sabato 31 marzo 2012

Al mattino

Comincia bene la giornata, alzati abbastanza presto per riempire i primi minuti con qualche buona lettura ispiratrice, magari ascoltando musica. Rifletti sulle cose, al mattino tanti pensieri e idee nascono così come il giorno. Trovi le soluzioni e tutto appare più chiaro e affrontabile. Esci all'aperto e guarda sorgere il sole, soprattutto in queste stagioni. È fonte di energia e ispirazione.

giovedì 29 marzo 2012

Educare gli uomini alla Democrazia


Le leggi non servono a nulla se ai membri della società non è stato instillato nel sangue l'amore e il rispetto delle istituzioni.

Aristotele



martedì 20 marzo 2012

A tutta birra


Sei italiani su dieci la bevono. Diventano otto su dieci se l'età è compresa tra i 18 e i 44 anni. La birra ha superato il vino nei consumi e nelle preferenze degli italiani da alcuni anni e diventa la nuova regina dei momenti gourmet. L'anno scorso i consumi di birra, nei pasti fuori casa, hanno segnato un + 148% ed è stato rilevato che il gradimento aumenta in funzione della conoscenza del prodotto. Così come il numero delle donne che la preferiscono, in continua ascesa. 

Cambiano i gusti, forse complice anche la crisi che rende la birra più "abbordabile", ma il dato di fatto è che un italiano su due ritiene che l'immagine della birra sia cambiata in meglio negli ultimi anni e la trova raffinata e ricercata. 
È la riscossa di questa bevanda che fino a qualche anno fa era associata ad un modo di bere informale, un po' rude, abbinata solo alla pizza e spuntini veloci o consumata nei pub. 

Si è modificato anche il modo di berla. La maggioranza dei consumatori ormai non si attacca più al collo della bottiglia ma la versa nel bicchiere. E vuole il bicchiere giusto. L'Asso Birra nel suo sito, ben strutturato e ricco di informazioni, ha pubblicato anche una guida alla scelta del bicchiere giusto e come imparare a degustarla. Sull'onda di questo nuovo interesse c'è stato un fiorire di siti internet, blog, proposte di corsi di degustazione e libri che non trattano solo della storia della birra, ma rivelano anche tutti i segreti per gustarla al meglio: come spillarla a "due velocità", l'importanza della schiuma che permette di cogliere gli aromi del luppolo e del malto, la temperatura, gli errori da evitare, gli abbinamenti. 

Cambiano i gusti e le tendenze, è naturale che cambino anche gli abbinamenti. Oggi possiamo scegliere birre per il pesce, anche crudo, per gli affettati anche nobili come lo Zibello e perfino per i dolci. A più del 40 per cento degli italiani comunque piace abbinarla con la cucina tradizionale.La birra conquista oramai anche i palati più raffinati e ristoranti importanti. Le guide più vendute, dal Gambero Rosso all'Espresso, già segnalano i locali che hanno "carte delle birre" e curano la selezione dei marchi. Un'indagine rivela che le preferite dagli chef "tendenza birra" sarebbero: l'Abbazia, corposa e forte, seguita dalla Pils e dalla Lager, chiare, quindi la Weizen e la Blanche, di frumento. Riscuotono successo anche la Ale e la Stout, scure, e la Bock, doppio malto chiara e forte. Ma ce n'è per tutti i gusti. Sono più di 300 i marchi che si trovano sul mercato. Il popolo dei foodies che condivide la passione del mangiare e bere bene, ha ora un interesse in più su cui confrontarsi e dibattere.

Pierangelo Raffini - scritto per leggilanotizia.it

domenica 18 marzo 2012

Noi analfabeti seduti su un tesoro


Due dati dovrebbero impressionarci come italiani, se vogliamo vederci (anzi, diciamo pure, venderci) come cittadini del mondo.Il primo è quello che riguarda la strepitosa immagine positiva che ancora siamo in grado di diffondere all'estero. Chiunque di noi si presenti come italiano in un qualunque ambiente di New York, Parigi, Tokyo, Pechino, Singapore, non riceverà che elogi e espressioni di ammirazione.

