giovedì 27 marzo 2014

Applicare l'etica del Guerriero ricercatore

Un Guerriero ricercatore della verità è colui che prova a non escludere nulla di quello che gli viene proposto, che non ha alcun tipo di pregiudizio sugli altri esseri umani e sulle altre tradizioni e che, oltre alla lotta fisica, conduce una battaglia continua contro le proprie incertezze, paure ed egoismi, rifiutando sempre la menzogna.

Tenta di abbinare il combattimento - della vita quotidiana - alla ricerca di se stesso, cerca di trovare il giusto equilibrio in ogni azione e studia incessantemente la via iniziatica per sviluppare la capacità di meditare e concentrarsi su ciò che fa. Sente di essere tutt'uno con la spada che simbolicamente lo affianca quale unione tra la spirito e la materia nella difesa dei Valori. Lavora costantemente su se stesso e spesso il suo metodo di combattimento è quello del "non combattere", per far abbassare l'aggressività degli altri tramite la sua calma interiore. Non mira all'eliminazione fisica del nemico, cerca di bloccarne l'azione aggressiva, negativa, cerca quindi di rendere positivo ciò che è negativo. Solo così interpreta la vittoria. 

Vincitore non è colui che abbatte il nemico, ma chi riesce a ricavare dal combattimento un insegnamento. Rispetta alcune regole etiche interiori, non vissute come imposizioni, ma come parte integrante della propria sensibilità nella ricerca del vero.
Cerca di essere onesto, aperto, combatte le ingiustizie -prima di tutto le proprie - sapendo che per combattere per il miglioramento della vita altrui deve innanzi tutto migliorare la propria, iniziando dalla propria etica oltre che dal proprio fisico. 

Non ha dogmi,  segue dogmi di altri, vuole essere un uomo libero con una continua voglia di crescere e conoscere che lo deve portare ad accettare tutto e diffidare di tutto cercando conferma di ciò che gli è stato detto e, solo dopo averlo scoperto personalmente, esprimere il proprio parere. 

Le sue regole sono semplici: non mentire mai e per nessun motivo, essere onesto verso se stesso e gli altri, avere la giusta ed eguale considerazione delle persone senza fare alcuna distinzione di razza, età, sesso, convincimenti o status economico.



domenica 23 marzo 2014

Certi libri costituiscono un tesoro, un fondamento: letti una...



Certi libri costituiscono un tesoro, un fondamento: letti una volta, vi serviranno per il resto della vita.

Ezra Pound

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Si dice che cerchiamo un significato per la vita. Non credo che...




Si dice che cerchiamo un significato per la vita.

Non credo che sia questo che cerchiamo realmente.

Credo che quello che cerchiamo è un’esperienza che ci faccia sentire vivi.

Joseph Campbell




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Mister Yoox, le mie idee nei weekend

L’appuntamento è su Marte, la sala che sta al centro del piano tutto vetri e scale e ringhiere di ferro bianco. Avrebbe potuto anche essere su Giove o Uranio o Sirio o Callisto perché così si chiamano le aree riunioni. O nel suo ufficio che è comunque al di là dei tendoni di velluto rosso che scorrono in circolo: in Yoox Group non ci sono pareti. Come nell’universo. Federico Marchetti ma questa del cosmo è una novità? «Chi non sogna di andare sullo spazio?». Beh, in effetti c’era il Piccolo Principe, per esempio, che non pensava ad altro. «Uno dei miei personaggi preferiti», sorride ancora il manager che sulla terra è fra i più pagati d’Italia dopo Marchionne (Fiat) e Francavilla (Luxottica). Altri eroi? «Peter Sellers in The Hollywood Party e poi l’intelligenza artificiale di 2001 Odissea nello Spazio, Paperino quando diventa Paperinik, Neo in Matrix e il Fellini sognatore». Certo che per essere il presidente/ad dell’azienda italiana più quotata in borsa del 2013 (ha chiuso l’anno con un +173 per cento, oltre sette volte il prezzo di quotazione e una capitalizzazione di mercato che ora è a circa 1,7 miliardi di euro) l’uomo, classe 1969, è decisamente sui generis: «Mi piaceva distinguermi, anche nell’abbigliamento. Anticipavo, per istinto. Penso che questa sia una dote, la mia: cogliere le cose un attimo prima che siano».

Ravennate, figlio di impiegati (papà alla Fiat, mamma alla Sip), 46 anni, una compagna, giornalista inglese, e una figlia. Ha scelto di vivere con la famiglia sul lago di Como, ma ha case anche a Milano e New York. L’accento non tradisce la sua Romagna, dove torna sempre per anniversari e ricorrenze. Quattordici anni fa ha fondato Yoox.com, azienda leader nell’e-commerce:

 «Nel 2000 ero a meno 120 milioni di lire in banca, senza un lavoro, un finanziatore o una famiglia-paracadute. Ma ci credevo. Se fosse andata male? Sarei scappato a fare piadine in Brasile».

