Adesso lo sappiamo e quindi possiamo scriverlo: Internet non l' ha inventata Al Gore, ma Barack Obama. Nella sfortunata campagna elettorale del 2000 il democratico «sconfitto» si attribuì goffamente la scoperta della Rete. In quella trionfale appena conclusa il vincitore ne ha fatto un uso senza precedenti, scovandone ogni dote e potenziandola esponenzialmente. Titola il sito di «Wired», il giornale più attento alla rete e alle nuove teconologie: «Spinto da Internet, Obama conquista la presidenza». È davvero così? Oltre al primo Presidente nero e meticcio abbiamo il primo Presidente.com? È stata la teconologia l' arma vincente di questa formidabile ascesa? Risposta: sì, ma. Partiamo dal sì. E' vero. Barack Obama è stato un perfetto candidato.com. In questo tuttavia non inedito. Già la campagna elettorale del 2000 era sbarcata su Internet. E chi era stato il primo a muoversi con qualche agilità nel territorio virtuale? Pensa te: John Mc Cain. Il vecchietto (già allora), utilizzò la rete nella sua purtroppo perdente sfida a George W. Bush, uno che si è vantato dei bassi voti a scuola e che si faceva caricare la playlist sull' I Pod da un assistente (limitandosi a pretendere la presenza della becera «My Sharona»). Poi, nel 2004, la corsa delle primarie democratiche partì, anziché con un colpo dello starter, con un clic dal Vermont: la discesa in campo di Howard Dean, lanciato da un passa-e-mail, sorretto dal popolo del web e stroncato dal popolino dei caucus nell' Iowa. Né McCain né Dean, nonostante l' intuizione del mezzo, raggiunsero il fine. Perché? Perché nessuno dei due era Barack Obama. Non basta usare Internet per arrivare alla Casa Bianca, bisogna sapere che cosa farne e occorre essere la persona giusta nel «non-posto» giusto. Obama, a differenza dei predecessori lo è stato. Ha vinto, sul web, con il web e grazie al web in tre www.mosse. La prima: ha giocato a tutto campo. Ha sfruttato ogni potenzialità, moltiplicato qualsiasi fattore. Aprire un sito, inserire qualche link, uploadare un paio di video su You Tube è sufficiente (forse) per il lancio di un film. Per arrivare alla Casa Bianca occorreva un' occupazione gentile e capillare, una conquista dei cuori e delle menti con una strategia militare che puntasse alla «missione compiuta» nel breve termine di una stagione elettorale. Obama (e/o chi per lui) non ha trascurato nulla. Ha creato il suo sito, ti ha fatto creare il tuo «sotto-sito» (mybarackobama.com), ha invaso YouTube e Facebook, di cui ha perfino arruolato uno dei fondatori. In una catena tendente all' infinito e all' incredibile ogni sito ne generava un altro con diversa funzione. Obama (e/o) chi per lui ha capito la Rete. Ha guardato all' esperienza di Clinton e considerato quanto il pettegolezzo nato sul web possa essere micidiale se non spento subito. Ha creato un sito apposito per smentire ogni voce (Fightthesmears.com, l' anti Drudge report). Ha messo un esercito di ragazzi a navigare cercando ogni possibile formazione di mucillagine e fango sul percorso, per dissolverla prima che potesse diventare un ostacolo. Ha guardato i terminali del flusso originato dalla Rete e ha occupato anche quelli. Si è fatto costruire una «Obama applicazione» per l' I Phone, in grado di dare informazioni, indicare comizi e raggiungere in via preferenziale residenti negli «Stati in bilico». Ha inserito in ogni sito un sistema per deviare l' informazione direttamente a un cellulare via sms. Ha immediatamente utilizzato il twitter. Era sulla cresta di ogni onda appena superava la linea dell' orizzonte. Ma non sarebbe bastato senza... ...la seconda mossa: come un contemporaneo Bernardo di Chartres, Obama ha valutato le nuove