mercoledì 18 settembre 2013

La ripresa c’è, ma non per tutti dura selezione tra le imprese più soldi, niente assunzioni

Se questa fosse una guerra, un’impresa come quella di Tatiana Roberti andrebbe definita una creatura dei tunnel. Venivano chiamati così i figli dei Vietcong nati nei cunicoli scavati dai soldati per evitare i bombardamenti: per anni non videro mai la luce del sole, eppure crebbero lo stesso. Tatiana Roberti e suo marito Cristian Gatto hanno fondato la loro azienda nel 2007 in uno dei tanti capannoni dismessi che si trovano a Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso.

Non sanno neanche cosa significhi fare gli imprenditori in tempi normali. Dall’inizio sono subito scesi nei tunnel per resistere ai colpi della recessione, che in questo caso significa un feroce controllo dei costi e massima specializzazione. Così la loro impresa di arredamento di spazi commercia-li, vetrine e showroom ha continuato a guadagnare per sette anni su sette, mentre l’economia italiana crollava del 9 per cento.
Ora però sta succedendo qualcosa di nuovo. Tatiana Roberti, 37 anni, nota nell’aria un fenomeno a lei quasi sconosciuto: «C’è movimento in giro », dice. Difficile spiegare in cosa consista, se non per un particolare: per chi ha resistito in questi anni – sostiene - sta diventando più facile riscuotere la fiducia dei committenti. La grande recessione ha selezionato i più coriacei, gli innovativi e magari anche chi ha avuto la buona sorte di non incappare nei ritardi di pagamento dello Stato. Molti degli altri hanno dovuto soccombere o si sono ritratti nelle loro nicchie. I più produttivi ora hanno finalmente lo spazio che cercavano. Forse è una ripresa darwiniana, ma per alcuni funziona. «Molti artigiani che non erano specializzati come noi non ci stanno più facendo concorrenza», spiega Tatiana Roberti. Lei sa cosa significhi stringere i denti e resistere. Mentre portava la sua impresa da 700 mila euro di fatturato a 1,8 milioni nel 2011 e 1,4 nel 2012, cercando di non superare mai i dieci dipendenti e affidandosi a collaboratori e consulenti, faceva anche altro. Ha avuto un figlio, spesso affidato ai nonni, e nel frattempo per cautela ha continuato a lavorare come dipendente in un’altra impresa. Tre vite in una aspettando che passasse la crisi.


Più difficile dire quando questo spicchio di buone notizie inizierà a vedersi anche nei grandi numeri del Paese. Per adesso in Italia si è visto solo un attutirsi della caduta, mentre nel complesso la zona euro ha festeggiato l’uscita dalla recessione con il secondo trimestre di quest’anno. Fra aprile e giugno la Germania è cresciuta dello 0,7 per cento, la Francia dello 0,5%, la Spagna ha avuto un segno meno di 0,1% e l’Italia è scivolata dello 0,3%. Non sarebbe niente da cui trarre conforto, se gli andamenti degli ultimi due anni non fossero stati ancora peggio.
In effetti non mancano i segnali che in autunno potrebbe essere finita la recessione più profonda mai vissuta dall’Italia in tempo di pace. Sulla base degli indici sul settore manifatturiero, il Centro studi di Confindustria ci crede. Gli investimenti sono scesi dell’1,1% nel secondo trimestre, ma è un passo avanti dopo il collasso dell’11% sul trimestre precedente; l’export è salito del 4,8%, dopo una caduta dell’8,2% fra gennaio e marzo (tutte variazioni trimestrali in ritmo annuale).
In sostanza la Cina sta tenendo meglio del previsto e la ripresa americana prosegue, dunque il made in Italy ha più compratori di prima. 