Ora invece c’è la Silicon Valley che la corteggia, la vorrebbero là in mezzo, fraGoogle e Yahoo e Microsoft: la chiamano il Bill Gates italiano. «E invece resto. In Italia si vive bene. E pazienza se, qui, continuano a dire “Marchetti chi”? Ci ho fatto l’abitudine il nostro modello imprenditoriale e quello dell’azienda/famiglia e dei figli di.. che però non è mai stato un modello di capitalismo esemplare. Mancano, per questo, ai giovani, eroi positivi». Un «nerd» (secchione), geniale e bizzarro, dicono: «Mi proponevo ogni anno di arrivare al sei, non di più. Ma avevo ed ho una memoria incredibile e quindi…». Erano tutti dieci, o quasi. «Però mi ammazzavo di sport e uscivo con gli amici. Sono sempre stato curioso. La passione vince. Ti porta ovunque a prescindere». Però lei voleva fare lo psichiatra. «Sì. Ma in quell’anno a Bologna a Medicina c’era il numero chiuso e io ero a surfare, con i capelli lunghi, gli amici (gli stessi di oggi) e un pulmino arancione. Non andai al test. In settembre accompagnai Paolo in Bocconi per la prova. Tentai: misi le crocette a caso e io passai e lui no. Un’ingiustizia, sì».  Saranno contenti in Bocconi! «Copiare non è etico, lasciare al caso sì». Morale: laurea con 110 e lode, master alla Columbia, francese e inglese fluente, giapponese da conversazione, e un’assunzione immediata. «È stata un’intuizione: creare un link fra quei due mondi, Internet e moda, pur non appartenendo a nessuno dei due. Di me dico: sono un imprenditore estetico, né un uomo del business, né della finanza». Azienda premiata più volte per la sua «sostenibilità»: il 55 per cento degli 800 dipendenti sono donne e i loro stipendi sono equiparati a quelli degli uomini. Lei lo farebbe il «mammo»? «Per un mese, per un anno dovrei chiedere al Cda. L’universo dei bambini è affascinante e quindi dico magari». A casa si sconnette? «Mai e la mia compagna si arrabbia. Posseggo ogni genere di accesso e, si sa, il weekend produce sempre le idee migliori. E poi sono un appassionato d’arte e di aste: compratore “remoto” (online), naturalmente». Dalla verdura a un Lucian Freud, se però un giorno arrivasse a casa e scoprisse che sua figlia le ha svuotato la carta di credito online? «Purché su Yoox.com! Scherzo. Detesto il pushing: considero il cliente una persona intelligente e non un pollo da spennare». Da solo o in squadra? «Senza i collaboratori giusti non vai da nessuna parte. Diciamo però che nella moda, ci sono ancora troppe personalità assolute». Dopo la moda, l’arte, il cinema (è di questi giorni la notizia del premio Nastro D’argento al corto per Yoox.com con la regia di Stefano Accorsi), cosa? «Lo spazio! Giuro. Non ci credete? Vedrete», e questa frase, pare, l’abbia già detto, «solo» quattordici anni fa.

Paola Pollo - Tempi liberi - Corriere.it (http://moda.corriere.it/2014/03/22/mister-yoox-le-mie-idee-nei-weekend/)




venerdì 21 marzo 2014

4 modi bizzarri per aumentare la tua creatività

Vuoi aumentare la tua creatività? Metti in disordine la tua stanza: è una strategia che fa bene al cervello e libera i flussi creativi. Ecco quattro modi bizzarri per aumentare la tua creatività secondo il sito di business americano Inc.com.

1. Il disordine sul luogo di lavoro ti rende più creativo

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Una ricerca dell’Università del Minnesota dimostra che le persone che vivono in una stanza disordinata sono più creative di quelle che hanno appartamenti ordinati con ogni cosa al suo posto.  Questo accade, sempre secondo la ricerca, perché un ambiente disordinato ti aiuta a vedere le cose in un modo nuovo. Per questo, non perdere troppo tempo a lucidare la tua scrivania.

 

2. Il colore dei creativi? È il blu!

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Sappiamo che i colori influenzano lo stato d’animo di una persona. Questo avviene anche per la creatività? Ebbene, sì! Uno studio dell’Università della Columbia  si è occupato dell’impatto sulla mente umana di due colore: il rosso e il blu. La conclusione è che mentre il rosso aiuta a focalizzare l’attenzione su un dettaglio, il blu è il colore di cui hai bisogno per arricchire la tua creatività. Ciò avviene perché la mente lo associa ad ambienti che danno pace come l’oceano e il cielo e che spingono la voglia di esplorare.

3. Sei stanco o distratto? È il momento per essere creativo!

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Se punti alla produttività allora ti conviene lavorare alle prime ore del mattino quando sei sveglio e vigile. Per la creatività avviene il contrario. Secondo alcune ricerche, pubblicate su una rivista scientifica americana stanchezza e distrazione rappresentano un’ottima combinazione per una mente creativa,che è più recettiva quando è piena di informazioni. In altre, parole più la tua mente è sovraccarica più aumentano le tue chance di imbatterti in una grande idea.

4. Mente creativa in corpo sano

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Una ricerca dell’Università del Rhode Island dimostra che l’esercizio fisico è l’ideale per chi aspira a una mente creativa. Lo studio ha messo a confronto due file di partecipanti: sedentari e reduci da un intensa attività fisica. Entrambi sono stati sottoposti a un test sulla creatività. Risultati: i partecipanti reduci dall’allenamento fisico hanno conseguito risultati migliori di chi ha trascorso il suo tempo sul divano o su una sedia.

Redazione Millionaire.it (http://millionaire.it/4-modi-bizzarri-per-aumentare-la-tua-creativita/)

domenica 16 marzo 2014

(C’era una volta) il #multitasking

C'è stata un'epoca in cui dire multitasking faceva figo. Andava di moda. Come il minimal negli anni '90, come la rucola sulla tagliata o come il pomodoro pachino agli aperitivi.

Le aziende cercavano candidati dai profili "multitasking", e potersi fregiare del suddetto aggettivo era per tali candidati (leggi: disoccupati), un indubitabile motivo di orgoglio.

In molti cv si parla di multitasking. Ma da dove deriva questo termine?

