giovedì 30 settembre 2010

Non basta guardare

Non basta guardare, occorre guardare con occhi che vogliono vedere, che credono in quello che vedono.

G.Galilei

mercoledì 29 settembre 2010

Dal Libro dei Proverbi: 21

Il cuore del re è un canale d'acqua in mano al Signore: lo dirige dovunque egli vuole.
Agli occhi dell'uomo tutte le sue vie sono rette, ma chi pesa i cuori è il Signore.
Praticare la giustizia e l'equità per il Signore vale più di un sacrificio.
Occhi alteri e cuore superbo, lucerna degli empi, è il peccato.
I piani dell'uomo diligente si risolvono in profitto, ma chi è precipitoso va verso l'indigenza.
Accumular tesori a forza di menzogne è vanità effimera di chi cerca la morte.
La violenza degli empi li travolge, perché rifiutano di praticare la giustizia.
La via dell'uomo criminale è tortuosa, ma l'innocente è retto nel suo agire.
E' meglio abitare su un angolo del tetto che avere una moglie litigiosa e casa in comune.
L'anima del malvagio desidera far il male e ai suoi occhi il prossimo non trova pietà.
Quando il beffardo vien punito, l'inesperto diventa saggio e quando il saggio viene istruito, accresce il sapere.
Il Giusto osserva la casa dell'empio e precipita gli empi nella sventura.
Chi chiude l'orecchio al grido del povero invocherà a sua volta e non otterrà risposta.
Un regalo fatto in segreto calma la collera, un dono di sotto mano placa il furore violento.
E' una gioia per il giusto che sia fatta giustizia, mentre è un terrore per i malfattori.
L'uomo che si scosta dalla via della saggezza, riposerà nell'assemblea delle ombre dei morti.
Diventerà indigente chi ama i piaceri e chi ama vino e profumi non arricchirà.
Il malvagio serve da riscatto per il giusto e il perfido per gli uomini retti.
Meglio abitare in un deserto che con una moglie litigiosa e irritabile.
Tesori preziosi e profumi sono nella dimora del saggio, ma lo stolto dilapida tutto.
Chi segue la giustizia e la misericordia troverà vita e gloria.
Il saggio assale una città di guerrieri e abbatte la fortezza in cui essa confidava.
Chi custodisce la bocca e la lingua preserva se stesso dai dispiaceri.
Il superbo arrogante si chiama beffardo, egli agisce nell'eccesso dell'insolenza.
I desideri del pigro lo portano alla morte, perché le sue mani rifiutano di lavorare.
Tutta la vita l'empio indulge alla cupidigia, mentre il giusto dona senza risparmiare.
Il sacrificio degli empi è un abominio, tanto più se offerto con cattiva intenzione.
Il falso testimone perirà, ma l'uomo che ascolta potrà parlare sempre.
L'empio assume un'aria sfrontata, l'uomo retto controlla la propria condotta.
Non c'è sapienza, non c'è prudenza, non c'è consiglio di fronte al Signore.
Il cavallo è pronto per il giorno della battaglia, ma al Signore appartiene la vittoria.

Anche la felicità ha un prezzo

«La vera felicità è la pace con se stessi. E, per averla, non bisogna tradire la propria natura», pensa Mario Monicelli. «Volete essere felici per un istante? Vendicatevi. Volete essere felici per sempre? Perdonate», è l'idea di Jean-Baptiste Henri Lacordaire. «Il segreto per essere infelici è avere il tempo di chiedersi continuamente se si è felici o no» ha detto George Bernard Shaw.

Dalla nascita dell'uomo a oggi, uno stuolo di pensatori, filosofi, registi, teologi, scrittori si sono spaccati la testa per riuscire a cogliere la felicità, comprenderla, riprodurla e racchiuderla in un concetto. La morale, visto il numero incredibile di aforismi e citazioni, è che la felicità è soggettiva, indefinibile, imbrigliabile dalle parole. Però la si può domare con i numeri. 

Almeno stando allo studio del Financial Times, il maggiore quotidiano finanziario in Europa, che ha voluto cimentarsi in uno studio non semplice: quantificare - in soldoni - il valore degli eventi che accadono nella vita di ognuno. Episodi felici come un matrimonio sereno, ed eventi complicati, tipo una separazione. Per evitare un'inutile suspense diciamo, fin d'ora, che il quotidiano conferma la massima «un amico vale un tesoro», più precisamente 274.500 euro. La più grande ricchezza dopo la salute che rende tutti coloro che la possiedono i Paperon de' Paperoni della Terra: buone condizioni mentali e fisiche valgono 1 milione e 551 mila euro.

Partendo dal presupposto che quelli del Financial Times - giornale abituato a misurare tutto con i numeri - non sono impazziti cambiando improvvisamente rotta e argomenti, ma hanno pensato a un calcolo del costo della felicità perché, in tempi di crisi, è sempre più attuale la «health-economics» (studi di economia che mettono in relazione la salute e il prezzo per mantenerla), la solidità dei risultati della ricerca è certa: a fare da supervisore Nick Powdthavee, economista comportamentale e studioso della felicità all'Università di York, un guru in Inghilterra. 

