giovedì 31 dicembre 2009

Ciò che desidero...

Ciò che desidero è che tutto sia circolare e che non ci sia, per così dire, nè inizio nè fine nella forma, ma che essa dia, invece, l'idea di un insieme armonioso, quello della vita.

Vincent Van Gogh

Trattoria Romagnola


La Trattoria Romagnola a Castel San Pietro Terme (Bo) è una delle ultime trattorie "di una volta", che mantiene una cucina, piatti e consuetudini che si stanno perdendo. Questo locale che possiamo definire storico è situato a pochi metri dalla piazza principale del paese (foto). All'interno, disposto su più stanze, il locale si presenta con tavoli e sedie tipici della zona, così come il tovagliato, la posateria, i bicchieri, ecc. L'accoglienza è ottima e ti mette fin da subito nelle giuste condizioni d'animo. Il titolare e tutto il personale è molto disponibile e si respira la tipica aria di casa, per cui ti senti a tuo agio. La cucina è comunque il vero "pezzo forte" della trattoria: qui trovate, con una buona rotazione stagionale, le ricette tipiche (cerco di utilizzare il meno possibile la parola tradizione, come insegna Massimo Montanari, docente di storia medievale, storia economica e sociale del medioevo e storia dell'alimentazione presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Bologna e all'Università di Scienze Gastronomiche, di cui sono un grande ammiratore) del nostro territorio. Considero proprio questo locale uno degli ultimi baluardi della cucina del territorio, dove tutta la pasta è fatta a mano, tortellini, tortelloni, tagliatelle, passatelli, gnocchi, con una proposizione di ottima carne, dal castrato alle carni alla griglia di tutti i tipi. Segnalo anche i dolci, tutti fatti in casa. Buona la proposta dei vini anche se, quando vado, mi godo "quello della casa", nero o bianco, che mi da quella sensazione sensazioni più nostrane.
In primavera inoltrate ed estate, soprattutto sera, è piacevole mangiare nel gazebo estivo che si affaccia sull'elegante Piazza Acquaderni.

Trattoria Romagnola- 40024 Castel San Pietro Terme (BO) - P. Acquaderni, 8 - tel: 051 941284 - Chiusura: Sabato

mercoledì 30 dicembre 2009

Magia e bellezza

L'aspetto delle cose varia secondo le emozioni; e così noi vediamo magia e bellezza in loro, ma in realtà, magia e bellezza sono in noi.

martedì 29 dicembre 2009

Ancora sulla felicità

La felicità quotidiana è determinata in gran parte dalla nostra visione delle cose. Il sentirsi felici o infelici in tutti i momenti della nostra vita, non dipende tanto dalle nostre condizioni di esistenza reali, quanto dal modo in cui noi percepiamo la situazione e da quanto si è soddisfatti da ciò che si è e si possiede. Anche la propria autostima gioca un ruolo fondamentale nella sensazione di appagamento e felicità interiore che possiamo provare.
Un metodo da adottare per cercare di "lavorare" sulla propria serenità è quella di inquadrare qualsiasi decisione, ponendosi la domanda "Questa scelta mi darà la felicità ?" Domanda semplice, ma strumento potente che aiuta a gestire tutta la nostra vita. Pensate a questo, riflettete prima di fare una scelta o dare una risposta.
Non c'è quasi mai veramente bisogno di più soldi, più fama, più successo, nè di altro. In qualsiasi momento è la mente  l'unico strumento indispensabile al conseguimento della vera felicità. Con la mente abbiamo una potenza inaudita che ci consente di compiere azioni e opere inimmaginabili. Usiamola e saremo più felici.
Inoltre bisogna capire quali cause producono in noi felicità o sofferenza, evitando che queste ultime possano verificarsi. Ogni istante della nostra vita in cui prendiamo decisioni o proviamo sensazioni, ci deve far riflettere e "allenarci" ad un "metodo" che è la via per provare una felicità quotidiana. Senza tuttavia dimenticare e accettare che la vita è fatta anche di sofferenze e dolori, am non per questo devono prevalere sul nostro stato d'animo. Per raggiungere un'autentica felicità direi che occorre mutare la propria ottica, il proprio modo di pensare. Una cosa non semplice perchè presuppone una disciplina interiore continua, impegnandosi appunto con la mente e con lo spirito a vivere in modo positivo quotidianamente. Ma se si ha costanza i risultati si ottengono.

domenica 27 dicembre 2009

Sulla vita

Estremamente breve e travagliata è la vita di coloro che dimenticano il passato, trascurano il presente, temono il futuro: giunti al momento estremo, tardi comprendono di essere stati occupati tanto tempo senza concludere nulla.

Seneca

venerdì 25 dicembre 2009

Il doppiopetto ? E' la rivincita dei sarti

Ritorna il doppiopetto finalmente. Dopo tanti anni è nuovamente un capo del guardaroba maschile. Per me lo è sempre stato in verità, ma questo abito è dovuto passare più volte sotto le "forche caudine" di un ostracismo dettato da stereotipi e luoghi comuni che ne hanno fatto, nel tempo, un capo che potevano indossare solo i gangster prima o gli uomini di destra poi.

In realtà il doppiopetto è normalmente utilizzato da uomini a cui viene riconosciuta indubbia eleganza: da Gianni Agnelli - immortalato anche in una famosa foto che lo ritrae con un paio di calzature riprese proprio nella collezione di quest'anno dalla Tod's - a Diego Della Valle appunto, da Cary Grant a Matteo Marzotto o Luca Cordero di Montezemolo, senza dimenticare uomini politici come Mario D'Urso e molti altri.

Il doppiopetto è la rivincita dei sarti. Si, perchè per essere bello questo capo deve essere realizzato in un certo modo per non rendere ridicolo e ingessato chi lo indossa. Il rigato, anche evidente, si può osare in questi casi - soprattutto nelle tonalità del blù - ma sono stupendi anche i gessati grigi, nelle tonalità del chiaro soprattutto per la primavera e naturalmente le tinte unite classiche.

L'importante è che le stoffe siano morbide, le spalle non troppo imbottite, i revers siano grandi e le pattine delle tasche vanno nascoste. Per questi motivi il doppiopetto si può definire "la rivincita dei sarti", perchè il loro confezionamento non arriva mai al prodotto perfetto, contrariamente a quelli industriali che però sono assolutamente ineleganti perchè freddi, tutti uguali e rigidi.


Lino Ieluzzi
Un altro luogo comune che accompagna questo capo è quello che sia un abito che "intozza". Niente di più falso, se fatto - ripeto - con le giuste "regole", slancia la persona e in più è considerata anche una "dinner jacket" per cui può essere usato tutto il giorno e consente di presentarsi poi ad un aperitivo o ad una cena, in particolar modo se si utilizza la camicia bianca.
E' molto elegante, seppur sportivo, anche indossato con un lupetto o un maglioncino a girocollo.

Uno dei negozi in Italia, conosciuto nel mondo, vero e proprio "regno" del doppiopetto è Al Bazar di Lino Ieluzzi a Milano. Più di trent'anni di esperienza ne fanno un tempio non solo della moda, ma ancor più del gusto, del particolare anche eccentrico che fa la differenza, di uno stile innato che si respira nelle stanze e dalle sue parole. Fatevi guidare dalla sua esperienza se gli fate visita.

Tutte le immagini sono tratte da The Sartorialist

giovedì 24 dicembre 2009

Natale

Nasce un dio. Altri muoiono.
La verità non è venuta nè fuggita: è cambiato l'Errore.
Abbiamo ora un'altra eternità e quello che è passato era sempre migliore.

Fernando Pessoa

2 aforismi che faccio miei da tempo

Se permetti a te stesso di essere indisciplinato nelle piccole cose, probabilmente lo sarai anche nelle grandi.

Non c'è niente di meglio che scrivere per obbligarti a pensare e per riordinare le idee. Se non riesci a scriverlo, allora non ci hai pensato davvero.

Warren Buffet

mercoledì 23 dicembre 2009

La fede è ancora viva nel cuore degli uomini

“La fede è ancora viva nel cuore degli uomini”, si disse il prete allorchè vide la chiesa affollata. Erano tutti lavoratori del quartiere più povero di Rio de Janeiro, e quella notte si erano riuniti lì con un unico scopo: ascoltare la Messa di Natale. A quel pensiero, provò una sensazione di contentezza. Con passo solenne, si diresse verso il centro dell’altare. Fu allora che udì una voce. Diceva : “A,b,c,d,…”. Gli sembrò la voce di un bambino – che disturbava la solennità della funzione. Tutti si voltarono nella sua direzione, infastiditi. Ma la voce non s’interruppe: continuò a ripetere: “A,b,c,d,….”.
“Adesso smettila!” disse il prete.
A queste parole il ragazzino parve uscire da uno stato di trance. Spaventato, guardò le persone intorno e arrossì per la vergogna.
“Perché ti comporti così? Non ti rendi conto che disturbi la cerimonia?”.
Il bambino abbassò il capo; le lacrime velarono i suoi occhi.
“Dov’è tua madre?” lo incalzò il prete. “ Non ti ha insegnato come ci si comporta durante la Santa Messa?”.
Con il capo chino, il ragazzino rispose: “Mi scusi, padre, ma io non so come si prega: non ho mai imparato a farlo. Sono cresciuto nelle strade, senza padre né madre. Oggi è il giorno di Natale, e io ho sentito il bisogno di parlare con Dio. Ma poiché non so quale lingua capisce, ho pensato di pronunciare tutte le lettere che conosco, una dopo l’altra. Mi sono detto che, lassù, Lui avrebbe potuto prenderle e usarle per creare parole e frasi di Suo gradimento”.
Il bambino si alzò. “Adesso me ne vado, però”, disse. “Non voglio dare fastidio a tutte queste persone, a questa gente che sa comunicare molto bene con Dio”. “No, vieni con me”, replicò il prete. Prese per mano il ragazzino e lo condusse all’altare. Poi si rivolse ai fedeli:”Prima della messa, stasera reciteremo una preghiera particolare. Domanderemo a Dio di comporre le parole che desidera udire. Ogni lettera corrisponderà a un momento di quest’anno, nel quale siamo riusciti a compiere una buona azione, a lottare coraggiosamente per un sogno, o a pregare senza profferire verbo. Gli chiederemo di mettere in ordine le lettere della nostra vita, auspicando che esse Gli consentano di creare parole e frasi di Suo gradimento”.
Il prete socchiuse gli occhi e cominciò a recitare l’alfabeto. Alcuni istanti dopo, tutte le persone presenti nella chiesa stavano già dicendo: “A,b,c,d,……”.

