lunedì 2 giugno 2014

Cambiare tutto o scomparire: ecco 2 (+ 5) consigli per innovare nelle aziende

Innovare o scomparire. Altre opzioni, oggi, non ce ne sono. Ma la vera domanda è: soltanto le nuove aziende che nascono da zero, le startup, o anche le vecchie imprese, siano esse multinazionali o PMI, possono percorrere la strada dell’innovazione di prodotto o di servizio?
Se pensiamo al termine innovazione, lo colleghiamo ad aziende come Google, YouTube, Facebook, Apple, AirBnb. Potremmo anche aggiungere Booking, Expedia e gli altri operatori delle prenotazioni online oggi sotto osservazione delle autorità, il contestatissimo Uber, le aziende che si occupano di tecnologia e telecomunicazione e molte altre imprese in settori meno noti al grande pubblico.
Rispondere alla domanda posta sopra leggendo questi nomi farebbe dire che l’innovazione è delle startup, punto e basta. Ma personalmente non credo a una risposta di questo tipo, piuttosto ritengo fondamentale analizzare cos’è accaduto e cosa sta ancora accadendo in queste aziende, nelle quali individuo alcune caratteristiche comuni alla maggior parte di loro:
1 – l’età dei fondatori, quasi tutti under 30;
2 – la costante ricerca di nuove soluzioni innovative, ricerca e sviluppo quindi;
3 – il coinvolgimento di tutti i dipendenti nel fare innovazione;
4 – processi decisionali rapidi;
5 – processi organizzativi volti a semplificare, velocizzare, premiare chi si impegna e merita.
Ora, chi di voi lavora in una media o grande azienda, magari con una certa storia alle spalle, si domandi se all’interno della propria organizzazione queste cinque caratteristiche sono tutte rispettate. E, se così non fosse, si chieda se la strada del declino è inesorabilmente tracciata o se esistono invece possibilità di invertire la rotta. Credo che la maggior parte di voi converranno con me: cambiare è possibile. Anzi, devo dire che è #facilecambiare per rispettare lo spirito che mi contraddistingue.
Come si fa a innovare: giovane, ovunque, chiunque, ora, semplice
Quali, allora, i principi fondamentali per innovare?
Proviamo a trasformare le cinque caratteristiche delle startup in cinque metodi da applicare all’interno delle old companies.
1 – Innovazione è giovane.
Non significa giovanilismo fine a se stesso, ma è fondamentale eliminare quelle sacche di resistenza che impediscono a chi è giovane di non poter dire la sua solo perché… è giovane, appunto. È una questione di cavatappi: va stappata quella bottiglia, anzi addirittura rotto quel collo di bottiglia, che impedisce a chi è portatore di creatività, determinazione e innovazione di esprimersi. Vanno fatti scorrere, all’interno delle aziende, fiumi di bollicine.
2 – Innovazione è ovunque.
Risulta prioritario innovare continuamente e su più fronti: se, per fare un esempio, un’azienda produce sedie, non dovrà innovare solo nei materiali e nelle forme, ma anche nella comunicazione, nella vendita, nella distribuzione. Non basta cioè innovare il proprio core business, ma, in proprio o con partner, è necessario innovare l’intero ciclo legato al proprio prodotto o servizio.
3 – Innovazione è chiunque.
No ai team di ricerca e sviluppo chiusi in se stessi. Sì all’innovazione diffusa, somma delle idee di qualsiasi persona che lavora in azienda. Basta insomma con la divisione tra chi si occupa dell’esistente e chi del futuro, l’innovazione non può essere confinata a tempo indeterminato in un ufficio o affidata soltanto e sempre alle stesse persone.
4 – Innovare è ora.
Non si può attendere, per colpa di risposte non date, processi lunghi o paura di decidere, perché l’innovazione va di corsa, ciò che è tale oggi non lo sarà più domani, altri arriveranno prima e in un mercato così liquido come quello di oggi essere i primi è fondamentale per diventare leader.
5 – Innovare è semplice.
Pensate al sistema burocratico italiano e misurate il livello di burocrazia all’interno delle vostre aziende: scoprirete che quando ce la prendiamo con lo Stato lo facciamo giustamente, ma le nostre imprese non sono poi così diverse. Tante, anzi troppe aziende, hanno una burocrazia interna pesantissima: serve quindi inserire procedure aziendali che sblocchino le decisioni e permettano di agire, non di compilare infiniti moduli e attendere risposte che spesso rimangono bloccate chissà dove.