Risale agli anni Sessanta, quando veniva utilizzato per descrivere il computer. All’epoca, il multitasking riguardava compiti multipli che condividevano alternativamente una stessa risorsa (la CPU, il cervello del computer), ma con il tempo questa sfumatura si è persa e il significato è diventato quello di compiti multipli eseguiti simultaneamente da una risorsa (una persona). Inutile dire che è stato un cambiamento fuorviante, perché persino i computer processano una sola stringa di codice alla volta: quando sono in modalità multitasking alternano  velocemente un compito all’altro fino a portare a termine entrambi. Gli esseri umani effettivamente possono fare due o più cose insieme, per esempio camminare e parlare, ma come i computer non possiamo concentrarcisu due cose contemporaneamente. La nostra attenzione rimbalza da una cosa all’altra e questo provoca serie ripercussioni sia sulla nostra produttività che, quel che è peggio, sul nostro stato di salute psicofisica.

Ho scoperto tutto questo leggendo “Una cosa sola”, manuale scritto a quattro mani da Gary Keller e Jay Papasan (imprenditore nel settore immobiliare esperto di business l’uno e trainer/formatore/autore l’altro), uscito da meno di un mese per tre60 edizioni e che promette di insegnarci qualcosa di cui, ammettiamolo, tutti sentiamo un gran bisogno: definire le proprie priorità.

Stop al multitasking: "Una cosa sola" di Gary Keller e Jay Papasan (edizioni tre60) spiega come fissare le priorità.
"Una cosa sola" di Gary Keller e Jay Papasan (edizioni tre60), il manuale che spiega come fissare le priorità nel lavoro e nella vita.

Non capita anche a voi di aprire Twitter e andare in ansia per la quantità di informazione disparata che compare nel newsfeed?

Fino a non molti anni fa c'erano i quotidiani e c'erano i tg, al massimo la radio e i settimanali di approfondimento.

Oggi, le informazioni ci sommergono. Letteralmente: ci perseguitano.

E al contempo la capacità di approfondire, di concentrarsi e di selezionare diminuisce in maniera inversamente proporzionale alla mole di informazione che invade le nostre giornate.

Io stessa prima ero una lettrice vorace, adesso accumulo libri sul comodino e dopo trenta pagine cambio. Ok, è vero che quando il proposito è leggere La Recherche di Proust ci si può anche sentire giustificati ad alzare bandiera bianca, ma il punto è un altro: siamo sempre più incapaci di concentrarci, nel lavoro come nella vita.

Prima, almeno il treno era uno spazio fuori dal tempo in cui riuscivo a leggere: adesso, questa terrificante incapacità di concentrarmi mi perseguita anche lì.

Dovrei provare a fare letture diverse, forse?

E' che non accetto la sconfitta, tutto qua.

Siamo sempre più connessi e più schizofrenici: e non dite di no, perché lo so che non sono la sola.

Abbiamo in mano tutto ma non possediamo niente, sappiamo un po' di tutto ma non approfondiamo niente, o comunque poco. L'agenda setting adesso la fanno i social network, non a caso Facebook sta per lanciare il suo progetto legato alle news, Paper.

La verità è che il multitasking è una grandissima bufala. Un po' come la laurea in scienze della comunicazione: una di quelle cose che hanno fatto moderatamente figo per un po', per poi diventare inutili o peggio obsolete.

Continuando come mosche impazzite a stare dietro a tutto, a voler sapere di tutto, a ostinarci ad infilare sempre più cose nelle nostre giornate sempre più piene, compilando e spuntando liste, riusciremo solo a rimanere incastrati come il criceto nella ruota, avvolgendoci su noi stessi e rincorrendo il tempo.

E' giunto il momento di fermarsi.

Sapete perché non abbiamo mai tempo per fare tutto?

Non perché il tempo sia poco, semplicemente perché siamo noi che vogliamo fare troppo.

Semplice, banale. Vero.

Solo recuperando l'essenziale potremo sperare di arrivare da qualche parte e di raggiungere una qualche soddisfazione, la nostra personalissima definizione di successo.

E con recuperare l'essenziale non intendo andare in ritiro spirituale, ma semplicemente fare quello che giorno dopo giorno ci è realmente utile, che ci fa stare bene, sentire realizzati e che ci fa fare un passo avanti nel nostro personale progresso.

Gary Keller e Jay Papasan ci danno qualche dritta al riguardo:

  1. Riducetevi: non dovete concentrarvi sulle cose da fare, bensì sull’essere produttivi. Fate in modo che quello che conta davvero guidi la vostra giornata.
  2. Siate estremi: una volta individuato quello che conta davvero, continuate a chiedervi che cosa importa di più, finchè vi resterà una cosa soltanto. Tale elemento prenderà il primo posto nella vostra lista del successo.
  3. Dite di no a qualunque altra cosa potreste fare finchè non avrete terminato il lavoro più importante.
  4. Non fatevi intrappolare dal gioco della spunta: non possiamo cadere vittima del principio che tutto va fatto. Non tutte le cose hanno la stessa importanza e il successo si basa sul fare ciò che conta di più.

 Silvia Novelli - Linkiesta ( http://www.linkiesta.it/blogs/nei-panni-di-una-rossa/c-era-una-volta-il-multitasking)  

sabato 15 marzo 2014

A volte in questi primi giorni caldi, che segnano l’uscita...



A volte in questi primi giorni caldi, che segnano l’uscita dall’inverno, mi siedo su un punto delle colline che mi circondano e lascio che la mia mente vaghi, insieme allo sguardo.

I pensieri si sovrappongono, si diradano, passano. La leggera brezza porta gli odori della primavera insieme ai suoni della campagna. Sono momenti che tutti dovrebbero provare.

Aiutano l’anima.