Paulo Coelho

martedì 22 dicembre 2009

L'importanza dell'Umiltà

Penso che l'umiltà sia un atteggiamento interiore da coltivare, fondamentale, dal quale partire per compiere il proprio cammino di crescita personale. E' il gradino da cui sono partito convinto che potesse servire a raggiungere altre mete. Ne sono ancora convinto e cerco di non dimenticarlo mai. Umiltà deriva da humus, terra, che rimanda al concetto di radici, di radicamento, di profondità. Essere umili significa anche predisporsi a cercare le radici di ciò che mi circonda e coglierne il suo significato più profondo. Essere umili significa ammettere con serenità che al di sopra delle nostre certezze esistono, talvolta, altri punti di riferimento più alti e più importanti. Essere umili quindi significa accettare di buon grado che altri possano decidere con te o per te in alcune occasioni.
L'umiltà è anche un atteggiamento mentale, che non significa accettare qualsiasi cosa o prostrarsi a chiunque, utile per acquisire la giusta chiave di lettura delle cose, del mondo e delle persone che ci circondano. Con l'umiltà si può percorrere un lungo cammino imparando ad osservare e valutare con il giusto tempo e la dovuta attenzione. Viviamo in una società in cui l'umiltà non è considerata un Valore da molti, ma questo non mi scoraggia a continuare il mio viaggio...

domenica 20 dicembre 2009

Bar e ristoranti più liberi ma con i vincoli del buon gusto

di Marco Bellinazzo

Le liberalizzazioni sposano la qualità. Per pizzerie, birrerie, paninoteche, churrascherie e sushi bar inizia l'era dell'eco-charme.Dal prossimo anno la bellezza, la tranquillità e la sobrietà dei locali non rappresenteranno più soltanto una variabile estetica, ma saranno i fattori dai quali dipenderà la vita o la morte degli esercizi commerciali.
Questo mutamento genetico nella ristorazione e nella "movida" sarà una (non la sola) conseguenza della direttiva "servizi" (l'ex famigerata direttiva Bolkestein, quella dell'idraulico polacco pronto a insidiare le casalinghe di mezza Europa). Nelle pieghe del provvedimento con cui l'Italia si appresta a recepire le regole comunitarie c'è infatti una norma che provoca una rivoluzione nei criteri con i quali i comuni possono autorizzare o vietare l'avvio di nuove «attività di somministrazione al pubblico di alimenti e di bevande ».

Mentre, fino a oggi, i sindaci erano ancorati a rigidi parametri economici, in futuro, dovranno (e potranno) valutare le domande degli aspiranti proprietari e gestori di bar e ristoranti alla luce di più flessibili «indici di qualità del servizio». E, dunque, potranno bloccare o limitare l'inaugurazione di nuove strutture in base alla «sostenibilità ambientale, sociale e di viabilità». Quindi, dai comuni potrà arrivare un legittimo «no» sia per salvaguardare le zone di pregio artistico, storico, architettonico, sia se si presenta il rischio che ulteriori flussi di avventori e clienti in cerca di svago incidano in modo negativo sull'ordine pubblico e peggiorino le condizioni di vita dei residenti, ledendone «il diritto alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità ». E il divieto potrà (anzi, dovrà) scattare, secondo la direttiva ex Bolkestein, quando l'apertura di un nuovo negozio incrina «i meccanismi di controllo per il consumo di alcolici». Un ombrello legislativo che da Bruxelles protegge e rafforza le ordinanze che nei mesi scorsi, da Milano a Venezia, hanno tentato di frenare schiamazzi e intemperanze notturne.
Si porrà,d'altro canto,un argine al fioccare di provvedimenti proibizionisti, come quelli anti-kebab, spesso frutto della coloritura politica delle giunte, o di malintese tradizioni locali. Non si potrà più fare ricorso, viceversa, al contingentamento numerico dei locali o a criteri legati al reddito della popolazione residente e "fluttuante".
Più in generale, la direttiva servizi (lo schema del decreto di attuazione è stato licenziato dal Governo in prima lettura giovedì scorso, come riferiamo nell'articolo sopra) impatta in maniera significativa sul settore degli esercizi commerciali.
Per quanto riguarda le edicole, per fare un altro esempio, la direttiva indica l'opportunità di valorizzare sempre più la dia (la dichiarazione di inizio attività) per sostituire le autorizzazioni ai fini dell'apertura di nuovi punti vendita, eliminando anche in questo caso la verifica di natura economica, ovvero la prova dell'esistenza di un bisogno economico o di una domanda di mercato.
Il settore degli esercizi commerciali peraltro deve fare i conti – tranne che per la somministrazione di bevande ed alimenti rimasta sotto l'egida nazionale (legge 25 agosto 1991, n. 287) – anche con le competenze delle regioni, le quali in questi anni hanno emanato discipline sul fronte delle autorizzazioni e per individuare i requisiti per ottenerle.
Con la conseguenza che si è reso necessario il tentativo di uniformare le griglie di accesso e i parametri per l'esercizio. Anche per evitare il paradosso per cui il possesso di un diploma di scuola secondaria superiore autorizza all'esercizio dell'attività in alcune Regioni e non in altre, dove per esercitare si è costretti a frequentare un corso a pagamento e a sostenerne un esame di abilitazione.

mercoledì 16 dicembre 2009

Il rimpianto

Il rimpianto è il vano pascolo di uno spirito disoccupato. Bisogna evitare soprattutto il rimpianto occupando sempre lo spirito con nuove sensazioni e con nuove immaginazioni.

Gabriele D'Annunzio

sabato 12 dicembre 2009

La buona notizia c'è ma non fa notizia

Maria Luisa Colledani

Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce: l'Italia di oggi, così divisa e in ansia, è lo specchio dell'aforisma di Lao Tse. Papa Benedetto XVI, nel suo discorso di martedì scorso per l'Immacolata Concezione, lo ha ricordato con grande forza: «Attraverso i mass media - ha detto il pontefice - il male viene raccontato, ripetuto, amplificato, abituandoci alle cose più orribili, facendoci diventare insensibili e, in qualche maniera, intossicandoci». Assuefatti alla banalità del male.

Il bene c'è: basta aprire gli occhi per trovarne nelle periferie delle città, tra i giovani e gli anziani, tra chi soffre e chi cura. Con tenacia.

Ci sono le aziende che affrontano le difficoltà quotidiane senza portare i loro denari nei paradisi fiscali. Lavorano nel silenzio, dal lunedì alla domenica e, di nuovo, dal lunedì alla domenica. Rispettano leggi e lavoratori, lanciano il cuore oltre l'ostacolo, credono nella sostenibilità ambientale per un mondo migliore, rinunciano agli utili e li investono nell'innovazione. Il passepartout del futuro: per essere pronti quando il mercato riprenderà.

Sì, basta aprire gli occhi per vedere le cooperative calabresi che si sono unite, hanno restaurato gli antichi telai della tradizione contadina e oggi creano tessuti preziosi con Santo Versace.

Si vede la voglia di futuro che è nelle aziende, nel sociale, nel mondo delle Università: i ricercatori - come dimostra il genovese Roberto Pontremoli che con la sua équipe ha sviluppato un test a basso prezzo per l'ipertensione - nonostante le sirene che vengono da oltreconfine, restano nei laboratori italiani e con le loro scoperte ci fanno sentire orgogliosi del nostro paese.

Il nostro dovere è raccontare la realtà così come la vediamo ogni giorno, con le sue storie belle e quelle meno edificanti: nell'Italia che si affaccia al nuovo decennio c'è tanto futuro.

giovedì 10 dicembre 2009

Credere per cogliere le opportunità

Imparare a credere nelle proprie possibilità, nelle proprie capacità per raggiungere uno scopo o un obiettivo prefisso nella propria vita. Convincersi di poter essere il migliore. La cosa più difficile perchè richiede un impegno quotidiano di continuo autoconvincimento, di autoincoraggiamento, l'uso di un linguaggio e di un pensiero positivi. Aiuta in questo anche il crearsi un ambiente domestico e di lavoro positivo, frequentare persone con il giusto atteggiamento, non troppo critiche e negative, rifiutare le persone invidiose, colleriche e negative perchè alla fine si appartiene alle persone che si frequentano.
Essere sempre aperto al nuovo e cercare di imparare qualcosa tutti i giorni. Tenersi aggiornato serve, non considerarsi mai arrivati.

Questo aiuta al cambiamento e permette di essere sempre pronto al "tuo momento". La vita è interessante anche per questo: non sai mai cosa ci può essere "dietro l'angolo" o quando potrà arrivare il treno giusto. Allora è necessario prepararsi con metodo, pianificare il proprio percorso in funzione degli obiettivi preposti, analizzare nel dettaglio come raggiungerli. Stare sempre attenti ed essere pronti a riconoscere e cogliere le opportunità. Mantenendo un atteggiamento positivo avremo più opportunità di cogliere le vere occasioni della vita. Ricordarsi in primis di dare, di farsi conoscere come risorsa preziosa, di acquisire valore: il mercato premia sempre. Ed infine assumersi le proprie responsabilità concentrandosi sul proprio lavoro, non su quello che fanno gli altri, non criticare e fare la gara su se stesso è la chiave di svolta della propria vita.

lunedì 7 dicembre 2009

Dimenticare lo scopo

Porre attenzione a ogni azione che faccio, concentrarmi, rimanere sull'azione dimenticandomi dello scopo.
Quando agisco senza un fine, senza alcuna aspettativa di ricompensa, l'azione stessa diventa un fine e la ricompensa è immediata.
Questa è l'essenza, tutto quello che c'è da sapere: fare è ricevere.

domenica 6 dicembre 2009

L'importanza della scelta del lavoro

Nessuna tecnica di condotta della vita lega il singolo così strettamente alla realtà come il concentrarsi sul lavoro, poichè questo lo inserisce sicuramente almeno in una parte della realtà, nella comunità umana...
L'attività professionale procura una soddisfazione particolare se è un'attività liberamente scelta...
Eppure il lavoro come cammino verso la felicità è poco stimato dagli uomini. Non ci si rivolge ad esso come altre possibilità di soddisfacimento. La grande maggioranza degli uomini lavora solo se spinta dalla necessità e, da questa naturale avversione degli uomini al lavoro, scaturiscono i più difficili problemi sociali.