Oltre la consulenza: lean startup e sharing innovation

A questi principi è opportuno aggiungerne un altro: l’innovazione non si compra, la si fa dentro le aziende stesse. Società di consulenza come Bain e McKinsey, attive da anni nel supportare le imprese nella loro opera di innovazione, oggi trovano molte concorrenti che miscelano consulenza e formazione, che applicano i principi del design thinking sul modello delle americane Ideo e Innosight, che attivano le risorse interne alle aziende per co-innovare.
Non è più il tempo, insomma, del dossierone da tre chili e mezzo che dice cosa fare, con i consulenti che a fine lavoro salutano e i dipendenti che si trovano a lavorare su un progetto che non è nato con loro. Piuttosto, si devono attivare nuovi modi di innovare, coinvolgendo chi poi dovrà mettere in atto quei processi e allargando la consulenza alla formazione, per far sì che le risorse aziendali abbiano gli strumenti per innovare. Si può quindi procedere su questa nuova strada, appoggiandosi all’esterno, ma contemporaneamente si devono anche internalizzare alcuni processi, sperimentando metodi nuovi.
Individuo due metodi che partono da presupposti differenti e che possono, anzi devono, viaggiare insieme. Il primo, lean startup, è utile principalmente per la risoluzione di problemi e il miglioramento del business esistente o l’affinamento di nuovi business, il secondo, sharing innovation, serve soprattutto per trovare nuove strada da percorrere.
Lean-StarupIl metodo lean startup, inventato da Eric Ries e ben illustrato nel libro “Partire leggeri. Il metodo Lean Startup: innovazione senza sprechi per nuovi business di successo” (Rizzoli Etas), come suggerisce l’autore stesso non è applicabile solo alle nuove imprese ma anche a quelle esistenti. Si tratta di creare unità interne che siano libere di agire e a diretto riporto dell’amministratore delegato, una specie di “cellula” indipendente dotata di regole proprie e processi decisionali rapidissimi.
Ritengo utile la creazione di organismi temporanei di questo tipo, con persone provenienti da diversi dipartimenti aziendali, obiettivi chiari e concrete autorizzazioni per procedere diretti verso l’obiettivo. Immaginatevi quindi che da domani, nella vostra azienda, potrebbe esserci questa cellula, che alcuni di voi potrebbero farne parte e che sarà autorizzata a non seguire nessuna noiosa procedura ma potrà concretamente e in tempi brevi affrontare un caso e applicare soluzioni pratiche, non fare solo lunghi power point di analisi: quanti vorrebbero farne parte? Quanti, tra gli esclusi, spererebbero di essere chiamati nella successiva cellula?
Le persone capaci sarebbero in grado di agire, cosa che spesso non accade specie nelle grandi aziende, quelle incompetenti verrebbero smascherate. Un meccanismo di questo tipo, attenzione però, non è punitivo, ma premiante: premia le persone che meritano e premia l’azienda che lo applica, perché favorisce la crescita del business e il miglioramento delle performance.
Quanto appena illustrato, però, non coinvolge tutti i dipendenti e, essendo a chiamata, con le persone scelte cioè direttamente dal CEO, rischia di non fare scoprire i talenti nascosti, che spesso sono presenti nelle aziende. Ecco perché è opportuno e utile procedere anche sulla strada della sharing innovation: questo metodo prevede l’utilizzo di tutti quegli strumenti digital che mettono in connessione le persone all’interno dell’azienda e facilitano la trasmissione di conoscenze e la partecipazione ai processi di innovazione. Si deve cioè favorire chi vuole innovare, promuovendo la partecipazione di ogni risorsa aziendale secondo metodi di co-progettazione e co-creazione. Di più, sostenendo in modo libero e premiante l’innovazione: se ogni dipendente avesse alcune ore settimanali, all’interno del proprio orario di lavoro, per sviluppare, da solo o in team, progetti di innovazione, cosa accadrebbe? Che alcuni lo considererebbero tempo libero per non far nulla, molti pensano. Di certo è vero, ma cosa dire di chi invece cercherà di migliorare il proprio processo lavorativo e il business aziendale, o di chi immaginerà nuovi prodotti e servizi?
Le idee, messe in circolo e migliorate grazie a fasi di condivisione, sessioni di gestione della creatività e metodologie partecipative, premieranno chi le avrà e le saprà portare avanti. E il bilancio sarà sempre a favore di chi si impegna e dell’azienda stessa, perché ancora una volta i migliori emergeranno e, grazie alla sharing innovation, potranno farlo anche se fino a quel momento nessuno si era accorto di loro.
Piccola raccomandazione conclusiva. L’innovazione, oggi, è un fiume in piena: possiamo decidere di guardare l’acqua che passa, oppure buttarci dentro e nuotare. Troppe old companies, troppe aziende grandi, medie e piccole, in Italia cercano di non farsi travolgere, costruiscono argini, cedono pezzi di terreno. Finiranno tutte spazzate via. Ma a loro, agli imprenditori e agli amministratori che le guidano, oggi viene offerta una straordinaria opportunità: liberare energie e iniziare a innovare in modo disruptive a partire dai metodi applicati. Davvero c’è chi si ostina a non provarci?
Milano, 30 maggio 2014
ALESSANDRO RIMASSA  - Che Futuro - @Rimassasonoio 

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