giovedì 28 febbraio 2008

L'importanza delle scelte


" E' diventato fondamentale la scelta tra la logica del profitto come criterio ultimo del nostro agire e la logica della condivisione e della solidarietà. Si tratta della decisione tra la giustizia e la disonestà e in definitiva tra Dio e Satana.

La vita in verità è sempre una scelta tra onestà e disonestà, tra fedeltà e infedeltà, tra egoismo e altruismo, tra bene e male."

Benedetto XVI

sabato 23 febbraio 2008

Io laico credente, e il Campidoglio

di FRANCESCO RUTELLI da La Repubblica di venerdì 22 febbraio 2008


CARO DIRETTORE, oltre millenovecentocinquanta anni fa, un pescatore palestinese e un ebreo della Cilicia si trovarono a Roma. Oggi, Pietro di Betsaida e Paolo di Tarso sono i Patroni di Roma. Allora, nel cominciare il cammino di quella che sarebbe divenuta la Chiesa, furono perseguitati, incarcerati ed uccisi nella nostra città. Se dimentichiamo tutta la forza e la complessità della storia di Roma, non andiamo lontano. E Roma è andata lontano, nella sua Storia, e viene conosciuta - e amata - nelle più lontane contrade per l'unicità e l'universalità della sua vicenda. Universale, è un aggettivo che nella storia di Roma si impone almeno tre volte. Universale fu la Roma dei Romani. Universale è il significato letterale della parola cattolico. Universale è il nome stesso di Roma, tra le pochissime città al mondo che è essa stessa un messaggio, portatrice di valori, esperienze e un patrimonio che non hanno bisogno di aggettivi né precisazioni. Quando lo storico Theodor Mommsen, preoccupato su ciò che sarebbe accaduto dopo il 1870, disse la celebre frase "a Roma non si può stare senza propositi cosmopoliti", gli rispose Quintino Sella con una altrettanto celebre polemica sul primato della scienza. Tutto il cammino di Roma è stato incessantemente accompagnato dal dualismo fra la vicenda cristiana e l'affermazione dell'autonomia del potere civile. L'unica lettura inadatta di questi cammini, nell'anno 2008, sarebbe di non saperne leggere l'intreccio. Il mio ufficio di Ministro della Cultura è stato, per venti mesi, dentro il Collegio Romano; non solo seminario dei Gesuiti e sede della loro azione potente nell'età della Controriforma: anche luogo fisico dove Galileo Galilei fu dapprima esaltato come eminente scienziato e poi interrogato e avversato. La stanza del Sindaco di Roma che affaccia sul Foro, contraltare civile dal massimo valore simbolico, si trova all'interno della torre costruita da Papa Nicolò V in occasione del Giubileo del 1450.
Il primo Museo pubblico del mondo, i Musei Capitolini, nasce come lascito alla città - Lupa capitolina inclusa - di Papa Sisto IV. All'ingresso del Palazzo Senatorio in Campidoglio, i visitatori sono accolti dalla "Sala del Carroccio": essa riflette la sbalorditiva vicenda di Federico II, imperatore orgogliosamente laico che tentò di ingraziarsi - e ammonire - i romani portando in dono i resti del Carroccio dei Comuni lombardi (si, proprio quello delle attuali rivendicazioni di Bossi) sconfitti nella battaglia di Cortenuova; ma per tutta risposta le fazioni lo distrussero. Ancora: la stanzetta del Transito di Caterina da Siena, (dietro il Pantheon), donna che fustigò potenti ed ecclesiastici del tempo con lettere tra le più alte a difesa della politica come servizio anziché dominio. O la scena di Jacopa dè Settesoli che porta a San Francesco morente alla Porziuncola, come estremo segno di allegria romanesca, i suoi dolcini adorati: i mostaccioli. Nel Rinascimento, come si può dimenticare l'umiliazione inflitta a Michelangelo, autore nella Cappella Sistina del ciclo pittorico forse più potente del mondo, su cui Daniele da Volterra (da allora e per sempre "il Braghettone") fu chiamato a dipingere il nascondimento dei genitali in primo piano. Ma si può non ricordare agli appassionati di musica che affollano l'Auditorium che la più importante istituzione musicale romana - e tra le più prestigiose a livello internazionale - prende il nome da Santa Cecilia, martire romana del II Secolo? E, se è oggetto di secolari discussioni il perché Cecilia sia la Patrona della musica, non si può discutere che la Basilica in Trastevere a lei dedicata sia uno dei luoghi più affascinanti (anche se meno conosciuti) della città. Rettore di Santa Cecilia è oggi un monsignore mite e tenace: Guerino di Tora, il direttore della Caritas di Roma. Ecco: la vicenda cristiana di Roma non è fatta solo dei discorsi del Papa dalla finestra di San Pietro (una delle pochissime situazioni in cui il mondo ascolta la lingua italiana; oltre che nella pronuncia