Sigmund Freud, Il disagio della civiltà

domenica 29 novembre 2009

Quei pensieri del mattino

Mantenere la calma in tutte le avversità della vita significa per me quanto immensi e numerosi siano i mali e le avversità che si incontrano nella propria vita.
Progetti e preoccupazioni per il futuro, a volte un pò di nostalgia per il passato, rischiano di tenermi occupato in modo talmente continuo che molte volte ho la percezione che il presente perda la sua importanza e venga trascurato. E dire che sono consapevole del suo valore, è la sola certezza che ho perchè il futuro e anche il passato sono sempre diversi da come li ho pensati. Il presente è l'unico scenario da cui trarre felicità. Ciò che è vero adesso, non è sempre vero che lo sia domani. In questi momenti la mia mente torna a mio Padre e alla sua vita: a 14 anni perse un braccio per un bombardamento, a 59 - l'anno della pensione - un tumore se lo portò via. Avrà vissuto il presente ? O tutti i sacrifici, i problemi, le difficoltà di quegli anni lo avranno fatto sperare in momenti di tranquillità e felicità futura mai giunti...

Cerco di utilizzare per ogni pensiero un "cassetto" e, quando ne apro uno, chiudo gli altri. In questo modo tento di evitare che una preoccupazione più o meno grave distrugga un piccolo piacere del presente , privandomi della tranquillità necessaria.
Allo stesso modo cerco che il mio "inguaribile" ottimismo nella vita e negli altri, non diventi il primo motivo di infelicità. Guardo, di conseguenza, ciò che possiedo con gli stessi occhi con cui guarderei se mi fosse sottratto. Seppur poco possiedo, questo atteggiamento aiuta a percepirne il valore: penso se dovessi perderlo. Appena attivo questo modo di pensare, immediatamente mi sento più felice e allo stesso tempo mi serve per attivarmi e organizzare la mia vita per prevenire in tutti i modi che ciò avvenga.  La chiave di volta è la domanda  che dovremmo sempre farci: " se perdessi tutto questo ?" e non " se questo fosse mio ?" aumentando il senso di privazione e attivando una domanda inutile al nostro spirito. Ripensando ancora a mio padre, ma anche mia madre che non ha avuto maggiore fortuna, tengo sempre presente che i nove decimi della felicità sono dovuti al nostro stato di salute. Da essa dipende in primis la serenità d'animo. Sembrano luoghi comuni, ma tali non sono. Viviamo le cose della vita in funzione del nostro stato di salute che ha il potere dei renderci felici o infelici, indipendentemente dal contesto esterno. La salute e la serenità che l'accompagna è in grado di sostituire ogni cosa, ma nulla può prendere il suo posto. Rifletteteci con attenzione.
La follia più grande non è quindi sacrificarla per qualsiasi altro motivo ? Mi chiedo molte volte quando sono impegnato nel mio lavoro, nelle molteplici attività, se ne vale la pena, se non sto esagerando. Mens sana in corpore sano dicevano gli antichi. Forse vale la pena mirare meno al possesso di beni esteriori e mantenere un temperamento sereno, felice e di buonsenso, che poi sono gli elementi che danno felicità.
Ancora una volta: l'unica mia certezza è il dubbio.

Sopportare e rinunciare. Porsi delle mete, ma essere altresì consapevoli che non tutto è raggiungibile nella nostra vita, di ciò che desideriamo. Sforzarsi e lottare contro gli ostacoli - che siano materiali o spirituali - per raggiungere gli obiettivi prefissati, è il bisogno essenziale della natura umana, penso che sia il vero piacere, il più completo e che costituisca il pieno godimento dell'esistenza umana.

E' importante ciò che si è e non ciò che si rappresenta. Posso essere un manager, un imprenditore, un operaio, qualsiasi cosa, ma se sono un arido, una persona che sacrifica tutto di fronte al proprio tornaconto, alla fine vengo sempre rinviato a me stesso, a chi sono realmente. Non penso che queste persone siano felici, per me sono eternamente insoddisfatte, alla continua ricerca di un qualcosa che mai troveranno e sempre critiche su tutto. La personalità, quella interiore, vera, è la felicità più alta che si possa raggiungere. Aristotele ha detto: " La natura è solida non le ricchezze".

sabato 28 novembre 2009

Desiderio continuo

Ma, finchè è lontano, ciò che desideriamo ci sembra superare ogni altra cosa; poi quando quello ci è dato, aneliamo ad altro ancora e un eguale sete di vita perennemente ci affanna.

Lucrezio

giovedì 26 novembre 2009

Educazione e Valori


PADRE E FIGLI / Educare con l'esperienza

di Angelo Scola *

«Le crisi dell'insegnamento non sono crisi di insegnamento; denunciano crisi di vita e sono crisi di vita esse stesse». Ancora una volta è il genio di un poeta come Charles Péguy che, sbaragliando una serie di luoghi comuni e analisi superficiali, sa andare al cuore di quella che ormai da tutti è riconosciuta come l'emergenza educativa. Una questione posta a tema, studiata e rilanciata come sfida educativa dal Progetto culturale della Conferenza episcopale italiana che vi ha dedicato il suo primo rapporto-proposta (divenuto un volume dal titolo La sfida educativa, Editori Laterza).
Péguy colpisce nel segno: dove non esiste una vita adeguata non si può comunicare nulla, non si può educare. Il rapporto-proposta è stato costruito e redatto sulla convinzione documentata per cui «l'attuale crisi dell'educazione ha a che fare non soltanto con singole difficoltà, ma piuttosto con l'idea che abbiamo dell'uomo e del suo futuro. Perciò è indispensabile non limitarsi a una prospettiva settoriale di educazione, né è sufficiente riflettere sulle metodologie pedagogiche, ma è necessaria una visione antropologica ed essenziale del fatto educativo come tale». In altre parole l'educazione è un'opera che investe tutti gli ambiti e gli interessi della vita di una persona: la famiglia, la scuola, la comunità cristiana, il lavoro, l'impresa, il consumo, i mass media, lo spettacolo, lo sport... Nulla dell'uomo resta fuori da quest'opera, perché essa riguarda radicalmente l'esperienza umana elementare che è fatta di lavoro, affetti e riposo.

Si è giunti a parlare di emergenza educativa perché si è inceppato qualcosa, in particolare nell'Europa "impagliata". Si è in un certo senso interrotta la cura tra generazioni, si è spezzata la catena della trasmissione di uno stile di vita buona capace di rispondere a quel desiderio di felicità e libertà che morde il cuore degli uomini e delle donne di oggi. E questo dato ci provoca a un cambiamento. Il primo passo è semplice, anche se indubbiamente arduo: è il porsi della persona dell'educatore. È l'adulto colui che deve dare testimonianza alla verità che propone. Sull'adulto cade la responsabilità educativa. Ma posto il soggetto, a cosa educare? Ai valori, si risponde abitualmente. Forse non c'è mai stata un'epoca in cui si sia parlato tanto di valori come quella attuale. Ma il punto è che non si educa ai valori parlando di valori, ma facendone fare esperienza. Non educo all'amicizia spiegando ostinatamente il concetto di amicizia, ma facendo fare concretamente l'esperienza di amicizia.
A molti pensatori post-moderni la categoria di valore appare compromessa. Non solo mettono in dubbio i valori propri della modernità, ma negano anche validità al concetto di valore e contestano la stessa idea di soggetto personale. Per questo non sarebbe più possibile una vera e propria impresa educativa (paideia), ma solo un'istruzione. L'equivoco circa la natura dei valori può essere risolto chiarendo che essi non sono una "carta di concetti astratti" da applicare poi alla vita, ma fanno parte dell'indistruttibile esperienza elementare dell'uomo, del suo rapporto costitutivo con le persone, le cose e le circostanze. Se valore è ciò che permette di dare un significato all'esistenza umana, i valori non esistono al di fuori dell'uomo.
L'educazione è quindi impossibile se si prescinde dal rapporto tra la persona e la comunità - e quello di entrambe con il "reale inafferrabile", come diceva Buber - all'interno del quale si fa esperienza, perché solo in quanto effettivamente comunicato un valore può dare all'esistenza una direzione, un significato.
Si capisce allora perché il proprium di ogni esperienza educativa risieda, come sopra indicato, nella «cura delle generazioni», da assicurare in nome di «un'eredità da trasmettere per nuovi arricchimenti in virtù di un'appartenenza a una comune origine (genealogia)», come scrive il rapporto-proposta. La catena delle generazioni (oggi sempre più dai bisnonni ai pronipoti) è il luogo in cui la persona fa esperienza del bene primario della relazione. La promessa di bene con cui il bambino si imbatte fin dalla nascita e nei rapporti iniziali con i suoi cari - «esperienza relazionale basilare che è affettiva e morale allo stesso tempo» - sarà poi chiamata ad attuarsi mediante il compito della trasmissione e dell'assunzione del senso pieno della vita. I nostri bimbi non diventano uomini se non sono aiutati a scoprire questa origine. I ragazzi e i giovani ai quali, quando il loro disagio esplode in forme irrazionali e violente, si dedicano fiumi di parole tanto scandalizzate quanto impotenti, hanno bisogno di vivere relazioni buone per imparare a fare il bene. In famiglia come a scuola o negli spazi della convivenza sociale devono poter contare su adulti impegnati in prima persona con il vero, il bello e il bene, che propongono. Porre l'esperienza come fattore essenziale per un'autentica educazione implica inevitabilmente accettare e rilanciare le categorie di rischio e di testimonianza. L'educazione riesce non quando si applicano correttamente determinati modelli, ma quando l'educatore e l'educando si giocano in un libero coinvolgimento personale. Nell'incontro con la realtà l'educando sperimenta il rischio perché, pur percependo l'intrinseca positività della realtà stessa, può rimanere bloccato nell'aderirvi fino ad abbandonarsi allo scetticismo. Ma il rischio non è risparmiato neanche all'educatore che, nel comunicare all'educando è chiamato ad auto-esporsi, a testimoniare nella sua persona la bellezza dei valori che propone. Educa chi - come diceva Sant'Agostino - sa risvegliare «il maestro interiore». Ma per farlo occorre riconoscersi a propria volta figli di un maestro e di un padre, come rilevava Gilles Deleuze: «Maestro non è chi dice "fai così", ma chi dice "fai con me", in un rapporto anzitutto di testimonianza, e poi di fiducia, di libertà tra libertà e disciplina». E di nuovo la luce cade sugli adulti: sono genitori ed educatori che, nel loro modo concreto di amare e di lavorare, testimoniano ai figli la verità della vita.

