giovedì 13 maggio 2010

Concorrenza sleale. Tutti i rischi dei cibi che sembrano italiani

Il valore dei prodotti non originali è stimato in 60 miliardi Circa tre volte superiore al fatturato dell'esportazione

Food made in Italy, la ripresa passa attraverso l'export che nei primi due mesi dell'anno è aumentato del 2,6 per cento. L'umore del settore è positivo. Dai risultati di una ricerca di Federlimentare che Corriere Economia anticipa, emerge un dato significativo per tracciare il pensiero dell'industria alimentare italiana: 8 aziende su 10 (l'81,3%) guardano con ottimismo alla ripresa del settore. In particolare il 57,3% lo fa (nel breve e medio periodo) all'insegna di una moderata fiducia, mentre il 24% con la certezza che la ripresa dell'economia è vicina.

Premio alla qualità
L'indagine «100% made in Italy», che sarà presentata a Cibus 2010 di Parma, è stata realizzata attraverso un questionario sottoposto a oltre 150 brand alimentari con almeno cento anni di storia alle spalle. «Il 2009 è stato un anno difficile per tutti e l'industria alimentare italiana ha tenuto non soltanto perché è anticiclica, ma perché le nostre aziende hanno investito in qualità e in sicurezza», commenta il presidente di Federalimentare Gian Domenico Auricchio.
Il 2010 si apre con un segnale confortante: nei primi due mesi la produzione è salita del 2% e l'export registra un +2,6%. Per Auricchio, ci sono tre condizioni per poter essere fiduciosi.
La prima è che l'Ice continui a dare il contributo prezioso per l'espansione all'estero che ha portato sinora. La seconda è che il sistema creditizio continui a essere al fianco delle imprese nel 2010 così come lo è stato nel 2009, per permettere a molte aziende di investire per la crescita e la trasformazione. La terza è la lotta alla contraffazione. Un fenomeno, quello del cosiddetto Italian sounding (cioè l'imitazione dei nostri prodotti grazie all'utilizzo di nomi e di immagini che richiamano l'Italia), che presenta cifre stratosferiche, visto che a fronte dei 20 miliardi di euro di prodotti alimentari esportati nel 2009 ne sono circolati nel mondo circa 60 relativi a imitazioni di scarsa qualità, vendute a un prezzo più basso.

I numeri dell'imbroglio
Italian sounding significa che sugli scaffali dei supermercati di tutto il mondo per ogni barattolo di salsa o di pomodoro pelato «autentico» e per ogni pacco di pasta o confezione di olio extravergine nostrani ne esistono tre che traggono in inganno i consumatori stranieri sfruttando l'immagine, i colori, le marche e le denominazione italiane.
Nord America ed Europa sono le aree a maggiore rischio di «agro-pirateria». Negli Stati Uniti e in Canada il mercato del falso fattura complessivamente 24 miliardi di euro a fronte di un export dei prodotti alimentari autentici pari a circa tre miliardi: in pratica, soltanto un prodotto alimentare su otto è veramente italiano.
In Europa il business dell'imitazione tocca complessivamente i 26 miliardi di euro contro un export alimentare che vale circa 13 miliardi di euro, quindi per ogni prodotto italiano vero ne esistono circa due taroccati.
Nel resto del mondo l'Italian sounding vale dieci miliardi di euro contro un export che ne vale quattro. Dietro ai sughi «Da Vinci» e «Gattuso», all'olio «Pompeian» e ai pomodori in scatola "Contadina» non c'è un'azienda o un produttore che sia italiano.

«Al di là dell'orgoglio che si può provare perché imitano i nostri prodotti in quanto sono i migliori al mondo per qualità e sicurezza - dice Auricchio - il danno dell'agro-pirateria è duplice: c'è sia quello economico sia quello di immagine, che a mio avviso è maggiore. Con la legge Ronchi sul made in Italy si è fatto un primo passo verso la tutela dei nostri prodotti, ma in un momento in cui c'è crisi e minore disponibilità a spendere, il rischio che i prodotti che imitano e che costano meno possano sottrarci mercato è più alto: la contraffazione è un handicap potenziale molto alto per il nostro export».
Il calo dell'euro è un vantaggio? «Certo un dollaro meno debole dà fiato, visto che gli Usa sono il secondo mercato di esportazione dopo la Germania». Ma da solo non basta.

FAUSTA CHIESA - Corriere Economia

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