lunedì 9 giugno 2014

Se il web ora scopre la lettura lunga

NEW YORK


Nei «Racconti di Canterbury», classico inglese del XIV secolo, Geoffrey Chaucer racconta i disastri del quinto marito dello Donna di Bath, che lei vorrebbe sempre sedurre a letto e che invece si rintana nella protettiva lettura di un libro.  
Anche lo scrittore Italo Calvino, ne «Gli amori difficili» scrive de «L’avventura di un Lettore», sempre distratto dalla sua amata lettura. E nell’affascinante serie tv «Ai confini della realtà» (Twilight Zone), come dimenticare la storia del povero impiegato che non riesce mai a trovare il tempo per leggere e che la fine del mondo illude finalmente di riuscirci? 
La lotta per leggere in pace sembra una costante nella nostra vita e oggi spesso, invece, i critici del web, e ce ne sono di seri, imputano alla Rete l’eccesso di rapidità, l’illusione che a volo d’uccello si possa leggere e informarsi, magari con i 140 caratteri contenuti in un tweet o nel flash delle poche parole e immagini consentite in un Vine, senza l’impegno dei lettori di Chaucer e Calvino. L’accusa ha del vero, quando calcoliamo il tempo che gli utenti trascorrono in Rete su una singola voce, un giornale online, una photo gallery, siamo spesso sorpresi dalla velocità del consumo e dalla rapidità effimera con cui si passa da un tema all’altro.  

I giornali quotidiani riservano ancora alla homepage del loro sito la stessa cura amorosa che in chiusura dei quotidiani, nelle vecchie tipografie odorose di inchiostri e piombo fuso, si dedicava all’ultima edizione della prima pagina. Purtroppo i lettori arrivano quasi sempre non dalla homepage, ma dai motori di ricerca e dai social media, tanti click (ne scriverà in una prossima inchiesta il Wall Street Journal) sono ignari, - leggo un articolo de L’Eco di Peretola online, ma non so neppure cosa sia la testata, sono arrivato solo grazie a una search su Google -, oppure comprati alle grandi aste semiclandestine dei contatti (tema caldo, occhio!). 
Ma davvero il web incoraggia la superficialità? Davvero costringe la nostra mente a spasmi frenetici nella banalità? Il tema non è frivolo e va discusso a fondo. La prima obiezione che potrebbe avanzarsi è che «breve» non è mai sinonimo di «sciocco». I dieci Comandamenti della Bibbia occupano a stento tre tweet e sono riproducibili in tre Vines, eppure la saggezza e il diritto della civiltà occidentale poggia su quei due tweet e mezzo.  
Anche la tradizione orientale usa haiku e aforismi, il poeta greco Callimaco, lavorando alla Biblioteca di Alessandria, ci ammoniva «I libri lunghi sono lagne», Cicerone elogiava la «concinnitas», armonia del discorso senza dilungarsi. 

«Breve» non è dunque «sciocco», ma la vera, finale, obiezione è che online un tweet, un post di poche righe su Google o un blog, è solo la chiave che apre una biblioteca, e così il saggio cardinale Carlo Maria Martini considerava Internet, biblioteca del sapere a tutti aperta, che occorre imparare a compulsare con lo studio.  

Qui si afferma la fortuna del genere che il gergo web definisce «longform», «longread», articoli e saggi lunghi, un tempo soprannominati ironicamente «articolesse». Guardate il sito Arts and Letters Daily, www.aldaily.com, forse uno dei più interessanti online, un’attenta selezione dei migliori saggi dalle autorevoli riviste di cultura in lingua inglese. Seguendo giorno per giorno Aldaily avete accesso alla conversazione degli intellettuali, con i suoi tic e tabù, come sedendo in un salotto illuminista dei XVIII secolo: ne apprezzate la ricerca colta, ridete agli eccessi di narcisismo. 

La rivista The Atlantic svolge la stessa funzione con il sito longreads.com , antologizzando i testi impegnativi per i propri utenti, mentre il quotidiano inglese The Guardian mobilita insieme i giornalisti, i lettori e robot guidati da algoritmi per l’esperimento (dall’alterna fortuna, a mio avviso) che segnala quali articoli lunghi siano i più seguiti online. Il genere dilaga, Daily Beast ha i suoi «long read», ogni testata raccoglie il meglio – vero o presunto - della propria produzione. 
Se dunque online la lettura di testi non sincopati è di moda, se un tweet può solo essere la chiave che apre la Biblioteca di Babele del sapere universale l’ultima domanda da farsi prima di registrare il successo del longread è: dove mai, nella frenetica sarabanda delle nostre giornate, lavoro, famiglia, trasporti, burocrazie, troviamo il tempo per leggere pagine e pagine di testo?  


La risposta sta nei tablet, da Samsung a iPad e nei nuovi smartphone a schermo grande, che permetto
no di leggere con comodità e senza aguzzare la vista sui tram, in auto, in aereo, nella pausa pasto, non appena ci tocchi un momento di quiete. Quante volte vi capitava di ritrovarvi nella sala d’attesa di un ambulatorio, fuori dal colloquio con i professori dei figli, bloccati in coda a uno sportello alle Poste o alle Ferrovie? Senza un libro, senza una rivista a portata di mano sfogliavate annoiati i fascicoli vecchi di un anno abbandonati da chissà chi, o passavate il tempo leggendo frusti annunci pubblicitari.
Adesso queste pause inaspettate son benvenute, salta fuori di tasca il Samsung 8.0, il Kobo, il Kindle, il vostro supporto preferito e come d’incanto siete trasportati nella vostra lettura come gli eroi medievali, moderni o postmoderni di Chaucer, Calvino e Confini della Realtà. 

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