domenica 31 gennaio 2010

Come giudicare un agriturismo

Vivere un’esperienza in un agriturismo significa normalmente poter gustare piatti della tradizione del territorio in un ambiente informale, ma accogliente, affrontando una spesa moderata. L’ agriturismo inteso come “turismo in campagna” nasce in Francia nella forma di “alloggi rurali” e nella vicina Germania con formule più simili a quelle odierne (alloggio, prima colazione, mezza pensione o pensione completa). In Italia si cominciò a parlarne dall’inizio degli anni ’70 e la Toscana è un po’ “la madre” di questo fenomeno, attualmente in continua espansione. Ma oggi rispondono tutti pienamente alla missione originale ? Focalizzando l’attenzione sul nostro territorio, gli agriturismi sono molto numerosi e teoricamente dovrebbero rispettare le caratteristiche di effettiva adesione ai parametri che ogni legge regionale impone agli esercizi di questo tipo. Con il rischio di apparire un po’ prosaico un agriturismo dovrebbe restituirci il cuore antico delle tradizioni, l'amore e la cura della natura fatti vivere in forme rispettose e moderne attraverso una organizzazione vivace ed intelligente che offra oltre ad una cucina semplice, ma curata, anche servizi di alloggio affiancando anche strutture per diverse pratiche sportive e di escursione. In questi luoghi in particolare, il denominatore comune deve essere il senso dell'accoglienza e dell'ospitalità, naturale frutto di secoli di storia entrata a far parte del codice genetico della nostra terra. Chi va in un agriturismo “vero” dovrebbe sentire di non essere solo un cliente: questa dovrebbe essere la prima e la più importante personalizzazione dell'accoglienza.

Quando vado in un agriturismo mi aspetto dal luogo, dalla cucina, dalla gestione, percezioni che muovano i miei sentimenti e ricerco sensazioni: l’arricchimento della mia esperienza di conoscenze sempre nuove, riappropriarmi contemporaneamente di una dimensione del tempo che la vita quotidiana allontana, il desiderio di incontrare passione per ciò che si fa e si propone. Chi decide di aprire un agriturismo, lo fa giustamente perché spera di fare “business”, ma dovrebbe essere motivato altresì per una ricerca e un’attenzione per la natura, per la memoria, cosciente di fornire un servizio turistico a “valore aggiunto” consapevole e con una certa valenza sociale, permettendo un approccio anche dal basso. Il trinomio di un agriturismo dovrebbe essere: terra, tradizione e territorio. Pur attenendoci al dato di fatto sopra enunciato, che gli agriturismi sono vissuti nella maggioranza dei casi come occasioni per recarsi in ristoranti dalla cucina territoriale a costi più “abbordabili”, l’ impressione che ne traggo è che proprio già da questo punto, assolutamente non trascurabile, molte di queste strutture disattendano quel principio di semplicità unita all’economicità, grazie a legislazioni fiscali regionali particolarmente vantaggiose. Dal momento in cui si pagano cifre dai 26-28 euro a crescere per la cucina, l’agriturismo cessa di essere un luogo “interessante” ed una valida alternativa ad un altro ristorante. Questa è una mia piccola “battaglia”: pagare più di 50 mila lire in un agriturismo mi sembra eccessivo e, nonostante la crisi, non vedo segnali troppo positivi. Non intendo generalizzare e nemmeno colpevolizzare la “categoria”, il mio vuole essere un richiamo a mantenere sempre alta l’attenzione sulla “mission” per cui sono nati e contemporaneamente un invito a tutti i frequentatori/clienti a riflettere sull’effettivo rapporto prezzo-servizio, valutando con attenzione l’offerta e la qualità. Nel mio girovagare tra gli agriturismi del territorio ho raccolto esperienze negative e positive. Ne cito alcune a titolo di esempio per capire il metro di valutazione. Mi è capitato di trovare luoghi che non contemplavano la piadina, che qui è come dire non avere l’aria, e vedermi offrire del pane molto comune, dozzinale, segnale di una colpevole disattenzione, oppure vedermi servire minestre che gridavano vendetta, ricche solo di quantità senza passione e cura nel condimento; fiamminghe di carne “suolata” o molto scadenti nella cottura, come potrei citare anche servizi al tavolo svogliato, quasi irritante . Agriturismo non significa cucina umile nei contenuti e nel trattamento, ma anzi attenzione per le cose semplici che sono le cose, alla fine, migliori, quelle che si apprezzano sempre. Ho così trovato in altri luoghi cura anche nel tovagliato con tessuti semplici, ma lindi come nei pranzi della domenica quando la famiglia si ritrovava numerosamente riunita, attenzione alla tavola con proposizione delle pietanze accompagnate dall’orgoglio di presentare il frutto del proprio lavoro, illustrazione sulla propria produzione, proposizione di confetture e altri alimenti prodotti e presentati con cura. In questi casi, come amo ripetere continuamente, il nostro viaggio gastronomico ci appaga in tutti i sensi e ci lascia “un ricordo” dentro anche a distanza di tempo.

Pierangelo Raffini - Pubblicato sul Sabato Sera del 30 gennaio 2010

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