentrazione delle “pantere grigie”. Risultato: mai come oggi, così tanti americani over-65 e perfino over-75 sono stati al lavoro. Le statistiche attuali, che hanno iniziato ad essere raccolte dal 1981, mostrano che non vi sono precedenti per questo livello di occupazione tra gli anziani. O “pre-anziani”? Appartenenti alla “seconda età adulta”? Proliferano i neologismi per descrivere la nascita di una nuova generazione, che andrà distinta in qualche modo dai pensionati. Ecco i numeri. Tra i maschi fra i 65 e i 69 anni di età, negli Usa più di un terzo oggi continua a lavorare. Fra le donne della stessa fascia, più di un quarto sta lavorando. Una quota di questi anziani non si ritira dall’attività perché non può permetterselo. Il valore complessivo dei risparmi degli americani è più basso del 15% rispetto al 2007, è l’impoverimento provocato dalla caduta della Borsa durante la crisi. Dunque, molti continuano ad aggrapparsi al lavoro per non diminuire il proprio tenore di vita. Un’altra parte degli over-65 in America continua a lavorare per tutt’altre ragioni: trova nell’attività un ruolo, uno status sociale, una ragione di vivere, un anti-depressivo. In una parola sola: una missione. Secondo un’indagine demoscopica commissionata all’Associated Press dalla LifeGoesStrong, il 25% dei baby boomer «ha deciso che in pensione non vuole andarci mai».

Non si aggrappa al posto fisso, concetto inesistente negli Stati Uniti: molti di questi baby boomer hanno scelto la strada del lavoro freelance, della consulenza, della formazione dei giovani, anche il volontariato. Di questa crisi hanno capito che non sarà passeggera.E come in tutti i frangenti della storia che li hanno visti protagonisti, i baby boomer d’America hanno chiara una cosa: nel bene o nel male, come ne usciremo dipenderà da loro.

Federico Rampini per la Repubblica

Via gli esuberi, largo ai prepensionamenti, così taglieremo i costi e torneremo grandi. Déjà vu, musica già sentita, mantra che a volte sembra aver gettato investitorie manager europei e non solo in una dipendenza tossica. E invece no, non è vero. Non lo dicono associazioni dei pensionati, né organizzazioni benefiche. Lo pensa, e così agisce, le patronat allemand, insomma gli imprenditori dell’economia più grossa, globale e competitiva d’Europa, quella tedesca. No, signori, dietrofront: i dipendenti anziani servono troppo, sono indispensabili. Vanno tenuti in azienda, o riassunti se sono stati prepensionati. Perché la loro esperienza, la loro qualifica, il loro know-how nel produrre ma anche nel creare un buon clima sul lavoro e nell’indovinare i gusti del pubblico sono indispensabili. Vanno tenuti in azienda, o riassunti se sono stati prepensionati. Perché la loro esperienza, la loro qualifica, il loro know-how nel produrre ma anche nel creare un buon clima sul lavoro e nell’indovinare i gusti del pubblico sono indispensabili. E se lo dicono gli imprenditori tedeschi, che quanto a competitività stracciano americani e giapponesi in quasi ogni comparto, avranno le loro ragioni e la loro convenienza.

La storia non è inventata, è stata scoperta dagli investigative reporters della Bild, il quotidiano più letto d’Europa. Bosch e Volkswagen, Bmw e la parte tedesca di Airbus industrie, il gigante della distribuzione Otto, la blasonata Daimler cioè Mercedes, e ancora il colosso farmaceutico-chimico Bayer e la Abb di elettronica e multicomparto, o Fraport, la società che gestisce l’aeroporto di Francoforte realizzando grossi utili alla Borsa pochi chilometri dalle piste e dai terminal, hanno scelto questa via. «La grande, multiforme esperienza e preparazione dei nostri dipendenti più anziani è un atout che stimiamo moltissimo», dice Nicole Adami, del gruppo Otto. Il colosso delle vendite postali e online ha addirittura creato una società controllata per gestire il rientro delle “pantere grigie” pensionate o prepensionate negli anni scorsi. Servono, magari non a tempo pieno ma come consulenti con un ruolo centrale: le pantere grigie tedesche sono diventate un’arma segreta della più forte industria esportatrice al mondo dopo quella cinese. «Per noi è necessario anche fare i conti con le svolte demografiche», spiega ancora Frau Adami: una società con più anziani e meno figli in media per famiglie produce anche meno lavoratori qualificati, a ogni livello. Alcuni dei riassunti sono avanti negli anni, ma energici più che mai, pieni di voglia di fare qualcosa per gli altri.