* Patriarca di Venezia

martedì 24 novembre 2009

Le tre regole di lavoro

1. Esci dalla confusione, trova semplicità.
2. Esci dalla discordia, trova armonia.
3. Nel pieno delle difficoltà risiede l'occasione favorevole.

Albert Einstein

venerdì 20 novembre 2009

Premio Ernst & Young: Brunello Cucinelli è L’Imprenditore dell’Anno 2009

Si è svolto a Milano presso Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana, la Cerimonia di premiazione del Premio Ernst & Young L’Imprenditore dell’Anno: i riflettori sono puntati sui 17 imprenditori selezionati dalla Giuria indipendente del Premio, presieduta da Piero Bassetti, e a confronto tra loro nel contesto della tavola rotonda “Lezioni dal cambiamento: le esperienze degli imprenditori vincenti”.

Sul podio quale Vincitore Nazionale sarà chiamato Brunello Cucinelli, Presidente e Amministratore Delegato di Solomeo, situata nell’omonimo borgo in provincia di Perugia e famosa in tutto il mondo per i suoi capi in cashmere a colori. La Giuria gli ha assegnato il massimo riconoscimento “per la continua ricerca del benessere psicofisico e della qualità della vita negli ambienti di lavoro e per l’importante azione svolta per il recupero e il restauro di costruzioni storiche e la continua attenzione in favore dell’educazione e della cultura”.

“Essere premiato come Imprenditore dell’Anno 2009 e quindi chiamato a rappresentare l’Italia alla prossima edizione mondiale di questa manifestazione mi riempie di orgoglio - commenta Brunello Cucinelli, che prosegue - Quando ho cominciato la mia attività non avevo la minima idea di cosa volesse dire essere un bravo imprenditore. Ho quindi cercato prima di tutto di essere un brav’uomo. Con coraggio e passione ho cercato di dare dignità economica e morale all’essere umano nel lavoro. Migliorare la vita dell’uomo: che l’uomo viva e lavori nella sua terra d’origine, che il lavoro umano non sia merce di scambio, che all’uomo sia dato di riconoscere il proprio valore spirituale nelle forme sensibili dell’Arte e della Natura.
Nel borgo restaurato di Solomeo si sono aperti i nostri laboratori artigianali che, come antichi cantieri medievali, non hanno proprietari, ma solo ruoli e responsabilità diverse: vere botteghe d’arte, sono fucine vitali delle nuove proposte e delle nuove idee che, rinnovandosi di anno in anno, si volgono ad ogni parte del mondo. Luoghi dei quali io stesso mi sento "custode" e non proprietario…”

Cucinelli rappresenterà l’Italia all’edizione internazionale del Premio, World Entrepreneur Of The Year 2010 che si terrà a Montecarlo, ove i vincitori nazionali dei 50 paesi in cui Ernst & Young promuove il Premio, concorreranno per il riconoscimento di miglior imprenditore a livello mondiale.
“Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati dall’andamento negativo e da un clima pesante di preoccupazione, non solo nell’economia italiana ma in tutti i mercati del mondo. Ecco perché il riconoscimento odierno ad un imprenditore quale Brunello Cucinelli, che da sempre ha dichiarato di mettere l’uomo al centro della sua visione d’impresa, può rappresentare un elemento di positività sulla scia dei primi, piccoli segnali di ripresa che alcuni indicatori e talune istituzioni stanno rilevando. – ha commentato Giorgio Mosci, partner di Ernst & Young che prosegue – D’altronde Solomeo è un gruppo imprenditoriale che ha saputo crescere anche in un momento difficile quale quello che stiamo vivendo. Non solo in Italia ma anche all’estero, dando nuovo lustro ad un Made in Italy che, combinando valori tradizionali e capacità d’innovare, potrà continuare ad essere protagonista nei mercati internazionali”.

L’iniziativa, giunta in Italia alla tredicesima edizione, è nata negli Stati Uniti oltre venti anni fa, con l’obiettivo di premiare l’eccellenza, riconoscendo gli imprenditori capaci di tradurre la propria cultura aziendale in elemento positivo di crescita e fattore differenziante per la creazione di valore, anche in contesti di mercato nazionali e internazionali incerti quali quelli attuali, contribuendo allo sviluppo socio-economico del paese. Anche quest’anno si sono candidati imprenditori alla guida di aziende, in attività da almeno 3 anni, che nell’ultimo esercizio hanno registrato un fatturato a partire dai 25 milioni di euro.
 

mercoledì 18 novembre 2009

Realizzarsi compiutamente

Spesso il nostro "momento decisivo" corrisponde più a un modello che, lentamente, si imprime nel nostro comportamento nel corso della nostra vita. Una vita che è costellata di opportunità, colte o non colte, che in sè non hanno nulla di straordinario, ma garantiscono piccoli e grandi cambiamenti.
Penso che la base della nostra realizzazione sia il risultato di un viaggio introspettivo che può essere compiuto in un breve periodo, ma può prolungarsi anche nel tempo. Questo viaggio comporta l'apprezzamento verso noi stessi, chiara individuazione di tutto ciò che può sviarci ed impedirci di realizzare pienamente le nostre potenzialità facendo attenzione soprattutto a quelle debolezze che si manifestano come tendenze abituali; definizione degli obiettivi e delle ambizioni che ci motivano realmente; esatta comprensione di ciò che noi rappresentiamo e dell'impatto che vorremmo esercitare; sviluppo di una visione del mondo e della vita che diventi la nostra guida nell'interazione con gli altri e infine l'acquisizione dell'abitudine nel tenerci regolarmente e quotidianamente aggiornati.
Questo significa "ritagliarsi" del tempo nei nostri impegni quotidiani per attivare un processo di autoanalisi, scavando sotto la superficie della nostra vita quotidiana, rimettendo a fuoco i principi cardine e i Valori fondamentali. Riportarli alla luce significa rinnovare la nostra fermezza nei propositi professionali, ma anche privati, in modo che agiscano come trampolino per azioni corrette, ricche di spirito pragmatico, ma rispettose degli altri. Riuscendo a reiterare questo processo nel corso della vita, si può forgiare una forte ed autentica identità riconoscibile dagli altri e rispettata.
Nessuno può renderci consapevoli di noi stessi. E' il nostro cammino interiore che ci forma e ci completa veramente. E' un viaggio che intraprendiamo da soli alla ricerca di noi stessi chiamando a raccolta la nostra forza di volontà, la nostra onestà e il nostro coraggio. Un viaggio questo che dura tutta la vita, "levigando" continuamente quella "pietra grezza" che è la nostra anima, un impegno per raggiungere la piena consapevolezza de noi stessi.
Ma, ripeto, è indispensabile gettare innanzi tutto le fondamenta: obiettivi, Valori, condotta Morale, coscienza dei nostri punti forti e dei numerosi punti deboli, visione del mondo.

sabato 14 novembre 2009

De brevitate

Vivete come destinati a vivere sempre, mai vi viene in mente la vostra precarietà, non fate caso a quanto tempo è trascorso.
Sentirai i più dire: a partire dai cinquant'anni mi metterò a riposo, a sessanta andrò in pensione.
Chi ti garantisce una vita così lunga ? Chi farà andare le cose secondo il tuo programma ?

Seneca

venerdì 13 novembre 2009

Linkedin, trovare lavoro sul social network


ERNESTO ASSANTE

Un tempo c’erano i "curriculum", che andavano scritti in una forma particolare, e che servivano per presentare se stessi alle aziende professionalmente parlando, sperando che questa presentazione fosse in qualche modo interessante. Oggi, nell’era multimediale, invece del curriculum c’è Linkedin, un social network il cui scopo è quello di costruire una rete di relazioni tali da poter favorire la ricerca di un lavoro. E le imprese "pescano" nel sempre più ampio parco delle domande professionali che si trovano sul sito, per fare delle offerte di lavoro. Un network professionale, dunque, un sito di autopromozione, ma anche una comunità in cui chi opera in settori diversi del mondo del lavoro può trovare i suoi simili e confrontarsi con loro.

Linkedin ha sette anni ma già più di cinquanta milioni di utenti sparsi in duecento paesi del mondo, e la sua crescita è esponenziale, con una media di centomila nuovi utenti ogni mese. Al "comando" di Linkedin, "a place for serious business people to do serious business" come si legge nel sito, un posto dove si lavora seriamente insomma e solo le persone serie sono accolte, c’è un amministratore delegato, Jeff Weiner, che arriva da Yahoo, conosce bene il mondo di Internet e sembra avere le idee chiare su come far crescere l’azienda fondata da Reid Hoffman (attuale vicepresidente di PayPal), e valutata oggi circa un miliardo di dollari.

Innanzitutto Weiner ha molto chiara la differenza tra LinkedIn e gli altri social network come Facebook e Twitter: «Su LinkedIn c’è un network di professionisti, che non vuole sapere cosa fanno gli altri nella loro vita privata, che non vogliono vedere foto delle vacanze o dei bambini. Vogliono essere collegati con altri professionisti del loro campo, e sanno che noi offriamo esattamente questo».

