lunedì 14 luglio 2008

Consigli per la ricerca dell'agriturismo "perfetto"

Questo periodo si presta particolarmente per organizzare, un sabato o una domenica e magari con gli amici, un uscita “mangereccia” in un agriturismo. Per noi imolesi vivere un’esperienza in un agriturismo del nostro circondario significa normalmente poter gustare piatti della nostra tradizione in un ambiente informale, ma accogliente, affrontando una spesa moderata. L’estate si presta in particolar modo a ciò, sia a pranzo che a cena perché si può godere della natura che ci circonda, di una certa tregua dal caldo soffocante e se si hanno bambini, si possono far scorazzare liberamente nelle aree esterne dell’agriturismo.
L’ agriturismo inteso come “turismo in campagna” nasce in Francia nella forma di “alloggi rurali” e nella vicina Germania con formule più simili a quelle odierne (alloggio, prima colazione, mezza pensione o pensione completa). In Italia si cominciò a parlarne dall’inizio degli anni ’70 e attualmente il fenomeno è in continua ed evidente espansione. Ma oggi rispondono tutti pienamente alla missione originale ?
Gli agriturismi nel nostro territorio sono tra i quindici e i venti, secondo un mio censimento, in base anche alle caratteristiche di effettiva adesione ai parametri che ogni legge regionale impone agli esercizi di questo tipo. Con il rischio di apparire un po’ prosaico un agriturismo dovrebbe restituirci il cuore antico delle tradizioni, l'amore e la cura della natura fatti vivere in forme rispettose e moderne attraverso una organizzazione vivace ed intelligente che offra oltre ad una cucina semplice, ma curata, anche servizi di alloggio affiancando anche strutture per diverse pratiche sportive e di escursione. In questi luoghi in particolare, il denominatore comune deve essere il senso dell'accoglienza e dell'ospitalità, naturale frutto di secoli di storia entrata a far parte del codice genetico della nostra terra. Chi va in un agriturismo “vero” dovrebbe sentire di non essere solo un cliente: questa dovrebbe essere la prima e la più importante personalizzazione dell'accoglienza.
Quando vado in un agriturismo mi aspetto dal luogo, dalla cucina, dai titolari, percezioni che muovano i miei sentimenti, ricerca di sensazioni: l’arricchimento della mia esperienza di conoscenze sempre nuove, riappropriarmi contemporaneamente di una dimensione del tempo che la vita quotidiana allontana, il desiderio di incontrare passione in ciò che si fa e voglia di condividere e illustrare ciò che si è creato e che si propone. Chi decide di aprire un agriturismo, lo fa senz’altro perché spera di fare “business”, ma dovrebbe essere motivato altresì per una ricerca e un’attenzione per la natura, per la memoria, cosciente di fornire un servizio turistico a “valore aggiunto” consapevole e con una certa valenza sociale, permettendo un approccio anche dal basso. Il trinomio di un agriturismo per me dovrebbe essere: terra, tradizione e territorio.
Pur attenendoci al dato di fatto sopra enunciato e cioè che gli agriturismi per noi imolesi sono vissuti nella maggioranza dei casi come occasioni per recarsi in ristoranti dalla cucina tradizionale a costi più “abbordabili”, la mia impressione purtroppo è che proprio già da questo punto – assolutamente non trascurabile - molte di queste strutture abbiano perduto, o rischino di perdere, il loro carattere originale di semplicità unita all’economicità, grazie a legislazioni fiscali regionali particolarmente vantaggiose. Infatti dal momento in cui si pagano cifre dai 26-28 euro a crescere per la cucina, l’agriturismo cessa di essere un luogo “interessante” ed una valida alternativa ad un altro ristorante; personalmente sostengo la mia piccola battaglia su un atteggiamento della ristorazione oramai dilagante sull’aumento dei prezzi e pagare più di 50 mila lire in un agriturismo mi sembra francamente eccessivo.
Naturalmente non voglio generalizzare e nemmeno colpevolizzare la “categoria”, il mio vuole essere un richiamo a loro perché mantengano sempre alta l’attenzione sulla loro “mission” e un invito a tutti i frequentatori a riflettere e soppesare quando si è in questi luoghi, l’effettivo rapporto prezzo-servizio, valutare tutti i particolari che compongono l’offerta ed esigere qualità. Nel mio girovagare tra gli agriturismi ho raccolto esperienze negative e positive e ne cito alcune che possono servire come canovaccio-guida per esprimere una vostra valutazione. Mi è capitato ad esempio di trovare luoghi che non contemplavano la piadina, che qui in Romagna è come dire non avere l’aria, e vedermi offrire del pane molto comune, dozzinale, segnale di una colpevole disattenzione, oppure mi hanno servito “minestre” che gridavano vendetta, ricche solo di quantità senza passione nel condimento o ancora, fiamminghe di carne “suolata” o molto scadenti nella cottura, come potrei citare anche del servizio in alcuni casi quasi irritato, svogliato . Agriturismo non significa cucina umile nei contenuti e nel trattamento, ma anzi attenzione per le cose semplici che sono le cose, alla fine, migliori, quelle che apprezzi sempre. In questi casi ho trovato cura nel tovagliato con tessuti semplici, ma lindi come nei pranzi della domenica quando la famiglia si ritrovava anche in 15-20 persone, attenzione all’apparecchiatura con proposizione delle pietanze accompagnate dall’orgoglio di dimostrare il frutto del proprio lavoro, spiegazione di come vengono prodotti i cibi i condimenti, della ricerca continua, nella proposizione di confetture e altri alimenti prodotti in loco e presentati con cura. E’ in questi casi che, come ho già detto e ripeto continuamente, il nostro viaggio gastronomico, anche in un agriturismo, ci appaga in tutti i sensi e ci lascia qualcosa dentro anche a distanza di tempo.
Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato su Il Domani di domenica 13 luglio 2008

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