Il professore è stato messo a capo di un team di psicologi che ha calcolato l'impatto emotivo di particolari situazioni che accadono lungo una vita, il loro peso e il perdurare nell'emotività di ognuno. «La felicità è un bene monetizzabile - dice Mauro Porta neurologo all'Irccs, Istituto di ricerca Galezzi, a Milano - mente e cervello, corpo e psiche sono un tutt'uno. A un dolore psichico ne corrisponde uno fisico. Oggi, quantificare il danno biologico è diventata una prassi necessaria». Al di là delle cifre prodotte dallo studio inglese - decisamente indicative su ciò che conta nella vita, per dire, la pensione se ben vissuta assicura 136 mila euro - sono utili le analisi a corredo dei ricercatori che spiegano, ad esempio, perché i soldi «non fanno la felicità». 

Piuttosto, sostengono i ricercatori, possono comprarne di piccole. È vero invece che il denaro rende felice chi non ne ha per niente. Quelli che hanno raggiunto uno status che permette di soddisfare i bisogni primari, non ottengono molto di più da un portafoglio pieno. «Anzi - prosegue Porta - per loro l'infelicità è in agguato: la certezza di poter esaudire gran parte dei loro desideri non attiva più quei circuiti cerebrali che mettono in circolo le endorfine, oppiacei naturali prodotti dal cervello, che hanno la capacità di donare euforia e un pizzico di felicità».

Molto più importanti sono gli amici, le buone relazioni sociali che valgono più della riuscita di un matrimonio: 274 mila euro contro 239 mila scarsi: «Confermo - sostiene Raffaella Zanardi, psichiatra del centro disturbi dell'umore dell'Ospedale San Raffaele - gli amici sono una costante, ci rassicurano. La maggior parte dei pazienti associa al termine lealtà la parola amicizia più che amore». A renderci, se non proprio felici, più sereni, è la logica del mezzo gaudio: «Quella che - continua la psichiatra - ci fa sentire meno soli e sfortunati soprattutto davanti a un evento particolarmente duro come la perdita del lavoro».

In conclusione, dicono gli esperti, la legge che regola la nostra felicità è il rapporto esistente tra vita reale, quella che conduciamo, e vita ideale, quella che vorremmo. Tutto sta a immaginarla, mentre viviamo, con i piedi ben piantati per terra.

ELENA LISA

martedì 28 settembre 2010

Sognare

Essere umani significa sognare, sognare di migliorarsi nonché di essere gratificati e realizzati. Il fatto importante è che non esiste una correlazione tre il sognare e l'ambiente che ci circonda.
Perciò se qualcuno ti dice che una cosa non è possibile, falla comunque.

domenica 26 settembre 2010

Il "malaffare"

Il "malaffare" è forse radicato nell'animo umano ?

... La tesi di Carlo Alberto Brioschi - capo della saggistica di Rizzoli, che però pubblica i suoi libri da Longanesi - è che la corruzione e il malaffare in genere non siano fenomeni specifici di un popolo o di un' epoca, ma siano in qualche modo radicati nella storia, connaturati all' animo umano. Nell' Italia di oggi, però, si verifica una mutazione inedita e inquietante: la corruzione emerge alla luce del sole, come la «feccia che risale il pozzo» della metafora coniata da Indro Montanelli. Si rivendicano in pubblico le cose che prima si facevano di nascosto in privato. All' ipocrisia si sostituisce la sfrontatezza. La conseguenza è l' assuefazione di un' opinione pubblica che sembra non avere più neppure la forza di reagire, e il senso di impunità dei potenti (plasticamente rappresentato dall' esultanza con cui l' altro giorno alla Camera si è festeggiata la bocciatura della richiesta di utilizzare le intercettazioni dell' onorevole Nicola Cosentino, di cui la magistratura ha chiesto l' arresto per camorra)...

...il disincanto e l' indifferenza sono cresciuti nell' opinione pubblica. Il malaffare non desta più indignazione e rivolta morale... siamo avviati su una china irreversibile di corruzione e assuefazione, o invece siamo alla vigilia del crollo di quella che è stata chiamata Seconda Repubblica, e dei protagonisti ...

...Più o meno negli stessi anni l' ateniese Demostene, esiliato proprio con l' accusa di appropriazione indebita e suicida dopo il ritorno in patria, coniava un motto che sembra adattarsi bene ai giorni nostri: «Invidiare chi si lascia corrompere, ridere se lo riconosce apertamente, assolvere chi è stato colto in flagranza di reato, odiare chi vorrebbe metterlo sotto accusa»...

