domenica 30 giugno 2013

Quale Stato del Benessere se non c'è più una lira?


Gli standard che abbiamo conosciuto ormai vanno sparendo. Si può ugualmente riavere un sistema giusto con uno scatto culturale che prenda sul serio l'art. 118 della Costituzione 
Sfuggire al ricatto economico per ripensare con maggiore serenità a finalità e possibili miglioramenti dell'attuale struttura previdenziale 

Il welfare tradizionale sta cedendo di fronte alle revisioni imposte al bilancio dalle politiche di stabilità europee. Sul welfare locale pesano i tagli delle fonti di finanziamento statale, passate da 2,1 miliardi del 2008 a 0,55 miliardi di euro del 2011 (-74 per cento), con il totale azzeramento di alcuni fondi (politiche giovanili, inclusione degli immigrati, pari opportunità, non autosufficienza) e la riduzione del Fondo per le politiche sociali, passato da 930 a 43 milioni di euro. 
Il tema del futuro del welfare non rappresenta un'emergenza solo per l'Italia, ma un problema per tutti i Paesi sviluppati: basti pensare che il welfare europeo vale il 58 per cento di quello mondiale, nonostante gli europei siano solo l'8 per cento della popolazione mondiale.
Il welfare in Italia, dunque, rispetto agli standard a cui la mia generazione si era abituata, è finito e bisogna prenderne tristemente atto. (...)
Il paradosso è che in Italia ci si oppone, mentre nel Regno Unito la classe politica promuove la "Big Society", cioè l'intervento strutturale del privato nell'attività pubblica, a seguito della consapevolezza che il sistema sociale com'è attualmente, oltre a non essere sostenibile, produce la "dependency culture" e un notevole numero di approfittatori, da un radicale ridimensionamento dello Stato sociale.

La riforma inglese, varata dal Governo, mira a risparmi per 18 miliardi di sterline l'anno, e andrà a colpire i percettori di assegni familiari, i disabili, i beneficiari di sussidi per la casa, l'intero sistema sanitario nazionale, in un'ottica decisamente antikeynesiana, caldeggiata dalla Ue, dalla Bce e dall'Fmi.
Anche se il percorso intrapreso nel Regno Unito segna il passo, bisogna prendere dal modello della Big Society ciò che funziona e studiare come trasferirlo da noi. 

In particolare, il tentativo di trasferire direttamente alle collettività locali responsabilità nella definizione dei tributi, nella politica dei trasporti, nella gestione di scuole, musei, parchi pubblici, servizi alla persona eccetera.

Ad esempio, si può guardare con attenzione all'esperimento laggiù avviato, che sta trasferendo al cittadino, con un alleggerimento dell'impegno dell'amministrazione del beneficio sociale, l'onere della cura delle proprie esigenze socio-sanitarie.

L'esperimento avviato in alcuni comuni e contee denominato "In Control" ha avuto risultati lusinghieri soprattutto per quanto concerne il gradimento dei cittadini. Detto modello pilota predetermina le risorse economiche da assegnare agli utenti, in modo che possano pianificarne l'utilizzo. Poco tempo dopo aver chiesto assistenza, essi vengono a sapere quale sarà lo stanziamento di risorse a loro disposizione per acquistare sostegno. Molti richiedenti stabiliscono da soli i loro bisogni attraverso un semplice sistema di punteggi; in alcune contee questo calcolo si fa addirittura al telefono. In seguito lo stanziamento viene verificato e tradotto nell'assegnazione di un fondo consistente in una somma di denaro. 

I budget possono variare da poche decine di sterline la settimana, che servono a un anziano fragile per acquistare assistenza domiciliare, alle decine di migliaia di sterline che servono a un giovane gravemente disabile per ottenere assistenza 24 ore su 24.
La mia proposta presuppone la piena attuazione di quella mutazione culturale che, favorita dalla modifica dell'articolo 118 della Costituzione con l'introduzione del principio di sussidiarietà, ha rovesciato la concezione precedente di stampo statalista e assistenzialista, avviando il recepimento in senso positivo del contributo dell'associazionismo, dello spirito di iniziativa del privato sociale, della "cittadinanza attiva" alla soluzione dei problemi delle comunità locali che sono, poi, anche quelli dell'intero Paese. (...)
Lo Stato da parte sua (...) deve avere un ruolo da protagonista nel promuovere e regolare, negli indirizzi di fondo, questo nuovo welfare che stiamo definendo, compito al cui interno sta l'esigenza di una complessiva e coerente riforma dei corpi intermedi della società civile, e dell'impresa sociale, affinché quest'ultima faccia un salto di qualità, riuscendo ad attirare investimenti profit, dando corso contestualmente a una disciplina fiscale di favore per il terzo pilastro, secondo quanto accade in gran parte dei Paesi europei. Ma lo Stato sta alla dimensione pubblica come l'apparato scheletrico sta al corpo. Questa, nella metafora, dovrebbe essere la corretta relazione tra le istituzioni e la sfera degli interessi comuni. (...)
Uno Stato, per definirsi sociale, deve promuovere il principio del sostegno comune e dell'assicurazione collettiva contro la cattiva sorte individuale e i suoi effetti, principio che fa di una società semplicemente teorizzata una comunità reale, che promuove i singoli allo status di cittadini, cioè "stakeholders", oltre che "stockholders", e attori responsabili.
Se riusciamo a sfuggire al ricatto economico, allora possiamo ripensare con maggiore serenità finalità e funzionamento dell'attuale sistema di welfare, cui si accompagna una domanda di maggiore autonomia per i diversi attori sociali, nel quadro di una piena e sostanziale applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale. (...)
Il welfare nazionale ha bisogno di una stagione istituente, in grado di valorizzare il modello italico, che ha prodotto nei secoli una ricchissima e diffusa ramificazione di iniziative e di opere sociali, che dal particolare sono riuscite a imporsi a livello universale.
Bisogna ritornare un po' alle origini, al capitale sociale esistente in quantità già significative nei territori, capitale capace di attenzioni antiche quali la mutualità e la solidarietà, per aggiornare il modello, affinché si pervenga a un welfare di nuova generazione, in grado di passare da una logica della prestazione e della moneta, tipica del vecchio sistema, a una logica del legame sociale, della partecipazione, del coordinamento delle politiche sociali, dell'impegno comune di tutti gli attori.

Emmanuele Emanuele - Il Sole 24 Ore Presidente della Fondazione Roma1


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