Insomma, Linkedin non è fatta per perdere tempo, non serve per trovare vecchi compagni di classe (anche se per la verità una piccola sezione per le "reunion" c’è) ma nuovi datori di lavoro, serve per creare occasioni professionali non feste della rimembranza. «Serve per il lavoro, non per l’amicizia», dice ancora Weiner.

Come funziona? Lo scopo di Linkedin è quello di consentire agli utenti di costruire una rete di contatti di persone che conoscono e delle quali si fidano nel mondo del lavoro. Questa rete può essere usata anche per contattare persone che non si conoscono direttamente ma che possono essere contattate attraverso altri contatti "fidati", allargando così il proprio network professionale e facendo girare in ambiti più ampi e diversi il proprio "curriculum" elettronico, che viene compilato da ogni utente al momento dell’iscrizione al sito. Più di trenta milioni di utenti sono americani, una dozzina arrivano dall’Europa, il resto dalle altre aree del mondo. Nulla a che vedere con i 300 milioni di iscritti a Facebook ma Weiner tiene a sottolineare che nel caso di Linkedin «è la qualità degli utenti che conta». Secondo i suoi dati l’80 per cento degli utenti è laureato, il 60% è un "decision maker" nell’azienda in cui lavora, «e ogni azienda delle 500 elencate da Fortune è rappresentata». Gli utenti perfetti per gli investitori pubblicitari, ai quali Linkedin, servizio totalmente gratuito, punta per guadagnare, come ha dimostrato parlando a Cannes alla festa della pubblicità davanti ad una platea di agenzie di tutto il mondo. «Linkedin funziona bene», tiene a sottolineare, «siamo andati in utile nel 2008, lo saremo anche nel 2009».

In realtà proprio per conquistare nuovi utenti Linkedin mescola sempre di più gli elementi del classico social networking con quelli della ricerca professionale, per far restare sul proprio sito gli utenti e utilizzare la rete anche per scopi meno professionali. In quest’ottica ha aggiunto la possibilità di utilizzare altri software in connessione con il sito, di aggiungere i blog, o anche di avere la "Amazon reading list" per indicare i libri più letti. E sta allargando il campo d’azione anche alle applicazioni mobili, per raggiungere il gran mare degli utenti degli smart phones: «Vogliamo essere ovunque ci sono professionisti, ci piacerebbe essere ubiqui».

La Felicità

Per la Felicità devi lavorare sull'autostima, l'empatia, l'amicizia, l'amore, l'ottimismo, ma anche la creatività, la spiritualità, la musicalità e il senso dell'umorismo. E' necessario semplificare le cose e ricordare sempre che frustrazione e paura sono sentimenti naturali. Occorre avere la consapevolezza che la Felicità dipende da come sei dentro, non dal conto in banca, anche se una parte di persone è scettica sulla verità di questo ultimo punto. L'assuefazione è comune in tutte le cose della nostra vita. Anche per i soldi. Averne pochi o molti alla fine non fa molta differenza, se ti concentri su questo aspetto non saranno mai sufficienti e la propria vita non sarà mai Felice veramente.
Come diceva Democrito "Felicità ed infelicità sono fenomeni dell'anima, la quale prova piacere o dispiacere a esistere a seconda che si senta o non si senta realizzata".

mercoledì 11 novembre 2009

Quel pasticciaccio brutto di «internet superveloce»

Dal piano 2000 agli sprechi Infratel: 10 anni di promesse.

Il progetto di superconnessione per tutti gli italiani non decolla. La Finlandia in pochi anni arriverà ai 100 Mega

ROMA — Comprensibilmente irrita­to, l’attore Luca Barbareschi, oggi de­putato Pdl e vicepresidente della com­missione Comunicazioni non sa farse­ne una ragione: «Tutta questa storia è un mistero». Si riferisce alla decisione presa dal governo di congelare i finan­ziamenti (800 milioni di euro) per la banda larga «fino a crisi finita». A crisi finita? E chi decide quando finisce? Il pasticciaccio brutto della banda larga comincia una decina d’anni fa. Apprestandosi a vincere le elezioni del 2001, Silvio Berlusconi ha un piano. Di­gitalizzare l’Italia in un battibaleno, su­perando il divario che il Paese ha già accumulato con i concorrenti. Un an­no prima delle elezioni il futuro super­ministro Giulio Tremonti ha già le idee molto chiare.

Il 9 marzo 2000 dice a Dario Di Vico del Corriere : «Internet è quanto di più anti-giacobino possa esistere ed è ovvio che avvantaggi noi. La struttura delle vecchia società sta al­la nuova come un vecchio calcolatore sta a Internet. Quello era verticale, rigi­do, piramidale. La rete è orizzontale, flessibile, anarchica, federale». E obso­leta. Per questo il governo è intenzio­nato a lanciare un formidabile piano di modernizzazione. Nomina perfino un ministro. Non uno qualunque: nientemeno che l’ex manager europeo dell’Ibm, Lucio Stanca. Ma passa un an­no e mezzo, siamo nel dicembre del 2002, e del formidabile piano per digi­talizzare l’Italia nemmeno l’ombra. E Stanca consegna la sua delusione alla stampa. «Contavo di avere più soldi, ma in questa situazione è andata fin troppo bene. L’innovazione non ha lobby, girotondi, gruppi di pressio­ne... », si sfoga sempre con il Corriere.

La verità è che non ha una lira. Mentre vede i soldi che gli erano stati promes­si andare a ingrassare i bilanci dei par­titi politici, o qualche clientela, potreb­be forse rovesciare il tavolo e andarse­ne. Invece resta lì, a galleggiare. Lan­ciando di tanto in tanto qualche pol­petta alle masse. Come il primo agosto 2005: «La banda larga è un’assoluta priorità nell’agenda di governo, che ha varato una vera e propria riforma digitale per ampliare gli strumenti me­diante i quali possono esercitare una piena cittadinanza». Diventerà poi se­natore, quindi deputato, infine ammi­nistratore delegato dell’Expo 2015. Nel frattempo viene costituita pure una società, Infratel Italia, incaricata di cablare con la banda larga il Sud, col­mando così il cosiddetto digital divi­de . La mettono dentro Sviluppo Italia: poltrone, assunzioni, consulenze. Ine­vitabilmente. Nel 2007 la Corte dei con­ti gli riserva questo trattamento: «Alla data del 31 dicembre 2006 sono stati realizzati 510 chilometri di infrastrut­ture, pari al 29% delle opere previste nel piano. Va evidenziato che i chilo­metri realizzati sono risultati inferiori a quelli programmati mentre i costi di realizzazione risultano superiori». A quella data erano abilitate alla banda larga il 23% delle aree comunali previ­ste e delle 182 centrali telefoniche pro­grammate per la fibra ottica ne erano coperte appena 36.

Un «risultato poco soddisfacente», secondo la Corte dei conti, che rilevava pure come «la re­munerazione del personale manageria­le Infratel» era apparsa «particolar­mente elevata tanto da arrivare a 1.200 euro al giorno» mentre per gli «incari­chi di consulenza» (1.283.799 euro e un centesimo) si sottolineava che era­no stati «effettuati intuitu personae, in violazione dei principi di pubblici­tà, concorrenza e trasparenza». In seguito le cose sarebbero andate un po’ meglio. Ma pur sempre nella precarietà finanziaria. Sapete quanti soldi aveva destinato a superare il co­siddetto divario digitale un Paese che è agli ultimi posti in Europa per la dif­fusione di Internet? 351 milioni. Che sono poi diventati 301, perché, beffa nelle beffe, 50 sono stati prelevati per la copertura dell’abolizione dell’Ici, promessa in campagna elettorale dal­l’attuale premier Silvio Berlusconi. Non che le cose andassero molto me­glio durante il governo di Romano Pro­di, al punto che il presidente dell’Auto­rità per le comunicazioni, Corrado Ca­labrò, il 24 luglio 2007, avvertiva: «Sia­mo al capolinea. La situazione del mer­cato italiano della larga banda non ap­pare soddisfacente. La copertura, la dif­fusione, il livello concorrenziale delle offerte segnano il passo rispetto ai Pae­si più virtuosi d’Europa. La diffusione è al 14,5%, il che ci piazza all’ultimo po­sto dei Paesi del G7 e anche dei 27 membri dell’Unione europea».

Nel 2007 il tasso di crescita della banda larga in Italia era del 3%, il livel­lo più basso d’Europa con l’eccezione del Lussemburgo. Poi è arrivato il nuo­vo governo e il viceministro alle Comu­nicazioni Paolo Romani, assessore del Comune di Monza, ha preparato un piano da 800 milioni in cinque anni. Entusiasta, ha dichiarato non più tardi del 25 settembre 2009: «Il governo ri­tiene di poter digitalizzare il Paese en­tro il 2012 e di farlo anche prima di al­tre nazioni». Quando però gli 800 mi­lioni sono stati messi sul binario mor­to (servono forse per altre cose, come tappare il buco degli stipendi per i fo­restali calabresi?) non ha fatto una pie­ga: «Il blocco dei fondi da parte del Ci­pe è un falso problema. Il piano è parti­to e va avanti». Campa cavallo. La Fin­landia annuncia che fra qualche anno garantirà a tutti i cittadini la connes­sione a 100 mega e noi siamo sempre alle prese con le stesse sardine. Con tutto il rispetto per le sardine.

Sergio Rizzo - 9 novembre 2009

martedì 10 novembre 2009

Stai attento

Stai attento ai tuoi pensieri, diventano parole.
Stai attento alle tue parole, diventano azioni.
Stai attento alle tue azioni, diventeranno abitudini.
Stai attento alle tue abitudini, diventeranno carattere.
Stai attento al tuo carattere, diventerà il tuo Destino.

domenica 8 novembre 2009

La grande baldoria


Ho appena terminato di leggere questo libro e trovando su "La pagina aubertiana" (un Blog di una libreria di Aosta), una recensione che combacia perfettamente con ciò che penso del libro, la pubblico perchè molto completa e esaustiva.