storpiata delle parole prestigiose del made in Italy, e nel risuonare del Bel Canto, della lirica, dal Giappone agli Stati Uniti). E' fatta di esperienze e testimonianze di servizio silenzioso. In certe piccole stanzucce sulla via Casilina è venuta per anni occupandosi dei più disgraziati della città Agnes Gonxha Bojaxhiu, ovvero Madre Teresa di Calcutta. E da piccole stanze di Trastevere ha preso le mosse, sotto le insegne di un piccolo e quasi sconosciuto Santo - Egidio - una Comunità che oggi opera, è rispettata ed accolta in ogni parte del mondo. E solo l'azione che essa svolge in Africa per combattere l'Aids merita il plauso generale. Voglio forse dire con questo che la vicenda bimillenaria della Chiesa di Roma è un susseguirsi di tolleranza, bontà e illustrazioni della fede in Cristo? Non dimentico, per restare entro le mura di Roma, la chiusura degli ebrei nel Ghetto; né le prove di indubbia storica intolleranza che hanno provocato sofferenze e dolore. Valgono le parole che Paolo VI pronunciò nel corso della visita al Campidoglio del 1966: "conserviamo [della sovranità temporale] il ricordo storico; ma oggi non abbiamo per essa nessun rimpianto, né alcuna nostalgia." E quelle di Giovanni Paolo II, che parlando nell'Aula di Giulio Cesare nel 1998 disse "qui si ritrovano la Roma civile e la Roma cristiana, non contrapposte, non alternative, ma unite insieme, nel rispetto delle differenti competenze, della passione per questa città e del desiderio di renderne esemplare il volto per il mondo intero". Il più coraggioso riformatore tra i Sindaci di Roma del XX secolo è stato Ernesto Nathan, massone, ebreo, anticlericale: sono pronto a sostenere appassionatamente questa mia convinzione. Il che non vuol dire proporre i concetti, né le contrapposizioni dei blocchi di cent'anni fa. Non posso sottrarmi ora a considerazioni di tipo personale. Ci sono state polemiche pubbliche sulle mie convinzioni religiose. Seppure non ostentate, sono visibili, e certo non le nascondo. Dunque: ho avuto una forte formazione cristiana, anche grazie all'evidenza e sincerità della fede di mia madre Sandra, la cui lunga, dolente malattia e la cui morte hanno accelerato in me prima dei vent'anni un aspro distacco dalla religione. La militanza con i radicali è stata la sede per tradurre ed esplicitare l'asprezza di questo distacco. Ma, francamente, dubito si debba deprezzare quell'esperienza, tante lotte per i diritti umani, i diritti civili, contro la fame nel mondo. E una formazione per il servizio pubblico che porto con me. Anche se il Partito radicale in cui militavo è stato sciolto vent'anni fa, alcuni pensano che la militanza di allora debba costituire una sicura garanzia di ostracismo a vita verso la fede cristiana. O, piuttosto, che la scelta di battezzare i nostri figli (a partire dal 1983) abbia anticipato, e poi il mio silenzioso matrimonio cattolico (nel 1995) abbia significato una strumentale ricerca di benevolenza della Chiesa verso il mio impegno politico. Una cosa idiota. Intanto, solo dei gran superficiali possono immaginare la Chiesa come una caricatura alla maniera dei defilé cardinalizi dei film di Fellini: lì c'è invece una enorme complessità di posizioni, culture e relazioni col mondo pubblico. In realtà, la tesi polemica associata a questo modo di considerarmi è stata: Rutelli è nel centrosinistra, ma trama per costruire un centrismo con Tizio e Caio. Tesi smentita dalla costanza della mia posizione politica di centrosinistra, sino alla Margherita, che ho fondato, sino alla nascita del Partito Democratico. Le mie idee politiche non sono confessionali, ma laiche. Non sono eterodirette ma, spero, responsabili. Dunque, da candidato Sindaco di Roma, intendo riaffermare questi concetti. Roma è intreccio vitale della laicità dei credenti cristiani, degli ebrei e dei credenti in altre religioni, come dei non credenti. E' luogo, come polis, di dialogo, confronto e scontro anche delle posizioni di intolleranza anticattolica come di quelle di intransigenza clericale. Compito del Sindaco - che sia credente, come io sono, oppure non lo sia - e compito dell'amministrazione civica è di assicurare il laico, libero esercizio delle convinzioni di ciascuno, di promuovere la convivenza civile, di tutelare i valori storici dell'Urbe. Se sarò eletto, questo cercherò di fare, nel voler rappresentare tutti i miei concittadini, nel proseguire il cammino delle nostre amministrazioni (e specialmente di quella di Walter Veltroni), nel costruire una Roma moderna e umana, con una sua missione civile nel mondo del XXI secolo. (22 febbraio 2008)

