Il cardinale Angelo Scola sta preparando il primo Natale da arcivescovo di Milano. Nella sala tra il chiostro, piazza Fontana e l' abside del Duomo sono appesi i ritratti dei predecessori: Achille Ratti divenuto Papa come Pio XI, Ildefonso Schuster, Giovanbattista Montini futuro Paolo VI, Giovanni Colombo, Carlo Maria Martini, Dionigi Tettamanzi.
Eminenza, nel discorso di Sant' Ambrogio lei invita a non parlare sempre e solo di crisi, ma di travaglio e transizione. Che cosa intende dire? «Dobbiamo considerare con molto realismo l' effettiva gravità della crisi economico-finanziaria. Però in tutti questi anni ho sempre avuto la percezione che la categoria di "crisi" da sola non riesca ad esprimere tutto quello che c' è in gioco. Quel che è avvenuto ha come orizzonte la mutazione inedita che si è prodotta dopo la caduta dei muri. Dopo la fine delle utopie del XX secolo, si sono succeduti rapidissimamente cambiamenti, più che epocali, inediti: la civiltà delle reti, la globalizzazione, la mutazione della percezione corrente della sessualità e dell' amore, la possibilità - irta di rischi - di mettere le mani sul patrimonio genetico, i grandi sviluppi della fisica micromolecolare che indaga l' origine del cosmo - si pensi alla cosiddetta "particella di Dio" -, e poi il "meticciato di culture", i flussi migratori... Mi pare chiaro che, se noi non collochiamo la lettura della crisi all' interno di questo travaglio inedito, non ne usciremo. Una lettura tesa ad individuare ricette tecniche non basta».
Lei contrappone alla degenerazione della finanza il tema del gratuito. «Questo è un tema su cui la Caritas in veritate ha scommesso moltissimo, ma è stata snobbata dai mondi dell' economia e della finanza. Si confonde il gratuito con il gratis. Quando parlo di gratuità mi riferisco alla coscienza che il lavoro produttivo e il lavoro finanziario, come ogni altro lavoro, possiedono in se stessi una bontà e una bellezza che è possibile riconoscere e attuare. Per i nostri artigiani una bella sedia doveva essere ben fatta prima che ben pagata. Certo, anche l' utile ha valore, ma viene in un secondo momento. La gratuità così intesa è antidoto all' avidità».
In Italia però si è assistito a una svolta politica, alla nascita di un nuovo governo, che segna anche un nuovo impegno dei cattolici. Come lo giudica? «Il richiamo autorevole che viene dal Papa e dai vescovi all' impegno politico non prefigura alchimie partitiche. Il riferimento è alla visione antropologica che la dottrina sociale si porta dietro nella sua triplice articolazione - principi di riflessione, criteri di giudizio, direttive d' azione -, secondo la formulazione di Giovanni Paolo II che mentre correggeva la teologia della liberazione rilanciava la dottrina sociale della Chiesa».
Lei ha espresso gravi preoccupazioni sulle tensioni che stanno lacerando l' Europa. «Una volta si affrontavano i problemi di dialettica interna allo spazio europeo con la guerra. Ora li stiamo affrontando con lo spread: speriamo che dallo spread non si ritorni alla violenza».
Teme davvero il ritorno alla violenza? «Sì, ho questo timore. Non penso a una guerra intraeuropea. Temo che i disequilibri del pianeta possano esplodere là dove la guerra è già in atto o incrociare la delicatissima evoluzione del Nord Africa. La speranza affidabile è che ci si muova tutti: la casa brucia. Per uscire dall' attuale "impagliatura", l' Europa deve ritrovare il meglio della sua storia. Solo così si potrà rivitalizzare la società civile. Inoltre non si può né si deve rinunciare al livello di guida e di indirizzo che la politica possiede per sua natura. In questo contesto la Chiesa italiana è chiamata ad approfondire con slancio deciso il cammino degli ultimi decenni, dal Convegno ecclesiale del 1976 in avanti. Abbiamo il dono del magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Noi cristiani dobbiamo recuperare il nostro compito specifico, il compito educativo, a tutti i livelli, dal battesimo in avanti. Il risveglio dell' impegno politico diretto dei cattolici, se rettamente inteso, potrà poi dare un contributo alla rigenerazione del Paese».