Dalla terza pagina di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera

venerdì 24 settembre 2010

SIMBOLI Dal tricolore al sole padano quando la battaglia è sulle icone

Una scuola - uno spazio pubblico d e s t i n a t o a l l a f o r m a z i o n e aperta, libera, imparziale, dei più giovani - è stata riempita, fino alla saturazione, di una quantità smisurata di simboli di un partito: il Sole delle Alpi, che la Lega ha trovato nel deposito iconologico del Nord Italia, e che ha fatto proprio. È successo ad Adro, piccolo borgo del bresciano; e molto se ne è parlato, e quasi sempre in toni aspramente critici, come di un' occupazione partitica di uno spazio comune, come di un' intrusione potenzialmente totalitaria nella dimensione della fanciullezza, come di una negazione dell' universalità dell' appartenenza a favore di un localismo identitario regressivo. A quel simbolo ne è stato contrapposto - correttamente - un altro: il tricolore (accompagnato, semmai, dalla bandiera europea), che esprime un afflato ben più ampio, una comunità ben più ariosa. La polemica intorno ai simboli non è nuova; anzi, di essa è costituita gran parte della storia politica. La dimensione della ragione, della parola, della convinzione - a cui in Occidente si dà tanto rilievo - non è che una parte della complessità di relazioni e di emozioni, che è veicolata dalla politica. Ben prima e ben più intensamente che con la parola, l' appartenenza e la conflittualità, l' identità e la comunità, la vita e la morte, hanno trovato espressione potentissima nei simboli. Sono, questi - oggetti, animali, piante, fiori, astri, parti del corpo - che hanno in sé la forza di rinviare a significati ulteriori, evidenti per chi (con l' immaginazione, non necessariamente con la ragione) sa decifrare il simbolo all' interno del sistema simbolico di cui esso fa parte. Il simbolo - l' infinita varietà dei simboli, la loro aggrovigliatae ambivalente pluralità - è il mondo come è visto, sentito, vissuto in via pre-logica, dal soggetto, che sopperisce la propria naturale manchevolezza animale costruendo un universo culturale che gli consente di adattarsi al mondo. Il simbolo non è una spiegazione del mondo, ma è la capacità di cogliere emozionalmente, in un oggetto, i molteplici piani del cosmo e i diversi livelli della coscienza. Tutte le culture producono universi simbolici particolari; ma esistono anche - lo ha insegnato Jung - funzioni simboliche universalie archetipiche che strutturano la psiche dell' umanità in generale, e anche di ogni uomo; che viene inserito, fin dal suo concepimento, in un sistema di relazioni con se stesso e col mondo, che lo accompagnerà tutta la vita, trasformandosi continuamente. Nulla di strano, dunque, se i segni, gli emblemi, le forme, le figurazioni, attraverso cui passa la politica, per quanto convenzionali, cioè nati storicamente per decisione umana, non sfuggono alla potenza evocatrice del simbolo, e anzi traggono di lì molta della loro forza di attrazione e di suggestione. I simboli governano i grandi scontri di civiltà che hanno fatto la storia occidentale: ad Azio Ottaviano e Cleopatra si sono confrontati anche attraverso l' aquila romana, simbolo solare, e Anubi, il dio canino egiziano, simbolo della morte. La croce sulle bandiere dell' impero cristianizzato è uno dei simboli più complessi e potenti: rinvia al Centro che struttura lo spazio mettendo in collegamento l' alto e il basso, il cielo e la terra. E il drago, che spesso era effigiato sui vessilli pagani, simboleggia a sua volta una potenza non umana, di potenza nemica da sconfiggere per ottenere la salvezza (ma in altri universi simbolici il drago ha significati positivi). Lo stesso Stato moderno - macchina razionale costruita dall' uomo a scopi umani - nasce, con Thomas Hobbes, sotto il simbolo inquietante del Leviatano, mostro marino capace di inghiottire il sole. E anche la svastica non era originariamente che il simbolo, diffusissimo in ogni tempo e in ogni luogo, dell' asse del mondo, o del sole, attorno alla cui energia ruota, in cerchio o a spirale, l' universo. Per non parlare della grande quantità di alberi (ricordiamo, in Italia, la quercia), che sono stati assunti a emblema dalle forze politiche, e che simboleggiano la vita, la sua espansione, la sua capacità di mettere in comunicazione il sottosuolo, la terra e il cielo. Ambigui, sfuggenti e allusivi, i simboli servono sanno anche istituire modalità di riconoscimento collettivo, danno stabilità agli ordini politici, attraverso la lealtà emotiva che sanno generare nei cittadini. Centri di forze psichiche individuali e collettive, i simboli si prestano tanto a essere utilizzati in chiave ipnotica e pubblicitaria, bassamente propagandistica, quantoa risvegliare nei singoli le emozioni e le pulsioni attive senza le quali la politica perde gran parte del suo significato e della sua potenza. La politica, quindi, esigei simboli, come le parole della ragione. Tanto negli uni quanto nelle altre si esprime - per vie divergenti, e con mezzi forse opposti - la medesima tensione, delicatissima e costitutiva dell' umanità dell' uomo, tra il farsi del Sé e il farsi della Comunità, tra l' individuazione e l' identificazione, tra Parte e Tutto. Che ai nostri tempi la politica abbia ridotto la parola a slogan, e il simbolo a marchio, a brand, o a feticcio, ha certamente qualcosa a che fare con la sua incapacità di appassionare uomini e donne, di mobilitare emozioni, di promuovere il formarsi di individui liberi e coscienti.