È in buona parte per questo che le imprese rimaste in vita, dopo un crollo di un quarto della produzione industriale, cercano di uscire dai tunnel e rinnovare le macchine per cogliere l’occasione.
Di recente per esempio la Pregia di Castelfranco, l’azienda di Tatiana Roberti, ha rifatto l’intera linea espositiva in Cina di un grande gruppo italiano dell’abbigliamento.
«È importante che questo miglioramento si sia registrato già prima dei pagamenti degli arretrati della pubblica amministrazione - osserva la banca Jp Morgan in un rapporto sull’Italia – adesso le entrate alzeranno molto la domanda e la fiducia delle imprese». Giovanni Bossi inizia a vederlo a Mestre, dov’è amministratore delegato di Banca Ifis. Il suo istituto compra crediti dalle imprese per riscuoterli e da luglio nota un’accelerazione. «Settembre di solito era un mese calmo, ma quest’anno sta andando eccezionalmente bene », osserva Bossi. I flussi di pagamento dello Stato si sono moltiplicati per sette, meno imprese debitrici saltano le rate di fine mese, mentre molte altre cercano di vendere i loro vecchi crediti per poter avere liquidità da investire subito. Morgan Stanley, un’altra grande banca americana, stima che in un anno il versamento degli arretrati dello Stato possa portare all’Italia mezzo punto percentuale di crescita in più. In altri tempi sarebbe stato un dettaglio statistico, oggi no.
C’è però chi non beneficerà di queste somme che, peraltro, sarebbero dovute da tempo. 

A Borgoricco, un’altra frazione del padovano, c’è un’altra azienda di una giovane coppia che ha resistito nei tunnel della recessione. Si chiama New Ecology e offre servizi ambientali, ma ha smesso da tempo di lavorare con commesse pubbliche. «Non ci possiamo permettere di correre il rischio di essere pagati con tanto ritardo», osserva la 39enne amministratrice Maria Dolores Nalesso. Anche lei in questi mesi si è trovata a decidere se comprare i portafogli clienti delle aziende che non ce l’hanno fatta e ora vede qualche occasione in più. Ma la sua esperienza le suggerisce che all’Italia qualche fermento di ripresa non basta, perché le trappole per le imprese sono ovunque. Il mese scorso si è accorta che per una falciatura d’erba lungo la ferrovia, un lavoro da tre giorni, deve investirne sei in licenze ammini-strative. Fra Imu, Irpef, Ires e Iva, il 70% del fatturato se ne va in tasse. E benché anche lei abbia aumentato l’efficienza e ridotto i costi, osserva, «ormai siamo all’osso ».
Con i sessanta dipendenti ha stretto un patto: nessuno finirà in cassa integrazione, ma tutti devono dare il massimo anche se i salari arrivano con dieci giorni di ritardo. «Come fa a girare il denaro – si chiede Nalesso – se i nostri clienti non sono sostenuti dalle banche? ».


La sua domanda grava sull’intera economia italiana. Gli ultimi rilevamenti della Banca d’Italia mostrano che il credito alle imprese e alle famiglie continua a contrarsi, le sofferenze bancarie crescono e i tassi d’interesse su molti prestiti salgono. Nessuna ripresa è mai durata a lungo senza credito per comprare macchinari o beni di consumo. L’Italia non soffre più dello stress finanziario acuto di un anno fa, ma le spie del disagio non mancano.
I dati di Target 2, il sistema di pagamenti della Banca centrale europea, mostrano che in agosto le banche italiane hanno fatto ricorso all’ossigeno dell’Eurotower più che in luglio. La posizione debitoria della Spagna in Target 2, benché maggiore, cala molto più in fretta: è come se intorno all’Italia oggi permanesse un alone di sospetto.

Morgan Stanley, nel suo ultimo rapporto, sostiene che quel che manca è il senso di direzione. Secondo la banca il cosiddetto “potenziale di crescita”, il ritmo a cui il paese può normalmente procedere, resta poco sopra lo zero. «La stabilizzazione rischia di non diventare vera ripresa senza misure per affrontare le molte deficienze dell’economia», scrive Morgan Stanley. «Ma un sistema politico instabile rende difficili le riforme di sostanza».
A Castelfranco Tatiana Roberti non ha neanche il tempo per chiederselo. Potrebbe investire, assumere e crescere ancora, riconosce, ma si guarda bene dal farlo: non ci sono certezze sul credito, né sui costi del sistema Italia. «Ci siamo impegnati tanto. Ma finché la situazione resta così, chi si fida a esporsi di più?».

Federico Fubini - La Repubblica - Le scommesse dell'economia


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