Ritiene che un primo passo verso il risveglio dei cattolici si sia compiuto con la formazione di questo governo? «È solo un segnale. Purché non la si metta in termini di potere. Ovviamente non c' è realtà associata in cui non sia implicato il potere. Ma che tipo di uomo è colui che è preso a servizio dalla società per guidarla, colui che assume un potere? Il problema non è come noi cattolici possiamo riprendere un' egemonia nel Paese. Il problema è vivere il potere nel suo aspetto di verità. Coloro che ascoltavano Gesù dicevano: "Costui parla con autorità" perché lo vedevano coinvolto in ciò che diceva. Gesù ha pagato di persona. La categoria della testimonianza è fondamentale. Gli statisti che hanno dato avvio all' Europa erano uomini che parlavano con autorità, perché erano per primi coinvolti nel progetto in cui credevano. Lungi da me sottovalutare la competenza, la tecnicalità, ma il motivo per cui uno si gioca ogni giorno nella vita viene prima di ogni ruolo o competenza: è il senso stesso del vivere. Lo sperimentiamo a Natale. Il "Dio con noi" cambia il senso della vita. Se Dio è con noi, io vivo in maniera diversa. Bisogna guardare in modo nuovo all' uomo e al suo essere in relazione. Giovanni Paolo II diceva che dalla seconda metà degli anni 60 si era aperta una grande contesa sull' humanum , ma in quegli anni tutti, anche nella durezza di certe fasi che il Paese ha attraversato, sapevamo cosa fosse l' humanum. Oggi noi dobbiamo riscoprirlo, ripensarlo».
Sta dicendo che c' è un deficit della politica che da soli i tecnici non possono colmare? «Certo c' è un deficit della politica. Dobbiamo ripensarla in termini radicali. Non la impressiona il fatto di quanto poco si parli della storia recente? Accenno per esempio al rapporto tra movimento operaio e movimento cattolico. Anche i sindacati ne parlano troppo poco. Come si fa a leggere i cambiamenti radicali senza un riferimento a questa storia, per poter aprirci al futuro? Ricordo un colloquio con Augusto Del Noce che mi colpì molto. L' autore de Il suicidio della rivoluzione , profezia non piccola, intuì con molto anticipo che la Dc stava finendo perché aveva smarrito la testimonianza e aveva perso la cultura. Ho visto di persona fino agli anni 70 l' impegno gratuito di uomini e donne che, dopo aver lavorato duramente tutto il giorno, la sera trovavano l' energia per dare una mano nel gestire i mille campanili. Amministravano il Paese. Si tratta di intensificare il gusto, l' energia, la passione per la famiglia, il condominio, il campanile, il popolo».
Qual è il suo giudizio sull' era di Berlusconi? La Chiesa gli ha concesso un credito eccessivo? «È presto per dare un giudizio complessivo. La mia attenzione è puntata sul compito della Chiesa e degli uomini di Chiesa - quindi su ciò che mi riguarda personalmente -, su quello che la grande tradizione chiama il bonum Ecclesiae . L' espressione, ovviamente, non va tradotta con "ciò che è vantaggioso per la Chiesa". Per esempio, si sta facendo un gran polverone sull' Ici; andiamo piuttosto a vedere cosa c' è da tenere e cosa c' è da correggere. Difendere il bonum Ecclesiae , liberi da ogni pretesa egemonica, significa per i cristiani portare in tutti gli ambienti la proposta del Vangelo, la bellezza dell' esperienza cristiana nel quotidiano della vita associata. Se questo sarà vissuto nella sua giusta forma, avremo uomini capaci di virtù non solo teologali - fede, speranza, carità - ma anche cardinali: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza. Sarebbero belle virtù anche per un politico».