CARLO GALLI

mercoledì 22 settembre 2010

COLTIVARE I VALORI UNIVERSALI PER AUMENTARE IL NOSTRO VALORE NELLA VITA - Siamo tutti società a responsabilità limitata

Il Centro Studi "Luigi Einaudi" ha organizzato questo evento il 22 settembre 2010 nell'ambito di un ampio programma di incontri.
Ispirandoci al nome che porta il Centro Studi, Luigi Einaudi, esimio Presidente del primo dopo guerra, scrittore e giornalista, vediamo forti analogie tra il periodo seguito alla fine della II° Guerra Mondiale e quello attuale. Due momenti di grande crisi per il mondo: nel primo caso a seguito di una guerra combattuta, oggi a causa di una guerra finanziaria. Certamente non paragonabile per le vittime, ma sicuramente vicine per gli enormi danni provocati. Sono sotto gli occhi di tutti gli effetti.
La differenza è oggi la drammatica mancanza di speranza, contrariamente ad allora, in un futuro migliore. II motivi certamente non mancano. Ad esempio i giovani oggi, per la prima volta, non hanno la certezza di migliorare le proprie condizioni di vita rispetto a quelle dei loro genitori. Tutto è cambiato, sono cambiate le regole del gioco nel mondo degli affari, ma sembra anche nella vita. Parole come Etica e Solidarietà appaiono prive di un autentico significato.
Le donne e gli uomini vivono oggi nell'incertezza, nel dubbio, nella paura. Questa crisi ha cambiato tutto. Occorre però reagire: è necessario cambiare e adattarsi. La paura del cambiamento è la paura più forte. Nessuno rischia volentieri nuovi insuccessi e si accontenta di quelli che ha già.
Pensiamo invece che occorra un pò di coraggio proprio in questo momento. Anzi la parola del millennio dovrebbe essere proprio: CORAGGIO !
Il coraggio dona speranza e le persone seguono il coraggio. Ognuno di noi può dare l'esempio e diventare a sua volta un esempio da seguire, se mette oraggio nelle proprie azioni.
Per questo motivo è stato Sebastiano Zanolli, perchè il messaggio che porta nelle sue parole è: SVEGLIAMOCI !

Poniamoci quindi degli Obiettivi con coraggio, assumiamoci le nostre responsabilità, siamo tutti società a responsabilità illimitata, e sicuramente tanti uno potranno nuovamente creare comunità coese in l'Etica possa venire prima del profitto. 
Rimbocchiamoci quindi le maniche e affrontiamo con coraggio il futuro.

martedì 21 settembre 2010

Noi e i nostri pensieri

La vera partita nella vita è sapere che noi non siamo i nostri pensieri. Quando, ad esempio, arriva un fallimento nel lavoro o negli affari, spesso non accettiamo che le cose siano andate in questo modo. Pensiamo che ciò che è accaduto non è il nostro vero destino, che dovevamo certamente vincere. Invece non dovremmo pensare a questo, ma accettare ciò che accade. Accettare e accettarsi quando si sbaglia, senza rimproveri, meditando si, ma senza punirsi, è il primo passo verso la propria autoguarigione e verso la gioia di vivere. E sia quel che sia. Accettare che le cose vadano come vanno aiuta a vivere più sereno. Non occorre accusarsi di tutte le cose che accadono perchè c'è una legge universale che guida il "tutto", e mentre lo fa compie una grande opera. Normalmente a ciascuno viene pagato quanto gli è stato promesso. Il Destino fa la sua strada e non aggiunge e non toglie nulla di quanto ha promesso.

Il fato guida che segue, trascina chi recalcitra. (Seneca)

domenica 19 settembre 2010

Lo sapevate ? La “ricciola” è made in Imola

Rimini, estate del 1953, la guerra è ancora un ricordo vicino. Dal forno Drei in Piazza Tripoli escono, di buon mattino, un signore e un bimbo. Scesi alcuni gradini sul lungomare, sono in spiaggia. Un po’ curvi sotto il peso delle cinghie a cui hanno appeso dei contenitori di legno. All’interno, oltre i “classici” bomboloni fritti ci sono le “ricciole”, quelle belle piadine intrecciate che in superficie hanno sale grosso e rosmarino. Una novità. Appena sfornate e proposte direttamente alla gente, che torna ad affollare i lidi romagnoli e ha voglia di dimenticare le privazioni e i dolori causati da un conflitto che ha segnato profondamente il Paese. Il venditore è il creatore di questa piada e si chiama Angelo Ricci, imolese, che “fa la stagione al mare”, accompagnato dal figlio di sette anni Ermes (per tutti a Imola noto come “Pasticcio”). Angelo iniziò la professione presso la pasticceria Flamini a Forlì subito dopo la guerra, trasferendosi nei mesi estivi al mare, in quel forno di Rimini che gli lasciava panificare i suoi prodotti. All’inizio degli anni ’50, dopo diverse prove, trovò la formula giusta per la “ricciola”: una piada semi sfogliata molto croccante. Purtroppo oggi non si trova più la “ricciola” con le sue caratteristiche originarie, come si riusciva a gustare ancora dieci, quindici anni fa. L’impasto, la consistenza, il sapore non sono più gli stessi. Sono cambiate molte cose, dalle tecniche di lavorazione ai tempi di lievitazione, fino ai prodotti utilizzati che di fatto controllano e unificano il risultato. Mi sono già espresso sull’omogeneizzazione dei prodotti presenti nella maggioranza dei bar e forni, con semi-lavorati congelati, industriali, che perdono fragranza, un po’ molli, senza sapori da ricordare. Anche la “ricciola” ha subito questo manipolazione: il sale grosso è proprio sparito, rimane il rosmarino un po’ triste, con quelle trecce morbide che si spezzettano in modo uniforme. Molti forse rammentano come, prendendo in mano “quella ricciola” e spezzandola seguendo le curve rigonfie, si frantumasse in sfoglie di vario spessore, da quelle più consistenti a quelle dal velo quasi trasparente. Una sfoglia che risultava piacevolmente profumata e ricca, una vera soddisfazione per il palato. In fondo il segreto della ricetta è semplice: pasta di pane più condita del normale da “sfogliare” come si usa con la pasta sfoglia, utilizzo di margarina o burro, trecce arrotolate a mano, nessuna ulteriore aggiunta se non lievito di birra, olio di oliva, rosmarino e sale grosso, seguendo dal vivo la lievitazione.