Perché? Perché nonostante tutto il nostro brand va fortissimo. E di che cosa è fatto questo brand? Vi sembrerà strano ma la parola che lo riassume è una sola: Cultura. Noi siamo il Paese della Cultura. Ovunque nel mondo. Nel mondo che conta e che si arricchisce. Lo dico con un'enfasi che non è la mia (e neppure l'uso disinvolto di parole del marketing come brand lo è, ma è per intendersi), perché non amo la retorica e per me cultura è anche tante altre cose assai più piccole (è anche ingegnosità minuta, fumetti, videogiochi, grafica, artigianato) e anche meno piccole ma in genere poco amate dagli umanisti: scienza, diritto, economia. Ma c'è poco da fare: è quello il brand che, quando siamo bravi, riusciamo a vendere, e dobbiamo andarne fieri. Anche nelle piccole cose: nel nostro design, nelle nostre automobili, nel nostro abbigliamento, nei nostri orologi di lusso, nei nostri mobili, in tutto il made in Italy c'è un riverbero della nostra gloriosissima storia, in un'immagine in cui lo straniero vede tutta la grandezza dell'antica Roma e del nostro Rinascimento, che condisce con i nostri musicisti, gli inventori dell'Opera lirica, i poeti, i grandi navigatori, i fondatori della scienza galileiana, cioè di quel metodo che è alla base del prodigioso progresso tecnico-scientifico degli ultimi quattro secoli in Europa e nel mondo.
Ma di questo si parla nelle pagine centrali di questo numero, dove si può vedere bene, dati alla mano, che nei casi migliori la cultura «fattura», anche al nostro interno, nelle nostre regioni e province.


Passiamo dunque al secondo dato che dovrebbe impressionarci. Anzi, in questo caso, allarmarci. Noi italiani appariamo come primi ‐ primi assoluti! ‐ in una ben poco encomiabile lista. Tutto il mondo la può leggere e stupirsene. È pubblicata nella voce «functional illiteracy» di Wikipedia (la voce corrispondente «analfabetismo funzionale» non c'è nella versione italiana di Wikipedia, qualcuno la allestisca!), e dice che il 47 per cento degli italiani dai 14 ai 65 anni ha forti deficienze nella semplice comprensione di un testo. All'Italia seguono il Messico (43,2%), l'Irlanda (22,6%), Gran Bretagna (21,8), Usa (20), Belgio (18,4) giù giù (anzi su su) fino alla alfabetizzatissima Svezia (7,5%!).


Il 47 per cento di analfabeti vi sembra un'esagerazione? Prima di allarmarci potremmo provare a consolarci in due modi. Primo: obiettare che i dati della voce di Wikipedia si fermano al 2003. Magra consolazione. Il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco ci ha ricordato, nel suo recentissimo Investire in conoscenza e sul Sole 24 Ore-Domenica di due settimane fa, che negli anni successivi gli analfabeti funzionali sono saliti all'80%! E un allarme simile è confermato da uno dei nostri massimi linguisti, Tullio De Mauro. Anche la tv, dopo aver fortemente contribuito alla crescita e unificazione linguistica del Paese, ora sta assecondando il movimento opposto.