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domenica 9 marzo 2014

L'America scopre il manager italiano

Dietro il caso di Luca Maestri balzato al vertice di Apple c’è un esercito di top manager italiani che hanno successo negli Stati Uniti… più che in Italia. Cosa ha di speciale il “modo di operare” americano, che attira e promuove l’élite dei nostri dirigenti d’azienda? Un’inchiesta in questo mondo mette in luce gli ingredienti chiave. La meritocrazia, certo, con quel che ne consegue: assenza di nepotismi, familismi, raccomandazioni, obbedienze politiche. Ma anche l’immunità verso quella “sindrome dell’invidia” che in Italia penalizza chi ha successo. E poi: pensiero positivo, “cultura del fare”, emulazione benefica che fa convergere gli sforzi perché l’innovatore, il pioniere, sia premiato dal successo. Lo raccontano i protagonisti, talenti italiani che qui hanno avuto più fortuna che in patria.

Ha fatto scalpore la nomina di Maestri, 50 anni e una laurea alla Luiss di Roma, come direttore finanziario del colosso digitale fondato da Steve Jobs: tocca a Maestri gestire una liquidità-record, 160 miliardi di dollari disponibili per investimenti e acquisizioni. Ma la parabola di Maestri, che già aveva lavorato per Xerox,General Motors e Nokia, è tutt’altro che anomala. Segnala un fenomeno ben distinto dalla “fuga di cervelli”, con cause e spiegazioni che vanno cercate altrove. Qui non si tratta di giovani neolaureati costretti a venire in America per trovare più opportunità e risorse nella ricerca universitaria. La categoria a cui appartiene Maestri è quella dei manager già affermati.

Include un vasto arco di generazioni, dai 30 ai 60 anni. Abbraccia tutti i settori dell’economia. Per restare sulla West Coast o nell’economia digitale, spiccano personaggi che nel mondo del business americano sono celebri. Guerrino De Luca, romano anche lui, con laurea in Ingegneria nella capitale, dopo un passaggio da Apple è da 15 anni il numero uno della Logitech, l’azienda leader nei mouse e nelle webcam. Diego Piacentini a 52 anni è il vicepresidente di Amazon e secondo alcune classifiche interne top-secret sarebbe anche il top manager più pagato dell’azienda di Seattle. Gianfranco Lanci, ingegnere del Politecnico di Torino, dopo una carriera da Texas Instruments e Acer ha conquistato la direzione generale di Lenovo, il gruppo cinese- americano (proprietà a Pechino e Hong Kong, management strategico negli Usa) che ha assorbito la divisione personal computer Ibm. E non è solo l’industria tecnologica che fa incetta di manager italiani. La vicenda di Fabrizio Freda abbraccia l’industria di largo consumo e quella del lusso: prima ai vertici di Procter & Gamble, ora chief executive e presidente di Estée Lauder. A Wall Street un gigante della finanza come Citigroup ha un vicepresidente italiano, Alberto Cribiore, nella divisione Institutional Clients che serve grandi imprese e governi, e il chief executive Francesco Vanni D’Archirafi alla Citi Holdings.

La buona notizia è questa: l’Italia continua a sfornare talenti anche nel top management, molti di questi dirigenti hanno ricevuto la prima formazione nelle università del nostro paese, evidentemente meno scadenti di quanto a volte si creda. Più inquietante, è un’analogia con l’India. Un altro caso recente di top manager straniero catapultato ai vertici di un colosso Usa, è l’indiano Satya Nadella nominato chief executive di Microsoft. In quell’occasione abbiamo ricostruito la geografia del “potere indiano” ai vertici di tante multinazionali Usa. Il raffronto è motivo di allarme: l’India è un gigante economico malato di burocrazia e corruzione, celebre per gli ostacoli che dissemina sulla strada dei suoi imprenditori, una “selezione al contrario” fa approdare i più brillanti di loro in California o a New York. E’ una patologia simile quella che colpisce il management italiano?

«Ciò che colpisce se lavori qui in California — mi dice Guerrino De Luca — è l’assenza di quel bagaglio fatto di relazioni familiari, di fedeltà di clan. Gli americani eccellono nel networking, che è la versione positiva e benefica delle raccomandazioni all’italiana: networking vuol dire investire nelle conoscenze, nelle relazioni, ma senza essere prigioniero di una logica subordinata all’appartenenza di gruppo. Tra noi top manager italiani che abbiamo avuto successo qui, le qualità e i talenti sono gli stessi che portano al successo nella Silicon Valley dei colleghi francesi o tedeschi. Salvo che, in alcuni altri paesi, c’è meno bisogno di emigrare per veder riconosciute le proprie capacità… In Italia è decisivo sapere chi conosci, chi hai dietro di te, con chi sei affiliato, secondo logiche che possono essere dinastiche o politiche. La raccomandazione esisteanche qui, eccome, ma con la “r” minuscola: vieni raccomandato, se sei bravo, da chi ti ha visto all’opera e ha imparato a stimarti». A proposito di raccomandazioni, con minuscola, un tema centrale riguarda il modo in cui le aziende americane valorizzano i dirigenti. In Italia esistono capi che si circondano di “yes-men”, collaboratori la cui dote principale deve essere la fedeltà, l’obbedienza, ai limiti del servilismo. Nella Silicon Valley californiana viene premiato, al contrario, il pensiero trasgressivo: i grandi creativi da Steve Jobs in giù sono stati dei ribelli. Ma perfino in un establishment aziendale più antico e tradizionale, l’America ha metodi che premiano il leader capace di promuovere talenti veri attorno a sé. E’ quello che mi descrive Fernando Napolitano, presidente dell’Italian Business & Investment Initiative, che una settimana fa qui a New York ha organizzato un convegno per attirare nuovi investimenti americani nel nostro paese. Napolitano ha lavorato per Booz Allen, McKinsey e Goldman Sachs. E distilla questo condensato dalle sue esperienze: «La differenza con l’Italia è che i chief executive delle grandi imprese americane vogliono davvero promuovere la crescita dei loro collaboratori. E per i direttori delle risorse umane questa è la missione numero uno: far progredire le carriere dei dipendenti. Un top manager qui in America è valutato anche per la sua capacità di trovare persone brave, e poi consentire che queste crescano. La competizione nel reclutare e allevare talenti è uno dei metri di misura della vera leadership. E non perché gli americani siano più virtuosi di noi: han-no semplicemente capito che è nel loro interesse». Dietro il comportamento che prevale ai vertici del capitalismo italiano, Napolitano vede un «rintanarsi nella propria nicchia, senza mettersi in gioco, per timore di rischiare, mentre è solo rischiando se stessi che si cresce».