Il papà di Ermes decise poi di aprire un’attività a Imola a metà degli anni ’50, diventando il primo gestore del bar Giardini sfornando dolci e salati solo per il proprio esercizio (il Geometra Gaddoni aveva da poco costruito il locale, oggi tornato alla famiglia anche nella gestione con Giovanni Corrado che l’ha riportato a nuova vita). Nel 1958 venne attrezzata la sala sottostante, dove sono ancora visibili i resti di una ghiacciaia di epoca romana, per ingrandire il laboratorio essendosi creata una certa richiesta di prodotto anche da altri esercizi. Il “piccolo” Ermes cresce seguendo il padre nell’attività e col tempo ne rileva la maestria e porta avanti la tradizione, anche se ha ammesso che la sua passione è sempre stata la fotografia. Appena si presentò l’opportunità, inizio a tenere chiuso il laboratorio la domenica per poter fare i servizi fotografici per il Guerin Sportivo. Da alcuni anni ha coronato il sogno aprendo, con la moglie Aurea, un negozio vicino al teatro e ha trovato soddisfazione nelle varie mostre che ha tenuto in giro per l’Europa, l’ultima poco tempo fa a Barcellona. Nella sua carriera “Pasticcio” è stato a suo modo un diffusore dell’arte, collaborando ad esempio all’apertura di attività oggi molto avviate, come la pasticceria Berti a Toscanella, oppure formando nel suo laboratorio un certo Valentino Marcatilii, lo Chef dello stellato San Domenico, anche lui un fan della “ricciola”. E’ incredibile che in tutti questi anni nessuno abbia mai pensato di valorizzare questa eccellenza del territorio. Rimane solo il ricordo dell’originale, a qualcuno.

Scritto e proprietà di Pierangelo Raffini

venerdì 17 settembre 2010

Depressione

La depressione è spesso causata dal voler soffocare emozioni o stati d'animo negativi. Normalmente rabbia o dolore. La via per tornare all'ottimismo non è negare a se stessi questa situazione, al contrario accettarli ed esprimerli sono i primi passi per tornare ad un sano ottimismo. Come scrisse un saggio molto tempo fa : "a volte la via d'uscita passa attraverso" oppure come ha detto Clara Booth Luce: "Nella vita non ci sono situazioni disperate; ci sono soltanto uomini che hanno perso ogni speranza di risolverle".