Secondo modo di consolarci: si tratta di «analfabetsimo funzionale» e non di analfabetismo tout court, dal quale siamo usciti con un grande sforzo collettivo con la ricostruzione del secondo dopoguerra.
Magra, magrissima consolazione anche questa, alla quale si può rispondere con la famosa battuta di Eugenio Montale, che aveva già capito tutto: «Il rapporto tra l'alfabetismo e l'analfabetismo è costante, ma al giorno d'oggi gli analfabeti sanno leggere». Sanno leggere 'tecnicamente', nel senso che per lo più riconoscono i caratteri, e sanno maldestramente far di conto. Peccato che nell'80 per cento dei casi non capiscano quello che leggono e non dispongano di quel minimo di attrezzatura intellettuale utile a orientarsi nel mondo. Non sono in grado per esempio di capire e compilare un modulo in cui vengano richieste non solo informazioni anagrafiche, ma anche riguardanti la propria posizione professionale, previdenziale o fiscale. E se nei paesi civili la media dei cittadini di questo tipo si assesta sul 20%, da noi le percentuali sono invertite!

Dove può andare il Paese più ricco di opere d'arte del mondo, che futuro può immaginare per il suoi giovani, per la qualità della vita, per riattivare quel «circolo virtuoso tra conoscenza, ricerca, arte, tutela e occupazione», se parte da questa miserevole dotazione di capitale umano?
Mettendo insieme le due immagini ‐ quella del brand e quella dell'analfabetismo ‐ viene da pensare al grande illuminista tedesco Ephraim Lessing, il quale suggellò il suo Grand Tour con una favola in cui i moderni italiani che si vantano di discendere dagli antichi romani vengono paragonati a vespe che uscendo dalla carogna di un cavallo esclamano: «Da quale nobile animale abbiamo tratto origine!»

Quanto gli italiani sappiano diventare boriosi proprio in ragione della loro storia e al loro patrimonio lo ha poi ribadito un altro filosofo. «Il tratto principale del carattere nazionale degli Italiani - annotava Arthur Schopenhauer in un Taccuino del 1823 - è un'assoluta spudoratezza. Che consiste in questo: da un lato non c'è nulla di cui non ci si ritenga all'altezza, e quindi si è presuntuosi e arroganti; dall'altro non c'è nulla di cui ci si ritenga abbastanza esperti, e quindi si è codardi. Chi ha pudore, invece, è troppo timido per alcune cose, troppo orgoglioso per altre. L'Italiano non è né l'uno né l'altro, bensì, a seconda delle circostanze, o è pavido o è borioso».
Oggi dobbiamo avere l'umiltà di ricominciare da capo, di ripensare i saperi e le competenze, e acquisire piuttosto la consapevolezza di essere degli analfabeti seduti sopra un tesoro, sempre di più privi di quegli strumenti di base che ci permetterebbero non solo di capire, ma anche di far fruttare i formidabili talenti che ci circondano.

Smettiamola, con il nostro turismo d'accatto, di presentarci come degli straccioni che a un certo punto scoprono di avere il Colosseo (oggi usato come una specie di rotatoria per le automobili) e cercano di mungerlo il più possibile, senza aggiungerci nulla in termini di innovazione, intelligenza, conoscenza, capitale umano. Totò che vende la fontana di Trevi a un turista americano è un'altra immagine appropriata, e ancora attuale. Ci fa ancora ridere. Ridiamoci pure sopra. Ma allarmiamoci anche, perché Totò ci sta dicendo ancora la verità. Abbiamo capito che quell'opera ha un valore inestimabile, ma ne capiamo sempre meno il significato, mentre è proprio questo che gli altri Paesi civili ed emergenti comprendono e apprezzano, e spesso sfruttano economicamente, con maggiore lungimiranza, al nostro posto.

