IMOLA. Per Pierangelo Raffini, imprenditore imolese di 59 anni, si tratta di riprendere il discorso che aveva cominciato in un altro ottobre, quello di 5 anni fa quando diventò assessore per la prima volta. Titolare di un’azienda di consulenza informatica, coordinatore del Circolo Einaudi e appassionato gourmet, è titolare di un nutrito pacchetto di deleghe che comprende attività produttive, centro storico e agricoltura.
Ci contava sul fatto di essere richiamato in prima linea come assessore o è stata una sorpresa?«Io ricordo sempre che un lavoro ce l’ho già… Interpreto, a questo livello, la politica più come un servizio. Non posso però nascondere che mi faccia piacere la fiducia che mi è stata rinnovata in deleghe per le quali mi sento preparato. Io sono perito agrario e conosco l’agricoltura, ho una piccola impresa e conosco le problematiche, sono imolese e vivo la città che amo. Quindi mi fa piacere da un lato, ma mi sento anche investito di una grande responsabilità. Sarà che per indole non riesco a prendere le cose per gioco, anche quando faccio sport io gioco per vincere. Ora la città ci ha dato un’altra opportunità e noi dobbiamo dimostrare che siamo persone che vogliono il cambiamento».
Rientrando a Palazzo che situazione ha trovato rispetto a quella che aveva lasciato nel settore che ora le compete nuovamente come amministratore pubblico?
«Ho trovato le stesse cose e penso che dovrò riattivare quello che avevo fatto partire e stava dando già i primi frutti. Parlo del programma “manufacturing zone”. Era un progetto sperimentale partito a giungo 2016 e che sarebbe andato oltre il mio mandato ma è scaduto nel 2019. Aveva come obiettivo quello di rendere attrattivo il territorio per l’insediamento di nuove imprese con una serie di facilitazioni legate a sgravi della Tari, collegamenti internet, alle tempistiche delle pratiche burocratiche, per le quali avevamo fissato un massimo di attesa di 60 giorni. Un esempio fu il lavoro fatto con la Teapak, durante la costruzione dello stabilimento si trovarono i resti di un insediamento romano rurale. Mentre la Soprintendenza svolgeva il suo lavoro, io ho trattato 16 mesi con l’azienda che voleva andare via temendo di non riuscire a rispettare i tempi prefissati. L’azienda poi è rimasta sul territorio dove ha fatto un investimento da 35 milioni, il cronoprogramma è stato rispettato. A Imola abbiamo filiere molto importanti dalla meccanica, all’agroalimentare, al packaging che forniscono già grandi imprese in giro per il mondo e alcune potrebbero valutare di venire qui anche per ridurre l’impatto della logistica. C’era un patto fra associazioni impresa, sindacati e Comune per agevolare questi processi, avevamo individuato i sette motivi per venire a investire a Imola, e inoltre alle aziende veniva dato un tutor che li seguisse sia per la parte urbanistica che per lo sviluppo economico in tutte le pratiche. Io parto da un presupposto: il lavoro non cade dal cielo, ma lo dà l’impresa e io come Comune devo creare le condizioni perché l’impresa venga qui, e questo per favorire l’occupazione locale, con un occhio di riguardo a quella femminile. Altra gamba del progetto è l’innovazione, come strumento per attrarre start up e giovani che sul territorio vogliano sì lavorare ma anche vivere».
In questi due anni abbiamo visto avanzare molto il territorio di Castel San Pietro, sul fronte dell’espansione industriale. Può essere dipeso anche dal fatto che il sindaco di Castello abbia esercitato il giusto ruolo di relazione nelle sedi istituzionali metropolitane e regionali dove invece Imola mancava?
«Fausto Tinti è molto bravo e per non perdere imprese ha fatto il suo gioco. Anni fa era stata fatta anche una scelta a livello provinciale per consentire lo sviluppo di nuove aree industriali fra Castel San Pietro e Castel Guelfo. A Imola le aree vanno invece cercate fra quelle esistenti. Oggi ci sono molti capannoni vuoti e voglio essere io come Comune l’hub in grado di fare incontrare proprietari di immobili e aziende investitrici».