mercoledì 15 settembre 2010

I-LIFE LA NUOVA VITA DIGITALE DEL NARCISISMO DI MASSA

Dal tessuto collettivo al tessuto connettivo. È la rivoluzione copernicana dell' i-life, l' ultima frontiera della codificazione digitale della vita. Che si allontana dalla rigidità tolemaica dell' informatica tradizionale, con la macchina al centro di tutto, per sconfinare nell' egocentrismo fluido della i-generation. I-pod, i-phone, i-pad, i prodotti con la i, suonano come la prima persona singolare dell' individualismo di massa contemporaneo. Molto più che semplici strumenti del comunicare, questi oggetti sono delle estensioni del soggetto, delle appendici inseparabili dell' io. Più che cose, meno che persone, occupano lo spazio vuoto che separa e unisce l' organico e l' inorganico. Icone di una metamorfosi. Proprio come gli ibridi della mitologia, chimere, sirene, centauri, che rappresentavano in una sola figura il più che animale e il meno che umano, ovvero la dualità misteriosa che lega e distingue un regno dall' altro. Enigmi multifunzione, personificazioni di mille virtualità interdette agli umani. La loro natura plurale ne faceva dei multiprocessori in carne ed ossa, in grado di esplorare dimensioni sconosciute, capaci di performance cognitive fuori dell' ordinario. Per esempio intravedere contemporaneamente passato e futuro come dei multitasking, far comunicare mondi lontani proprio incarnandoli nel loro corpo binario. Interfaccia animati, connessioni viventi, nessi in carne ed ossa. È singolare che il centauro più doppio e astuto si chiami proprio Nesso. E che la radice di questo nome abbia a che fare con il filo, il legame ovvero con la rete. Che i-pod sei? È il sapiente slogan della mela smozzicata di Cupertino che la dice lunga sullo statuto del non-lettore più venduto di sempre. Più che oggetti, quelli con la i sono delle non-persone, ma tanto attaccati a noi da diventare gli attributi indispensabili dell' identità, qualità secondarie e non semplici proprietà. In questo senso gli i-life sono i pronomi personali dell' io virtuale, i nuovi indicativi dell' umanità digitale. Nonché gli emblemi di quella naturalizzazione del sociale operata dalla tecnologia che prende a modello la natura e riscrive la mappa dei sensi. Ricominciando dal tatto. O meglio dal touch che rappresenta l' apoteosi della tattilità ormai in grado di annettersi vista e udito e diventare il senso intelligente per antonomasia. Niente a che fare con l' arcaismo binario dei tasti, con la meccanica invadente dei cursori. Ben al di là dell' on e dell' off, ci troviamo gettati in quell' ultima Thule della mitologia virtuale dove la tecnologia assume le sembianze incantatorie della magia. Quando una cosa supera le capacità di capirne fino in fondo le potenzialità finisce per sembrare magica. Lo diceva James George Frazer, il padre dell' antropologia. E lo ripetono i vertici della Apple per illustrare la fascinazione dell' I-pad. Che sta anche nel misterioso scarto tra l' esiguità inconsutile dell' oggetto e la sua incredibile potenza. Un tutto virtuale in un nulla materiale. Che basta sfiorare, come la lampada di Aladino, per avere a nostra disposizione funzioni da mille e una notte. E a pensarci bene nell' idea stessa del touch screen c' è qualcosa della sfera di cristallo che apre infinite finestre sul mondo dalle quali è possibile guardare nel passato come vivere nel futuro. Ma queste tavolette senza spessore, che ci fanno surfeggiare leggeri sulle onde del web, trasparenze pure come i cieli danteschi, sono anche la tabula rasa del nostro tempo. Ovvero il luogo simbolo della virtualità infinita dell' immaginazione, dove tutto può apparire e dove tutto può venire a noi. Come gli eidola del mondo antico, parvenze create dalla fantasia degli uomini che prendevano corpo per magia, come avatar soprannaturali. Con gli i-life la tecnologia ha materializzato gli eidola mentre smaterializza se stessa. Moltiplica le immagini mentre miniaturizza il supporto. E così il tablet finisce per richiamare molto da vicino l' idea aristotelica della mente umana, come tavoletta di cera bianca modellata e rimodellata dalle impressioni ricevute dai sensi. E sempre pronta a riempirsi di segni e di immagini. È anche questa la ragione del successo improvviso dell' e-book arrivato quasi a sorpresa dopo essere stato tante volte atteso e annunciato, come Godot. Il fatto è che c' era il messaggio ma non c' era ancora il giusto mezzo, la tabula rasa appunto, dove far esistere quella virtualità muta. Il multitouch celebra insomma l' avvento della svolta tattile, già annunciata da McLuhan, che fa dei sensi i drive dell' intelligenza e del tatto il supersenso. Molto vicino a quello che un drago della logica come san Tommaso chiama "sensorio comune", ovvero quello che sincronizza tutti gli altri sensi e li mette in riga. Ma li mette anche a sistema, li ingegnerizza proprio come le diverse funzioni che comandano gli i-life. Nonè un caso che il tatto come dicono molti scienziati cognitivi sia il senso del presente, quello che ha l' immediatezza del pensiero nei polpastrelli, sensori che accendono simultaneamente sensazioni, rappresentazioni, visioni, passioni, emozioni. Come succede ai bambini che hanno col mondo una relazione in presa diretta, di evidenza palmare. È esattamente quel che accade nell' i-life che fa dell' evidenza palmare una logica, un' etica e un' estetica all' insegna dell' augmented reality. Dove l' universo intero sembra ruotare intorno all' i, ovvero a un io infinitamente espanso dai suoi recettori elettronici e proiettato in una gravitazione liquida senza un centro di gravità permanente. In un cosmorama di applicazioni che lanciamo come sonde nell' infinità potenziale della rete. Per navigare nel mare della vita con cento occhi tecnologici che diventano bussola e sestante, mappa e cartografia del presente mutante. C' è un app per tutto e per tutti. Da come controllare l' appetito a come smettere di fumare, dal contapassi al contacalorie, dall' arte del bouquet ai segreti per usare il vecchio coltellino svizzero senza affettarsi le dita, dalle istruzioni per vivere bene la gravidanza, alle lezioni di piano, dalla meditazione trascendentale alle lingue straniere, dall' automassaggio alla cucina tamil. Dall' osservazione delle stelle alla preparazione degli esami, fino alla giusta intonazione di un mantra. Senza dire della musica tradizionale per curare i tarantolati, che adesso tutti possono scaricare da iTunes. Da duecentoa duecentomila in tre anni, la crescita esponenziale delle applicazioni, una vera corsa all' oro per gli sviluppatori, riflette il bisogno di controllare un mondo troppo complesso. È l' antica doxa popolare in digitale. Una forma di autoeducazione permanente, una pedagogia on demand per bambini adulti e adulti bambini. Continuamente alle prese con una babelica enciclopedia dei perché. Ciascuno sempre connesso con il suo tutor virtuale e sconnesso dagli altri. Per imparare a stare da soli al mondo, o meglio per essere sempre il centro del proprio i-mondo. E così la rete diventa il vero tessuto connettivo di una socialità in frammenti. E l' informatica sfiora il dispositivo biopolitico diventando estensione pensante. Mentre il vecchio cogito lascia il posto al digito ergo sum. 