La Grande Baldoria è un incredibile affresco del capitalismo finanziario qui incarnato dal Miglio Quadrato (una dei nomignoli più ricorrenti assieme a quello di "City" per evocare l'epicentro borsistico di Londra), specchio di una società e di una mentalità che con la globalizzazione sembrano ormai invasivi a livello mondiale.

Attraverso una prosa sciolta, fresca e giovane Freedman rievoca i suoi trascorsi da broker e raccoglie un'enorme quantità di materiale documentario catturando accattivanti interviste ai protagonisti della City. Introducendoci ai termini tecnici (broker, dealer, headge fund, DCO, Subprime, ecc.) in maniera vivace e colorita Freedman cattura una serie di istantanee per larghi tratti impietose, dipingendo una classe dirigente completamente fuori dalla realtà nonchè priva della benchè minima moralità. Nient'altro che un ammasso di esseri poco meno che automatici il cui unico fine è far soldi per fare altri soldi, con modalità che lo stesso autore accomuna in maniera pericolosa al gioco d'azzardo e ad una mentalità al limite della schizofrenia collettiva. La cosa sorprendente è che Freedman ottiene tutto ciò con un linguaggio semplice e diretto, sempre alla portata di un lettore tendenzialmente ignorante e avulso da nozioni economiche e finanziarie.

Altro dato interessante è il carattere essenzialmente descrittivo della narrazione, quasi a sfondo documentario., lasciando al lettore il compito di formulare un giudizio complessivo sulle varie vicende. L'autore si astiene infatti dal condannare il comportamento dei suoi ex colleghi, anzi tende a difenderli, come una categoria che lungi dall'essere un'accozzaglia di banditi e truffatori appare nient'altro che un riflesso estremo di una società e del suo sistema di valori. Sono questi, ed altri attori ipocriti (duri gli attacchi verso Gordon Brown e la mentalità progressista laburista e democratica) ad essere i veri protagonisti di fondo della crisi finanziaria del 2008. Una crisi che affonda quindi le sue radici nei presupposti di un sistema malato all'origine, non nelle sue propaggini più macabramente estetiche (il settore finanziario).

Quasi in maniera inconsapevole Seth Freedman traccia di fatto un atto d'accusa enorme verso il capitalismo e il liberismo sfrenato, intesi soprattutto come sistemi incapaci di garantire un'adeguato livello di vita psicofisica all'individuo medio, facendolo invece entrare in una spirale in cui ciò che conta viene ad essere esclusivamente il profitto.
 
Seth Freedman, giornalista e scrittore, vive a Gerusalemme. Collabora con il Guardian, dove i suoi articoli hanno suscitato il record di risposte da parte dei lettori. Prima di trasferirsi in Israele ha lavorato come agente di borsa nella City per sei anni. Il suo primo libro, Can I bring my own gun? è uscito nel gennaio 2009

13 spunti per la vita (Gabriel García Márquez )

1 -Ti amo non per chi sei ma per chi sono io quando sono con te.

2 -Nessuna persona merita le tue lacrime, e chi le merita sicuramente non ti farà piangere.

3 -Il fatto che una persona non ti ami come tu vorresti non vuol dire che non ti ami con tutta se stessa.

4 -Un vero amico è chi ti prende per la mano e ti tocca il cuore.

5 -Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è esserci seduto accanto e sapere che non l’avrai mai.

6 -Non smettere mai di sorridere, nemmeno quando sei triste, perché non sai chi potrebbe innamorarsi del tuo sorriso.

7 -Forse per il mondo sei solo una persona, ma per qualche persona sei tutto il mondo.

8 -Non passare il tempo con qualcuno che non sia disposto a passarlo con te.

9 -Forse Dio vuole che tu conosca molte persone sbagliate prima di conoscere la persona giusta, in modo che, quando finalmente la conoscerai, tu sappia essere grato.

10-Non piangere perché qualcosa finisce, sorridi perché è accaduta.

11-Ci sarà sempre chi ti critica, l’unica cosa da fare è continuare ad avere fiducia, stando attento a chi darai fiducia due volte.

12-Cambia in una persona migliore e assicurati di sapere bene chi sei prima di conoscere qualcun’altro e aspettarti che questa persona sappia chi sei.

13-Non sforzarti tanto, le cose migliori accadono quando meno te le aspetti.

sabato 7 novembre 2009

Fernando Pessoa

Cieca, la scienza ara la gleba inutile.
Folle, la fede vive il sogno del suo culto.
Un nuovo dio è solo una parola.
Non cercare e non credere: tutto è occulto.

Fernando Pessoa

La via interiore

L'uomo diventa più forte fisicamente e spiritualmente quando è messo alla prova da resistenze o contrarietà. Il fallimento e le sconfitte sono esperienze costruttive che ci forgiano e possono aiutare a migliorare le proprie prestazioni. In qualsiasi attività che intraprendiamo e in ogni settore della nostra vita.

venerdì 6 novembre 2009

L'economia e l'etica sono sorelle e non rivali

Una delle questioni centrali affrontate nell'Enciclica papale Caritas in Veritate riguarda i rapporti tra etica ed economia. È il momento giusto per discuterne, anche perché la crisi finanziaria ha sollevato nuovi interrogativi proprio su questi aspetti.
Talvolta si pensa che etica ed economia siano due mondi distinti e separati. Non è così. Non lo è innanzitutto con riferimento al metodo di analisi delle scienze economiche. In base a un popolare stereotipo, le scienze economiche si basano sul presupposto che gli individui massimizzano solo il benessere materiale e pensano solamente al profitto. In realtà il metodo dell'economia è l'"individualismo metodologico". Esso muove dalla premessa che i fenomeni economici e sociali vanno spiegati a partire dai comportamenti individuali. Per spiegare questi ultimi, dobbiamo presupporre che l'individuo si comporti "in modo appropriato alla situazione". Cioè l'individualismo metodologico e il metodo dell'economia si basano sulla logica situazionale: spiego il comportamento spiegando la situazione. Ma "in modo appropriato alla situazione" non vuol dire massimizzare il benessere materiale. Al contrario, questo principio è compatibile con qualunque ipotesi sulle motivazioni individuali. In altre parole, non dobbiamo confondere l'individualismo con l'egoismo, così come l'altruismo non va confuso con il collettivismo.

Economia ed etica non sono separate anche in un secondo senso, ancora più rilevante. Come è sottolineato da un'antica tradizione di pensiero liberale, il buon funzionamento di un'economia di mercato e di uno stato di diritto si basano anche su presupposti etici che devono essere condivisi e su un particolare sistema di valori.
Ricordo due idee di questa tradizione. La prima è l'idea che il rispetto e l'applicazione dei contratti non può fare affidamento solo sulla legge. Occorre anche che gli individui abbiano interiorizzato le norme che governano gli aspetti contrattuali, indipendentemente dal timore delle sanzioni per chi è colto a violare lo spirito o la forma della legge.
Il rispetto per i diritti di proprietà, il mantenimento della parola data e degli impegni presi, il rispetto delle aspettative e delle intenzioni tra le parti contraenti devono discendere anche da un comune sistema di valori, non solo dagli incentivi economici o dal timore di essere sanzionati dalla legge. Senza questi presupposti, un sistema basato sul libero scambio difficilmente potrebbe funzionare.

Una seconda idea è l'importanza dell'etica professionale. Indipendentemente da incentivi e sanzioni, chi svolge determinate professioni ha obblighi e responsabilità anche morali nei confronti della società: il medico nei confronti dei pazienti, l'avvocato verso i clienti o, per ricordare un esempio recente in cui questo principio era evidentemente venuto meno, l'auditor verso i risparmiatori.
Questa tradizione di pensiero liberale trova conferma anche in una recente letteratura empirica in economia e scienze politiche. La storia ci mostra come società e paesi traggano il loro successo anche dal radicamento e dalla diffusione tra i cittadini e nelle istituzioni di queste regole di comportamento e dalla forma che esse assumono. Una distinzione importante a questo proposito è tra norme di moralità limitata o generalizzata. La moralità limitata applica la nozione di giusto o sbagliato solo a un certo ambito di interazioni sociali: la famiglia, il clan, la comunità a cui si appartiene. Al di fuori di questo ambito, quasi tutto è moralmente permesso. La moralità generalizzata si fonda invece sul presupposto che la nozione di giusto o sbagliato debba valere universalmente, nei confronti di tutti gli individui.
Non sorprendentemente, la diffusione di norme di moralità generalizzata si accompagna alla diffusione di fiducia reciproca tra estranei, e spinge a forme di organizzazione economica, sociale e politica più efficienti e progredite. Un'abbondante e convincente evidenza empirica mostra che dove vi è più fiducia generalizzata le imprese hanno un'organizzazione più decentrata, l'economia di mercato funziona meglio, vi è più senso civico, anche la partecipazione politica è più attenta al bene pubblico piuttosto che agli interessi di parte. Insomma, numerose ricerche in campo economico e politologico suggeriscono che la diffusione di norme di moralità generalizzata sono un ingrediente centrale per spiegare lo sviluppo economico e il buon funzionamento delle istituzioni.

Tuttavia la tradizione liberale si ferma qui. Essa sottolinea l'importanza di condividere un particolare insieme di regole di comportamento che facilitano la convivenza sociale. Ma si guarda bene dal chiedere che vengano condivisi anche i fini, se non nel senso del principio kantiano, che gli individui devono sempre essere riconosciuti come fini e mai usati come mezzi per raggiungere un altro fine. Al contrario, nel pensiero liberale l'economia di mercato in uno stato di diritto è molto più di un mezzo per produrre ricchezza e allocare con efficienza risorse scarse. Esso è anche e soprattutto un sistema che consente a ogni individuo di perseguire il suo fine, i suoi obiettivi personali, di autodeterminarsi in linea con il suo particolare sistema di valori. Possiamo invocare un legame più stretto di così tra etica ed economia, o invocare principi etici più forti, senza rinnegare la visione liberale dell'economia di mercato in uno stato di diritto? In particolare senza correre il rischio di interferire con la libertà individuale di autodeterminarsi? Qual è il ruolo della politica al riguardo? Come evitare che anche la politica diventi occasione di abusi e di sopraffazione, magari nel nome del bene comune, come è avvenuto in passato? Queste domande entrano in dialettica con l'enciclica papale e aprono un serio e opportuno confronto. Nel rispetto di un altro importante principio caro alla tradizione liberale: che la verità non è manifesta; e che il modo migliore per progredire nella ricerca della verità è cercare di correggere gli errori. Il che richiede un dibattito aperto e critico tra diversi punti di vista.

