lunedì 30 gennaio 2012

La rete degli oggetti connessi


Rilevare incendi nei boschi in tempo reale: il progetto di monitoraggio ambientale nel Parco naturale di Castel Fusano attiva l'allerta per i soccorsi attraverso una rete di sensori wireless installati sul territorio per prevedere la rapidità e l'intensità nella diffusione delle fiamme. È tra i casi segnalati nel primo report «Internet of things» della School of management del Politecnico di Milano, in uscita il prossimo marzo. Che esplora alcune iniziative operative in Italia, all'interno di una galassia in rapida espansione. Ma ancora ai primi passi. Come Smart Town del Comune di Nettuno, autofinanziata con il risparmio in cinque anni sulle spese per l'illuminazione pubblica: i lampioni nella città laziale sono in grado di accendersi attraverso una gestione centralizzata a distanza che permette il risparmio energetico e semplifica la manutenzione. È un terreno di crescita per start up e spinoff universitari impegnati a investire in ricerca e innovazione. «Nascono piccole aziende specializzate per offrire tipologie di servizi legati all'internet delle cose: il grande salto sarà quando si riuscirà a definire un modello scalabile per abbattere i costi delle soluzioni e facilitare la loro diffusione», osserva Angela Tumino, responsabile dell'Osservatorio internet of things del Politecnico di Milano.
Le intuizioni tecnologiche alimentano iniziative imprenditoriali. Officine Arduino ha sede nel Fablab di Torino. È una start up che deriva da un progetto per la didattica rivolto agli studenti di design: si tratta di una scheda elettronica, Arduino, capace di semplificare l'integrazione con hardware elettronico e software. In pochi anni diventa un punto di partenza per costruire una comunità globale di tecnoartigiani in grado di sperimentare con luci, robot, strumenti musicali, installazioni artistiche, sensori. In particolare, il software semplifica l'uso da parte dei non addetti ai lavori: non bisogna essere sviluppatori informatici o ingegneri per mettere le mani nei suoi codici. «I computer più diffusi in realtà sono in oggetti come il termostato caldaia o il telecomando del televisore: finora sono sempre stati difficili da utilizzare e Arduino rende accessibile la loro programmazione», spiega Massimo Banzi, cofondatore della start up torinese che può contare sulla cultura hacker di chi esplora le opportunità delle tecnologie. È un sapere valorizzato di recente anche dai giganti dell'hi-tech. Google ha varato l'anno scorso il suo Android@home, un sistema operativo adattabile alle interazioni con le tecnologie di casa. Ibm da anni investe sul programma Smarter city. E Kinect è al centro di ricerche amatoriali e professionali per capirne l'integrazione negli ambienti domestici, condotte anche con il sostegno di Microsoft.

venerdì 27 gennaio 2012

ABRAHAM LINCOLN non mollò mai !

In quei momenti in cui la forza di volontà mi sembra venire meno, ripenso sempre alla vita di Abraham Lincoln. Un formidabile esempio di tenacia. Non mollò mai anche quando tutto pareva congiurare contro di lui. 
Nacque in miseria e la sua vita fu sempre dura, segnata da continue sconfitte. Perse otto competizioni elettorali, fallì due volte negli affari. Superò un esaurimento nervoso. 
Avrebbe potuto mollare, ma non lo fece, mai. Alla fine divenne uno dei più grandi presidenti della storia degli Stati Uniti. E' uno splendido esempio di come non ci si deve mai dare per vinti. 
Le date che segnano il percorso della sua vita :
1816 - La sua famiglia viene sfrattata. Deve lavorare per sostenerla.
1818 - Muore sua madre.
1831 - Fallisce in affari.
1832 - Si candida al parlamento statale: sconfitto.
1832 - Inoltre perde il lavoro: vuole entrare alla facoltà di giurisprudenza ma non viene ammesso.
1833 - Si fa prestare dei soldi da un amico per avviare un’attività e alla fine dell’anno è già in fallimento. Passerà i successivi diciassette anni di vita a ripagare il debito.
1834 - Si candida al parlamento statale: eletto.
1835 - Si fidanza, ma la promessa sposa muore. 
1836 - Ha un grave esaurimento nervoso e rimane a letto sei mesi.
1838 - Cerca di diventare elettore delegato, ma viene sconfitto.
1843 - Si candida al Congresso USA. E' sconfitto.
1846 - Si candida nuovamente al Congresso, viene eletto, va a Washington e fa un buon lavoro.
1848 - Si candida per la rielezione al Congresso: sconfitto.
1849 - Fa domanda per diventare amministratore demaniale del suo Stato. Viene respinta.
1854 - Si candida al Senato degli Stati Uniti: sconfitto.
1856 - Cerca la candidatura a vicepresidente al congresso nazionale del suo partito. Ottiene meno di cento voti.
1858 - Si candida di nuovo al senato USA. Nuovamente sconfitto.
1860 - Eletto Presidente degli Stati Uniti. 

