A fine anno voglio cristallizzare i miei pensieri, le mie riflessioni, le valutazioni che spesso faccio con mio Padre. Un tributo, seppur piccolo, che la vita non mi ha dato l’occasione di fargli di persona quando era ancora con me. Non ce ne fu il tempo, purtroppo…
Confesso di avere provato una grande emozione il giorno in cui ho ricevuto, in ottobre del 2105, l'incarico di Assessore allo Sviluppo Economico del Comune di Imola. Avrei voluto fosse lì con me... spero che mi abbia visto...
Quando ripenso a lui lo associo sempre a questa frase: “Una vita per il Partito”; si è sempre impegnato fin da giovane, con convinzione, per il Partito Socialista Italiano, era uno che partecipava, che credeva in ciò che faceva. E ne era orgoglioso. In casa mia si “respirava” l’aria del Socialismo, anche mia madre lo era, ma è sempre stata più tiepida, meno coinvolta, anzi a volte si chiedeva se amasse più Lei o il Partito…
Ma anche un uomo che ha dedicato tanto lavoro per il Comune di Imola, per decenni all'Ufficio Anagrafe dove andavo a trovarlo da bambino, poi all'ufficio Scuola e poi a quello dello Sport e tanto impegno anche alla Camera del Lavoro come sindacalista.
Mio Padre. Alfiero Raffini, detto Pompeo o “e mòr ed Castelderì” (il moro di Castel del Rio, comune del Circondario imolese), soprannomi che in Romagna sono normali, come mia nonna Domenica, chiamata Gianina.
Mio Padre dicevo. Una fortissima devozione all’Idea Socialista e una passione per lo sport, l’atletica in particolare, forse perché non aveva mai avuto la possibilità di praticarlo causa la sua “forzata” menomazione.
Il Destino si è accanito su di lui, figlio di lavoratori della terra sotto padrone, molta miseria e il 25 luglio 1944 a Valsalva (BO), nel terreno che cala a destra subito dopo la seconda curva di questa frazione di pochissime anime, mentre lavorava la terra dei Pifferi, con mio nonno Angelo, ecco alcuni caccia americani che in quel periodo cercavano di tagliare le vie di comunicazioni (fossero cavi, ponti, strade) ai tedeschi ancora posizionati a cavallo della “Linea Gotica” sul confine tosco-romagnolo.
Mitragliano e sganciano bombe leggere, come in tutte le guerre non si guarda troppo ai civili. Una esplode a pochi passi da loro, a mio Padre che ha 14 anni viene tranciato di netto il braccio un po’ sopra il gomito e viene inondato di schegge per tutto il corpo. Al nonno Angelo arrivano schegge grosse come ciotoli da fiume e una di queste penetra nella vescica provocando infezione e dissanguamento. Una camionetta tedesca (non ho mai saputo come mai tanta generosità, ma forse c’erano anche soldati tedeschi feriti) li porta all’ospedale a Imola. Con i mezzi di allora c’è poco da fare. Mio padre sopravvive, ma il braccio che comunque hanno raccolto seppur lacerato, non riescono a riattaccarlo. Mio nonno muore nel tragitto.
A 14 anni così rimane senza un braccio e senza il padre. Pensandoci mi sembrava che avesse già dato il suo contributo, ma non era così. Il 25 gennaio del 1989 all'alba, dopo tre anni di sofferenze e un mese dopo il suo pensionamento, un tumore osseo-polmonare ce lo porta definitivamente via.
Quando penso a mio Padre mi coglie sempre una commozione profonda. Perché non ho avuto tempo di conoscerlo a fondo come avrei potuto fare negli anni a venire. Nella malattia mi sono reso conto che c’era tanto ancora da sapere di lui.
Un uomo che avevo sempre visto austero. Mai un complimento, una carezza, un bacio. Qualsiasi cosa chiedessi era sempre un no, continue triangolazioni per i permessi con mia madre. Mai una volta che sia venuto a vedermi, lui che amava così lo sport, in una gara delle numerose discipline che ho praticato a livello agonistico. Tutto “dunpezzo” come lo erano tanti Romagnoli del passato. Mai mostrato un’emozione con me, mai un gesto di felicità.
Un senso del rigore tremendo, della disciplina, dell’etica e del dovere quasi monacali, da combattente, quando ci ripenso.