Come Jochen Michalczyk, 69 anni, ripreso da Otto e usato come esperto per i problemi-chiave sul mercato. Alla Bosch, simbolo di eccellenza mondiale nell’elettronica per l’auto e non solo, si sono affrettati a spulciare negli archivi degli ex dipendenti. Risultato: una lista dei millecinquecento migliori ex, subito contattati e subito dichiaratisi pronti a lavorare. Il lavoro di seicento di loro per l’azienda, l’anno scorso, sommato, conta per 55mila giorni attivi. «Sono molto meglio di esperti esterni, capiscono velocissimi i problemi e trovano le soluzioni migliori», dice un portavoce aziendale. Uno di loro è Fritz Baumann, 66 anni. «Andai in pensione nel 2006, poco dopo fui richiamato come consigliere per un progetto-chiave in Russia», racconta. «Non conta la paga, ma la soddisfazione di comunicare la mia esperienza ai neoassunti, e in generale ai colleghi più giovani».

Stessa sinfonia alla Volkswagen, il colosso dell’auto maestro di cogestione, che già è in corsia di sorpasso per strappare a Gm e Toyota la medaglia d’oro di primo produttore mondiale d’auto. L’esperimento di 13 riassunzioni di pensionati a Hannover è andato a gonfie vele, «quei colleghi», affermano in azienda, «sono un tesoro di esperienza, e portano un clima di passione per il lavoro». O a Continental, il gruppo tedesco dei pneumatici di qualità, dove 64enni come Herbert Luehmann sono tornati a fare i capireparto part time, tre giorni alla settimana, nel settore ricerca. Non è filantropia, è che gli over sixty sono indispensabili per i global players del made in Germany, nello scontro della mondializzazione con i giganti di altri paesi. Le ricadute sociali della svolta non sono però meno grandi o meno positive, solo perché la svolta viene, spinta dalla caccia al profitto.

Andrea Tarquini per la Repubblica

mercoledì 15 agosto 2012

Bonas feries augustales



Così ci augurerebbe un nostro concittadino di Forum Cornelii (l’attuale Imola), se potessimo tornare indietro nella storia in epoca romana. Probabilmente non molti sanno che il termine Ferragosto deriva dal latino Feriae Augusti: riposo di Agosto, dove Augusti era in onore dell'imperatore Ottaviano Augusto. Il Ferragosto nasce come celebrazione popolare dalle radici antichissime come la maggioranza delle nostre feste, anche religiose, e si svolgeva il 15 agosto per festeggiare la fine dei principali lavori agricoli. Per questa cerimonia in tutto l'impero si organizzavano corse di cavalli e animali da tiro, cavalli, asini e muli, che venivano dispensati dal lavoro e agghindati con fiori. Naturalmente si mangiava e beveva in compagnia. Nell'occasione, i lavoratori porgevano gli auguri ai loro padroni ottenendo una mancia in cambio. Questo uso si mantenne così tanto a Roma che in età rinascimentale fu reso obbligatorio anche da decreti pontifici. 

Per festeggiare degnamente il ferragosto bastano tre cose: del buon cibo, un luogo adeguato e soprattutto... la giusta compagnia. Partendo dal presupposto che il secondo e il terzo aspetto siano già stabiliti e soddisfacenti, parliamo un po’ del primo: il cibo. Se prendiamo il “padre” di tutti i manuali di cucina, l’ Artusi, consiglia “spiedini di prosciutto, fichi, melone e vino”. Cibi semplici, trasportabili, non impegnativi. A completamento del convivio, come ideale ringraziamento alla terra per i suoi frutti stagionali  e per una sorta di “cerniera” tra la tradizione e il presente, sarebbe desiderabile l’assaggio delle uve primaticce e dell’anguria in fette raffreddate. La maggioranza degli imolesi per ferragosto si sposta, molti al fiume e negli Appennini a cercare il fresco, altri al mare, comunque in compagnia e per i più la scelta più frequente è ancora oggi la grigliata di ferragosto. Spesso di carne e verdure, più raramente di pesce e formaggi, ma la fantasia in questi casi non manca. 