Ecco allora il vero senso di emergenza che il nostro Manifesto per la cultura vuole imprimere ai decisori pubblici attuali, e al Governo intero, che non possono sottrarsi a questa enorme responsabilità storica solo perché da trent'anni i loro predecessori lo hanno fatto. Il senso dell'urgenza sta in quei dati agghiaccianti, in quel misero 20% di italiani (8 milioni circa) che dispone di strumenti di lettura e scrittura minimi indispensabili. Siamo in gravissimo ritardo nel quadro internazionale e nell'ambito di una società globalizzata cosiddetta della «conoscenza». Se poi aggiungiamo i dati relativi ai ragazzi di 15-16 anni dei famosi test Pisa c'è da allarmarsi ancora di più.
Dunque prima ancora che dalla Cultura, partiamo dalle sue basi, dall'istruzione, e ripensiamola nei termini dell'unico possibile investimento per il nostro futuro dopo la crisi. Prendiamo il coraggio ‐ e i dati ‐ a due mani e diamoci da fare. Io sono certo, con la maggior parte di voi, che impegnandoci un po' possiamo tranquillamente dimostrare che Lessing e Schopenhauer avevano torto.



I must del 2012 per se stessi

Sii tempestivo. Fatti trovare al posto giusto nel momento giusto.
Reagisci, usa la creatività, proponi qualcosa di diverso.
Vendi emozioni.
Riparti dalla semplicità.
Focalizzati.
Investi su te stesso. Impara. Non fermarti.
Muoviti per far nascere nuovi contatti.
Condividi. Usa la rete.
Cura la tua credibilità.
Pensa local, agisci global. Capovolgi le cose.
Scegli solo il meglio. Solo le cose che veramente valgono.
Cambia vita. Differenziati.
Riparti da te stesso e non pensare che siano gli altri che devono risolvere i tuoi problemi.