Le storie più recenti di successo italiano in America hanno diversi elementi in comune. La sindrome di “invidia del successo” consente di osare meno in Italia che negli Stati Uniti. Compresa la variante che è la cultura del sospetto: “cosa c’è dietro” (il successo). Una pressione costante spinge a “pensare in grande” chi sbarca qui. In queste tipologie rientrano le storie più disparate. C’è “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, dapprima accolta tiepidamente in patria, ora in trionfo dopo l’Oscar. Ci sono storie di marchi storici della ristorazione, come il Sant’Ambroeus milanese o la Bottega del Vino veronese, che appena arrivati a Manhattan si allargano e si moltiplicano in quattro o in cinque. Perché qui, se sei molto bravo nel tuo mestiere, “devi” puntare a crescere sempre di più. E se non hai i capitali, qualcuno verrà a proporsi come socio per darti la forza finanziaria che meriti.
Una storia emblematica del divarioItalia-Usa l’ha vissuta Fabrizio Freda. Ormai da anni al comando della multinazionaleEstée Lauder, il gigante dei prodotti di bellezza con una capitalizzazione di Borsa oltre i 28 miliardi di dollari, Freda non ha mai smesso di sentirsi italiano. Qualche anno fa raccontò di aver tentato una “mission impossible”: di fronte allo stillicidio di acquisizioni straniere dei marchi di lussomade in Italy, Freda fece il giro di alcuni tra i più grandi imprenditori del settore provando a immaginare una grande alleanza che costituisse il polo italiano del lusso. Ma dovette scontrarsi con i tipici vizi italici: individualismi, personalismi, rivalità inconciliabili. Questo introduce l’ultimo ingrediente del successo americano che i nostri top manager incontrano arrivando qui. E’ quel “pensiero positivo”, spesso irriso o ridotto a una caricatura nel cinismo italico. Se lanci un’idea molto originale, radicalmente innovativa, a un tavolo di riunione dentro un’azienda o un’istituzione americana, la reazione prevalente tra gli altri seduti attorno al tavolo è una gara a migliorarla, a contribuire al suo successo. Lo stesso innovatore che lancia la sua proposta rivoluzionaria a un tavolo di italiani, diventa il tiro al bersaglio in una gara diversa: la corsa a chi trova difetti, per demolire il rivale potenziale e affondare la proposta troppo nuova.

Federico Rampini - Corrispondente a New York per la Repubblica - venerdì 7 marzo

sabato 8 marzo 2014

“@Pontifex_it: La Quaresima è un tempo adatto alla rinuncia. Priviamoci di qualcosa ogni giorno per aiutare gli altri.”

“@Pontifex_it: La Quaresima è un tempo adatto alla rinuncia. Priviamoci di qualcosa ogni giorno per aiutare gli altri.”

by Pierangelo Raffini
March 08, 2014 at 09:41AM
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giovedì 6 marzo 2014

Oscar Farinetti: "Gli italiani? Sono tacchini non sanno venderle le proprie idee"

“Sapete chi ha inventato il marketing? L’ha inventato la gallina, che fa l’uovo e dice coccodè. Noi italiani, invece, siamo tutti dei tacchini: produciamo veri e propri tesori ma non siamo capaci di venderci. E senza dire coccodè nessuno verrà mai a raccogliere il nostro uovo”. Il fondatore di Eataly, Oscar Farinetti, invitato all’Università Carlo Bo di Urbino per parlare ai giovani del “coraggio di intraprendere”, parla ad Huffpost. Sarà il nuovo premier a trasformarci in galline? “Per ora l’esordio di Renzi è positivo ma lo giudicheremo nei prossimi tre mesi, non nei prossimi tre anni. Concedergli tempo non significa concedergli anni".
Come facciamo a tornare galline?
"Attraverso il buon esempio, attraverso persone grandi che ricoprano ruoli chiave, che invece di lamentarsi cerchino soluzioni, che diano il buon esempio. Siamo il Paese più lamentoso del mondo ma è da dilettanti lamentarsi, è da grandi cercare soluzioni. Basta dire ‘Piove, governo ladro!'"
Pensa che Matteo Renzi sia la persona più giusta per trasformarci in galline? Come vede il suo esordio?
“Per ora l’esordio di Renzi è positivo ma lo giudicheremo nei prossimi tre mesi, non nei prossimi tre anni. Concedergli tempo non significa concedergli anni. Nelson Mandela ha cambiato il Sud Africa in sei mesi, due Papi hanno cambiato la chiesa con due sole mosse geniali. Io ho fiducia. E sono contro la nuova categoria che si è creata, quella degli impossibilisti. Quelli che dicono: 'ah, è impossibile', 'ah, non si può fare', 'ah, dove prende i soldi'. Sono gli stessi che da trent’anni fanno politica e dicono che è impossibile perché vogliono giustificare il fatto che loro non hanno fatto un tubo. Ci proviamo. Come in una sana famiglia. Una sana famiglia, quando mancano i soldi, dice ‘continuo a mangiare ma spendo meno nel vestire, spendo meno nel viaggiare ma riscaldo la casa'. Noi dobbiamo fare lo stesso”.
Ma oltre a risparmiare bisogna anche investire. Quali sono i progetti futuri di Eataly?
“Abbiamo in programma l’apertura di un nuovo Eataly a Roma, a Piazza della Repubblica, sotto l’hotel Boscolo. Volevamo aprire anche in centro, visto che l’Eataly attuale si trova un po’ fuori mano. Il 18 marzo, invece, apriremo a Milano. Ci saranno cinque giorni di inaugurazione proprio per ricordare le “cinque giornate di Milano” del 1848. Conoscere la storia e le nostre radici è importante per valorizzare quello che abbiamo”
CLei che ripropone lo slogan “L’ottimismo è il profumo della vita” del poeta Tonino Guerra, crede ancora in questa affermazione?
"Ottimismo non significa pensare che vada sempre tutto bene ma pensare che tutto si possa risolvere. È sempre l'ottimismo che mi fa dire che questa generazione di italiani viventi è la peggiore della storia d'Italia. Solo 4 generazioni fa abbiamo fatto il Risorgimento, 16 generazioni fa il Rinascimento, 72 generazioni fa abbiamo inventato tutto. Adesso siamo qua. È arrivato il momento di cambiare. Ma per riuscire a cambiare bisogna imparare di nuovo a raccontare noi stessi, a farci conoscere nel mondo. Uno dei miei slogan preferiti è: ‘Think local, act global’, pensare locale ma agire globale. Perché a nord di Parma quando c’è la nebbia corrono a fare il culatello? Siamo uno dei paesi più ricchi di biodiversità al mondo: le Marche hanno più specie vegetali del Regno Unito. Allora approfondiamo questa meraviglia e raccontiamola al mondo. Tutti all'estero vogliono l'Italia: è incredibile quanta poca stima si abbia di noi nel mondo e quanta stima si abbia, invece, del Made in Italy”.
Pensa che la “Grande Bellezza” che abbiamo in Italia ci salverà?
"Certo che ci salverà, non c'è dubbio - afferma Farinetti – abbiamo i paesaggi, la pasta, il parmigiano, il design, l'industria manifatturiera, le scarpe più belle del mondo. Quindi ce la faremo. Ma è importante anche sviluppare una coscienza civica. Deve diventare figo comportarsi bene. Uno che non paga le tasse deve diventare uno che non cucca più. Dobbiamo lavorarci. Ma in fretta. Non servono anni per cambiare tutto”.