La grigliata è certamente la regina di questa giornata e attorno ad essa si sviluppano una serie impressionante di considerazioni sulla cottura, sul tipo e la qualità, sui tagli della carne, sulle esperienze passate, intrecciandosi con valutazioni e racconti che finiscono molto lontano dal tema originale virando verso una certa trivialità proporzionalmente all’aumento della quantità di vino bevuta. La grigliata è l’icona del ferragosto. Ricordo con nitidezza questa giornata sugli Appennini con i miei genitori e i loro amici, in un susseguirsi di scherzi e battute. Una felicità semplice e nostrana che terminava normalmente con gare di briscola, tresette o bocce.
Ma come organizzare una grigliata? Perché se la cosa può apparire molto semplice da realizzare, in realtà qualche attenzione occorre porla per avere un effetto finale ottimo. Di seguito fornisco qualche spunto al riguardo. Innanzi tutto il combustibile giusto per una buona riuscita è la carbonella (di qualità), mai usare il legno che essendo ricco di resina rischia di rovinare il sapore dei cibi. Inoltre per una buona cottura dei cibi fate attenzione che la carbonella sia sufficientemente ardente e coperta dalla cenere spenta. Per una grigliata che si rispetti occorre scegliere un tipo di carne con piccole venature di grasso: braciole di maiale, costine di agnello, filetti di manzo, oltre alle immancabili salcicce e spiedini di fantasia. 

Assolutamente da evitare la tentazione di rigirare continuamente la carne sulla griglia, tutto va cotto bene prima da un lato e poi dall'altro. Lo do per scontato, ma evidenzio come il sale si aggiunga sempre alla fine della cottura, perché favorendo l’estrazione dei liquidi tende ad asciugare precocemente i cibi in cottura, così come il grasso della carne invece va lasciato attaccato a quest’ultima per ottenere maggiore succulenza e gusto. Anche i condimenti si aggiungono al termine della cottura, usando olio, burro o altri grassi prima, si rischia di far bruciare il cibo in cottura o anche di farlo cuocere troppo rapidamente, indurendolo. Una certa differenza di qualità si ottiene se effettuate una marinatura leggera a base di aceto o limone il giorno prima oppure, se diventa troppo impegnativa la cosa, almeno qualche ora prima. Consiglio di usare in questo caso, per il trasporto, contenitori di plastica, ceramica, acciaio inox o vetro; mai in rame o alluminio.

La marinatura aiuta la carne o le verdure a divenire più morbide. Personalmente sono contrario ad aggiungere anche erbe aromatiche o spezie in genere sulla carne, ritengo che sia ottima e squisita già così. Per concludere cito le verdure più appropriate per le grigliate: zucchine, carote, melanzane, peperoni, pomodori. Dopo la cottura il massimo è gustarle al naturale, con un filo di olio extravergine di oliva e del sale. Per la frutta ho detto prima. L’ultima raccomandazione è quella di accompagnare il tutto con qualche bicchiere di buon vino, naturalmente “nero” come si usa in Romagna anche se con questo caldo un bel bianco freddo fa piacere. Altro non dico se non augurarvi “Bonas ferias augustales”. 

Pierangelo Raffini su Leggilanotizia.it

mercoledì 8 agosto 2012

La fabbrica del cibo

Prima gli elettrodomestici. Poi i megastore della buona cucina. Sempre collezionando successi, fino al più grande dei suoi negozi, quello appena aperto a Roma. Ma ha l'idea di mollare tra due anni. Per fare che cosa? Visto il successo, magari la politica... Il patron di Eataly Oscar Farinetti si racconta.

Oscar Farinetti è un uomo sfrontatamente contento della vita. Lo ascolti mentre ti mostra con occhi ridenti la sua ultima realizzazione, lo smisurato luna park romano di cibi buoni e sani, e ti convinci che l'ha fatto per te. Mica per soldi, per business, per fare impresa, ma per addolcire la vita a quelli come te. Che forse ancora non sanno che mangiare bene è un piacere del corpo che affina lo spirito, alimenta la cultura e salverà l'economia.

I tentativi di sottrarsi all'entusiasmo contagioso di questo signore piemontese, che in pochi anni è diventato l'emblema della qualità alimentare italiana nel mondo, vacillano di fronte alla mozzarella campana impastata a vista, alla produzione diretta della birra, alla frutta saporosa, al pesce mediterraneo quasi vivo, ai 23 ristorantini tematici.
Ma crollano del tutto quando si entra direttamente nella favola, con la gianduia tiepida che scende senza interruzione da un rubinetto dorato. "La fabbrica del cioccolato" di Dahl è ora una realtà, qui a Roma, nell'ex Terminal Ostiense di Italia '90.