venerdì 22 febbraio 2008

Mister G: una storia importante, una storia qualunque...

... Lo aveva conosciuto anni prima collaborando sul lavoro ad uno stesso progetto. E si era trovato bene. C'era stato in realtà, ripensandoci ora, un episodio nel passato che aveva mostrato la sua vera natura, ma allora lo considerò più uno sfogo naturale di una persona che cercava sempre di prevedere e pianificare tutto e quando non gli riusciva, si esprimeva in quel modo. Si perché Mister G pianificava tutto, nel lavoro come nella vita privata. Avrebbe scoperto più tardi come la sua vita personale fosse in realtà una non vita, nessuna passione o impegno vero e proprio. Mai il Cuore, ma solo il calcolo di ciò che gli conveniva. Si ritrovava sempre in compagnia solo con il suo ego. In una non vita.
Milken si chiedeva se Mister G avesse mai preso coscienza di questo o almeno, qualche volta, si fosse mai reso conto dell'aridità della sua anima e di quanto disprezzo si lasciava dietro. Milken pensava di no, il suo ego glielo avrebbe certamente impedito.
Per quei casi che caratterizzano la vita di ognuno di noi, a volte benevoli a volte dannosi, Milken si ricordò di lui nel momento in cui nella società in cui lavorava si presentò l'esigenza di trovare una persona di esperienza in grado di garantire una crescita nello sviluppo degli affari.
Suo malgrado si trovò a riconoscere, anni dopo, che la cosa andava ascritta al secondo tipo di casualità, anche se alcune cose erano comunque servite, come sempre accade nella vita. Ma a quale prezzo ?
Sapeva di averla pagata cara, carissima quella scelta. Dentro e fuori. Spiritualmente e materialmente.