lunedì 12 marzo 2012

La dittatura dell' apparenza


La questione, in apparenza, è una questione di pelle. Di effimere ossessioni che vanno dalla testa ai piedi e attraversano la superficie di un corpo ritoccato per essere bello. Cute piallata e levigata per dare un senso all' essere e all' avere nel deserto etico di questa società. E rughe stirate, capelli colorati, nasi rifatti, seni gonfiati, addomi scolpiti per portare in giro qualcosa da mostrare che nasconda il vuoto dentro, la tristezza di un tempo senza memoria che uccide i sogni e cancella i ricordi. Ma c' è dell' altro nell' inventario fallimentare che Vittorino Andreoli compila analizzando le perversioni della modernità. C' è la perdita di senso e l' ostentata pornografia dei valori diffusa coi messaggi impropri della politica. C' è la crisi della famiglia, la scuola a pezzi, lo smarrimento dei padri, la banalità delle madri, la confusione degli adulti in balia di pulsioni e frustrazioni riversate addosso ai demiurghi della contemporaneità, quei medici che aiutano a cambiar faccia, pelle e bocca e trasformano le persone in tanti ex. Ormai, scrive Andreoli, viviamo in uno specchio deformato: cerchiamo solo potere e bellezza. Quel che appare è diventato quello che si è. Siamo un corpo vuoto che galleggia nella società liquida di Zygmunt Bauman. Viviamo da precari, alla giornata, sull' orlo della bancarotta etica ed economica. Abbiamo cancellato la speranza nei giovani. E stiamo affidando a Internet il nostro destino. L' uomo di superficie (Rizzoli) non è un semplice libro. È un ammonimento, il grido d' allarme di uno psichiatra che usa il culto del corpo come metafora del degrado di un Paese e di certe sue istituzioni. Bastano poche pagine per capire che il marketing del corpo rischia di cancellare la consapevolezza di quel che ci portiamo dentro. La nostra storia, le passioni, le emozioni, l' umanità che ci ha fatto grandi. Andreoli non si chiede dove siamo finiti. Sa benissimo che abbiamo sconfinato. Navighiamo a vista. In questo momento stiamo andando al buio. Ci vuole il coraggio di pochi ribelli per rompere la spirale di conformismo che sta appiattendo tutto. Ma servono spalle larghe e propensione al rischio. Andreoli questo coraggio ce l' ha. Dice cose che danno fastidio. Non cerca facili applausi. Si mette in gioco parlando di sé, dell' iniziazione alla vita nella scuola contadina, della solidarietà che insegna a saziare la fame con una misera aringa divisa in famiglia. Racconta l' indimenticabile felicità del freddo e del fuoco, ricorda il dolore per la perdita del padre, il senso di colpa, la paura del vuoto e la fede fortificata nella certezza che si può continuare a vivere in simbiosi con chi ci ha voluto bene. Parla della sua scelta di lavorare in manicomio: con gli ultimi si impara e ci si misura con le fragilità della vita. Ai drogati da successo dice che si cresce attraverso gesti ed esempi imitabili. Quelli che oggi, purtroppo, non si trovano quasi più. Il driver della società è il potere, «malattia grave per cui non c' è cura se non aumentarlo, come dire che si guarisce stando peggio». Non c' è nessun Robin Hood in grado di liberarci, perché «ci siamo consegnati a una classe politica inetta e rapace». Il berlusconismo, secondo Andreoli, è stato «un governo in maschera che poteva dire e negare, sostenere a parole e distruggere di fatto, prigioniero degli interessi personali del leader». Ma le opposizioni si sono adeguate al peggio, finendo nel ridicolo tra faide e pessime imitazioni. Andreoli confessa la sua delusione per Romano Prodi, di cui è stato analista e trainer (psicologico) nei vittoriosi duelli con il cavaliere di Arcore. «Non chiesi nulla per quei successi elettorali - ricorda - ma interruppi la relazione con lui subito dopo l' ultima vittoria: mi telefonò per salutarmi e io gli raccomandai il piano per i giovani che era stata la molla che mi aveva spinto a partecipare alla campagna. Doveva essere gestito dalla presidenza del Consiglio, ma lui disse che aveva creato un ministero per i giovani affidato a Giovanna Melandri... Mi resi conto che aveva già dimenticato tutto, e mi indignai. Gli dissi di prendere una matita e cancellare il mio numero di telefono». Prodi cadde due anni dopo, per le liti tra piccoli uomini «che non avevano a cuore le sorti dell' Italia». Come il governo Berlusconi, anche il centrosinistra «era dominato dalle logiche narcisistiche dei partiti che rappresentavano se stessi e non il Paese». Come se ne esce? E' la domanda che viene spontanea. Andreoli non ha una terapia. Indica nella politica vanesia e autoreferenziale il nodo da sciogliere. «Finché il sistema di governo non funziona si parlerà solo di poteri e i bisogni di un popolo non saranno nemmeno considerati». Anche chi è abituato a indagare il cervello degli uomini respira l' aria inquinata di questa società e cammina nella nebbia: «La nostra civiltà è in sala di rianimazione e l' ossigeno è poco». Bisogna ripartire dai fondamentali, «cultura, giovani, ricerca, arte e conservazione, tutto ciò che è umano ma appare ridotto alla bidimensionalità di una superficie translucida, senza radici». Bisogna reimparare le tabelline della vita. Che non si trovano sull' iPad o nello schermo del computer. 