Farinetti, lei in questi giorni è al culmine del successo. Come sta vivendo il suo momento?
"Scoppio di orgoglio, non si vede? Cerco di non montarmi la testa, ma godo da morire. Il successo è un piacere che va provato in vita. Tra Leopardi e Alessandro Dumas padre, che vendeva la sua firma a 100 mila franchi, viva Dumas".

Eppure lei si definisce con parole modeste: droghiere, mercante.
"Se insinua che faccio il furbo, ha fatto centro. La furbizia ci vuole ma va abbinata a qualche concetto opposto, in questo caso l'onestà. Uno dei principi più forti di Eataly è quello di essere furbi ma onesti. Un altro è quello di essere informali ma autorevoli. Solo così si diventa speciali. Se vuole, mi faccio altri complimenti".

Le piacciono molto i complimenti?
"Ne vado matto, e adoro anche farli agli altri. Certi giorni esco di casa e a tutti quelli che incontro dico: "Come sei ringiovanito, come sei dimagrito!". Faccio felice la gente con poco".

Nei suoi megastore invece ha deciso di farci felici prendendoci per la gola.
"Sì, ma è una gola creativa, innovativa. Mi permetta di essere serio e mi creda sulla parola. In questa impresa io ci ho messo altruismo, onestà, passione. Credo alla supremazia dell'altruismo sull'egoismo, come una volta si credeva alla supremazia culturale della sinistra. Oggi questo è il mio modo di far politica".

Ha conosciuto altri modi in altri tempi?
"Guardi questa tessera che tengo in tasca come una reliquia. Era di mio padre, c'è la foto di Nenni e la mia firma come segretario della sezione di Alba del partito socialista. Era il 1981 e avevo 27 anni, poi il Psi di Craxi mi deluse irreversibilmente e da allora vivo l'impresa come un missionarato".

Non sta esagerando, Farinetti? Così sovverte due secoli di capitalismo.
"Può darsi, ma oggi quella dell'imprenditore è una missione. Deve dare lavoro e farlo in modo equo. Io ho un programma in tre punti: la quindicesima a tutti, e finora ci sono sempre riuscito; nessun salario inferiore ai mille euro, e ci sto quasi riuscendo; lo stipendio più alto che non deve superare più di cinque volte il più basso. E poi lezioni per bambini e pensionati. Agli anziani insegniamo a cucinare piatti ricchi con ingredienti poveri. Così la sardina diventa un branzino".

Insomma un Adriano Olivetti aggiornato al Duemila.
"Tengo un suo ritratto nelle sedi Eataly".

Come mai per la sua missione ha scelto il cibo di qualità o il vino senza solfiti e non altre merci?
"Perché questo è il momento del buon cibo ed io ho forse il merito di averlo capito per primo, ispirato anche dal lavoro di Carlo Petrini, amico mio da sempre, e dal suo geniale slow food".

Non sente un piccolo stridore a offrire tutta questa opulenza in tempo di crisi?
"Al contrario. Io dimostro che si può comprare una mozzarella sublime allo stesso prezzo di una pessima. E così forse contribuisco a uscire dalla crisi".

Come?
"Indicando un modello di sviluppo diverso, che ci salvi o ci faccia riprendere dall'imminente collasso della civiltà dei consumi. Noi italiani potremo farcela solo attraverso la nostra creatività, come è già avvenuto nel Rinascimento. Allora c'era l'arte, oggi ci sono l'agro-alimentare, il design, la moda, la cultura, l'industria manifatturiera di precisione. E allora via con le esportazioni delle nostre eccellenze, magari legandole a un logo che ultimamente siamo tornati ad amare: la bandiera italiana. Sarebbe una forma eccezionale di pubblicità".

Altra arte in cui lei si diverte a innovare. Semina dubbi sul suo stesso lavoro, fa autocritica...
"Sì, ho deciso di farla finita con il modello Mosè, il primo che ha lanciato un messaggio promozionale. È andato sul monte più alto e ha detto: se seguite questi dieci precetti vi prometto il paradiso. Da allora tutti hanno creduto che bisognasse far promesse".

Invece?
"Io ho rivoltato la frittata. Per esempio, fra pochi giorni usciremo con una pagina pubblicitaria con lo slogan "Non siamo ancora soddisfatti" e racconteremo tutti i nostri errori. C'è del vero ma è anche una furbata: se chiedi scusa in anticipo, nessuno ha più il coraggio di criticarti. Mase fosse per me farei pubblicità anche più azzardate".