L'articolo è tratto dall'introduzione al dibattito all'Università Bocconi, "Caritas in veritate - Un'altra economia è davvero possibile?", con la partecipazione del cardinale Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano.

di Guido Tabellini - Il Sole 24ore - 5 Novembre 2009

martedì 3 novembre 2009

Le difficoltà

Le difficoltà sono parte della vita, il vero problema sta nel modo in cui le affrontiamo. Cerco sempre di sforzarmi, di fronte ad un momento difficile, di pensare che differenza farà tutto questo nella mia vita domani, un mese o un anno dopo. Solitamente mi rasserena: nel tempo certe cose che appaiono enormi, diventano piccole e insignificanti per la nostra vita nel proseguio.

domenica 1 novembre 2009

Il pericolo della mediocrità

Dovunque e comunque si manifesti l'eccellenza, subito la generale mediocrità si allea e congiura per soffocarla.
A. Schopenhauer

sabato 31 ottobre 2009

I campioni

I campioni non nascono in palestra. I campioni sono fatti di qualcosa che hanno dentro, nel profondo: un desiderio, un sogno una visione.
Devono avere l'energia per l'ultimo minuto, devono essere un pò più veloci, devono avere la pratica e la volontà .
Ma la volontà deve essere più forte della pratica.
Muhammad Ali

mercoledì 28 ottobre 2009

Conoscere il proprio obiettivo

Conoscere il proprio obiettivo è sinonimo di sicurezza; solo la sicurezza porta tranquillità; solo la tranquillità porta la pace interiore; solo la pace interiore permette ragionamenti seri e assennati; solo ragionamenti seri e assennati portano al successo.
Lao-Tzu

venerdì 23 ottobre 2009

Una riflessione sulla vita

Questa mattina, presto come mio solito, leggevo alcune considerazioni fatte da Seneca e riflettevo ancora una volta sulla estrema attualità che tanti scritti, antichi di millenni, posseggono tuttora.
Sulla vita diceva che non è breve, siamo noi a renderla tale bruciando il nostro tempo. Consumiamo e ci consumiamo in una costante accelerazione che non paga.
Questa affermazione di migliaia di anni fa, quando certamente l'aspettativa di vita era notevolmente minore, ma anche i tempi erano certamente dilatati, mantiene oggi tutta la sua forza e il suo monito al genere umano.
Il primo destinatario sono io che, nonostante pensi spesso al tempo della vita, mi faccio poi fagocitare dall'azione continua. In certi momenti sento la mancanza di un "mentore", una persona che possa aiutarmi a fare chiarezza tu tante domande e mi sia di sostegno nelle decisioni. Le letture sono certamente utili, ma il confronto con qualcuno che ascolta con attenzione ciò che dici e magari sa formulare le domande giuste, é raro da trovare. Anche perché mi capita il contrario: le persone desiderano essere ascoltate.

lunedì 19 ottobre 2009

Il potere delle domande

Spesso conviene pensare che l'intero Universo congiuri per renderci la vita difficile, ogni volta più difficile. Ma se riuscissimo continuamente e indipendentemente dalle circostanze a pensare e agire responsabilmente, cercando ogni volta le possibili risposte, da un lato potremmo trovare nella nostra vita più soluzioni rispetto all'ipotesi opposta, ma dall'altro nel lungo periodo potremmo incrementare la nostra autostima con effetti benefici e duraturi per l'umore. Ottimismo della volontà come energia.
Il metodo per essere responsabili consiste nell'imparare a farsi sempre, anche nelle situazioni più spiacevoli, le domande "giuste", non smettendo mai di farsene anche quando le risposte tardano ad arrivare o sono parziali, incomplete, insoddisfacenti. Purtroppo si tende a porsi le domande "sbagliate" del tipo: "di chi è la colpa ?".
Di solito la colpa non è mai nostra, ma degli altri, per cui "non ci si può fare nulla". Ne consegue la contemplazione del proprio "dolore" e della propria impotenza con le prevedibili conseguenza sull'autostima.
La domanda invece è: "di chi è il problema ?", "che cosa posso fare per agire sulle cause di questo dolore ?".
Le possibili risposte dimostreranno a noi stessi che non siamo impotenti perchè qualcosa avremo ottenuto.

venerdì 16 ottobre 2009

Stai attento

Stai attento ai tuoi pensieri, perchè diventano parole.
Stai attento alle tue parole, perchè diventano abitudini.
Stai attento alle tue abitudini, perchè diventano carattere.
Stai attento al tuo carattere, perchè diventa il tuo Destino.
Frank Outlaw

giovedì 15 ottobre 2009

Onora il Padre


Alcuni giorni fa è stata data la notizia della morte di Tommy Berger, di cui avevo letto il suo libro "Onora il padre".  Mi aveva colpito molto il racconto della sua storia, tanto che al termine della lettura, gli avevo anche scritto esternandogli le mie emozioni. Una storia che spesso si ripete, soprattutto quando ci sono dei soldi, molti soldi. La sua testimonianza riporta il susseguirsi di eventi che portano, i figli, ad appropriarsi del capitale creato dallo stesso Berger nella sua vita. Una vita non semplice, ma di un uomo dalle grandi intuizioni ed enorme tenacia nel perseguire globiettivi. Lui dichiarava di aver scritto il libro per far conoscere a tutti ciò che gli era accaduto e aveva disposto che fosse regalata una copia del libro, al compimento del 18 compleanno, ad ogni nipote perchè potessero giudicare l'operato dei propri genitori. In tutti i casi, una storia molto triste.

Hag, Faemino, Digerselz, Fonti Levissima. Sono i grandi marchi che si legano a Tommaso Berger, imprenditore di origini austriache e morto all'eta' di 80 anni mentre si trovava a Rio De Janeiro. Negli Anni 50 e 60 fu proprietario dello stabilimento della 'Crippa&Berger-Fonti Levissima' di Cepina (Sondrio) decretando il salto di qualita' del marchio tanto che nei primi anni '90 la maggior parte dei 300 miliardi di lire di fatturato medio annuo proveniva proprio dallo stabilimento della Valtellina, gia' all'epoca considerato asset strategico. Bergher era nato a Vienna da una ricca famiglia ma era sostanzialmente cresciuto a Milano dove il padre dirigeva la branca italiana dell'azienda ereditata dal nonno. Le leggi razziali lo indussero, nel 1938, a fuggire in Svizzera. Torno' nel capoluogo meneghino con la Liberazione. E' il 1951 quando assume la guida dell'azienda in concomitanza con la morte del padre. Ed e' qui che crea uno dei piu' grossi imperi industriali nel settore alimentare italiano: dal caffe' Hag (marchio rilevato nel '50 da un industriale tedesco), alle acque minerali Sangemini e Fiuggi, oltre a Levissima. Berger ha sempre creduto nella pubblicita' sin dai tempi di Carosello. In anni successivi passo' anche a prodotti non alimentari: la pomata Vegetallumina inventata dal padre e lanciata definitivamente sul mercato da Tommaso Berger e il lucido per scarpe Guttalin. Tutti i marchi da lui detenuti furono venduti nel 1992 alla Garma di Raoul Gardini.

martedì 13 ottobre 2009

Trova il tempo

Trova il tempo per lavorare, è il prezzo del successo.
Trova il tempo per riflettere, è la fonte della forza.
Trova il tempo per giocare, è il segreto della giovinezza.
Trova il tempo per leggere, è la base del sapere.
Trova il tempo per essere gentile, è la strada della felicità.
Trova il tempo per sognare, è il sentiero che porta alle stelle.
Trova il tempo per amare, è la vera gioia di vivere.
Trova il tempo per aiutare gli altri, è la magia che combatte la solitudine.
Trova il tempo per essere contento, è la musica dell'anima.

