Tecnologia e welfare: il pensiero del manager di Ivrea la chiave per tornare a crescere e prosperare
Strano Paese il nostro, è italiano l’algoritmo di Google e di Bing, è italiana la piattaforma openosurce sulla robotica più nota al mondo (arduino), è italiana l’idea e la costruzione del lanciatore per satelliti più innovativo (Vega) e la costellazione di satelliti più tecnologicamente avanzata (Cosmo-SkyMed). Come mai questo paese di inventori non riesce a tornare ad essere capace di creare nuove sfide industriali per crescere? Da troppi anni abbiamo perso il senso della sfida di essere un paese industriale.
Un paese fortemente manifatturiero, ancora capace di produrre prodotti tecnologici sofisticati e con una università capace di sfornare ricerca di avanguardia e talenti che si trasforma in “cliente” di tecnologia. Ci siamo ritagliati il ruolo di “terzisti”, costretti a ridurre il nostro potere di acquisto per competere sul costo del lavoro anziché sul valore del prodotto. Una trasformazione prima culturale e manageriale che tecnologica. Torna di prepotente attualità l’ “eresia”di Adriano Olivetti che ha saputo tra gli anni ’30 e il 1960 dimostrare che è possibile vincere la sfida e che è possibile farlo ribaltando le regole in voga nell’industria nostrana che dipende troppo spesso da basso costo del lavoro, spesa pubblica e clacestruzzo e sempre meno dal prodotto e dall’innovazione.
L’ “eresia” di Olivetti è fatta da qualità del prodotto e del lavoro, equità, welfare e alti profitti mettendo al centro della fabbrica la persona. Adriano Olivetti porta a sé tra i più importanti intellettuali e filosofi insieme al meglio della ricerca tecnologica, convinto che mettendo insieme queste due anime si sarebbero potuti produrre prodotti migliori ma soprattutto persone migliori. Aveva anche capito che il welfare non è un costo ma un ingrediente necessario per incrementare la produttività e il profitto. La Svezia nel 2010 è cresciuta del 5,7%, quasi a ridosso della Cina e recenti indagini internazionali dicono che le persone con maggior talento preferiscono un buon welfare aziendale e un buon ambiente al denaro.
Fu anche antesignano della responsabilità sociale di impresa quella che oggi obbliga Apple a rivedere la sua catena produttiva a fronte della mobilitazione contro i suicidi nelle fabbriche dell’iPad. “Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?”, si chiedeva nel 1955, parole moderne anche oggi dove vediamo le imprese misurate solo sul valore di Borsa.
Olivetti riesce a tirare fuori tutto il meglio che gli italiani sanno dare e trasformarlo in voglia di sfida, “Nel lavoro intelligente e scrupoloso dei nostri ottocento operai, nello studio metodico e incessante dei nostri quindici ingegneri, c’è la certezza di progresso che ci anima. La lealtà dei nostri lavoratori è il nostro attivo più alto”. Nel 1952, di fronte ad una crisi pesantissima, che lo avrebbe costretto a licenziare 500 operai, rispose assumendo 700 venditori, reinventando il marketing e le scuole di formazione per la vendita, riorganizzando la catena degli agenti e aumentando vendite e profitti.
Quando Olivetti entrò nell’elettronica fu per l’idea che solo stando più avanti degli altri nell’innovazione si poteva alimentare crescita e prosperità. Si posizionò davanti alla Ibm, andando incontro alle esigenze del mercato con qualcosa di tecnologicamente ardito. Dove è finito questo coraggio di imprendere? Dove è finita la voglia di crescere e prosperare?
Si tratta di riprendere la sfida, di rimboccarci le maniche, di mettere intorno ad un progetto i migliori imprenditori, manager, tecnici, umanisti.
Siamo noti per la nostra capacità di ribaltare gli esiti scontati: dalla battaglia sul Piave ai mondiali del 2006. Questo è il momento di riprendere il testimone di Olivetti, di tornare ad essere protagonisti dell’innovazione, di buttare via abitudini vecchie che non funzionano e lasciarci alle spalle questo declino che appare ineludibile ma non lo è. Chi avrà il coraggio di provarci?