Nonostante Milken fosse stato il promotore della sua venuta e gli avesse dimostrato, come sua abitudine, subito una grande disponibilità, amicizia e lealtà, fu ripagato con perfidia, cattiveria e insolenza. Le cose  nel giro di poco si aggravarono ulteriormente e tutto divenne per Milken estremamente confuso, in una situazione che assomigliava a qualcosa tra il kafkiano e il girone infernale dantesco, tanto che cominciò seriamente prima a chiedersi se quella società fosse ancora la "sua" strada e a porsi seri dubbi seri sulle sue capacità e sull'utilità della sua vita. Ad un certo punto pensò anche che forse era meglio togliere il disturbo a tutti per sempre...
Aveva sperato che qualcuno si accorgesse del pericolo che costituiva Mister G per tutti, ma paradossalmente il quadro, già fosco, peggiorò ulteriormente quando per alcune convenienze del momento, o almeno Milken le giudicò tali, fu quasi posto nella condizione di dire che se ne doveva andare. Quasi fosse solo oramai un "portatore di caffè". Lasciare quindi una società in cui aveva scommesso parte della sua vita e per cui aveva fatto sacrifici.
Fu sul punto di cedere allora.
Ma era sempre stato un tipo abituato a non mollare, mai, era un misto tra orgoglio e desiderio recondito di battagliare per cause che si ritenevano ormai perse o impossibili. Lo spirito del "Guerriero" era sempre stato in lui fin da piccolo, poche regole interiori, ma chiare: mai lamentarsi, sopportare, mai mostrare che si soffre, mai mollare, durare un minuto in più degli altri. Come il giunco piegarsi agli eventi che non si possono contrastare, ma essere nuovamente pronti al momento giusto. E la convinzione che il dolore fortifica. Non sapeva spiegarsi perché era così, ma lo era da sempre.

Ed infatti Mister G passò. Certo, cercò di passargli proprio sopra, di calpestarlo, di togliergli la dignità, ma fu risucchiato dallo stesso vortice di presunzione e malanimo che aveva scatenato. Chi semina zizzania raccoglie tempesta, dicono le Sacre Scritture. Fu spazzato via a sua volta perché ormai non più utile, anzi dannoso anche per gli altri che, forse, presero utilmente coscienza della sua pericolosità.
L'aria si ripulì parecchio e Milken riemerse pensando che, forse, aveva pagato abbastanza quella volta. Ma la vita, la dura e vera vita, come ripensava oggi, aveva ancora in serbo qualche altra poco piacevole sorpresa. Non gli era mai stato regalato nulla. Avrebbe dovuto nuovamente combattere.

Ma questa era un'altra storia che ora non aveva voglia di ricordare. Già ripensare alla vicenda di Mister G gli era costato fatica e provava ancora in parte dolore, anche se il tempo, come sempre, era un buon medico...

giovedì 21 febbraio 2008

Emergenza rifiuti lo smaltimento inizia dal negozio

Trovo negli articoli del Prof. Giampaolo Fabris sempre spunti interessanti di riflessione. Pur non conoscendolo personalmente trovo che sia una persona molto attenta alle mutazioni e ai cambiamenti della società odierna, un uomo che vive nella realtà delle cose quotidiane.