Chi glielo impedisce?
"I miei figli. Mi censurano un sacco di idee".

Ne racconti qualcuna.
"L'ultima è quella del lievito madre. Ho proposto di ribattezzarlo "lievito padre" spiegando che è maschio, è ciò che entra, è lo sperma. Mi hanno detto che non si può. Qualche tempo fa mi hanno anche vietato di mandare a Berlusconi un dissuasore sessuale e di raccontarlo pubblicamente. Lei sa cos'è?".

Francamente no.
"È uno strumento che sostituisce i concimi chimici. I dissuasori attirano i parassiti maschi che, scambiandoli per delle femmine, fanno autoerotismo illudendosi di far l'amore. Un modo geniale di bloccare la riproduzione senza far del male a nessuno. La lettera di accompagnamento per Berlusconi diceva: "Usi questo, presidente, così avrà tempo per dedicarsi al Paese". Niente da fare, me lo hanno bocciato".

Ha dei figli moralisti?
"Ho dei figli geniali. Il più grande, che somiglia molto a mio padre, mi mette addirittura la stessa soggezione che provavo per lui, grande comandante partigiano della brigata Matteotti, poi a lungo presidente dell'Anpi, ma sempre un po' distante. Troppo mitico come padre".

Come ha vissuto da ragazzo la diceria che indicava in suo padre uno di quelli che si era appropriato di un leggendario tesoro affidato ai partigiani?
"Come una leggenda, appunto. E come la rivalsa degli invidiosi. Si figuri che, quando a 24 anni ho cominciato a lavorare nel suo supermercato, mio padre spesso non aveva neanche i soldi per pagarmi lo stipendio. Si andava avanti grazie alle 600 mila lire mensili di mia moglie, che per fortuna aveva vinto un concorso in banca".

A proposito di sua moglie, lei è sposato da più di trent'anni. Qual è il trucco per far durare così tanto un matrimonio?
"Non dimenticare mai il passato e non cedere alle tentazioni dei cinquant'anni. Non è difficile. Mia moglie mi è stata sempre accanto e oggi lavora con me. Abbiamo fatto tre figli maschi che non consideriamo una proprietà, ma un contributo dell'amore alla società. Ci siamo sempre sentiti in due".

Un capitolo di un suo libro si intitola "Meno Chiesa più Gesù". È il suo modo di essere religioso?
"È il mio modo di detestare il potere della Chiesa che si perpetua attraverso l'uso del mistero per impedire alla gente di pensare. Immagini che effetto le farebbe se alle domande che lei mi sta facendo, io rispondessi ogni volta: "Eh... mistero!". Troppo facile. Gesù invece è stato il più grande genio dell'umanità. Se tornasse oggi, scaccerebbe tutti i mercanti da tutti i templi, compresi quelli della finanza e delle banche che hanno snaturato l'economia".

È per questo che, nonostante i suoi successi, ancora non si quota in Borsa?
"La Borsa, che era una cosa seria e valutava le aziende secondo la verità delle loro performances, è diventata una scommessa, peraltro truccata, perché aziende che vanno bene scendono, altre che vanno male salgono. Finché è così, non mi avrà".

Un'ultima domanda, Facchinetti. Lei ha mai conosciuto l'ozio?
"Ma certo! Sono un pigro incorreggibile. Vivo con il rimorso perenne di non essermi svegliato un'ora prima, anche se poi le cose le faccio lo stesso. A proposito, non le ho ancora detto che io vado a cicli e cambio mestiere ogni otto-dieci anni. L'ho fatto con Unieuro e lo farò con Eataly. A fine 2014 passerò il testimone ai figli".

Per fare che cosa?
"So che mi metto nei guai ma glielo sussurro: forse la politica. Però per cortesia scriva che non voglio andare a scaldare qualche poltrona a Roma. Voglio fare la politica vera, nel territorio, quella che può cambiare davvero le cose. E prometto che farò solo due mandati. Tanto dopo dieci anni cambierei di nuovo".

Stefania Rossini - L'Espresso

martedì 7 agosto 2012

Ricordi


Nei ricordi di ogni uomo ci sono certe cose che egli non svela a tutti, ma forse soltanto agli amici. Ce ne sono altre che non svelerà neppure agli amici, ma forse solo a sé stesso, e comunque in gran segreto. Ma ve ne sono infine, di quelle che l'uomo ha paura di svelare perfino a sé stesso, e ogni uomo perbene accumula parecchie cose del genere.

Fëdor DostoevskijMemorie dal sottosuolo, 1864