Marino Niola - La Repubblica - CULTURA

martedì 14 settembre 2010

Non stancarsi mai

Nella vita mi sono convinto che è basilare non stancarsi mai di apprendere. Imparare da tutti: dai clienti, dai fornitori, dalla concorrenza, dagli amici, dalle testimonianze che puoi leggere o vedere, e dall'esperienza che cresce, e fa crescere, giorno dopo giorno. Ho capito che si impara facendo, si impara da ciò che funziona, ma molto anche da ciò che non funziona. 

Lessi tempo fa che Pascal disse "E' molto più bello sapere qualcosa di tutto, che tutto di una cosa". Ho fatto mio questo aforisma, perchè mi rappresenta totalmente. Fin da ragazzo è stata passione di apprendere tutto quel che si poteva. 
Sono convinto che aiuti anche l'educazione, che è un processo continuo e richiede la capacità di comunicare apprezzamento, conoscenza ed esperienza riguardo un determinato argomento.

giovedì 9 settembre 2010

E’ un tempo di vino


Tempo di vendemmia, tempo di vino, che rimane protagonista delle tavole e degli aperitivi in Italia, ma non solo. Prepariamoci alle nuove recensioni, alle nuove guide, alle etichette emergenti, alle degustazioni, senza mai perdere d’occhio il portafoglio. Soprattutto di questi tempi.
Ma non sempre è per forza l’annata o il prestigio del nome che ci devono far propendere per la scelta e conseguentemente la sua bontà, piuttosto un vino dovrebbe piacere per la sua capacità di emozionare, stupire, evocare pensieri, sensazioni, suscitare un ricordo. Non per nulla ci sono anche vini cosi detti “da meditazione”.

Parimenti non siamo tutti esperti enologi o fini sommeliers e non dobbiamo vergognarcene, se riteniamo di avere gusto e sensi un poco affinati siamo certamente in grado di capire se un vino è di nostro gradimento e ci trasmette qualche cosa o meno. Così come al ristorante non dobbiamo temere di fare brutte figure quando ci portano la bottiglia al tavolo e ce lo fanno assaggiare: se sa di tappo lo si dice, così come se non ci sembra a temperatura, tanto per fare qualche esempio. A proposito di ristorante, segnalo che cambiano le abitudini anche nel bere e avanzano, giustamente, nuove usanze – all’estero più normali - come quella di portare via la bottiglia se ancora mezza piena, oppure di ordinare vino solo a bicchiere. Piccole attenzioni da “customer care” (leggi attenzione al Cliente), nei ristoranti più attenti. All'uscita ti viene consegnato un sacchetto cartonato con un bel sorriso.

L’altra buona pratica che si sta diffondendo sempre di più è quella di servire il “vino al bicchiere” senza l'obbligo di acquistare l'intera bottiglia. Alternativa molto valida quando si va al ristorante da soli, oppure se si ha voglia di abbinare il giusto vino ad ogni piatto o ancora, più semplicemente, se si intende pasteggiare con un solo buon bicchiere. Evidentemente la scelta dei vini proposti non può essere vasta quanto quella dei vini presentati in bottiglia, ma noto che molti ristoratori offrono comunque una scelta di una certa qualità.
Il vino rimane il miglior accompagnamento di un buon piatto per gli italiani e rappresenta una vera e propria passione anche in casa e con gli amici. Un piacere personale che conquista.  Oggi sempre più persone, molte donne, si informano, partecipano a degustazioni, leggono e amano il vino. Rosso naturalente. Il rosso infatti si conferma il “re” incontrastato, anche se i bianchi avanzano. Un popolo in continua crescita ed evoluzione, quella dei Wine Lover, ovvero dei super appassionati che tutti i giorni o quasi accompagnano i pasti con il vino, degustano, acquistano guide per tenersi aggiornati e che per una bottiglia “speciale” sembrano disposti a spendere. Ma possiamo coltivare questa passione in altro modo, sdoganando l’aura di lusso eccessivo che a volte pervadere l’ambiente. Basta (ri)scoprire tutti quei produttori che fanno vino “quotidiano” di ottima qualità, che racconta del nostro territorio e che, essendo a “KM 0” (intendendo del posto), costa pochi euro e permette di averlo tutti i giorni in tavola. E’ un modo semplice, piacevole e intelligente per ritrovare anche certe tradizioni quali la degustazione dei vini accompagnati da pancetta e piadina sulla graticola.