DI GIANPAOLO FABRIS


La ricorrente immagine dei cumuli di immondizia in Campania non è soltanto una eloquente metafora della cattiva gestione, anche a livello locale, del nostro Paese. Dell’incapacità di risolvere problemi che ogni società civile dovrebbe affrontare e risolvere come normale amministrazione. Denuncia anche l’inquietante cono d’ombra, solitamente sottaciuto, che il mondo della produzione riflette anche ben al di là dei confini dei mercati. Il policromo e seduttivo appeal dei packaging che propiziano i nostri acquisti ha infatti un costo sociale che non può più essere ignorato. Circa quattro quinti dei rifiuti in realtà è da accreditarsi alle confezioni dei prodotti che consumiamo. Un dato davvero enorme. Uno scotto considerato a lungo, erroneamente, come una sorta di inevitabile conseguenza del nostro modo di vivere e di consumare. Su cui invece può/deve essere esercitato uno stretto controllo sino a ridurre la quantità degli imballaggi a livelli assolutamente fisiologici. Diminuendo così in maniera massiccia il problema dello smaltimento dei rifiuti e l’ipertrofia delle discariche.Una operazione drastica che non deve necessariamente svolgersi all’insegna di interventi estemporanei, e un tantino demagogici, come quelli di questi giorni contro le bottiglie di acqua minerale accusate di produrre, per ogni singolo contenitore, un centinaio di grammi di gas serra e di aumentare a dismisura il cumulo dei rifiuti. Optare per l’acqua di rubinetto, che le indagini di Altroconsumo hanno promosso sotto il profilo organolettico, praticamente in tutta Italia, può risultare semmai opportuno per sbarazzarci di un non invidiabile primato. Il record mondiale nei consumi di acqua minerale con il conseguente, in questo caso ricercato, balzello giornaliero sul budget delle famiglie. Assai meno convincente come intervento isolato all’insegna dell’ecocompatibilità.Il problema del cumulo di immondizie, generato in larga misura dalle confezioni dei prodotti che ogni giorno acquistiamo, deve essere affrontato in modo radicale e sistemico. Un obiettivo da perseguire anzitutto riducendo la quantità dei materiali usati nei processi di confezionamento. Perché i packaging hanno perso da tempo la loro funzione ontologica di conservazione/trasporto dei prodotti per assolverne soprattutto altre: legate alla comunicazione e all’ incantamento del consumatore. Nel linguaggio del marketing, ad esempio, la cosiddetta "size impression" ( in pratica una sorta di truffa perpetrata ai danni di chi acquista enfatizzando surrettiziamente la reale capienza dell’imballo) è stata a lungo teorizzata inducendo a confezioni inutilmente over size. Una sorta di matrioska, o di effetto cipolla generato avvolgendo il contenuto con una molteplicità di materiali del tutto inutili. Che se rappresentano un vantaggio per le industrie del settore e i produttori di imballaggi costituiscono un costo reale per il consumatore e per la collettività. L’impiego di materiali riciclabili, tali da consentirne il riuso, dovrebbe affiancarsi come modalità da perseguire, al contenimento dei packaging. Un orientamento che può essere sviluppato soltanto se supportato da un efficiente servizio di raccolta differenziata: il che implica infrastrutture adesso carenti che la consentano e una parallela educazione del cittadino. Spesso, come testimoniano le ricerche, disincentivato da una pratica che costa fatica ma a cui, comunque, si sottometterebbe di buon grado, dalla non infrequente constatazione di un'unica convergenza dei contenuti di cassonetti che dovrebbero avere destinazioni completamente diverse. Interventi per la verità – quelli di una sensibilità all’impiego di materiali riciclabili – che l’industria nelle sue espressioni più evolute ha adottato da qualche tempo ma che costituiscono più un’opzione volontaristica che un vincolo effettivo. Un problema quello dei rifiuti che, anche prescindendo dalla tragica emergenza napoletana, rappresenta una esplicita denuncia nei confronti di un certo modo di produrre e di vendere. Un atto d’accusa che, nel nuovo clima di sensibilità nei confronti delle responsabilità sociali da parte delle imprese, non può più essere eluso.