tecnologie «nani sedute sulle spalle dei giganti». Ovvero: nuovi strumenti per fare vecchie cose. Ha capito che la modernità è una strada diversa per andare dalla stessa parte, un aggiornamento e non una rifondazione. Sul web non si va a giocare un campionato di fantapolitica, ma ad aumentare le possibilità di vincere un' elezione reale. Come? Facendo lì, oltre che e non invece che altrove, le stesse vecchie insostituibili cose: raccogliere fondi, diffondere parole d' ordine, controinformare. Ha affiancato alla macchina tradizionale che tirava su donazioni in un unico assegno milionario da Warren Buffett, una flotta di automobiline virtuali che hanno caricato 600 milioni di dollari da tre milioni di persone sparse e mai radunabili sotto lo stesso tetto (oltreché, dicono i detrattori, non rintracciabili). Ha creato una virtuosa filiera di e-mail e sms per portare chiunque si fosse dichiarato un sostenitore al voto il 4 novembre (e non anche il 5, spiegava il sito di controinformazione, smentendo una voce diffusa ad arte per limitare l' afflusso). Contribuisci, vota e fai votare: sono imperativi vecchi come la democrazia, la novità era il modo di esprimerli, la tempestività e l' ampiezza con cui venivano diffusi. In questi mesi la squadra di Obama ha preso il web e l' ha portato sulla terra, ha tagliato corto sulla sua propensione al giocoso e all' inconcludente e l' ha reso macchina da fatti e non da parole o immagini. Perché questo non riuscì a Mc Cain nel '99, a Gore nel 2000, a Dean nel 2004 e alla Clinton nel 2007? Per via della... . ..terza mossa, che una mossa non è. Semplicemente è la natura di Obama. McCain può essere un eroe, Gore un vice, Hillary una moglie con qualche diritto ereditario, ma solo Obama può essere un avatar. La sua figura appare disegnata, la sua biografia irreale, il suo procedere nella storia staccato dalle leggi della fisica e della logica. Non ha bisogno di essere giovanilista perché è giovane. Né di mostrarsi diverso, giacché lo è. Obama non appare come una figura della realtà che diviene fantasia, ma viceversa. È come quel nickname senza sembianze certificate con cui hai chattato per mesi e che ti ha fatto sognare, credere di essere, dietro il sipario, la persona giusta, ti ha spinto a sostenerlo, a faticare per incontrarlo, infine eccolo lì, corrispondente a quell' immagine eterea, costruita da milioni di pixel e viaggi generazionali nello spazio e nel tempo, eppure, va ammesso, autentica. Obama, e soltanto lui nel panorama politico non soltanto americano ma mondiale, è «web-compatibile». Lo è perché appare «web generato». Tanto Gore non era credibile quando affermava: «Ho creato Internet» quanto Obama lo sarebbe se dicesse: «Internet mi ha creato». Obama è un link tra questo presente e una nuova pagina. È il download di un' aspirazione collettiva che prima di lui concepiva la propria esistenza, ma non il proprio oggetto, un mero dominio in costruzione, da riempire di contenuti. È un motore di ricerca, che procede per parole chiave: «cambiamento», «speranza», «possibilità». Tutto questo, attenzione, come la sua già raggiunta dimensione di mito contemporaneo che siede alla destra del Che e alla sinistra di Jackie O, ne faceva un superlativo candidato. E un perfetto candidato.com. Ma dal 20 gennaio dovrà essere un presidente (se vorrà, un presidente.com). Starà a lui (e/o chi per lui) inventare un modo per far diventare Internet strumento di governo e non solo di lotta. E trasformare, anche grazie a questo, la più straordinaria delle campagne elettorali in un' amministrazione che esercita con metodi nuovi la vecchia e desueta arte del buongoverno.
GABRIELE ROMAGNOLI -
Repubblica — 06 novembre 2008