martedì 8 luglio 2008

In luglio riapproriamoci della lentezza

Evviva! C’è qualcosa di nuovo nell’aria… si torna all’antico.
No, non è una contraddizione, da qualche tempo si legge di un desiderio generale di riappropriarsi di una certa lentezza nel vivere quotidiano. Trovo interessante questo aspetto e ne sono un convinto discepolo, da anni, per quanto riguarda in particolare la convivialità, lo stare a tavola; tempo fa Petrini, “padre fondatore” dello Slow Food, evidenziava come oggi la loro comunicazione metta in evidenza la necessità di assaporare con i giusti tempi il cibo per coglierne non solo la qualità, ma la “quintessenza” che avvolge il luogo del Convivio in cui si consuma il cibo: tatto, olfatto, vista ed emozioni che possono rendere indimenticabile un’esperienza gastronomica. Negli ultimi due - tre anni è stata creata anche la “giornata mondiale della lentezza” (25 febbraio) e si è assistito ad un fiorire di libri che sviluppano quello che definisco “l’elogio della lentezza” (l’ultimo è di qualche giorno fa “Vivere con lentezza”). Per questo motivo si può dire che si torna all’antico perché chiunque abbia un’età che gli permetta di tornare indietro non tanto, diciamo 25-30 anni, può ricordare come molte cose venivano vissute con un altro ritmo. Il tempo non sembrava così tiranno.
Non vorrei cadere nel luogo comune “... che una volta era diverso…”, io stesso sono una persona molto impegnata che riconosco di vivere troppo velocemente molte delle cose che faccio, ma per la cucina al fine di assaporare tutto ciò mi circonda e che assaporo, mi sono dato degli “spazi temporali”, delle “regole di civiltà della tavola”, affidandomi anche alle sensazioni, che mi ricambiano offrendomi emozioni e soddisfazioni vissute consapevolmente e con gusto.Con la mente riavvolgo spesso il nastro della memoria e ricordo ad esempio le cene da uno zio di mio padre, contadino - che ancora a metà degli anni ’70 viveva con lampade a kerosene, tirava l’acqua dal pozzo e metteva il “prete” nel letto d’inverno perché non aveva riscaldamento - che erano precedute e vissute con una ritualità antica e scandite da periodi senza tempo. Le tavole che mi parevano enormi, piene di parenti, le porzioni abbondanti, sostanziose, ricche di condimento perché gli ospiti non rimanessero con la fame, maiale, coniglio, pecora, una certa trivialità che arrivava parimenti alla crescita del tasso alcolico nei convenuti, grazie soprattutto alle grandi mescite di vino “nero”, il seguito della cena poi con i dolci, la ciambella nell’albana. Il tutto senza che qualcuno dovesse “andar via subito”. Partendo da questo frammento di reminescenza conviviale ritengo che ognuno di noi dovrebbe vivere un’esperienza delle emozioni e della gustosità sia quando organizza un convivio in famiglia o tra amici, sia quando decide di andare al ristorante, in una trattoria o agriturismo.

A questo proposito io suddivido solitamente, ed è applicabile anche al nostro territorio se fate mente locale, le ristorazioni in quattro categorie: la prima è fatta di luoghi in cui ci si ciba e basta, è l’attimo che è già passato; la seconda è costituita da quei locali in cui la cucina è un gradino sopra, sembra più curata, ma di cui non rimane memoria una volta usciti, aggiungo io “senz’anima”, posti dove non ti vengono mai in mente in modo automatico quando pensi a dove puoi andare; la terza è quella più interessante dove il luogo è stato pensato, arredato e curato, dove la cucina è passione e si sente, si avverte, si assapora, dove la disposizione dell’arredo, i colori, l’armonia del locale ti invitano a prolungare l’esperienza, dove ti senti come a casa e dove vuoi tornare perché ti fanno sentire bene e dimentichi la frenesia del “fuori”; in ultimo c’è la categoria di quelli “oltre” che non fanno più cucina, ma bio-ingegneria, ricerca continua della materia o che fanno cose talmente ricercate che le capiscono solo loro e un certo numero di persone (anche troppo numeroso purtroppo) che per noia, snobismo, moda, ricchezza o altro sono anche disponibili a pagare cifre assurde per poter dire che ci sono state.
E’ quindi la terza categoria quella più interessante, quella a cui bisogna tendere per ritrovare il gusto e la soddisfazione della lentezza del Convivio, fatta di ristorazione non per forza di primissimo livello, ce ne sono molti in seconda linea (emergenti), fatta anche da Maestri di Cucina o Titolari giovani, ma che hanno la passione che li accomuna, la memoria della Tradizione unito al piacere di rinnovare senza stravolgere. Sono i luoghi deputati a rimanere nel cuore dei “Gastronauti” che si vogliono riappropriare del proprio tempo per il Convivio.
Questa estate provateci anche voi, vivete la “lentezza conviviale”, degustate appieno l’esperienza e, se vi garba, coinvolgetemi in un confronto (pierangelo.raffini@gmail.it).
Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato su Il Domani di domenica 6 luglio 2008

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