sabato 16 febbraio 2008

Il partito del ribellismo

Dalla rubrica "Bestiario" di Giampaolo Pansa della scorsa settimana, segnalo un articolo che offre uno spunto di riflessione su una realtà (purtroppo) della società italiana attuale.
Ci sarà un partito occulto nella campagna elettorale: quello del ribellismo. E’ un partito che esiste, che lotta, che decide, anche se le altre parrocchie politiche fingono di non vederlo. Il Partito del Ribellismo non ha un leader per la semplice ragione che ne ha molti.Non ha una sede perché sta dappertutto. Non ha un programma scritto sulla carta, corto o lungo che sia, in cinque punti o di trecento pagine, perché lo cambia di continuo, a seconda delle convenienze del momento.Il Partito del Ribellismo ha però una parola d’ordine, ben chiara e che non muta mai:dire sempre no,no,no. Dirlo a qualunque decisione pubblica, dello Stato, del Parlamento, di una regione, che non piaccia a questa o quella sezione locale del partito. E’ dirlo nel modo più infiammato e violento.Anche bloccando autostrade, strade, ferrovie, stazioni, aeroporti. Anche ingaggiando battaglie contro la polizia e i carabinieri. Persino incendiando le autobotti dei vigili del fuoco. Facendosi beffe di qualsiasi autorità,ammesso che in Italia ne esista ancora qualcuna. Adesso che sta per cominciare la campagna elettorale, molti si chiedono chi sarà il vincitore. Ma c’è una domanda oziosa. Il vincitore c’è già, prima ancora che si aprano le urne. E’ il Partito del Ribellismo. Un trionfatore scontato e imbattibile. Perché sta annidando entrambi i blocchi, sotto la poltrona di entrambi i leader. Tanto Berlusconi che Veltroni dovranno fare i conti con questo competitore maligno che ogni giorno si inventerà una congiura per mandarli al tappeto. Anche se Walter e Silvio tenteranno di sconfiggerlo, non ce la faranno mai. E’ il ribellismo avrà sempre la meglio su di loro. Del resto, nella guerra più aspra di quest’epoca, quella dei rifiuti a Napoli e in Campania, Partito del Ribellismo sta sbaragliando tutti. Il commissario straordinario De Gennaro è in carica da un mese e non è riuscito a fare nulla. Qualche giorno fa, per sfregio, gli hanno scaraventato i rifiuti davanti all’ufficio. A guidare la rivolta contro le discariche ci sono sindaci con la fascia tricolore. Uno di loro ha gettato la fascia alla folla, gridando: “Lo Stato e il governo vadano a fare in culo!” Poi ha guidato con la polizia, avanzando a balzelloni e scandendo “Chi non salta De Gennaro è”. Ma il ribellismo è in azione anche nell’Italia nel Nord. Basta pensare alla Tav in val di Susa, che non procede di un millimetro. O alla nuova base Usa Dal Molin a Vicenza. Anche nelle regioni rosse non si scherza. Il 3 febbraio, l’edizione toscana dell’ “Unità” pubblicava una cronaca allucinante di quel che succede tra Follonica e Scarlino, in provincia di Grosseto, a proposito di un inceneritore. Due sindaci del partito democratico che si combattono. Centro-sinistra e centro-destra uniti nella lotta, sotto il segno dei due campanili contrapposti. Che cosa si può fare per opporsi all’onda montante del ribellismo? Nulla, almeno oggi. Il governo Prodi ha tentato l’impossibile, con l’arma della persuasione, e sappiamo com’è andata a finire. Ma neppure il probabile governo Berlusconi riuscirà a cavare il ragno dal buco. Non riesco ad immaginare il Cavaliere che dichiara guerra ai nuovi ribelli. Silvio ama il piacere. E vuole essere piaciuto, direbbe Totò. Quindi anche lui verrà sconfitto. Anzi, lo sarà due volte. Perché contro il suo governo si scatenerà pure il ribellismo organizzato dalla sinistra regressista. Non aspettano altro tutti i centri sociali d’Italia. E vedo già l’onorevole Caruso, appena rieletto, prepararsi, gasatissimo, alla battaglia finale sui rifiuti campani. Contro il ribellismo in crescita ci vorrebbe la mano dura di una politica saggia. Mano dura significa leggi apposite con la minaccia del carcere, una magistratura decisa ad applicarle, un uso severo delle forze dell’ordine. Ma l’Italia è il paradiso delle mamme bonaccione. Dove le frange lunatiche dei partiti di governo e di opposizione trovano sempre chi è disposto a perdonare. Del resto, in casa nostra chi è saggio non ha mai il polso fermo. E chi potrebbe avercelo non è considerato un campione di saggezza. Dunque siamo in una botte di ferro, foderata di chiodi acuminati. Il declino italiano comincia di qui. Dalla mancanza di autorità. Dall’impotenza di tutti i governi immaginabili. Dall’ipocrisia bugiarda dei partiti che ci garantiscono di poter salvare il baraccone democratico. Qualche volta penso, consapevolmente, che ci vorrebbe un governo di guerra, affidato ai militari. Poi mi dico che da noi anche i generali tengono famiglia. E pure loro hanno una mamma, una suocera, una zia, una cugina vicina a una delle discariche di De Gennaro o al percorso della Tav. Devono farle soffrire, quelle sante donne?Non sia mai detto, per Maria Vergine!

