venerdì 7 ottobre 2011

Quanto vale l'economia del sommerso in Italia

Dopo un’estate passata a discutere sull’entità e la portata dell’evasione fiscale nel nostro paese può essere utile dare un’occhiata ai dati che riguardano l’impatto complessivo dell’economia sommersa e del lavoro irregolare sulla ricchezza (Pil) prodotta in Italia negli ultimi dieci anni. Lo studio è stato condotto nel primo semestre 2011 dal gruppo di lavoro “economia non osservata e flussi finanziari”, istituito presso il ministero dell'economia in previsione della tanto attesa (e probabilmente ancora a lungo) riforma fiscale, e guidato da Enrico Giovannini, presidente dell'Istat. Dai dati emerge un valore complessivo dell’economia sommersa (2008) che oscilla tra 255 e i 275 miliardi di euro, pari rispettivamente al 16,3% e al 17,5% del Pil. Rispetto al 2000 (217-228 miliardi) il sommerso è in crescita ma paradossalmente costituisce una fetta inferiore della ricchezza (il Pil nel frattempo è cresciuto). In valore assoluto quindi il sommerso economico è aumentato di quasi 40 miliardi di euro in otto anni. Nel 2008 la ricchezza prodotta nell’area dell’economia irregolare dal solo settore dell’agricoltura è stato pari al 31% del valore aggiunto ai prezzi del produttore. In pratica grazie alla violazione delle norme fiscali e contributive sono stati intascati più di 9 miliardi di euro. Un parte considerevole dell’economia sommersa è rappresentata quindi dal valore aggiunto non dichiarato, alla cui produzione partecipano lavoratori non regolari. Nel 2009 erano 2 milioni e 966mila unità, occupate in prevalenza come dipendenti (2 milioni e 326mila contro i 640 mila indipendenti). Nel 2001 il lavoro non regolare contava 3milioni e 280mila unità, il livello è quindi diminuito sensibilmente e paradossalmente grazie alle forme di lavoro flessibile che in Italia sono state regolamentate e modificate soprattutto a partire dai primi anni 2000. A questo risultato ha contribuito anche la progressiva regolarizzazione dei lavoratori stranieri, attraverso le quote di ingresso introdotte nel 2007. Passando ai settori, il comparto con la maggiore incidenza di lavoratori irregolari è l’agricoltura , dove il tasso è cresciuto dal 20,9% del 2001 al 24,5% del 2009, questo grazie al carattere stagionale dell’attività e al’’utilizzo del lavoro a giornata. Seguono i servizi, in calo dal 15,8 al 13,7% e  l’industria, passata dal 7,4% del 2001 al 6,2% del 2009. A livello territoriale, il tasso di irregolarità delle unità di lavoro presente al Sud è più del doppio di quello presente al Nord. Se nel Veneto ed in Lombardia è rispettivamente pari al 9,4% e 9,6%, in Campania raggiunge il 15,3%, in Puglia il 18,7%, in Sicilia il 19,2% ed in Calabria addirittura il 29,2%. Nelle infografiche i dati relativi all’evoluzione dal 2001 al 2009 delle unità di lavoro irregolari per settore e regione. Carlo Di Foggia

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