8 consigli per fare impresa rubati agli Chef

Osservando il lavoro dei Maestri di Cucina dei ristoranti più importanti, si possono trarre grandi insegnamenti e riflessioni che sono molto utili nella guida quotidiana di una impresa o di un gruppo. 
Da uno Chef si possono imparare molte cose.

Sono 8 i primi punti più importanti che si possono identificare:

1. Mantieni la calma anche di fronte alle avversità e agli inconvenienti, concentrandoti sul compito che ti attende.

2. Costruisci la giusta squadra di collaboratori. Non farti prendere dalla sindrome di "un uomo solo al comando", è il team il segreto delle vittorie e dell'eccellenza.

3. Lavora sulla tua capacità di leadership per guidare il gruppo mantenendo la visione dell'obiettivo.

4. Usa sempre le parole giuste. Impara a comunicare bene, in modo adeguato e rapidamente. Serve al morale e alla produttività della squadra.

5. Trova "l'ingrediente" segreto che ti differenzi dai concorrenti. Ricerca continua e innovazione.

6. Devi avere la capacità di saper cambiare velocemente. In un mondo sempre più connesso e competitivo è fondamentale possedere anche questa caratteristica.

7. Non farti distrarre dal caos e dal rumore che ti sta attorno. Mantieni la concentrazione sull'obiettivo. Punta sempre su ciò che ti sei prefisso, non farti distrarre da cose spesso inutili.

8. Impara a presentare al meglio il tuo prodotto. La presentazione, la forma e l'emozione sono tutto.



mercoledì 5 marzo 2014

Carnevale in Romagna: quando si mangiava anche 7 volte in un giorno

II Carnevale è sicuramente una delle feste più sentite in Romagna, come d'altronde in molte parti d'Italia e del mondo. Collocandosi temporalmente fra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera, era nell'antichità interpretato come tentativo di risvegliare la vita, legata ai raccolti, al termine della stagione fredda. Non per nulla gli antichi Greci lo celebravano in onore di Bacco, dio del vino e della vita. 

Proprio questo legame alla terra e quindi alla vita, faceva del Carnevale - nel passato - una festa in cui si esprimeva la volontà di sovvertire l'ordine sociale e naturale e per questo a tutti era concesso di mascherarsi ed inventarsi una nuova identità per un giorno di pazzia, una specie di “orgia vitale” nella quale i defunti si sarebbero misteriosamente mescolati ai i vivi. La tradizione cattolica poi la trasformò nel periodo di feste allegre e spensierate che precedono la Quaresima. 

In Romagna il costume tipico del Carnevale era un camicione bianco, che veniva indossato in rappresentazione proprio delle anime dei morti. Questa maschera veniva chiamata “la vecchia” e, soprattutto i giovani contadini, andavano in giro per le case così bardati ricevendo offerte di cibo e vino – abbondante - con cui prendevano sbronze mirabolanti. Nel nostro territorio ancora oggi esistono le tradizionali feste della “Segavecchia” - molto sentite - con cui si conclude il Carnevale. 
Su questa festa, ma non è l’unica, ci sono attinenze con le tradizioni celtiche ancora vive in alcuni paesi nordici o anglosassoni. 