giovedì 8 marzo 2012

Portatevi lo Chef a casa

Nelle grandi città è già un fenomeno "trendy" da qualche anno. Poco conosciuto invece in provincia. Puoi cenare a casa tua come al ristorante con lo Chef a domicilio. È in aumento il numero di maestri di cucina che si orientano verso questo nuovo business. Sono volti nuovi, ma anche Chef affermati che gestiscono questa nuova forma di attività in parallelo al loro ristorante. In rete si trovano numerosi siti che pubblicizzano il servizio. Esiste anche una "Federazione nazionale personal chef" con tanto di codice deontologico e già si può  scaricare un Ebook che insegna come intraprendere questo mestiere.
La tendenza, manco a dirlo, viene naturalmente dagli Stati Uniti dove è un servizio molto richiesto. Per gli americani avere uno Chef a casa é un po' come avere un artista a disposizione. In Italia è agli inizi anche se promette bene a leggere le testimonianze di quelli che hanno deciso di cimentarsi in questa sfida.
C'è ancora molta curiosità verso questa forma di ristorazione. La gente continua ad andare a cena, ma ci sono professionisti, imprenditori, notai, avvocati, che decidono di servirsi dello Chef a domicilio per le occasioni più disparate: una cena importante di relazione senza tanta pubblicità, un pranzo di lavoro, un light lunch, un anniversario di matrimonio, un compleanno speciale o anche una serata indimenticabile a lume di candela. A casa gestisci l'ambiente al meglio, non ci sono bambini che urlano, non c'è ressa, non sei gomito a gomito con gli altri commensali e decidi tu il menù. Praticamente ti portano il ristorante a casa ma senza provocarti fastidi. Al termine puliscono tutto come se non ci fossero mai stati. Le donne ne saranno felici. Possono perfino imparare trucchi del mestiere. È un'idea molto interessante se ci pensate. Lo Chef ti cucina davanti agli occhi e risponde alle tue domande. Diventa un elemento di curiosità e interesse anche per gli ospiti. Nelle grandi città esistono proposte anche per i più piccoli con mini corsi di cucina compresi, per educare già i pargoli alla civiltà della tavola e al gusto.
Gli Chef che offrono questo servizio sono molto organizzati e disponibili a spostarsi ovunque. Anche se siete in vacanza, magari in barca a vela. Una volta contattati, studiano con il cliente la finalità della cena, propongono i piatti, gli abbinamenti con il vino, possono procurare anche un sommelier e i camerieri. Spesso fanno un sopralluogo. Il giorno della cena fanno la spesa dai loro fornitori, nelle loro botteghe specializzate e si presentano a casa completi di strumentazione e, se richiesto, anche il tovagliato. Poi iniziano a creare.
Le tariffe variano in base ad alcuni parametri: tipo di soluzione (buffet o cena), numero di commensali e pietanze, tipologia dei vini e lontananza del luogo. Si oscilla tra i 15 euro del buffet agli 80/90 euro per la cena. Prezzi importanti ma non proibitivi per una cucina di classe: a casa e di sicuro effetto per gli ospiti.


Pierangelo Raffini per Leggilanotizia.it

mercoledì 7 marzo 2012

La conoscenza ci libera dal pizzo

Il manifesto per una «costituente della cultura» lanciato la scorsa domenica da questo supplemento culturale forse mette finalmente l'accento su uno snodo cruciale della sfida che la classe politica e i cittadini di questo Paese devono affrontare, se fanno sul serio quando auspicano una ricostruzione economica e civile. Chi intrattiene rapporti di collaborazione con colleghi del mondo accademico straniero si sente spesso chiedere come sia stato e sia possibile che l'Italia attraversi una crisi che verosimilmente dura da alcuni decenni. E lo stupore nasce dal fatto che questa condizione appare paradossale, considerando che possediamo un patrimonio culturale di inestimabile valore, una tradizione di creatività artistica e scientifica individuale abbastanza unica e un sistema di istruzione che ha certamente dei difetti ma continua a sfornare cervelli in grado di emergere quasi con facilità nei dipartimenti universitari stranieri, sia umanistici sia scientifici, o all'interno di enti internazionali, pubblici o privati, che producono o elaborano conoscenze, tecnologie, analisi economiche e politiche eccetera.