lunedì 12 ottobre 2009

Il mondo secondo Cucinelli: cachemire, utili e filosofia


C' è chi sguazza nel mondo del fashion tra un party e un evento mondano, con immancabile codazzo di celebrities per promuovere le proprie collezioni. E chi, come Brunello Cucinelli, diserta il jet set modaiolo "predicando" la semplicità (che è difficile a farsi, scriveva Bertolt Brecht) insieme al ritorno a una vita normale. Non parla di fashion, ma di moda. Non legge i manuali dei guru dell' economia e della finanza, ma i pensieri dei grandi uomini che hanno fatto la storia. Non usa termini come business, sales, ebitda o roe: preferisce raccontare di fatturati, utili o ritorno sugli investimenti. Tutte voci che nei bilanci della sua azienda sono in crescita da anni. Anche in questi ultimi, segnati dalla crisi. Dati alla mano il fatturato del gruppo (che comprende i marchi Brunello Cucinelli Cashmere, Gunex e Rivamonti) è passato dai 120,76 milioni di euro del 2007 (+32,34% rispetto al 2006) ai 143,86 del 2008 (+19,21). La previsione per il 2009 è di chiudere l' esercizio con un giro d' affari di 154 milioni di euro. Vale a dire il 7,04% in più. Linea del grafico verso l' alto anche per gli utili (prima delle imposte) che dai 6,59 milioni del 2007 (+76,68% rispetto al 2006) hanno raggiunto i 7,93 milioni nel bilancio 2008 (+20,33). E nel difficile scenario economico che tutti conosciamo, non ha lasciato a casa nessuno. Anzi. Ha fatto nuove assunzioni: i 414 dipendenti interni del 2007 oggi sono diventati 465. Senza contare i collaboratori dell' indotto che sono ormai più di un migliaio. Esporta il 65% del fatturato nei principali mercati del mondo - Stati Uniti, Europa, Giappone e Far East - attraverso 35 negozi monomarca (diretti e in franchising) e «972 multimarca di fascia alta. Partner importanti - tiene a dire Cucinelli - perché sono i veri giudici delle collezioni. Se hai il coraggio di ascoltarli, e noi lo abbiamo sempre avuto, ti sanno dare grandi consigli». E ai suoi 972 partner si è rivolto nel momento peggiore dei mercati. Nel pieno della crisi, che in molti hanno definito peggiore del crollo del 1929, «gli imprenditori come me avevano paura, paura di perdere le proprie aziende. Allora insieme ai miei collaboratori, con cui da sempre condivido le scelte, abbiamo deciso di scrivere ai nostri partner dicendo: siamo qui. Resistiamo». E i partner hanno capito. «Persino Saks ci ha risposto dicendo che un' azienda come la nostra va sostenuta». Una bella soddisfazione per Cucinelli che proprio dagli Stati Uniti ha ricevuto per due anni consecutivi (2003, 2004) il premio "Best of the Best" come «migliore e più sofisticato stilista al mondo nel settore sportwear di cachemire». Ma forse, il riconoscimento più gratificante è quello che a giugno gli ha assegnato l' Associazione archivio storico Olivetti, nominandolo "Imprenditore Olivettiano 2009". Anche perché in poche righe i giudici di Ivrea sono stati davvero bravi a raccontare chi è e cosa fa l' imprenditore filosofo (come è stato ribattezzato Oltralpe): «Ha creato e sviluppato un gruppo industriale italiano di grande successo sui mercati internazionali basandosi su valori fondamentali, quali il rispetto delle persone, la ricerca costante della bellezza dei prodotti, l' amore per l' ambiente e per il territorio umbro, la promozione dell' arte e l' impegno per la rinascita del borgo di Solomeo alle porte di Perugia (dove ha sede la sua azienda n. d. r.). La sua esperienza imprenditoriale è in forte sintonia con i valori che hanno caratterizzato l' azione di Adriano Olivetti». La scorsa settimana ha inaugurato a Roma il primo monomarca Brunello Cucinelli nella capitale, in partnership con la famiglia Sermoneta, «storica dinastia di mercanti. Nell' accezione nobile del termine», sottolinea Cucinelli che ha "usato" l' occasione per parlare di futuro. Futuro della sua impresa che, dopo l' inaugurazione del mononarca a Tokyo di qualche settimana fa, prevede di aprire a New York (Madison Avenue), Miami, Knokke, Monaco e Dubai. E futuro dell' umanità in cui Cucinelli vede «qualcosa di nuovo. Penso che oggi sia possibile, e dunque doveroso, un risorgere economico, morale, civile». Una visione positiva che trova ragione nella storia. «Il quadro storico dei nostri giorni è profondamente diverso da quello antico - racconta - tuttavia le difficoltà e le incertezze di oggi gettano sul futuro ombre non meno dense di quelle che agitarono il mondo ai tempi di Marco Aurelio. In questo contesto la Storia ha chiamato a guidare l' America Barack Obama. Il suo destino e la sua viva testimonianza mi hanno suscitato forte emozione e un' ammirazione che fino a oggi avevo provato soltanto dinanzi alla figura di Marco Aurelio, l' imperatore che fu responsabile dei destini di tutto il mondo allora conosciuto». Per condividere questa visione, Cucinelli ha regalato ai suoi collaboratori, agli amici e alle persone con cui dialoga quotidianamente, i Pensieri di Marco Aurelio, i discorsi di Barack Obama e un quaderno di "Riflessioni" in cui lo stesso Cucinelli immagina un dialogo tra i due grandi statisti.

domenica 11 ottobre 2009

Italia una società bloccata

IRENE TINAGLI

Cosa spinge le persone a studiare, lavorare e impegnarsi ogni giorno per fare sempre un po’ di più? È la speranza di poter garantire a se stessi e ai propri figli un futuro migliore. Una speranza che si realizza quando in un Paese esiste mobilità sociale. È questa prospettiva di crescita personale che fa muovere un Paese, che stimola le persone a imparare, a produrre e a creare ricchezza, non l’obiettivo della pensione o quello di ridurre il debito pubblico.

Eppure, noi ci preoccupiamo solo delle pensioni e di escamotage contabili per far tornare i conti. Legittimo, anche questo è necessario. Ma abbiamo smesso di preoccuparci di ciò che davvero contribuisce alla costruzione del futuro, di quello che i cittadini sperano, sognano, temono. Abbiamo dismesso le loro paure, bollandole come «psicologiche», irrilevanti. Così facendo abbiamo commesso due gravi errori. Primo, abbiamo dimenticato quello che ormai tutti gli economisti sanno: che sono proprio le percezioni e i fattori psicologici che alla fine determinano le scelte e i comportamenti economici delle persone. Se le persone sono convinte che qualsiasi cosa facciano sarà inutile ai fini della loro crescita personale, smetteranno di investire in se stesse, di impegnarsi nello studio o nel lavoro che fanno.

Secondo, abbiamo rinunciato ad analizzare e capire la realtà in cui vive il Paese. Il sentire delle persone non nasce dal nulla, nasce da esperienze concrete e dalle dinamiche sociali ed economiche. È importante cogliere questi fenomeni con tempismo per adottare politiche e interventi adeguati. Un’analisi approfondita di queste dinamiche mostra che l’Italia è in effetti un Paese bloccato e che il rallentamento della mobilità sociale non è una percezione infondata. È invece legato a problemi reali del nostro sistema economico e sociale che si sono acutizzati nel tempo. Negli ultimi anni in Italia sono aumentate le diseguaglianze, e la povertà si è diffusa tra i giovani e le famiglie con i bambini piccoli, tanto che oggi l’Italia è il Paese europeo con il più alto tasso di bambini a rischio di povertà. Non solo, ma l’Italia è anche uno dei Paesi in cui è più difficile uscire dal disagio. Questi sono tutti elementi che rendono la nostra società sempre più rigida e difficile da «scalare». Una società in cui la famiglia di origine è sempre più determinante nell’accesso alle opportunità e nella probabilità di successo delle nuove generazioni. Abbiamo uno dei tassi di «ereditarietà» della ricchezza più alti d’Europa: i dati sull’elasticità dei redditi tra padri e figli ci dicono che in Italia circa il 50% del differenziale di ricchezza dei genitori si trasmette ai figli, un dato altissimo se confrontato con altri Paesi europei in cui si aggira attorno al 20%.

Cosa significa questo? Significa che i figli dei ricchi tendono a restare ricchi e i figli dei poveri tendono a restare poveri. Non solo, ma è sempre più difficile per i ragazzi nati in famiglie umili avere la possibilità o la forza di riscattarsi. In Italia la probabilità che un giovane con padre non diplomato si laurei è solo del 10%, contro oltre il 40% dell’Inghilterra e il 35% della Francia, per fare un esempio. Questo ci dice che milioni di giovani in Italia stanno gettando la spugna. La situazione è particolarmente allarmante perché non esiste in Italia nessun piano o misura che si proponga di affrontare il problema in modo strategico e sistematico. Ed è proprio questo quello che più di ogni altra cosa ci distingue rispetto ad altri Paesi. Infatti, l’irrigidimento della società è un problema che non riguarda solo noi ma che, in vario grado e misura, caratterizza anche altri Paesi industrializzati come Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti. Tuttavia in questi Paesi esiste una consapevolezza maggiore verso questi temi, che ha portato all’adozione di misure strutturali volte a recuperare dinamismo e restituire opportunità a ceti sempre più esclusi. Una strategia che in Italia manca completamente.

Ma quali sono le politiche attivabili per riattivare la mobilità sociale di un Paese? Da un lato politiche sociali efficaci per garantire a cittadini di ogni provenienza sociale pari accesso alle opportunità di crescita, dall’altro un sistema economico in grado di riconoscere i meriti e dare modo a chi è bravo di far carriera. I Paesi che stanno cercando di recuperare mobilità sociale intervengono in queste direzioni, soprattutto in quella su cui sono più carenti. Per esempio Inghilterra e Stati Uniti, che tradizionalmente hanno privilegiato i meccanismi meritocratici di mercato, stanno investendo pesantemente in politiche sociali per restituire ai ceti più deboli opportunità di crescere e migliorarsi. L’Italia invece è debole su entrambi i fronti. Ha un sistema economico ancora molto ingessato da protezioni di vario genere, e una spesa sociale dominata per il 60% dalle pensioni che non lascia spazio per lo sviluppo dei bambini, per i giovani, e per tutti quei servizi che aiutano le giovani famiglie a conciliare lavoro e carriera e a crescere. Possiamo continuare ad ignorare il problema e ad evitare le necessarie riforme ed investimenti, ma dobbiamo allora essere pronti a subirne le conseguenze. Conseguenze che sono visibili già oggi, ma che saranno ancora più gravi tra qualche anno. Perché se i dieci milioni di bambini e ragazzi che ci sono oggi in Italia non avranno l’opportunità o la motivazione di studiare, impegnarsi e migliorarsi, non riusciranno ad avere le competenze necessarie per competere su un mercato del lavoro sempre più agguerrito e globalizzato. E se non saranno competitivi loro, non lo sarà nemmeno l’Italia.

sabato 10 ottobre 2009

Scendere in piazza

Abbiamo sempre avuto, dall'inizio della civiltà, il bisogno di socializzare. Abbiamo costruito spazi comuni (la città, il paese, il quartiere) dove ci si conosceva quasi tutti. Poi, con le macchine e una nuova cultura, è arrivato l'isolamento. Ma è già in corso una rivoluzione globale: il ritorno alla comunità. Digitale.
Per millenni la vita si è svolta nelle piazze, nelle terme, nelle cattedrali, nelle botteghe e nei salotti. Poi le macchine e la società industriale hanno provocato una rarefazione delle relazioni umane, come aveva profetizzato già nell'Ottocento Alexis de Tocqueville: "Vedo una folla smisurata di esseri tutti uguali fra loro, che volteggiano su se stessi per procurarsi piccoli e mescini piaceri. Ognuno, ritiratosi in disparte, è come straniero a tutti gli altri". Con l'avvento dell'informatica, rivive lo spirito comunitario che sonnecchiava nel nostro inconscio e si concretizza in network come Facebook, dove lo scambio di informazioni e di emozioni ricrea lo spirito dell'antico agorà.