martedì 27 novembre 2007

L'uomo non ama il cambiamento


L'uomo non ama il cambiamento, perchè cambiare significa guardare in fondo alla propria anima con sincerità mettendo in contesa se setessi e la propria vita.
Bisogna essere coraggiosi per farlo, avere grandi ideali. La maggior parte degli uomini preferisce crogiolarsi nella mediocrità e fare del tempo lo stagno della propria esistenza.
Erasmo da Rotterdam

giovedì 22 novembre 2007

Maledetti Savoia

Dopo la vergognosa richiesta avanzata negli ultimi giorni dai savoia caldeggio il libro di Lorenzo Del Boca "Maledetti Savoia" edito da PIEMME da me letto molto tempo fa e pienamente condiviso.
I savoia dovevano essere lasciati fuori dal nostro Paese.
Non soddisfatti di aver provocato immense tragedie al popolo Italiano avvallando decisioni scellerate, non contenti di essersi comportati con assolutà viltà di fronte a decisioni importantissime per il nostro Paese, non grati di essere, nonostante tutto, stati riaccolti in Italia, ora senza un filo di vergogna chiedeno anche i danni e la restituzione dei beni.
Spero nell'assoluta fermezza del Governo.

mercoledì 21 novembre 2007

Perchè il pianeta si sta esaurendo

(la Repubblica, 16 NOVEMBRE 2007)
FEDERICO RAMPINI
Come ripensare il futuro a partire da terra, acqua, aria
La desertificazione l´inquinamento, il clima impazzito ecco dove andiamo
Cresce in misura enorme nel mondo il fabbisogno di energia
Bomba demografica o più brutalmente "pericolo giallo", se ne parlava all´epoca di Mao, eppure i cinesi erano meno della metà e tutto quel che chiedevano era una ciotola di riso al giorno. Allora il vero limite allo sviluppo erano i drammatici errori dei governi, la mancanza di capitali, di tecnologie, degli incentivi giusti. Oggi l´unico limite serio è un altro: l´esaurimento delle risorse naturali.

Nel 1950 la Cina creava appena l´un per cento delle emissioni mondiali di CO2. Era come se non esistesse. Quest´anno ha superato gli Stati Uniti, è diventata la più grossa produttrice di anidride carbonica rilasciata nell´atmosfera terrestre. E nei prossimi sette anni le nuove centrali termoelettriche che la Cina metterà in funzione saranno superiori a tutte quelle esistenti nell´Unione europea. Ogni contadino cinese che abbandona l´agricoltura e si trasferisce in città a lavorare come operaio in fabbrica o come muratore nei cantieri edili, in media aumenta del 700 per cento il suo consumo complessivo di risorse naturali. Ogni anno in media sono 15 milioni i cinesi che lasciano le campagne, attirati dalle metropoli industriali o espulsi da un´agricoltura troppo povera per mantenerli. Chongqing ha 30 milioni di abitanti, Pechino e Shanghai si avvicinano ai 20 milioni ciascuna, varie altre città come Canton, Shenzhen, Hong Kong, Hangzhou, Tianjin, Chengdu, Nanchino, avvicinano o superano la soglia dei 10 milioni. Le città "medie" come Xian, Harbin, Dalian, oltre i cinque milioni di abitanti - una dimensione che Roma e Milano non raggiungeranno mai - saranno presto un centinaio. La metà di tutte le nuove strade e di tutti gli insediamenti urbani della Cina sono sorti dall´inizio di questo decennio.

Lo sviluppo cinese si accompagna a un fenomeno di urbanizzazione che per la sua scala dimensionale e per la sua rapidità non ha precedenti nella storia umana. Fra un ventennio i cinesi avranno 270 milioni di automobili e il loro consumo di energia sarà più che raddoppiato. In India le aree metropolitane di New Delhi e Mumbai hanno trenta milioni di abitanti ciascuna: sommate insieme superano la popolazione di tutta l´Italia. La domanda di energia dell´India (un miliardo e cento milioni di abitanti), sarà più che raddoppiata entro il 2030, e la maggior parte di quel fabbisogno aggiuntivo dovrà essere importato.