venerdì 15 febbraio 2008

Come è rischioso a Riad festeggiare San Valentino

Rajaa Alsanea - La Repubblica

Oggi è il mio secondo giorno di San Valentino negli Stati Uniti. Come ho potuto scoprire, il modo in cui lo si festeggia qui, ha poco a che vedere con quello che ho conosciuto crescendo in Arabia Saudita. Sì, ci sono i dates, ma in Arabia Saudita li mangiamo (la parola dates, in inglese, può significare sia datteri che appuntamenti). Quanto all´altro genere di dates – quello che domani sera, negli Stati Uniti, farà fare il tutto esaurito ai ristoranti – non ci conterei troppo.Qualche temerario si dà appuntamento nei caffè o nei ristoranti forniti di separé per dividere i tavoli, in modo che nessuno possa vedere le coppie clandestine. In fondo, essere sauditi significa conoscere le regole (e il modo per aggirarle senza mettersi nei guai). Ma la maggior parte delle ragazze preferisce incontrare un uomo attraverso i canali accettati, come Internet, gli amici, i familiari o il telefono.Oggi, le relazioni tra i sauditi nascono su Facebook o attraverso Bluetooth. Ci si "vede" per telefono o attraverso gli sms e ci si diverte a scambiare regali: attraverso gli autisti o le cameriere.Dieci anni fa, però, prima dell´era di Internet e dei telefoni cellulari, c´erano meno opportunità. I ragazzi giocavano le loro carte allungando il loro numero di telefono alla prima ragazza che capitava loro a tiro, nell´eventualità che, sotto quell´informe abaya o quel niqab, si nascondesse la ragazza giusta. Ricordo mia madre urlare contro i ragazzi che bussavano al finestrino della nostra auto offrendole bigliettini con i loro numeri di telefono.Tutte queste limitazioni non significano che i sauditi non desiderino l´amore. Canzoni e romanzi dimostrano l´interesse e la passione che uomini e donne, in Arabia Saudita, provano verso questo sentimento. Soltanto che alcuni sono convinti che l´amore sia quel sentimento affettuoso che nasce tra una coppia dopo che i loro genitori hanno combinato l´unione e dopo che il contratto di matrimonio è stato firmato.E tuttavia, il giorno di San Valentino, i romantici sognano quella sorpresa. Per loro, l´amore aprirà un nuovo capitolo della loro vita, un capitolo di eterna felicità, come quella che leggono nelle poesie di Nizar Qabbani. Il giorno di San Valentino, l´università che frequentavo, a Riad, si tingeva tutta di rosso: rose rosse, orsacchiotti rossi e magliette rosse, anche se i festeggiamenti non erano graditi dal punto di vista religioso. Ciò che tutti desiderano, è trovare l´amore dietro l´angolo, nascosto in quel centro commerciale o dietro i vetri scuri di un´automobile.
© The New York Times(traduzione di Antonella Cesarini)

sabato 9 febbraio 2008

Fermarsi a riflettere

Ci sono momenti, situazioni, che mi portano a riflettere sulla mia vita. Per un attimo mi fermo e mi volto a guardare ciò che è stato.
Solitamente mi capita in momenti di grande felicità o soddisfazione per qualcosa che si è realizzato oppure, come in questo caso, quando vivo una delusione, anche di lieve entità forse, ma per me importante.
Arrotolo il nastro della mia memoria e rivedo il mio passato: da dove vengo, cosa ho fatto, dove sono diretto…
Ripenso alle mie esperienze e frequentazioni negli anni, da ragazzo, nello sport, nel lavoro, nelle associazioni e club frequentati e cerco di fare un bilancio di ciò che sono ora. Se sono qualcosa.

