mercoledì 7 luglio 2010

Modello Canada

Il cane da guardia delle banche del Canada è una signora bionda, con gli occhi azzurri e un bel sorriso. Quando ti guarda negli occhi ha un'aria così decisa che chiunque capisce che è meglio non contraddirla o raccontarle qualche storia poco credibile. Dal 1999 Julie Dickson lavora nell'ufficio del Superintendent of Financial Institutions, l'ente che controlla le attività delle banche, e dal 2007 ne è il numero uno. È lei che interviene ogni volta che una banca fa un'acquisizione, è lei che controlla se l'esposizione debitoria si mantiene nei livelli della legge che regola il rapporto capitali-prestiti, è lei che analizza se una banca sta giocando pericolosamente con strumenti finanziari ad alto rischio.

Julie Dickson è di fatto la bandiera del Canada in fatto di prudenza e responsabilità di fronte ai premier e ai ministri delle Finanze del G8 e del G20 giunti ad Huntsville, sul turistico lago Muskoka, e a Toronto. Per dire che le regole che i canadesi si sono dati a metà degli anni Novanta hanno impedito che la recessione cominciata nel 2008 e non ancora del tutto sconfitta mettesse in ginocchio il sistema bancario del Paese. 'Molta parte della crisi che ha colpito i paesi del G8 è derivata dalla qualità dei capitali in circolazione e dai controlli', dice la Dickson: 'E mentre nel resto del mondo i controllori non avevano il potere di intervenire, qui abbiamo sempre potuto verificare il comportamento delle banche e correggere quello che non andava'.

Le regole che ci sono e che sono fatte osservare sono il ritornello che ha accompagnato il periodo precedente all'apertura del G8 e del G20. E sono quelle che, a leggere una lettera del primo ministro canadese, il conservatore Stephen Harper, obbligano i grandi del Mondo a evitare 'l'errore di non trovare soluzioni'. Il ministro delle Finanze James Flaherty rivendica come in Canada 'neanche un soldo proveniente dalle tasse dei cittadini è stato dato alle banche per aiutarle a uscire dai guai'. L'ex ministro delle Finanze di un governo liberale John Manley, oggi a capo di una potente associazione che riunisce i Ceo delle grandi aziende canadesi e ha organizzato in contemporanea con quello politico un G20 del business, sottolinea come il governo per combattere la recessione 'ha messo in campo un piano di stimolo per l'economia che vale il 2,5 per cento del prodotto interno lordo senza che un soldo fosse dato alle banche'. Ci sono gli uomini al vertice della Banca centrale del Canada che ripetono con un sorriso compiaciuto che il loro modello 'è il contrario di ciò che gli Stati Uniti hanno fatto'.

Nei palazzi del potere della piccola, pulita e ordinata capitale Ottawa brucia ancora come una ferita aperta l'esperienza della metà degli anni Novanta, quando il Paese fu colpito duramente da una recessione economica. Chi allora era al potere, si trovò davanti il dinosauro famelico e arrabbiato di un debito pubblico pari al 67 per cento del prodotto interno lordo e il 35 per cento delle entrate solo per ripagarlo. Tra liberali, allora al potere, e conservatori ci fu un intenso dibattito sul che fare. Ci furono proposte diverse, ma entrambi gli schieramenti (a livello nazionale i due partiti maggiori sono di indole centrista e a loro si aggiungono l'Ndp di ispirazione socialdemocratica, il Blocco del Quebec che governa nell'omonima provincia e una formazione verde che vale tra i 3 e i 4 punti percentuali) convennero sul fatto che i nemici da combattere erano debito e deficit. Ricorda così i termini politico-filosofici della discussione di allora Jocelyn Bourgon, presidentessa emerita della Canada School of Public Service: 'Con debito e deficit fuori controllo in pericolo c'era una sola cosa, la sovranità del Canada. E in una situazione del genere, la qualità e l'entità dei tagli da fare dipendono esclusivamente da quanto uno tiene al proprio Paese'.

La scelta fu non il bisturi, ma l'accetta. Ci furono nove mesi di discussione per preparare un piano in cui ognuno dei ministri aveva una precisa responsabilità e quando fu portato al voto e approvato non ci furono prese di distanze, giochetti a smarcarsi, primi della classe che dicevano di contare più degli altri e di voler pagare qualcosa in meno. In termini reali ci fu un taglio del 10 per cento della spesa pubblica, con l'eccezione del pagamento degli interessi sui titoli del debito pubblico in modo da non esporre il Paese a una crisi internazionale (come avvenne nello stesso periodo in Messico con la crisi della valuta locale). Nulla sfuggì ai tagli, compreso il piano nazionale delle pensioni, uno dei pilastri del welfare canadese: furono ridotti gli assegni e aumentati i contributi. 'Ci fu una presa di coscienza sul rischio che a pagare sarebbero state solo le generazioni future', spiega David Denison, amministratore delegato della società di investimento del Canada Pension Fund: 'I sacrifici furono possibili con l'accordo pressoché totale dei cittadini sulla base di un principio che non si prestava ad equivoci: da quel momento in poi i soldi delle pensioni dei canadesi sarebbero sempre state lontano dalle mani della politica e del governo. Ed ogni scelta legata unicamente a mantenere i conti in equilibrio'.