Il timore che mi incuteva la sua figura, la sua presenza. Anche solo un suo sguardo o una sua frase: “non ti muovere finché non torno”. Ero capace di rimanere fermo in quel posto per ore, finché non interveniva mia madre. Mi ricordò la mamma che un giorno mi sorprese, a 5 anni, che stavo pregando perché mio padre morisse… solo per far comprendere il livello di soggezione che provavo.
Ricordo ancora nitidamente l’unica volta che ho passato un pomeriggio solo con lui al cinema a vedere “Un maggiolino tutto matto”, la mia felicità, il mio orgoglio di averlo accanto, solo io e lui.
Il suo senso del dovere e l’attaccamento agli Ideali. Lui dipendente comunale che aveva iniziato a svolgere un lavoro "extra" di qualche ora nel pomeriggio, per aumentare un poco il reddito dopo aver fatto il mutuo per la casa. Durò poco. Non riusciva a essere tranquillo con quel “doppio lavoro”, non era giusto, non era coerente con le Idee Socialiste, di giustizia, di equità, di trasparenza. Lo lasciò pochi mesi dopo.
Anche nel periodo in cui fece il vice-sindaco di Borgo Tossignano, tutto il reddito percepito in quel ruolo fu dato al Partito Socialista. Credeva in ciò che faceva. Da questo punto di vista sono contento che non abbia visto la dissoluzione del PSI. Ne avrebbe sofferto tremendamente.
Ma mio Padre, insieme a mia Madre, hanno contribuito a infondermi certi principi di giustizia, di libertà, di amore per il dovere, la passione per le cose, del donare senza attendersi nulla in cambio. Con il tempo queste cose sono affiorate sempre di più nella mia personalità, le porto dentro, ne sono felice e li ringrazio sempre per questo.
Quando iniziò la sua malattia fu come se una lama penetrasse lentamente nel mio cuore. Scoprire che mio Padre era anche altro, un uomo con delle emozioni, delle paure e una Amore per me mai professato. Un uomo che piangeva in mia presenza, lui così austero, che voleva vivere, che si rendeva conto che se ne stava andando, ma che voleva “credere” a quanto gli dicevo, mentendo e scherzando sul suo stato di salute.
Ero giovane, ma dovevo sostenere mia madre in forte stato di depressione, mio fratello che era un ragazzino… e lui.
Gli ho dedicato del tempo, tutto quello che ho potuto, ma non è stato abbastanza, avrei voluto averne ancora. Non sono riuscito a conoscerlo totalmente, a fargli domande, avere risposte, confrontarmi con lui, comprendere meglio lui e così anche me stesso.
Quando ripenso a lui lo associo sempre a questa frase: “Una vita per il Partito”; si è sempre impegnato fin da giovane, con convinzione, per il Partito Socialista Italiano, era uno che partecipava, che credeva in ciò che faceva. E ne era orgoglioso. In casa mia si “respirava” l’aria del Socialismo, anche mia madre lo era, ma è sempre stata più tiepida, meno coinvolta, anzi a volte si chiedeva se amasse più Lei o il Partito…
Ma anche un uomo che ha dedicato tanto lavoro per il Comune di Imola, per decenni all'Ufficio Anagrafe dove andavo a trovarlo da bambino, poi all'ufficio Scuola e poi a quello dello Sport e tanto impegno anche alla Camera del Lavoro come sindacalista.
Mio Padre. Alfiero Raffini, detto Pompeo o “e mòr ed Castelderì” (il moro di Castel del Rio, comune del Circondario imolese), soprannomi che in Romagna sono normali, come mia nonna Domenica, chiamata Gianina.
Mio Padre dicevo. Una fortissima devozione all’Idea Socialista e una passione per lo sport, l’atletica in particolare, forse perché non aveva mai avuto la possibilità di praticarlo causa la sua “forzata” menomazione.
Il Destino si è accanito su di lui, figlio di lavoratori della terra sotto padrone, molta miseria e il 25 luglio 1944 a Valsalva (BO), nel terreno che cala a destra subito dopo la seconda curva di questa frazione di pochissime anime, mentre lavorava la terra dei Pifferi, con mio nonno Angelo, ecco alcuni caccia americani che in quel periodo cercavano di tagliare le vie di comunicazioni (fossero cavi, ponti, strade) ai tedeschi ancora posizionati a cavallo della “Linea Gotica” sul confine tosco-romagnolo.