Esiste una mappatura di questi immobili vuoti?
«Nel mio passato mandato ho iniziato questo lavoro appoggiandomi alle associazioni e coinvolgendo tutti gli immobiliaristi di impresa per capire quali spazi ci fossero a disposizione e di quale pezzatura. Ora devo riprendere in mano tutto, e ho anche qualche idea in più per rinforzare questo lavoro».
Due capannoni dismessi da molti anni che balzano all’occhio: Cnh e vecchia 3elle. Idee e proposte?
«Sulla Cnh a suo tempo ci furono trattative, poi la vendita saltò. Oggi penso a quanti punti logistici, ad esempio di Amazon, siano stati aperti non lontano da noi e credo che quello sarebbe un posto d’oro per questo genere di attività, sono 110mila metri quadrati. Ricordo che all’epoca la proprietà trasferì i lavoratori favorendo gli stabilimenti di Termini Imerese per sue convenienze, e non perché il sito imolese non fosse produttivo. Quindi in un certo senso quella proprietà è in debito verso la città, anche se nessuno glielo ha mai ricordato, e il discorso su quell’area va assolutamente ripreso. La ex 3elle, ora di proprietà della Cti, è circa 50mila metri e ha tre sbocchi, ma non ci possono stare aziende agroalimentari per una questione di interramento dei cavi e quindi siamo più limitati. Occorre rendere appetibile per gli imprenditori il fatto di ristrutturare anziché costruire nuovi capannoni, in questo ci serve anche l’aiuto della Regione».
In questi giorni è esploso il caso Cefla, la seconda coop imolese che intenderebbe vendere un ramo d’azienda a una multinazionale straniera. Come lo sta affrontando la nuova giunta?
«Se la cessione come leggo sui giornali garantirebbe il mantenimento del lavoro a tutti, dico guardiamoci bene dentro. Se la cosa è diversa approfondiamo. Ma sulla questione devo documentarmi bene e non esprimo ora commenti. Ovviamente il Comune pone massima attenzione a queste situazioni, l’occupazione è un tema delicato specie in questo momento. Il mio primo atto da assessore sarà incontrare sindacati e tavolo delle imprese per parlare della riattivazione del progetto manufacturing zone, ma credo che parleremo anche di questa situazione».
Passiamo al centro storico. Oggi manca di più l’intervento pubblico o la voglia di fare impresa in questo contesto?
«Il centro non ha un problema ma ne ha una serie e quindi servono una serie di soluzioni, non una sola. Soffre di un passato che ha toccato tutti i centri storici delle città di queste dimensioni. Crisi data dalla minore disponibilità economica delle persone, poi i centri commerciali vicini, ma questo è oggi un tema superato perché anche i centri commerciali hanno problemi. Non si può pensare a far ritornare il passato, bisogna pensare a soluzioni nuove. Una è secondo potrebbe essere una serie continuativa di eventi, con più pubblicità e maggiore coinvolgimento degli esercizi e del commercio. Poi agire sul piano urbanistico: dare una sorta di linea preferenziale sulla burocrazia per il recupero di immobili in centro, per negozi e vetrine ma anche per ripopolare di residenti il centro storico. Il centro deve essere il cuore della città non la memoria, se si vuole che viva deve essere ripopolato di abitanti».
L’assessore all’urbanistica Zanelli dice che oggi ci sono strumenti nuovi per l’utilizzo temporaneo di edifici dismessi. Oppure avete in mente ad esempio una politica per le locazioni dei locali sfitti, che vada però oltre lo sgravio dell’Imu che evidentemente non basta?
«Ci sono annose questioni per cui ancora non si è trovata la quadratura, noi abbiamo cinque anni davanti e abbiamo molte idee. Tutti parlano dell’ex Macello o del Circoli, che per me potrebbe diventare ad esempio l’hotel che manca in centro a Imola. Bisogna mettersi al tavolo coi proprietari e trovare un accordo. Poi le attività che oggi operano non possono vivere solo per ripagare gli affitti. Perciò cercheremo di mettere mano al centro in maniera pesante».
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