lunedì 12 marzo 2012

La dittatura dell' apparenza


La questione, in apparenza, è una questione di pelle. Di effimere ossessioni che vanno dalla testa ai piedi e attraversano la superficie di un corpo ritoccato per essere bello. Cute piallata e levigata per dare un senso all' essere e all' avere nel deserto etico di questa società. E rughe stirate, capelli colorati, nasi rifatti, seni gonfiati, addomi scolpiti per portare in giro qualcosa da mostrare che nasconda il vuoto dentro, la tristezza di un tempo senza memoria che uccide i sogni e cancella i ricordi. Ma c' è dell' altro nell' inventario fallimentare che Vittorino Andreoli compila analizzando le perversioni della modernità. C' è la perdita di senso e l' ostentata pornografia dei valori diffusa coi messaggi impropri della politica. C' è la crisi della famiglia, la scuola a pezzi, lo smarrimento dei padri, la banalità delle madri, la confusione degli adulti in balia di pulsioni e frustrazioni riversate addosso ai demiurghi della contemporaneità, quei medici che aiutano a cambiar faccia, pelle e bocca e trasformano le persone in tanti ex. Ormai, scrive Andreoli, viviamo in uno specchio deformato: cerchiamo solo potere e bellezza. Quel che appare è diventato quello che si è. Siamo un corpo vuoto che galleggia nella società liquida di Zygmunt Bauman. Viviamo da precari, alla giornata, sull' orlo della bancarotta etica ed economica. Abbiamo cancellato la speranza nei giovani. E stiamo affidando a Internet il nostro destino. L' uomo di superficie (Rizzoli) non è un semplice libro. È un ammonimento, il grido d' allarme di uno psichiatra che usa il culto del corpo come metafora del degrado di un Paese e di certe sue istituzioni. Bastano poche pagine per capire che il marketing del corpo rischia di cancellare la consapevolezza di quel che ci portiamo dentro. La nostra storia, le passioni, le emozioni, l' umanità che ci ha fatto grandi. Andreoli non si chiede dove siamo finiti. Sa benissimo che abbiamo sconfinato. Navighiamo a vista. In questo momento stiamo andando al buio. Ci vuole il coraggio di pochi ribelli per rompere la spirale di conformismo che sta appiattendo tutto. Ma servono spalle larghe e propensione al rischio. Andreoli questo coraggio ce l' ha. Dice cose che danno fastidio. Non cerca facili applausi. Si mette in gioco parlando di sé, dell' iniziazione alla vita nella scuola contadina, della solidarietà che insegna a saziare la fame con una misera aringa divisa in famiglia. Racconta l' indimenticabile felicità del freddo e del fuoco, ricorda il dolore per la perdita del padre, il senso di colpa, la paura del vuoto e la fede fortificata nella certezza che si può continuare a vivere in simbiosi con chi ci ha voluto bene. Parla della sua scelta di lavorare in manicomio: con gli ultimi si impara e ci si misura con le fragilità della vita. Ai drogati da successo dice che si cresce attraverso gesti ed esempi imitabili. Quelli che oggi, purtroppo, non si trovano quasi più. Il driver della società è il potere, «malattia grave per cui non c' è cura se non aumentarlo, come dire che si guarisce stando peggio». Non c' è nessun Robin Hood in grado di liberarci, perché «ci siamo consegnati a una classe politica inetta e rapace». Il berlusconismo, secondo Andreoli, è stato «un governo in maschera che poteva dire e negare, sostenere a parole e distruggere di fatto, prigioniero degli interessi personali del leader». Ma le opposizioni si sono adeguate al peggio, finendo nel ridicolo tra faide e pessime imitazioni. Andreoli confessa la sua delusione per Romano Prodi, di cui è stato analista e trainer (psicologico) nei vittoriosi duelli con il cavaliere di Arcore. «Non chiesi nulla per quei successi elettorali - ricorda - ma interruppi la relazione con lui subito dopo l' ultima vittoria: mi telefonò per salutarmi e io gli raccomandai il piano per i giovani che era stata la molla che mi aveva spinto a partecipare alla campagna. Doveva essere gestito dalla presidenza del Consiglio, ma lui disse che aveva creato un ministero per i giovani affidato a Giovanna Melandri... Mi resi conto che aveva già dimenticato tutto, e mi indignai. Gli dissi di prendere una matita e cancellare il mio numero di telefono». Prodi cadde due anni dopo, per le liti tra piccoli uomini «che non avevano a cuore le sorti dell' Italia». Come il governo Berlusconi, anche il centrosinistra «era dominato dalle logiche narcisistiche dei partiti che rappresentavano se stessi e non il Paese». Come se ne esce? E' la domanda che viene spontanea. Andreoli non ha una terapia. Indica nella politica vanesia e autoreferenziale il nodo da sciogliere. «Finché il sistema di governo non funziona si parlerà solo di poteri e i bisogni di un popolo non saranno nemmeno considerati». Anche chi è abituato a indagare il cervello degli uomini respira l' aria inquinata di questa società e cammina nella nebbia: «La nostra civiltà è in sala di rianimazione e l' ossigeno è poco». Bisogna ripartire dai fondamentali, «cultura, giovani, ricerca, arte e conservazione, tutto ciò che è umano ma appare ridotto alla bidimensionalità di una superficie translucida, senza radici». Bisogna reimparare le tabelline della vita. Che non si trovano sull' iPad o nello schermo del computer. 

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