domenica 26 dicembre 2010

Come l’Italia è diventata fragile

Pil in discesa, evasori in aumento e una società sempre più cattiva


Il futuro non è più quello di una volta, 
si può veder scritto in grossi caratteri 
neri vicino alla Triennale di 
Milano. Marco Revelli ha adoperato

quelle parole, quasi una dedica, (esattamente 
un apoftegma) sotto il titolo di Poveri, noi, il 
suo nuovo amaro libro (Einaudi, pp. 127, € 10)

che si propone di tentare di far capire qual è, 
esibendo numeri e prove, la situazione di una 
società, la nostra, che in pochi decenni si è quasi 
disfatta. È la narrazione di un «Paese fragile, 
che non ammette di esserlo». Fragile moralmente, 
politicamente, umanamente. Un’Italia in grave
crisi ai suoi vertici e alla sua base sociale dove 
trovano sempre più nutrimento «le frustrazioni 
e i veleni, i risentimenti e i rancori, le rese morali 
e i fallimenti materiali». Dove, scrive sempre 
Revelli, l’indurimento del carattere, l’intolleranza 
per le debolezze dei deboli e il simmetrico eccesso 
di tolleranza per i vizi dei potenti, il diffondersi 
dell’invidia come sentimento collettivo, il 
fastidio per gli eterni «inferiori» e l’emulazione 
dei nuovi «signori» sono diventati i segni diffusi 
del vivere.



Marco Revelli racconta nel suo libro il micidiale 
impasto della crisi antropologica di questi anni 
che copre non soltanto la stagione berlusconiana, 
la maggior responsabile della caduta di 
sostanza e di stile della società dal 1994 al tempo 
presente, ma racconta anche quel che accadde 
dagli anni 80 del Novecento, la sconfitta operaia 
alla Fiat, fino a oggi.

Che cosa è successo in un Paese come il nostro 
a stravolgere e a inquinare, non certo in modo 
assoluto, un costume di vita e di pensiero? 
Sembra che troppo spesso persino la pietà della 
lezione cristiana sia stata dimenticata e che anche 
le fonti della Rivoluzione francese come 
l’uguaglianza e la fraternità siano state cancellate. 
Senza dimenticare la Carta costituzionale del 
1948—i Principi fondamentali—ricca di aperture 
sociali e di regole ben definite, di cui i governanti 
di oggi farebbero volentieri carta straccia.



Marco Revelli, professore di Scienza della politica 
all’Università del Piemonte Orientale, autore 
di saggi sul Novecento, le ideologie, il lavoro, 
lo smarrimento politico, in Poveri, noi fa una radiografia 
senza sconti o ipocrisie dell’eterna 
transizione italiana, dalla fine delmodello industriale 
della grande fabbrica al primo decennio 
del nuovo secolo. E analizza, ragionandoci sopra, 
con l’aiuto di una ricca bibliografia e degli 
strumenti dell’Istat, dell’Ocse, di Bankitalia, dell’Eurostat, 
della Cies (la Commissione povertà), 
della Caritas, dell’Ires Cgil e di altri centri di ricerca, 
qual è la condizione umana del nostro 
tempo. Dei singoli, delle classi sociali, dei giovani, 
eterni precari, e dei loro padri che portano 
da soli sulle spalle il peso della famiglia operaia 
e anche piccolo-medio borghese. Revelli studia 
con rigore la povertà dei lavoratori dell’industria, 
il declassamento dei ceti medi e la distanza 
diventata abissale tra élite e popolo minuto. 
I numeri non sono aridi, rappresentano uomini 
in carne e ossa, puntelli non smentibili nel 
clima della finta positività oggi di moda. 



Qualche dato. L’Italia ha perso, dal 1998, 18 
punti nella classifica europea del Prodotto interno 
lordo. Nel 2009 quasi 8 milioni di persone 
sono in condizioni di «povertà relativa», i poveri 
in senso assoluto superano i tre milioni. Nel 
Sud si concentra il 70 per cento delle famiglie 
povere, nonostante vi risieda un terzo della popolazione 
nazionale. Il livello delle retribuzioni 
italiane è al ventitreesimo posto su trenta Paesi 
presi in esame. Lo spostamento della ricchezza 
prodotta, dai salari ai profitti, ha toccato in Italia 
8 punti percentuali sul Pil, una cifra enorme, 120 
miliardi di euro passati dai deboli ai forti. Quattro milioni 
di persone arrivano faticosamente alla 
fine del mese, tre milioni e mezzo sono in difficoltà 
per le spese della vita 
quotidiana, gli impoveriti. Sei 
milioni sono censiti come «vulnerabili
». Le cause della crisi 
domestica sono molteplici: la 
disoccupazione, la diminuzione 
delle entrate, i mutui per la 
casa, la scuola dei figli e anche 
il consumismo dissipatore.



Tutto questo accade in un 
Paese dove circola un milione 
di auto di lusso, di valore superiore 
ai 50 mila euro, e dove 
prendono il mare 94 mila barche 
sopra i 10 metri. I contribuenti 
che denunziano redditi 
superiori ai 150.000 euro sono 
soltanto 149.000. Le dichiarazioni 
dei redditi di imprenditori, 
albergatori, ristoratori e di 
altre categorie, sono miserevoli. 
Marco Revelli prende in esame 
anche le ragioni della cattiveria, 
del rancore, del desiderio 
di vendetta di fasce sociali 
spuntate come i boletus satanas 
(tra i funghi più velenosi) a 
turbare quella pace condivisa 
di cui si fa un gran blaterare. Il 
pogrom di Ponticelli, vicino a Napoli, l’odio per 
gli zingari di Opera, nel Milanese, l’ordinanza 
dell’ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, di 
far sparire le mani tese dalle porte delle chiese e 
i questuanti dal centro della  città, i provvedimenti 
di destra e di sinistra contro gli accattoni, 
al Nord come al Sud, l’ordinanza antisbandati

del Comune veneto di Cittadella, il premio promesso 
ai vigili di Adro (Brescia) per ogni clandestino 
individuato, l’intolleranza di numerosi sindaci 
del Triveneto, soprattutto, nei confronti dei 
più deboli, extracomunitari, senza diritti, di cui 
hanno avuto e hanno ancora bisogno.

Un prezioso libro, questo di Marco Revelli, 
per conoscere e per comprenderemeglio la realtà. 
Il «che fare» spetta ai politici. Poveri, noi. Poveri 
noi!

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