Lei proviene dal movimento di Cl. Non teme che, tra i quasi diciassette anni di potere di Formigoni, gli affari, gli scandali, Cl sia caduta in qualche eccesso? «Credo che Cl sia un fenomeno educativo ecclesiale formidabile, in cui ha primaria importanza la trasmissione tra le generazioni di una modalità persuasiva e vitale di essere cristiani. Tutto il resto, finché io ho potuto vedere dall' interno, cioè fino a vent' anni fa, è sempre stato considerato dell' ordine delle conseguenze, della responsabilità personale di chi si assumeva un determinato compito. Credo che questo adesso sia ancora più chiaro, più marcato ed evidente. Non ho rapporti particolari con il movimento rispetto a quelli con altre realtà associative. Però da quel che vedo e leggo, mi pare che il successore di don Giussani si stia muovendo decisamente in questa direzione: gli uomini che si sono giocati in politica portano lì la loro faccia e su questa base sono stati e saranno valutati dai cittadini. Conosco Roberto Formigoni da quando aveva 14 anni, anche se da tempo ci si vedeva assai di rado. Se è stato eletto per quattro volte consecutive presidente della Regione Lombardia, ci sarà una ragione. Non credo fossero tutti voti di Cl. La sorte di un politico alla fine la determina chi vota».
Che idea si è fatto del caso San Raffaele? «Mi mancano troppi elementi per formulare un giudizio che ora si baserebbe solo su quanto apprendo dai media. Tutti dicono che è un luogo di grande eccellenza. Non ho ragione per dubitarne. Qualche interrogativo è nato talvolta circa la ricerca biotecnologica. La fede non blocca la ricerca, ma chiede allo scienziato di essere un uomo fino in fondo e quindi di assumersi la responsabilità di rispettare un' antropologia e un' etica adeguate».
Come giudica la nuova giunta di Milano? «Su questo è sufficiente ricordare l' insegnamento di san Paolo: l' autorità legittimamente eletta dal popolo, viene ultimamente da Dio; finché non ci sono atti o leggi contrari alla legge di Dio, massimo rispetto, massima apertura. Ho incontrato il sindaco Giuliano Pisapia, come ho incontrato Formigoni e il presidente della Provincia di Milano Guido Podestà. Ho trovato grande correttezza, grande attenzione, come a Venezia in Cacciari, Galan e negli altri interlocutori politici. La Chiesa cerca rispetto per la verità».
Lei è nato a Lecco, che fa parte della sua diocesi, e si è formato a Milano. Come l' ha ritrovata? «Per me Milano è entusiasmante. Ho passato qui gli anni dell' università e quand' ero fuori ci venivo molto spesso. Devo ammettere di aver fatto fatica a staccarmi da Venezia, che è un grande dono per l' umanità; ma la formula del mio "ritorno a casa" è vera. Sarà forse un anticipo del crepuscolo dovuto all' età...». Non dica così, lei ha appena compiuto settant' anni. «Di anni non ne avrò davanti tanti e sempre a Dio piacendo. Credo che per l' uscita dall' attuale travaglio Milano abbia una funzione di protagonista di primo piano. La sua è una storia in cui l' elemento lavoro è già ben "rodato" a partire dal ' 700. Inoltre la magnanimità e l' accoglienza appartengono al Dna di questa "terra di mezzo". Anche se, come da ogni parte, c' è bisogno di un surplus di relazione, di rispetto, di narrazione, di umiltà nel lasciarsi raccontare dagli altri, di tensione al riconoscimento reciproco, per trovare quel "compromesso nobile" che è il fondamento dell' azione sociale e politica in una società plurale come la nostra»