Risultato? Dieci anni di seguito, dalla fine degli anni Novanta a tutto il primo decennio del Ventunesimo secolo, di surplus di bilancio, denaro in cassaforte per sviluppare il Paese, ammodernare le infrastrutture, finanziare il welfare che in Canada prevede una sanità pubblica di qualità, scuole e università di livello internazionale e investimenti in ricerca e sviluppo che pongono il Canada al nono posto nel mondo (della somma totale, più di 25 miliardi di dollari, stanziata nel 2010, il 54 per cento va alle imprese e il 35 all'educazione). Così, salute finanziaria e regole chiare hanno attutito l'impatto della crisi del 2008. Spiega Gordon Nixon, l'amministratore delegato della Royal Bank of Canada, il più grande dei sei istituti di credito di portata nazionale: 'Negli ultimi 15 anni c'è stato un accordo tra industria, politica, regolatori e banca centrale sul modo di fare business che ha evitato esagerazioni, storture e squilibri'. A guardare la fotografia di oggi, si capisce perché i canadesi si sono presentati al G8 e al G20 con l'aria dei primi della classe: la contrazione più bassa del Pil fra tutti i paesi del G7 con un meno 3,4 (Usa meno 3,8, Italia meno 6,8), la ripresa più forte nel 2010 e 2011 con il Pil che dovrebbe segnare più 3,6 e più 3,2, il debito pubblico più basso che arriverà nel 2015 quasi al 30 per cento del Pil (Usa oltre l'80 per cento, Italia oltre il 120 per cento), il ritorno sempre nel 2015 al surplus di bilancio che vorrà dire rimettere il Paese, unico nel G7, al riparo dalle prossime turbolenze. Un solo dato sembra rendere più sfuocata la fotografia: anche se il governo sostiene che il 75 per cento dei posti di lavoro persi sono stati già recuperati, la disoccupazione continua ad essere troppo alta con un tasso superiore all'8 per cento.

In Canada, però, dimenticano due elementi chiave del loro sviluppo e che sono indipendenti dalle scelte politiche e sociali e che attengono a quell'imprevedibile evento della vita che si chiama fortuna: il Paese conta poco più di 34 milioni di abitanti che vivono su un territorio che è 33 volte l'Italia, dotato di ricchezze naturali immense. In più i canadesi hanno al confine la superpotenza Stati Uniti la quale, tra mille contraddizioni, è sempre stata la locomotiva che ha trainato la loro economia visto che il 73 per cento delle esportazioni vanno proprio verso gli Usa mentre solo il 9 per cento prende la via dell'Europa. Il rapporto tra Ottawa e Washington deve essere per definizione buono. I canadesi hanno sempre difeso il loro territorio dall'invadenza economica americana: per esempio, fino all'entrata in vigore del Nafta (patto di libera circolazione delle merci tra Usa, Canada e Messico), se un'azienda americana voleva vendere i suoi prodotti a nord dei grandi laghi doveva installarvi uno stabilimento; Ottawa da parte sua ha resistito al canto della sirena di Wall Street, che invitava a smontare regole e controlli, senza perdere in competitività visto che Toronto è la terza piazza finanziaria del Nord America dopo New York e Chicago.

I canadesi guardano con ammirazione agli Stati Uniti come a un fratello maggiore di successo, ma hanno capito che quello sviluppo può avere costi sociali troppo elevati che loro non hanno nessuna voglia di affrontare. Per questo hanno costruito una politica dell'immigrazione per la quale il 60 per cento dei nuovi canadesi ha una laurea e trova porte aperte perché, come spiega il responsabile dell'agenzia Invest Toronto, Renato Discenza, 'il dibattito non si è mai svolto sul filo della contrapposizione noi canadesi e loro stranieri'. È stato messo a punto anche un sistema di protezione che i conservatori made in Usa prendono a bersaglio tacciando Ottawa di socialismo ogni volta che a Washington vengono avanzate proposte di riforma sociale, come ad esempio la riforma sanitaria che Barack Obama è riuscito a far approvare con la dura opposizione dei repubblicani. Come reagiscono in Canada? 'Quando mi danno del socialista lo prendo solo e sempre come un complimento', è la risposta ironica di David Miller, il sindaco di Toronto eletto senza bandiere di partito, ma al quale viene attribuita una vicinanza al New Democratic Party e che governa la città a colpi di voti all'unanimità specialmente su grandi questioni come sviluppo e ambiente.

Adesso il Canada ha aperto le sue porte ai grandi del Mondo e vuole mostrarsi come una società ordinata, che cresce e funziona. Ed anche le polemiche sui costi del G8 e del G20 fatte dall'opposizione sono state misurate e improntate al fair play politico, nonostante il conto finale superi il miliardo di dollari. Con la sola eccezione della protesta fatta dal leader dell'opposizione Michael Ignatieff per i 57 mila dollari spesi per costruire un finto scenario del lago Muskoka, uno dei posti più belli del Canada, dove andranno solo i leader del G8. Un artifizio teatrale da mostrare ai leader del G20 che non potranno vedere l'originale e si riuniranno solo a Toronto.
 
di Antonio Carlucci

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