Queste previsioni, agitate senza tregua nell´opinione pubblica occidentale, ci fanno dire che "non c´è più posto sul pianeta". La questione delle risorse naturali balza al primo posto tra le nostre preoccupazioni. Si torna a parlare di penuria di petrolio. Trent´anni fa l´energia ci venne negata da un conflitto geopolitico (l´embargo dell´Opec dopo la guerra arabo-israeliana del Kippur), oggi cominciamo a temere che sarà la voracità delle nuove classi medie cinesi e indiane a prosciugare i pozzi del Golfo Persico.

Petrolio e gas non sono le sole risorse minacciate di esaurimento. Abituati da qualche generazione a vivere in un´economia urbana, lontana dall´agricoltura, trascuriamo la scarsità delle terre coltivabili. Abituati a vederla scorrere quasi gratis - e pulita - dai nostri rubinetti, dimentichiamo che nel mondo intero l´acqua è preziosa, rara, e in diminuzione. La terra e l´acqua sono fonti di potenziali conflitti almeno quanto il greggio. La Cina ha solo l´8 per cento delle riserve di acqua potabile del pianeta, ma deve mantenere in vita il 22 per cento della popolazione mondiale. Il 58 per cento dei fiumi cinesi è tossico. Forti squilibri e disparità regionali ci sono anche all´interno della Cina: la sua parte settentrionale, che tradizionalmente è stata il "granaio" nazionale con il 60 per cento di tutta la terra coltivabile, ha solo il 14 per cento delle risorse idriche del paese, il che costringe il governo di Pechino a progettare titaniche opere di dirottamento di fiumi dal sud al nord. La situazione peggiora con la desertificazione che avanza. La Cina sta soffrendo la più grande trasformazione di terre fertili in deserto che sia mai avvenuta nella storia umana. I grandi fiumi che irrigano l´India soffrono per lo scioglimento dei ghiacciai dell´Himalaya. La mancanza di acqua apre scenari inquietanti per gli approvvigionamenti alimentari. Già oggi la superficie agricola disponibile per produrre cereali è ridotta: 650 metri quadri per abitante in India, 600 in Cina, contro 1.900 negli Stati Uniti.

Per effetto del semplice aumento della popolazione - senza contare l´ulteriore perdita di terreni arabili per effetto dell´urbanizzazione - tra meno di vent´anni questa superficie agricola sarà scesa a 530 metri quadri pro capite in Cina e 520 in India, con possibili ripercussioni sui livelli dei prezzi, la stabilità sociale, le tensioni geopolitiche con il resto del mondo. Storicamente le situazioni di insicurezza alimentare sono state, insieme con le crisi da insicurezza energetica, spesso associate all´esplosione di conflitti militari.

Non è detto che questi conflitti debbano esplodere entro i confini di Cindia. Questi due giganti, grazie alla loro nuova ricchezza, possono scaricare su altri i loro problemi alimentari. La Cina, fabbrica del pianeta e formidabile esportatrice di manufatti, potrà acquistare quote crescenti del suo fabbisogno alimentare. Approvvigionarsi di alimenti sui mercati mondiali equivale a comprare acqua: ogni chilogrammo di cereali che Pechino importa dall´estero ha richiesto un metro cubo di acqua per essere coltivato. Anche l´India, grazie a una crescita fondata sulla "materia grigia", potrà vendere software informatico in cambio di derrate agricole. Ma in questo modo il problema della penuria d´acqua si sposta semplicemente da qualche altra parte. L´aumento dei consumi alimentari asiatici già sta creando tensioni sui prezzi: l´inflazione dei prezzi alimentari in Cina ha raggiunto + 17,6 per cento. Questi rincari, se protratti a lungo, possono mettere a repentaglio la pace sociale perfino in un colosso industriale come la Repubblica popolare. L´impatto sarà ancora più destabilizzante se l´inflazione alimentare provocata da Cindia dilaga in paesi del Terzo mondo con un potere d´acquisto molto più basso. Una simile spirale perversa già si vede all´opera per il boom dei biocarburanti, incentivato dalla ricerca di fonti di energia alternative. Bioetanolo e biodiesel contendono le terre coltivabili all´alimentazione umana o animale, i prezzi del pane e della pasta registrano questa inedita concorrenza con i serbatoi delle automobili.