Provengo da genitori che, figli loro stessi di lavoratori della terra sotto padrone, non avevano nulla e quasi nulla mi hanno lasciato. Mio padre dipendente comunale, mia madre smise praticamente l’attività di parrucchiera alla mia nascita, moltissimi sacrifici per comprarsi una casa e garantire a me e mio fratello una più che onorevole vita fino all’età di lavoro. E penso che tutto ciò che ho ottenuto finora non me lo ha regalato nessuno, solo la mia volontà, la mia caparbietà per riuscire nella vita a fare qualcosa di più. Non ho avuto lasciti né facilitazioni di carriera.
Tutto conquistato in quella grande battaglia che è la vita.
E ho anche pagato e in parte sto ancora pagando, per errori e a volte per troppa fiducia, ma come dice l’antico detto “le ferite forgiano la forma”.
C’è stato un momento, alcuni anni fa, che il dolore interiore per ciò che stavo provando era così forte che ho pensato che non valesse poi così tanto vivere. Quando vieni tradito nella fiducia che hai riposto in qualcuno, quando cercano di toglierti la dignità, diventi vulnerabile, tutto ti sembra assurdo e pensi che non ne verrai fuori e ad un certo punto comincia a nascere in te il desiderio di mollare. Fuggire il prima possibile e lasciare che gli altri facciano rovine di ciò che hai rappresentato, oppure scomparire, semplicemente andartene senza spiegazioni, non costituire più un problema per nessuno. Chiudere il libro della tua vita. Per sempre.

Poi, per fortuna, lavorando sulla mia anima, sulla mia interiorità, è venuto fuori il mio carattere, l’abitudine a non mollare, mai, rimanere sul posto a resistere, contro tutto e tutti. Aspettando che il tempo e le situazioni mutassero. Come poi è stato. E’ servito penso oggi, perché mi sono “corazzato” maggiormente e vivo le situazioni diversamente. Ho capito che la felicità è un atteggiamento soprattutto mentale e fatta mia una considerazione che pare ovvia, ma ritengo che non lo sia per la maggior parte delle persone che hanno una cultura “occidentale”: il dolore è un fatto intrinseco della vita. Bisogna accettarlo come si accetta la felicità. Il dolore ci tempra e ci rafforza, rendendo più profonda la nostra esperienza di vita.
E ho rafforzato in me alcuni atteggiamenti che già stavo coltivando: la pazienza e la tolleranza. Questi sono per me segni di forza, una forza che proviene dalla saldezza interiore frutto di una mente forte e autodisciplinata. A queste ho aggiunto la riflessione. In certi momenti, come dicevo poc’anzi è utile fermarsi un attimo e riflettere, ricordare a noi stessi il nostro scopo, il nostro obiettivo generale. La riflessione mi permette di reinquadrare la vita e i miei obiettivi, assumere nuove prospettive e capire quale direzione devo prendere.

giovedì 7 febbraio 2008

Sui Valori

Con il tempo ho interiorizzato la convinzione che è importante vivere sempre secondo i propri Valori anche quando le cose non vanno come vorrei, quando le persone non si comportano come mi sarei atteso, quando soffro per la delusione che qualcuno o qualcosa ha provocato in me, quando tutto sembra congiurare verso di me.
Ancora oggi a volte "sbando" con il pensiero e con l'anima, ma ho fatto mio il concetto che vivere secondo i miei Valori, agire coerentemente con quello che per me è il senso della vita, stimolare la mia tenacia, ha il potere di conferirmi una felicità più duratura, una sensazione di sicurezza, di tranquillità, di serenità interiore, che mi permette di superare le difficoltà e le continue sfide che pone la vita.
Tutto ciò impone una grande disciplina interiore che si tramuta nel prendere un impegno con se stessi e con i propri ideali, subordinando istinti ed emozioni ai Valori stessi.

venerdì 1 febbraio 2008

La "Vision"

"Alcuni uomini vedono le cose per quello che sono state e ne spiegano il perchè. Io sogno cose che ancora devono venire e dico: perchè no ?"

Robert Kennedy