È inutile recriminare sulle responsabilità, ma si dovrebbe prendere atto che per varie ragioni negli ultimi decenni si è selezionata una classe politica decisamente scarsa sul piano culturale. E che forse anche per questo non si rende conto del fatto che i Paesi nei quali, storicamente e attualmente, si cresce economicamente e dove si registra un grado elevato di senso civico investono cospicuamente in cultura. E questo perché chi li governa o sa o si è documentato, invece di limitarsi a commissionare sondaggi, sul fatto che la produzione e diffusione di cultura, umanistica o scientifica, purché di qualità, stimola la creatività, e quindi promuove l'innovazione, nonché migliora la vita civile e istituzionale di una società.
Non ci sarebbe nemmeno bisogno di andare tanto lontano per documentarsi. Nel 2009 la direzione generale per l'educazione e la cultura della Commissione europea ha prodotto uno studio intitolato The impact of culture on creativity. Si tratta di un'ampia riflessione, con tanto di casi di studio e bibliografia, in cui si dimostra con solidi argomenti e dati empirici che dalla combinazione di competenze artistiche, capacità immaginative e un ambiente in cui vi sia un consistente investimento in cultura e istruzione, scaturisce una diffusa creatività basata sulla cultura, che produce innovazione in tutti i settori della vita economica e istituzionale di un Paese. La cultura, spiega e dimostra il rapporto, migliora il profilo affettivo delle persone, la loro spontaneità e l'autonomia, le capacità intuitive, la memoria, l'immaginazione e il senso estetico. Tratti, questi, che generano valori economici e sociali. Per esempio, nuovi modi di guardare i problemi, che aiutano a trovare più rapidamente soluzioni adeguate, una differenziazione dei prodotti, dei consumi e delle aspettative, una salutare messa in discussione di tradizioni conservatrici che solitamente generano diseguaglianze o discriminazioni sociali, senso di identità e appartenenza comunitari che favoriscono la cooperazione e, non ultima, un'attenzione personale più spiccata e qualificata per i valori spirituali, simbolici e immateriali.
È singolare che da parte della classe politica italiana non si sia capito in tempo che aderire alla strategia o processo di Lisbona, cioè accettare di concorrere a trasformare l'Europa nell'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del pianeta, significava prima di tutto investire in produzione di conoscenza e in valorizzazione del patrimonio culturale secondo una logica innovativa ed evolutiva basata su modelli imprenditoriali pertinenti. Non che gli altri Paesi europei abbiano poi saputo far meglio dell'Italia. Ma alcune economie emergenti, davvero basate sulla conoscenza, invece hanno capito molto bene come si alimenta la creatività e l'innovazione da cui la produzione di nuova conoscenza dipende direttamente.

Quasi tutti sanno che Singapore è una delle economie più dinamiche e con una crescita a due cifre da circa dieci anni. Sono forse meno numerosi coloro informati del fatto che dal 1989 quella repubblica sviluppa un intenso programma di investimenti culturali, culminato in un rapporto del 2002, Investing in Singapore's Cultural Capital che disegna per la cultura una funzione non meramente di consumo, ma a supporto della creatività, dell'innovazione e della qualità della vita. Nel 2008 Singapore è stata pubblicizzata nel mondo come Global City of the Arts con espliciti richiami al Rinascimento italiano. I suoi spettacolari musei d'arte, storia, e scienza, nonché l'intensa produzione culturale e gli investimenti nei campi dell'istruzione e della ricerca rendono questa città-Stato una presenza culturale tra le più vivaci non solo nel mondo asiatico, ma su scala internazionale.

