lunedì 18 agosto 2008

Vino Doc in scatola, l'Italia ha detto si


Contenitori "bag in box" invece della bottiglia. Il ministro Zaia: "E’ il mercato che vuole così"
VANNI CORNERO - La Stampa
Su una cosa sono tutti d’accordo: non fa male. Il decreto del ministero delle Politiche agricole che dà la possibilità di confezionare i vini Doc nel tetrapak o nel «bag in box» (confezioni in sacche d’alluminio o plastica) invece che nelle bottiglie di vetro è stato accolto più come una scelta imposta da una parte dei consumatori europei che come un’attentato alla tradizione. E sull’eventualità che il contenitore possa essere dannoso alla salute di chi beve cedendo al vino le sue componenti nessuno avanza timori.La linea di demarcazione è stata fissata sotto la quota dei vini Doc designabili con l’indicazione della sottozona o di «riserva», «superiore», «vigna» e altre menzioni tradizionali. «Abbiamo preso atto delle richieste del mercato - commenta il ministro delle Politiche agricole, Luca Zaia - in particolare della domanda dei Paesi del nord Europa, dove il “bag in box” può essere un utile strumento di penetrazione per il vino italiano. Contemporaneamente, però, abbiamo voluto salvaguardare l’immagine delle nostre migliori produzioni, fissando condizioni particolarmente restrittive per l’utilizzo di questi tipi di contenitori. Inoltre la facoltà di richiedere l’utilizzo del “bag in box” spetta al Consorzio di tutela».Insomma, una decisione pragmatica, presa anche considerando che i francesi, nostri storici concorrenti, il tetrapak lo usano da tempo. Una scelta che vede il Piemonte tra i promotori, come sottolinea l’assessore regionale all’agricoltura, Mino Taricco: «Il decreto darà alle denominazioni ad ampia ricaduta territoriale l’opportunità di sperimentare nuove tipologie di commercializzazione e approcciare nuovi interessanti sbocchi di mercato».Qualche riserva sull’opportunità di aprire al «bag in box» lo avanza il direttore di Assoenologi, Giuseppe Martelli: «I dati dell’export dei primi quattro mesi 2008 indicano crescite attorno al 10%, quindi forse non era così urgente girare pagina. Detto questo è chiaro che in un mercato dove il vino non ha tradizioni, come nel Nord Europa, il contenitore è assolutamente ininfluente: la cosa importante è il rapporto qualità-prezzo. Noi però abbiamo fiori all’occhiello da difendere che potrebbero accusare un effetto-tetrapak indiretto sulla loro immagine. Quindi non è detto che si debba seguire a tutti i costi le indicazioni di un mercato, anche perchè, una volta aperta una porta di lì ci può passare di tutto».Decisamente deluso Gigi Piumatti, curatore della «Guida ai vini d’Italia» di Slow Food e del Gambero rosso: «Ormai si va verso il fondo. L’Italia ha delle Doc che hanno diritto a tutto ciò che meritano: buoni tappi, eleganti etichette, e belle bottiglie. E’ il vetro, per tradizione e purezza, il miglior contenitore per il vino».Alla Caviro (1,7 milioni di ettolitri all’anno) aderente a Fedagri, madre del «Tavernello» c’è aria di vittoria, loro l’alternativa tetrapak la praticano dal 1983: «E’lo sdoganamento di un pensiero, la conferma che le nostre scelte sono state preveggenti», dice il presidente, Secondo Ricci. «E’un’apertura verso il mercato, ma solo per chi vorrà chiederla», chiarisce il presidente di Fedagri, Paolo Bruni.Riccardo Ricci Curbastro, produttore di vino in Franciacorta e presidente della FederDoc, che riunisce i consorzi di tutela italiani taglia corto: «Opporci? No,bisogna prendere atto che il mercato cambia. Quando si è abbandonato il fiasco per la bottiglia sembrava morire un simbolo dell’italianità, invece non è successo niente. Certo l’attenzione è d’obbligo, bisogna evitare fughe in avanti, ma senza fare tragedie».

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