Lo spettro delle penurie rischia di farci dimenticare le enormi iniquità che tuttora caratterizzano il consumo di risorse naturali. La definizione classica della sostenibilità ambientale recita così: è sostenibile uno sviluppo economico che può soddisfare i bisogni del presente senza compromettere le possibilità che anche le generazioni future soddisfino i loro. Sembra chiaro.

Ma chi stabilisce i bisogni del presente? Il petrolio di cui il consumatore italiano ha deciso di avere "bisogno" è tuttora il triplo di quello consumato da un cinese. La sostenibilità non si misura solo in verticale, nella solidarietà fra noi e le generazioni future. Deve declinarsi anche in orizzontale, in una ripartizione equa fra le generazioni attuali. Essere nati in India o in Cina vuol dire avere diritto a una coperta più stretta, dover razionare i consumi molto prima di avere raggiunto un modesto benessere? La scarsità delle risorse è relativa. Per un indiano emigrato a Londra, l´acqua sembra un bene illimitato e a buon mercato: farsi un bagno schiuma tutte le sere lascia una traccia quasi invisibile sulla bolletta mensile. Per il suo lontano cugino rimasto in un villaggio del Bengala il camion cisterna dell´acqua potabile passa una volta al giorno, e c´è una lunga coda di gente che lo aspetta.

lunedì 19 novembre 2007

Parole senza tempo

L'umanità ha bisogno di persone che testimonino la possibilità della fratellanza, in nome della conoscenza e della ricerca.
Sono realista, se volete pessimista per il presente, ciò non toglie che bisogna testimoniare e gettare i semi per piante che fruttiferanno nel futuro.
Non è possibile dire quando, ma è importante lasciare un segno, dire parole, formulare pensieri, vivere in una dimensione di segno opposto a quella dell'attuale imbecillità.
E soprattutto non bisogna scoraggiarsi.
Giordano Bruno

martedì 13 novembre 2007

Riflessioni

Rilanciare il sistema-paese è diventata una priorità, un imperativo per qualsiasi forza Politica che voglia bene a questo Paese. Per fare ciò penso che occorra un riformismo che divenga metodo, prassi, una visione politica che non proceda a strappi, ma per accumulazioni progressive.
...
Occorre affermare i propri Valori tenendo ben a mente che la società è un'entità in continua evoluzione. Non è possibile cambiare gli spiriti senza studiare le dinamiche sociali, se non ci si confronta con le complessità.
...
Portare aventi dei Valori, un Etica, una Morale, non significa perdere contatto con la realtà: gli stili di vita, i trend, "ciò che succede nel mondo", la dimensione della creatività, la gestione del tempo libero...

Pensa a questo

Qualunque cosa sia vera, qualsiasi cosa sia onorevole, o sia giusta, o sia pura, o sia bella, o sia graziosa, se vi è una qualsiasi eccellenza, se vi è qualcosa, qualsiasi cosa che sia degna di lode, pensate a queste cose.

San Paolo

venerdì 9 novembre 2007

Il Valore del Territorio

Credo in un'economia basata sulla conoscenza e sull'innovazione, sull'identità, la storia, la creatività, la qualità. Un'economia in grado di coniugare coesione sociale e competitività, di trarre forza dalle comunità e dai territori.

Possiamo offrire la merce più richiesta dal mondo: lo stile di vita, il nostro stile di vita, il modo di essere che detta le priorità al commercio, i valori che danno senso agli oggetti.

L'Italia trova negli elementi fondanti della sua cultura produttiva, il paesaggio, il territorio, il modo di vivere, l'identità, la storia, le radici di una rete di qualità che punta a trasformare l'intero paese in un brand di successo.
Dobbiamo utilizzare il Territorio come cerniera di altre valenze di questo nostro Paese, questo Territorio rimane vitale se mantiene la sua coesione sociale e diventa capace di far nascere nuovi "Distretti Culturali" favorendo l'incontro fra qualità di vita, tradizioni, cultura, storia, ma anche nuove tecnologie e ricerca.

Occorre dare valore alla memoria, non imbalsamando il passato, ma mantenendo la nostra identità tradizionale e intrecciandola con la modernità per farne una solida base per il futuro, per le generazioni a venire.
Puntare all'eccellenza, come nel caso dei 149 prodotti agroalimentari certificati Dop e Igp con cui guadagniamo il primato europeo (oltre a ca. 9 miliardi di euro all'anno). Questa visione dell'Economia prende oggi il nome di Soft-economy che significa capacità di creare economia in base a valori non riducibili a griglie fordiste, non misurabili con il metro della quantità. I nostri "asset" devono diventare i saperi, l'innovazione, la cultura, il paesaggio, le valenze simboliche, i richiami all'immaginario, la creatività, la storia.