Un recente studio condotto da Niklas Potrafke dell'Università di Costanza su 125 Paesi (Intelligence and Corruption, pubblicato a gennaio in «Economics Letters», Vol. 114, No. 1) ha rilevato che dove ci sono livelli di prestazioni intellettuali più alti, la corruzione, che è uno dei fattori che più danneggiano la crescita economica (e noi purtroppo ne sappiamo qualcosa), è più bassa. Si tratta dell'ennesima correlazione che va nel senso di indicare come il capitale cognitivo è il fattore chiave per lo sviluppo economico di un Paese. Da diversi anni si effettuano studi comparativi su decine di Paesi, in cui si confrontano le prestazioni scolastiche, misurate attraverso i vari test di valutazione (ad esempio Pisa), o la proporzione di «capitale cognitivo», cioè di competenze scientifiche e tecniche in senso lato ma soprattutto nei settori di frontiera della ricerca scientifica e tecnologica, presente in una data nazione, mettendo questi parametri in relazione con i livelli di libertà economica, di efficienza istituzionale (in particolare il livello di salute dello Stato di diritto) e di gradimento della democrazia. I risultati non sorprendono chi abbia un minimo di familiarità con il pensiero di certi illuministi, primi fra tutti i Padri Fondatori della democrazia statunitense, o frequenti la letteratura più recente nei campi della psicologia sociale e cognitiva o della neuroeconomia e dell'economia evoluzionistica. Stupisce che la politica non ne sia informata e non ne abbia tratte le conseguenze. Infatti, tutti gli studi mostrano che nei Paesi dove le performance scolastiche misurate attraverso i test attitudinali sono più elevate e dove si investe per garantire la presenza di una consistente smart fraction, si registrano i livelli più alti di efficienza istituzionale, di funzionamento meritocratico, di libertà economica e di reddito pro capite.

lunedì 5 marzo 2012

Le buone aziende


... Una buona azienda deve "assegnare valore", deve trasmettere le proprie qualità e la propria importanza attraverso tutto quello che fa, dal packaging al marketing... dai propri uffici alle proprie risorse... e per essere veramente innovativa non deve solo avere la capacità di trovare nuove idee, ma anche la capacità, nel cui si renda conto di essere rimasta indietro, di tornare con un balzo davanti a tutti...

sabato 3 marzo 2012

Persisterò fino al successo

Ogni giorno vengo messo alla prova dalla vita. Se persisto, se continuo a provare, se continuo ad attaccare, avrò successo. 
Io non sono nato per la sconfitta, né il fallimento scorre nelle mie vene. Non sono una pecora, io sono un leone e mi rifiuto di parlare, camminare e dormire con le pecore.
Non ascolterò chi piange e chi si compiange perché la loro è una malattia contagiosa. Il mattatoio dell'insuccesso non è il mio destino. Sfuggirò dalle persone invidiose e maldicenti. Rovinano lo spirito e ammorbano chiunque gli stia attorno. 
I premi della vita si trovano al termine di ogni viaggio, non agli inizi. Non mi è dato sapere quanti passi sono necessari per raggiungere la meta. Potrò fallire al millesimo passo, tuttavia il successo può nascondersi dietro la prossima curva della strada delle mia vita. Non potrò sapere quanto è vicino se non svolterò l'angolo. Considererò lo sforzo di ogni giorno come un colpo della mia lama contro una quercia possente, colpo su colpo la quercia crollerà. Sarò simile alla goccia che rompe la roccia. Costruirò il mio tempio interiore ogni giorno, mattone dopo mattone, perché con piccoli sforzi ripetuti si porta a compimento qualsiasi impresa.

Non prenderò mai in considerazione la sconfitta e abolirò dal mio vocabolario parole e frasi come abbandonare, non posso, incapace, impossibile, fuori discussione, ineseguibile, improbabile, senza speranza, insuccesso, ritirata; perché queste sono le parole degli sciocchi.
Lavorerò sodo e sopporterò. Ignorerò gli ostacoli ai miei piedi e terrò gli occhi fissi alla meta. Ogni no mi porterà più vicino al suono del sì. Ogni difficoltà posta da altri mi fornirà l'energia per superarli. Ogni sfortuna di oggi reca in sé il seme della buona sorte di domani. Proverò, proverò, proverò ancora. Considererò ogni ostacolo come una semplice deviazione dalla meta e come una sfida alle mie capacità.
Non permetterò però che il successo di ieri mi culli nel compiacimento di oggi, poiché proprio questo è la base del fallimento.
Dimenticherò gli eventi del giorno passato, buoni o cattivi che fossero e saluterò il nuovo con la certezza che questo sarà il giorno più bello della mia vita. 
Fino a che avrò respiro persisterò. Persisterò fino alla meta.