Pierangelo Raffini

mercoledì 8 settembre 2010

La fontana della gioia

La fontana della gioia deve sgorgare dalla mente; e colui che conosce così poco la natura umana da cercare di ottenere la felicità, cambiando qualsiasi cosa tranne il proprio atteggiamento, sprecherà la sua vita in sforzi infruttuosi e moltiplicherà il dolore che si proponeva di eliminare.

Samuel Jonson

lunedì 6 settembre 2010

La civiltà dell'empatia

di Jeremy Rifkin, Mondadori, Milano 2010



“Il processo di globalizzazione ha avuto effetti tanto vantaggiosi, quanto nefasti [...] Intanto il sistema nervoso della razza umana ha cominciato ad avviluppare la terra” 




Ci hanno detto che la vita è lotta. Votata alla competizione. Che vince il più forte, quello più capace di imporsi. “Homo homini lupus”, ci hanno detto che lo stato di natura era una guerra di tutti contro tutti, dove è fondamentale curare, tutelare e proteggere i propri confini. Dagli altri. Ci hanno detto che l’uomo è pura razionalità. Quanto c’è di vero? Gli altri sono davvero così pericolosi? Vale ancora il “cogito ergo sum”? O ci stiamo avvalendo di modelli ormai inattuali?
Studi scientifici biologici e neurocognitivi hanno dimostrato che l’uomo non nasce per natura cattivo. Anzi, nasce pronto a condividere, a sentire e ad immedesimarsi nello stato d’animo di altri uomini, a compartecipare con i propri simili. 
Proprio sulla scorta di queste recenti scoperte, l’economista e guru della green economy Jeremy Rifkin offre la sua ricostruzione storica e sociologica della società attraverso l’affermarsi dell’empatia nell’uomo, in movimenti non sempre fluidi, antitetici a quelli dell’entropia: “Pur colmo di ironia, lo sviluppo della coscienza empatica è stato reso possibile solo da un consumo sempre maggiore di energia e risorse naturali, che ha condotto a un drastico deterioramento della salute del pianeta”.
Nella civiltà dell’empatia ci sono inediti strumenti di condivisione e di interconnessione, che Rifkin ravvisa come la vera forza e il vero motore della Terza Rivoluzione Industriale, che porterà al superamento delle crisi.
La convergenza tra le nuove tecnologie e le energie rinnovabili ridiede proprio nella diffusione e della condivisione. Twitter, Facebook, Wikipedia e le diverse applicazioni di Internet in genere sono nate dal basso, con sistemi basati sulla diffusione, sulla condivisione, sulla partecipazione, sull’annullamento delle distanze. E allora perché non applicare questo modello anche alle fonti rinnovabili? Secondo l’autore ogni casa diventerà una piccola centrale produttrice di energia attraverso il sole, il vento, il calore, l’immondizia. Il surplus non consumato dalla singola abitazione verrà messo a disposizione e condiviso secondo il modello di sharing tanto caro a Internet. Anche in campo energetico avrà successo il modello della “politica della biosfera”, che al contrario della geopolitica “si fonda sull’idea che la terra è come un organismo vivente, fatto di relazioni interdipendenti, e che ciascuno di noi può sopravvivere solo mettendosi al servizio della più vasta comunità di cui fa parte”.
Un saggio lucido e interessante, che con stile divulgativo offre un’osservazione storico-psicologica e culturale della nostra società, con frequenti richiami alla vita sociale di tutti i giorni. Il vero pregio di questo libro (librone, sono 570 pagine) è di fare sentire protagonisti, chiamati in causa, volenti o nolenti nel salvare la terra: “a un certo punto ci renderemo conto che condividiamo lo stesso pianeta, che siamo tutti coinvolti e che le sofferenze dei nostri vicini, non sono diverse dalle nostre”. La domanda finale è questa: “possiamo raggiungere l’empatia globale in tempo utile per evitare il crollo della civiltà e salvare la terra?". Possiamo?


mercoledì 1 settembre 2010

10 utili riflessioni per la propria vita

  1. L'unica sicurezza che abbiamo in ogni momento della nostra vita, siamo noi stessi.
  2. Porsi nuove domande è la chiave principale per cambiare la propria vita.
  3. Per avere successo nella vita occorre credere veramente in ciò che si fa e il primo vero successo comincia quando si crede in se stessi.
  4. La felicità non deve mai dipendere da qualcosa che noi non possiamo controllare.
  5. Non esistono fallimenti, ma solo risultati: positivi o negativi.
  6. Nulla accade per caso, tutto ha uno scopo e un significato nella vita e possiamo servircene.
  7. Non esiste successo duraturo senza impegno.
  8. Sono artefice del mio destino attraverso le decisioni che prendo.
  9. Perseverare, perseverare, perseverare, se perseverate abbastanza riuscirete.
  10. Ognuno di noi è in grado di imparare tutto ciò di cui ha bisogno. Occorre volerlo e desiderarlo ardentemente.

L'uomo saggio

Riflessivo tra i riflessivi, ben desto tra coloro che dormono, l'uomo saggio procede al pari di un cavallo da corsa, staccando gli altri come fossero brocchi.

Buddha