Tutto questo si deve tradurre nella difesa del "brand ITALIA".
E' nella difesa e nella valorizzazione del territorio, della bellezza, della qualità della vita, un ulteriore elemento per creare economia "soft" nella strategia legata ad un'offerta di infrastrutture alberghiere più efficaci e di qualità. Il turismo dovrebbe essere inquadrato in un sistema sinergico con la produzione, il territorio, la cultura, l'enogastronomia e non, come accade ora, come un'attività a se stante che procede secondo modalità scontate e tradizionali.

La Cultura

La Cultura è organizzazione, disciplina del propio io interiore, è presa di possesso della propria personalità e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri.
Antonio Gramsci (da Socialismo e Cultura)

giovedì 1 novembre 2007

La Romagna


"Non si è romagnoli per nascita, ma per orgoglio" (Cino Ricci)

La Romagna ai tempi dei Romani, non c'era. Di Romània, poi Romandìola, si cominciò a parlare molto più tardi, dopo che Roma aveva perso il suo primato e l'Italia era piombata nel lungo "intermezzo" barbarico. Il tema della definizione della Romagna in termini territoriali si pone solo con lo Stato pontificio, quando un potere esterno, quello di Roma, sente il bisogno di costruire unità amministrative facilmente controllabili. La legazione di Romagna, con capoluogo Ravenna, formata dalle attuali provincie di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini (con Lugo e l'Appennino tosco-romagnolo in meno e Imola in più), è un prodotto tutto sommato artificiale dello Stato della Chiesa. E sempre al periodo in cui il papa-re ha dominato l'Emilia orientale, risale l'ambiguità del termine Romegne al plurale, col quale s'intendevano le quattro legazioni di Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì, in omaggio alla definizione dantesca.
Ma chi erano i romagnoli ? La definizione più corretta, fra Settecento e Ottocento, è forse questa: chi sentiva di esserlo. Comunità, famiglie, individui uniti da pratiche sociali, da rituali, da dialetti simili. Accomunati dalle stesse tradizioni alimentari (come la piadina) e dalle stesse favole. L'essere romagnoli era un'espressione sociale, non (come sarebbe divenuto poi) un'elaborazione culturale. Non l'idea astratta di un confine, ma la familiarità con un universo di simboli e di valori che rassicuravano e che interpretavano, senza bisogno di mappa, il senso del "noi".
Sarà poi la cultura napoleonica ad "insegnare" ad una schiera sottile, ma influente di romagnoli come guardare il territorio (sotto il profilo dell'approvvigionamento idrico, delle strade, del rapporto fra centri minori e maggiori, ecc.): l'astrazione cartografica entra in contatto col vissuto della gente comune, si umanizza, si fa carne e sangue. E nello stesso tempo si fanno conoscenza le abitudini, gli usi, le pratiche.
Il problema dei confini della Romagna è antico e, in apparenza insolubile. Solo nel 1894 l'ingegnere forlimpopolese Emilio Rosetti stabilizza il quadro della Romagna propriamente detta nelle attuali provincie di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini, più il circondario di Imola e il Montefeltro.
La radice della Romagna è Roma, ma Roma, quella Roma è lontana, sia nel tempo che nello spazio. Dunque la Romagna come terra che conserva lultimo lembo di romanità, anche quando la Roma "vera" è già precipitata nel buio barbarico. Sapere dove comincia e dove finisce la Romagan è un tema interessante perchè, in questo modo, si può riuscire a reperire un nucleo di territori e di popolazioni contaminate più delle altre dallo "spirito" romano.
Romagna, che a dispetto del tentativo dello Stato pontificio, continuò ad essere l'enclaves della presenza repubblicana e socialista con una vasta proliferazione fra Ravenna, Imola, Forlì e Rimini, tanto è vero che l'equazione romagnolo=repubblicano o socilista finì per essere assunta fra le stereotipie locali, come dimostrava, ancora nel 1888, il viaggio di Umberto I fra i turbolenti "pellirosse" di Romagna.