lunedì 14 novembre 2011

Elogio della Gentilezza (come Resistenza alla Volgarità)


LA GIORNATA MONDIALE DELLA «BUONA EDUCAZIONE» I RIFERIMENTI NELLA LETTERATURA.


Non ci sarebbe nessun bisogno della Giornata mondiale della Gentilezza, che si celebra tutti gli anni il 13 novembre. 


Eppure la gentilezza, nell' epoca del cosiddetto politicamente scorretto baldanzoso e dilagante, ha un che di anacronistico, come se fosse una categoria medievale, edificante e moralistica. Ma se solo la si oppone alla volgarità ecco che acquista tutta la sua urgenza, perché la gentilezza, così come la intendiamo oggi, non è affatto quella dei secoli scorsi: quella del Cortegiano, il famoso trattato di Baldassar Castiglione o del «giovin signore», il pupillo di Giuseppe Parini. Non è più la cortesia, un valore che appartiene alla cavalleria o alla nobiltà di sangue, ma pertiene alla sensibilità di tutti gli uomini, siano essi ricchi o poveri. Poi però ti guardi intorno e ti accorgi che la gentilezza, in questa sua estensione orizzontale, è quasi diventata un tabù, un' attitudine per nulla all' altezza dei tempi. Diciamolo pure: un' inclinazione ritenuta noiosa, da fessi, una virtù da deboli di spirito o da falliti. In effetti la gentilezza, se è vero che confina anche con la generosità, dovrebbe essere gratuita: che gesto gentile sarebbe quello che si aspettasse in cambio un compenso? I volontari di Genova, i ragazzi che sono andati a spazzare il fango dopo i giorni dell' alluvione, sono partiti con qualche pretesa di guadagno? Lo psicanalista inglese Donald Winnicott considerava la benevolenza e l' altruismo indicatori di salute mentale. Se ne può dedurre che non stiamo tanto bene. 

Ma forse, tutta la sua pessima reputazione sta nel fatto che la gentilezza viene identificata in nient' altro che in un gesto occasionale e autogratificante per chi lo compie, non una forma mentis ma un' espressione capricciosa del comportamento, qualcosa che si avvicina all' ipocrisia e che somiglia alla beneficenza che lasciamo distrattamente cadere sul piatto del mendicante un giorno sì e cento no. Del resto, qualcuno sostiene che l' elemosina è un atto inutile se non dannoso. La gentilezza ha perso l' alone aristocratico del tempo che fu, per diventare l' esatto opposto dell' aggressività «virile»: si potrebbe ritenere addirittura che si tratti di una barriera protettiva della propria vulnerabilità, una difesa preventiva contro l' aggressività altrui. Più una virtù da santi che da gente comune capace di stare al mondo. Daniel Defoe si avvicina all' accezione moderna: per il padre di Robinson Crusoe, il gentiluomo era il borghese sobrio, contrario alla sopraffazione e all' avidità mercantilistica. Sta di fatto che se in passato era definibile a occhi chiusi come status symbol, la gentilezza ha finito per occupare un campo semantico impervio, sdrucciolevole, ambiguo: persino Hitler poté apparire «gentile» alla sua segretaria, ma si trattava evidentemente di un errore ottico per eccesso di vicinanza (la gentilezza va valutata da lontano). Se invece è la negazione della prepotenza, dell' iracondia e dell' indifferenza; e se la si intende non solo nella sua manifestazione esteriore, deve avere qualcosa a che fare anche con la mitezza, di cui Norberto Bobbio scrisse un memorabile elogio: per il filosofo si tratta di una qualità morale, che coinvolge il rapporto con le altre persone, un' empatia suscettibile di essere coltivata e affinata con impegno dall' individuo e dalla comunità. Una ferma mitezza suona come un ossimoro. Una ferma gentilezza un po' meno, ma ambedue richiedono una buona dose di umiltà personale e di benevolenza, di comprensione per l' altro, ma anche, come sostiene Bobbio, di intransigenza a difesa della propria e altrui dignità. Eccolo lì il suo anacronismo: la gentilezza, è una resistenza (personale ma soprattutto sociale) al peggio che oggi rischia di sommergerci, come i rifiuti sommergono molte città (la Napoli dell' Ottocento apparve a Goethe come una «città gentile»). Una resistenza democratica. E per questo, alla fine, non va disprezzata nemmeno quando la si intenda semplicemente (ma non proprio semplicemente) come buona educazione. Gratificante, perché no, per l' individuo e per la società. 


Di Stefano Paolo

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