martedì 11 dicembre 2007

La società italiana nell'ultimo rapporto del Censis

"Una mucillagine di massa delusa da politica e istituzioni"
Un rapporto desolante e preoccupante quello esposto dal Censis sulla società italiana, nell'ultimo rapporto 2007 che descrive "...una realtà che diventa ogni giorno una poltiglia di massa; impastata di pulsioni, emozioni, esperienze e, di conseguenza, particolarmente indifferente a fini e obiettivi di futuro, quindi ripiegata su se stessa; che inclina pericolosamente verso una progressiva esperienza del peggio, creato e supportato da un intelletto anonimo, di nessuno, tanto che non se ne possono neppure decifrare le responsabilità; che in modo più o meno cosciente inverte i processi-simbolo che ci hanno reso orientati allo sviluppo e spegne quindi il “vitale”, quasi fosse un resto arcaico in una società che non accetta più tensioni e diversità di destino sociale..."
E ancora "...Al termine poltiglia di massa si può (con eleganza minore) sostituire il termine più impressivo di "mucillagine", quasi un insieme inconcludente di "elementi individuali e di ritagli personali" tenuti insieme da un sociale di bassa lega, e senza alcuna funzione di coesione da parte delle istituzioni. E’ noto che la frammentazione progressiva di tutte le forme di coesione e appartenenza collettiva ha creato una molecolarità che è stata una forza di sviluppo economico e imprenditoriale. Ma noi stessi che di quella molecolarità siamo stati cantori abbiamo potuto e dovuto constatare che essa sta creando dei "coriandoli", i quali stanno insieme (meglio sarebbe dire "accanto") per pura inerzia, per appagato imborghesimento, per paura di non tornare indietro, magari mitridatizzata da una sempre più generalizzata volgarità plebea.
La caratteristica fondamentale dei “ritagli umani” senza identità è la dispersione del sé, nello spazio e nel tempo collettivo. Nello spazio, per la vittoria irresistibile dalla soggettività esasperante in ogni comportamento, senza attenzione al momento della relazione e della convivenza. Nel tempo, per il declino irresistibile dell’attenzione su un tema, un problema, un fenomeno (Carlo Emilio Gadda riteneva dispersiva un’attenzione radiofonica di 12 minuti, cosa direbbe oggi che siamo scesi forse intorno ai due?). Con i ritagli non si costruisce un tessuto sociale: così abbiamo, sul piano individuale, bolle di aspirazioni senza scopo e senza mordente e, sul piano sociale, deboli connessioni, smorte forme di aggregazione e inanimati simulacri dei processi di coesione che furono.

In questa situazione strutturale non può sorprendere quella sensazione di continua inclinazione al peggio che attraversa quotidianamente l’opinione degli italiani, indotta e supportata anche da contenuti e toni della comunicazione di massa.
Dovunque si giri il guardo - sembra pensare l’italiano medio – facciamo esperienza e conoscenza del peggio: nella politica come nella violenza intrafamiliare, nella micro-criminalità urbana come in quella organizzata, nella dipendenza da droga e alcool come nella debole integrazione degli immigrati, nella disfunzione delle burocrazie come nello smaltimento dei rifiuti, nella ronda dei veti che bloccano lo sviluppo infrastrutturale come nella bassa qualità dei programmi televisivi. E’ abituale allora ricavarne che viviamo una disarmante esperienza del peggio. Settore per settore "nulla ci è risparmiato", tant’è che vincono sull’antropologia collettiva i fattori regressivi, anche se non avvertiti in modo sempre cosciente:
- vince una diffusa povertà psicologica, perché la dispersione del sé rende labile l’approccio individuale a ogni fenomeno sociale e a ogni relazione interpersonale;
- vincono quindi le pulsioni in genere frammentanti e non le passioni, tendenzialmente unificanti; e tanto meno, vincono gli atteggiamenti razionali, come è possibile constatare guardando in controluce le vicende meno esaltanti degli ultimi tempi;
- se vincono le pulsioni, tracima senza argine la rincorsa alle presenze, quasi a far coincidere la pulsione, anche la più stralunata, di presenza con l’unica esistenza desiderabile;
- la coazione alla presenza porta a quel primato dell’emozione esternata dell’esperienza che diventa piece mediatica, dell’insistenza febbrile, della riproposizione anche drammatizzata che, sotto sotto, produce sciupìo, in un masochismo ansiogeno. Così al rito della vuota presenza consuma le radici stesse dell’esistenza;
- l’incessante attività comunicativa, giuocata sulla comune strategia di rispecchiare emozioni e drammatizzazioni del proprio pubblico, induce a una monotonia dei messaggi e del linguaggio e restringe la pluralità dei codici comunicativi. Il mondo diventa null’altro che la sua rappresentazione: ci si adatta a vivere in un nirvana virtuale ma fragoroso (forse per dimenticare noia e sonnolenza)...".
Il Censis indica anche chi è in grado di rilanciare l'Italia: "... Se vale lo schema, le offerte innovative devono supportare l’avventura personale e promuovere l’ampliamento degli scambi relazionali. E’ un’offerta, va sottolineato subito, che può venire solo dalle nuove minoranze attive:
- la minoranza che fa ricerca scientifica e innovazione tecnica è orientata all’avventura dell’uomo e alla sua potenzialità biologica;
- la minoranza che, nella scia della minoranza industriale oggi rampante, fa avventura personale e sviluppo delle relazioni internazionali (si pensi ai giovani che studiano o lavorano all’estero, ai professionisti orientati ad esplorare nuovi mercati, agli operatori turistici di ogni tipo, ecc.);
- la minoranza che ha compiuto un’opzione comunitaria, cioè ha scelto di vivere in realtà locali ad alta qualità della vita;
- la minoranza che vive il rapporto con l’immigrazione come un rapporto capace di evolvere in termini di integrazione e coesione sociale;
- la minoranza che si ostina a credere in una esperienza religiosa insieme attenta alla persona e alla complessità dello sviluppo ai vari livelli;
- e le tante minoranze che hanno scelto l’appartenenza a strutture collettive (gruppi, movimenti, associazioni, sindacati, ecc.) come forma di nuova coesione sociale e di ricerca di senso della vita.