Durante tutto l'Ottocento e nei primissimi decenni del Novecento, il carnevale era una festa continua durante la quale le attività preferite erano le maschere, i corsi di recite e le feste da ballo. Questa usanza era comune a tutta l'area romagnola e, particolarmente nell'entroterra, nei piccoli centri affollati per l'occasione da giovani contadini che partecipavano alle feste e scorrazzavano per il paese col solo intento di divertirsi il più possibile sfogando, in tal modo, la sofferenza di una povera vita quotidiana caratterizzata da lavoro e stenti. 
Dal punto di vista del cibo il periodo di Carnevale era caratterizzato dalla frequenza con cui si mangiava, molte fonti storiche dell'Ottocento e dei primi del Novecento riportano che “...il martedì grasso si mangiava sette volte anche se durante l'anno era difficile unire il pranzo alla cena”. 
La Romagna è veramente particolare da questo punto di vista e, come si può rilevare dai racconti dello Stecchetti, a volte veramente minuziosi nel riportare quantità e tipologia del cibo. 

Le occasioni di festa erano fantastiche opportunità per pantagrueliche mangiate, fossero il Natale, il Carnevale o un matrimonio. Il fatto poi che venga riportato da più fonti che “si mangiava sette volte” non deve stupire perché, al di là della veridicità o meno di queste affermazioni - se non erano sette erano cinque o sei - il 7 è un numero caratterizzato da una forte valenza magica e simbolica in Romagna. 

Dal sabato grasso al martedì il Carnevale viveva il suo momento culminante e coinvolgeva tutti, dai più giovani ai più anziani, si mangiava abbondantemente piadina fritta, salciccia, carne di maiale in genere e dolci. Oggi sopravvive soprattutto la tradizione dei dolci, quasi tutti fritti in olio o nello strutto, tra i quali possiamo citare tra i più “famosi”: i raviolini variamente ripieni, le sfrappole. le tagliatelle fritte e le castagnole. Ma, ad esempio, un tempo l’ultimo giorno di Carnevale era tradizione mangiare la gallina più vecchia del pollaio, perché altrimenti - si diceva - sarebbero morte anche tutte le altre. 

Il Carnevale quindi era il sogno di abbondanza e prosperità, l'unica vera opportunità per poter sfogare la propria rabbia di povertà e la propria fame di pane. Inoltre un altro motivo che incentivava a mangiare molto per questa festa era dato dal periodo che seguiva il Carnevale. Alle dieci dì sera dell'ultimo giorno del Carnevale, veniva infatti suonata una campana che con i suoi rintocchi avvertiva che ci si doveva affrettare a mangiare la carne rimasta, perché a partire dalla mezzanotte si sarebbe entrati nel periodo di Quaresima, un lasso di tempo caratterizzato dall' astinenza dalle carni, allora diffusamente e rigidamente praticata. Da quel momento infatti si “appendeva la padella al chiodo” per poi riutilizzarla solo con l'avvento della Pasqua.



martedì 4 marzo 2014

Innamoratevi del sapere

A parte l'etimologia originaria per cui «filosofia» significherebbe «amore per il sapere», definire la filosofia è impresa difficile perché il senso della parola cambia attraverso i secoli. Nella Grecia classica si riteneva che l'uomo iniziasse a filosofare (come diceva Aristotele) come reazione ad atti di meraviglia, ma rispondono a un atto di meraviglia sia la domanda «chi ha fatto tutte le cose che ci circondano?» (domanda certamente filosofica anche se comune a tutte le religioni) sia la domanda «come mai i ruminanti hanno le corna, salvo il cammello?» – che era questione a cui Aristotele aveva tentato di rispondere ma che oggi noi affidiamo alla ricerca scientifica e non alla filosofia.

Eppure se è la scienza che oggi deve spiegarci origine e natura dei ruminanti, e può dirci che essi sono il prodotto dell'evoluzione naturale, rimane una domanda prettamente filosofica a cui ancora oggi si risponde in modo assai vario, e cioè: «anche se i ruminanti fossero il prodotto dell'evoluzione naturale, c'è un disegno intelligente che ha stabilito leggi di natura per cui essi si sono evoluti in tal modo (per cui ha corna ciascun bue che nasca in ogni epoca e in ogni luogo)?». Vi renderete conto che questo è ancora una volta il problema dell'esistenza (o meno) di Dio. La scienza può dirci che non è necessario ipotizzare un creatore per spiegare l'origine dell'universo e della vita, ma non può dimostrare che Dio non c'è - così come non può dimostrare che ci sia, anche se nel medioevo San Tommaso d'Aquino pensava che la ragione potesse confermare la fede e aveva elaborato cinque prove (filosofiche) dell'esistenza di Dio. Ma Kant ha poi sostenuto che questo tipo di prova non era razionalmente valido e che la presenza di Dio poteva essere solo postulata per ragioni morali.

Ed ecco come la filosofia, per quanto si espanda il territorio proprio della scienza, mette ancora (per così dire) il suo naso dappertutto.
Potremmo allora dire che, anche se dall'antichità a oggi l'umanità ha delegato alla scienza la risposta ad alcune domande, ce ne sono altre per cui la scienza non ha risposta (per esempio che cosa sono il bene e la giustizia, se c'è un'idea di Stato migliore delle altre, perché esistono il male e la morte, e così via) e che sono oggetto perenne della ricerca filosofica. Tanto che qualcuno ha detto che la filosofia è la disciplina che si occupa delle domande per le quali non c'è risposta.

È una definizione esagerata. È vero che ci sono domande per cui non c'è risposta, ma ce ne sono anche nell'universo scientifico, per esempio quale sia il più alto dei numeri dispari: problema di cui si occupa la scienza matematica e a un livello che definiremo di filosofia della matematica. Ma la filosofia si occupa piuttosto di domande a cui le altre discipline non trovano risposta, tipo: Che cosa significa essere? È diverso dire io sono, nel senso che esisto, o dire che i cani sono mammiferi, oppure che io sono nato nell'anno tale, o ancora chiedersi che cosa sia il tempo. Ci sono due diverse ragioni per cui accettiamo l'idea che un angolo retto abbia novanta gradi e quella che tutti gli uomini siano mortali? Se io penso che sia vero che i cani sono mammiferi, ora sta piovendo, i Re Magi hanno visitato Gesù Bambino, Napoleone è morto a Sant'Elena e l'angolo retto ha novanta gradi, tutte queste mie credenze sono "vere" nello stesso senso? E che cos'è la verità? Non è che queste domande non abbiano risposta ma certamente ne hanno avute troppe ed esistono diverse definizioni della verità.