Mitragliano e sganciano bombe leggere, come in tutte le guerre non si guarda troppo ai civili. Una esplode a pochi passi da loro, a mio Padre che ha 14 anni viene tranciato di netto il braccio un po’ sopra il gomito e viene inondato di schegge per tutto il corpo. Al nonno Angelo arrivano schegge grosse come ciotoli da fiume e una di queste penetra nella vescica provocando infezione e dissanguamento. Una camionetta tedesca (non ho mai saputo come mai tanta generosità, ma forse c’erano anche soldati tedeschi feriti) li porta all’ospedale a Imola. Con i mezzi di allora c’è poco da fare. Mio padre sopravvive, ma il braccio che comunque hanno raccolto seppur lacerato, non riescono a riattaccarlo. Mio nonno muore nel tragitto.
A 14 anni così rimane senza un braccio e senza il padre. Pensandoci mi sembrava che avesse già dato il suo contributo, ma non era così. Il 25 gennaio del 1989 all'alba, dopo tre anni di sofferenze e un mese dopo il suo pensionamento, un tumore osseo-polmonare ce lo porta definitivamente via.
Quando penso a mio Padre mi coglie sempre una commozione profonda. Perché non ho avuto tempo di conoscerlo a fondo come avrei potuto fare negli anni a venire. Nella malattia mi sono reso conto che c’era tanto ancora da sapere di lui.
Un uomo che avevo sempre visto austero. Mai un complimento, una carezza, un bacio. Qualsiasi cosa chiedessi era sempre un no, continue triangolazioni per i permessi con mia madre. Mai una volta che sia venuto a vedermi, lui che amava così lo sport, in una gara delle numerose discipline che ho praticato a livello agonistico. Tutto “dunpezzo” come lo erano tanti Romagnoli del passato. Mai mostrato un’emozione con me, mai un gesto di felicità.
Un senso del rigore tremendo, della disciplina, dell’etica e del dovere quasi monacali, da combattente, quando ci ripenso.
Il timore che mi incuteva la sua figura, la sua presenza. Anche solo un suo sguardo o una sua frase: “non ti muovere finché non torno”. Ero capace di rimanere fermo in quel posto per ore, finché non interveniva mia madre. Mi ricordò la mamma che un giorno mi sorprese, a 5 anni, che stavo pregando perché mio padre morisse… solo per far comprendere il livello di soggezione che provavo.
Ricordo ancora nitidamente l’unica volta che ho passato un pomeriggio solo con lui al cinema a vedere “Un maggiolino tutto matto”, la mia felicità, il mio orgoglio di averlo accanto, solo io e lui.
Il suo senso del dovere e l’attaccamento agli Ideali. Lui dipendente comunale che aveva iniziato a svolgere un lavoro "extra" di qualche ora nel pomeriggio, per aumentare un poco il reddito dopo aver fatto il mutuo per la casa. Durò poco. Non riusciva a essere tranquillo con quel “doppio lavoro”, non era giusto, non era coerente con le Idee Socialiste, di giustizia, di equità, di trasparenza. Lo lasciò pochi mesi dopo.
Anche nel periodo in cui fece il vice-sindaco di Borgo Tossignano, tutto il reddito percepito in quel ruolo fu dato al Partito Socialista. Credeva in ciò che faceva. Da questo punto di vista sono contento che non abbia visto la dissoluzione del PSI. Ne avrebbe sofferto tremendamente.
Ma mio Padre, insieme a mia Madre, hanno contribuito a infondermi certi principi di giustizia, di libertà, di amore per il dovere, la passione per le cose, del donare senza attendersi nulla in cambio. Con il tempo queste cose sono affiorate sempre di più nella mia personalità, le porto dentro, ne sono felice e li ringrazio sempre per questo.
Quando iniziò la sua malattia fu come se una lama penetrasse lentamente nel mio cuore. Scoprire che mio Padre era anche altro, un uomo con delle emozioni, delle paure e una Amore per me mai professato. Un uomo che piangeva in mia presenza, lui così austero, che voleva vivere, che si rendeva conto che se ne stava andando, ma che voleva “credere” a quanto gli dicevo, mentendo e scherzando sul suo stato di salute.
Ero giovane, ma dovevo sostenere mia madre in forte stato di depressione, mio fratello che era un ragazzino… e lui.
Gli ho dedicato del tempo, tutto quello che ho potuto, ma non è stato abbastanza, avrei voluto averne ancora. Non sono riuscito a conoscerlo totalmente, a fargli domande, avere risposte, confrontarmi con lui, comprendere meglio lui e così anche me stesso.
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