Sembra, e forse lo è, un’indicazione segnata da una logica minimalista, lontana dalla nobile consistenza degli obiettivi di sistema che hanno caratterizzato gli ultimi decenni. Ma è bene ricordare che oggi abbiamo il problema di innescare processi di lenta ma profonda evoluzione: solo le minoranze possono trovare la base solida da cui partire, possono fare innesco di nuovi processi sociali sfuggendo alla tentazione del breve termine e quella di diventare la maggioranza che fa e governa il sistema.
Del resto, nel giuoco di chi offre cosa, le offerte minoritarie sopra elencate hanno un’incisività di gran lunga superiore a quelle correnti nel dibattito politico attuale, dove ci si rinfaccia difetti senza sentire l’obbligo d’offerta alternativa o siamo a offerte senza mordente, inerti nella dinamica dell’opinione pubblica. Chi crede oggi, sic et simpliciter, nel rilancio dell’azione per il Mezzogiorno, nel rafforzamento delle funzioni e dei poteri europei, nelle battaglie per una più o meno rivoluzionaria giustizia sociale, eccetera? Bisogna andare al resistente, magari piccolo, fondo di rifiuto dell’inclinazione al peggio, da cui può iniziare un faticoso percorso di nuova costruzione, dove la persona e gli scambi relazionali hanno peso strategico. Occorrono altre minoranze capaci di incidere sulla consuetudine regressiva. La minoranza industriale oggi più dinamica e vitale non ce la fa a trainare tutti, visto che è comunque concentrata sulla conquista di mercati ricchi e lontani, con prodotti a prezzo così alto che non possono, fra l’altro, scatenare effetto imitativo in un mercato non ricchissimo come il nostro. E la pur indubbia ripresa rischia di essere malata, se non innesca comportamenti più diffusi di avventura personale e di scambio relazionale; e se non si immette fiducia nel futuro, in un’ulteriore fase del nostro sviluppo. Solo le varie minoranze indicate possono sprigionare le energie necessarie per uscire dallo stallo odierno.
Ma quelle energie avranno pur bisogno di un "collettore collettivo" e di una riconcentrazione di alleanze. La risposta più abituale guarda all’azione politica e alla sua tradizionale funzione di mobilitazione sociale. Ma il suo stato non lascia molte speranze: vecchi e nuovi potenziali schieramenti non hanno forza di mordente unitario; la verticalizzazione della leadership ha dimostrato che non crea soluzioni inadeguate; la classe dirigente scossa, dall’attuale ventata di antipolitica, dimostra una esagerata coesione alla presenza, specialmente mediatica. Non può venire da lì il ruolo di collettore di energie e di riconcentrazione di alleanze sociopolitiche.
Anche perché, con più oggettività, la politica è fatta di "opinione larga" (le piazze, anche quelle mediatiche, sono le arene obbligate) mentre oggi il rilancio dell’offerta passa per una "coscienza stretta", cioè di culture capaci di incidere sulla inerzia maggioritaria che appiattisce al peggio e di sviluppare codici semiotici anche un po’ faziosi, se necessario, ma mirati a perseguire obiettivi precisi, volutamente non rivolti al consenso della "opinione larga".
Di cosa è pieno lo spazio e la durata? A questa domanda, che impegna tutti coloro che interpretano la deriva della nostra evoluzione storica, si può rispondere (ancora e sempre) che lo spazio e la durata "sono pieni del possibile", solo che si cominci semplicemente a pensare. Non rimuginando l’esistente impigriti nel presente, ma immaginando spazi nuovi di impegni individuali e collettivi; e confrontandosi con i processi che oggi fanno relazione collettiva e sviluppo storico. Sfida faticosa, che le citate diverse minoranze dovranno verosimilmente gestire da sole. Ma sfida desiderabile, per continuare a crescere forse anche con un po’ di divertimento; sfida realistica, perché non si tratta di inventare nulla di nuovo ma di mettersi nel solco di modernità che pervade tutti i paesi avanzati (e che considerano oggi moderni i processi che noi consideriamo regressivi, dal mix etnico alla patrimonializzazione, dal calo demografico all’appiattimento del ceto medio); ma specialmente sfide necessarie, assolutamente necessarie per allontanare da noi un’inclinazione al peggio che oggi ci fa rasentare l’ignominia intellettuale e un insanabile noia."
Concluderei con "Muoviamoci..."

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