E la domanda filosofica più drammatica è forse stata ed è «perché esiste qualcosa piuttosto che nulla?» Forse queste sono questioni difficili e qualcuno pensa che i filosofi siano dei perdigiorno a porsi domande del genere. Ma pensiamo a uno sventurato, oppresso dalla miseria o dalla malattia, che si chieda «ma perché sono nato? Non potevano i miei genitori non mettermi al mondo?» Il poveretto sta parlando di qualcosa di essenziale per lui, eppure sta facendo della filosofia, anche non se ne rende conto, così come il famoso personaggio di Molière non si era mai accorto di parlare in prosa.

Ed ecco altre domande tipicamente filosofiche che anche le persone normali si pongono: Ma c'è una giustizia in questo mondo? Ma perché bisogna soffrire? C'è una vita dopo la morte in cui le mie sofferenze saranno compensate? Il mio amato mi sembra il più bello di tutti, ma cosa vuole dire bello? È meglio che tutti siano uguali o che ciascuno venga compensato secondo i suoi meriti? Un angolo retto ha novanta gradi e io ci credo, ma che tutti gli uomini siano mortali è altrettanto vero, o basterebbe un immortale per rendere vana questa credenza? Se, da un disco volante, scendessero sulla terra degli alieni penserebbero anche loro che un angolo retto ha novanta gradi? Ma chi ci ha detto che un angolo retto ha novanta gradi? Gli animali hanno un'anima? E io ce l'ho? E cosa è l'anima? E dove sta? E cosa è la memoria, visto che se uno perde del tutto la memoria sembra che non abbia neppure più un'anima? Perché piango sulle vicende di personaggi romanzeschi anche se so che non sono vere? È meglio diventar ricchi mandando al diavolo tutti gli altri o vivere da altruisti? Mi dicono che un maiale è più intelligente di un cane ma perché io preferisco andare a spasso con un cane? Dipende dall'amicizia, dall'amore, dalla identificazione con qualcuno? Ma cosa sono amicizia, amore, identificazione? Perché penso che la persona di cui mi sono innamorato sia la più perfetta tra tutte mentre se vivevo in un altro ufficio o in un'altra città ne avrei amata un'altra? Che differenza c'è tra convincere mediante dimostrazione di una verità matematica (per esempio il teorema di Pitagora) e persuadere qualcuno (per esempio a votare un partito piuttosto che un altro)? Se dimostrare un teorema ci pare "razionale", convincere a votare dipenderà da scelte "irrazionali"? O da scelte soltanto "ragionevoli"? La dimostrazione del teorema non fa leva sul sentimento mentre la decisione di voto si basa anche su preferenze, sentimenti, emozioni. Dovrei quindi fidarmi più dei geometri (dei tecnici) che dei politici? Quali differenze intercorrono tra ragione, intelletto, sentimento, convinzione, preferenza, scelta per abitudine? In che misura il nostro corpo interferisce col nostro cervello?

Si potrebbe continuare all'infinito: sono tutte questioni filosofiche, e non bisogna essere professori di filosofia per porsele. Le questioni filosofiche interessano ciascuno di noi.
Potete certamente decidere che tutte queste sono questioni che lasciano il tempo che trovano e che si può vivere benissimo divertendosi, facendo soldi o morendo di fame senza che esse ci tocchino da vicino. Ma – a parte che certi esseri umani non possono resistere alla meraviglia che li porta a farsi queste domande – nel corso della storia queste questioni "irrilevanti" hanno determinato il nostro modo di vivere, hanno spinto certi gruppi a guerre di religione, hanno influenzato profondamente le indagini degli scienziati, hanno determinato il nostro modo di intendere la vita, il divertimento, il guadagno e le nostre miserie, anche per coloro che non se ne sono mai resi conto.

Ci sono stati nella storia dell'umanità altri modi di reagire alla meraviglia per ciò che ci circonda. Per esempio le religioni, che sono materia di fede, e che sono state tramandate sotto forma di miti o di rivelazioni, mentre la risposta filosofica si basa su un uso della ragione. Sono esistite filosofie che hanno cercato di mostrare come le rivelazioni delle religioni non contrastino con una "sana" ragione (e si pensi a come Tommaso d'Aquino aveva elaborato cinque modi razionali per dimostrare l'esistenza di Dio), così come ci sono stati casi in cui la filosofia ha agito come critica delle religioni (come in Feuerbach o in Marx). Ci sono state cosmologie, ovvero narrazioni più meno fantastiche su come è nato l'universo, o sulle genealogie degli dèi (per esempio Esiodo). Tutte queste "narrazioni" si distinguevano dal ragionamento filosofico, mediante il quale, invece, si cercava sempre di attenersi a quelle che venivano considerate le leggi della nostra mente.

Forse ci sono altre e numerose ragioni per capire e studiare la filosofia, e per suggerirle tutte le pagine di questo manuale appena bastano. Ma speriamo che questi pochi accenni siano sufficienti per invogliare qualcuno a comprendere che cosa voglia dire pensare. Perché il pensare, e il pensare filosofico, è quello che distingue gli uomini dagli animali.

Umberto Eco - Domenica - Sole 24ore - (Storia della filosofia - Laterza e Encyclomedia) http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2014-03-03/innamoratevi-sapere--113421.shtml?uuid=AB23WQ0