Richard Branson

Non ho segreti. Nel mondo degli affari non esistono regole. Mi limito a lavorare sodo e, come ho sempre fatto, a credere di potercela fare, ma soprattutto cerco di divertirmi.


giovedì 26 gennaio 2012

"Cafonal" al ristorante

Sarà capitato anche a voi... Così iniziava una canzoncina che faceva da sigla, alla fine degli anni ’70, a una trasmissione domenicale di successo. Sarà capitato anche a voi di notare atteggiamenti maleducati al ristorante sia da parte del cliente, sia da quella del gestore o dei suoi dipendenti. Quando si parla di “civiltà della tavola”, s’intendono comprese anche la buona educazione e la conoscenza di certe regole, pur non scritte. Purtroppo da qualche tempo non è più così. Noto un progressivo e continuo decadimento delle buone maniere e del rispetto delle parti. Qualche esempio per capire.
Sedersi al tavolo e trovare un cameriere che, durante la presa in carico della comanda, si piega sul tavolo quasi sdraiandosi, è forse comodo per lui, ma assolutamente inaccettabile. Come il personale che, pensando di fraternizzare, ti appoggia la mano sulla spalla o su un braccio, per darti “il consiglio” sul piatto del giorno. Dalla parte opposta ci sono avventori che arrivando nel locale pensano di essere tutt’uno con il proprietario e il suo ristorante, non rendendosi conto che sono solo utili comprimari per il suo business. Li vedi perché si sentono un po’ delle star e spesso commentano a voce alta oppure ritengono di poter distribuire consigli ai tavoli su cibi e accostamenti di vini. Altri invece, pensano che per il solo fatto di essere dei clienti, siano autorizzati a trattare chi sta servendo come fossero servi usando anche una certa dose di arroganza. Così si annoverano soggetti che gesticolano come operatori di borsa per attirare l’attenzione dei camerieri oppure ritmano il coltello sul bicchiere. Negli eccessi mi è capitato anche di sentire fischiare. Spesso sono indisponenti e ogni richiesta deve essere soddisfatta immediatamente. Di contro i camerieri e i maitre di sala dovrebbero sempre avere uno sguardo sui commensali per coglierne le richieste appena alzano lo sguardo verso di loro. Peccato che in molti ristoranti sembra che il personale sia scelto tra i più timidi: sguardo basso e pedalare. 
Altro aspetto “cafonal” è il volume della conversazione tenuto a tavola. Il bon ton richiederebbe di moderare la voce per non disturbare gli altri, che non sono per forza interessati alle conversazioni altrui, e impedire che il luogo diventi una casbah. Ma, complice anche il proliferare delle pizzerie dove tutto sembra permesso, ormai siamo nella cosiddetta “società delle urla”. Se malauguratamente poi si capita accanto ad una tavolata di persone, il volume si alzerà proporzionalmente all’aumentare del tasso alcolico dei conviviali. 
Un argomento spinoso ma doveroso da trattare oggi riguarda i bambini. I genitori dovrebbero insegnare ai figli, fin da piccoli, che ci sono anche momenti di noia nella vita. Stare seduti per un’ora o più, non è un divertimento per i più piccoli, ma la buona educazione “vorrebbe” che ci si alzi solo quando lo fa prima il papà. Non è difficile, solo un po’ impegnativo all’inizio. Ho vari amici che con i loro figli sono splendidi esempi da imitare. Spesso però sono i genitori, i primi a non conoscere le regole... Di fronte al richiamo dei camerieri in situazioni in cui la maleducazione ha raggiunto punte estreme, ho anche udito certi genitori indispettiti reagire “...ma insomma sono solo dei bambini...”. E allora, pizzeria o ristorante che sia, lasciamoli crescere già incivili tra i tavoli. 
Altro capitolo il fumo. Oggi fortunatamente è vietato fumare nei locali. Molti hanno allestito dei dehors esterni per la bella stagione. Purtroppo molti fumatori non si preoccupano minimamente di chi gli sta accanto e, come accadeva al chiuso, accendono sigarette in continuazione senza nessuna attenzione. 
Infine, anche se ci sarebbe materia per scrivere ancora, da quando il cellulare ha fatto il suo ingresso in società molte attenzioni, negative, si sono rivolte a questo importante accessorio. Pare che siano in pochi a sapere che può essere messo anche in vibrazione. Di conseguenza assistiamo e ascoltiamo, forzatamente, trilli e conversazioni di cui faremmo volentieri a meno.


Pierangelo Raffini su Leggilanotizia.it

domenica 22 gennaio 2012

Sono Tradizionale

Sono un uomo legato alla Tradizione, ma questo non mi impedisce di essere innovativo, di credere nel cambiamento, di sentirmi libero dal passato. La Tradizione non è un qualcosa di statico del passato, ma uno strumento, una conoscenza che ci è stata consegnata per disegnare il futuro, affrontando il presente in modo dinamico. La Tradizione è qualcosa che è mutata nel tempo offrendoci una sapienza che possiamo utilizzare per il nuovo.                                                                   
Sono tradizionale perché ho sempre coltivato e riconosciuto in me un lato "antico", un "sentire" millenario, un attaccamento a Valori che ritengo imprescindibili. Ma sono al contempo innovativo e curioso per tutto quanto riguarda il cambiamento, l'innovazione. Una mente aperta, un pensiero libero. 
Comprendo che attraverso il sapere della Tradizione si costruisce il cambiamento. Sono assolutamente convinto che si può e si deve innovare utilizzando il sapere antico per portare trasformazioni vere e concrete. 


venerdì 20 gennaio 2012

Resilienza

Resilienza. Questa dovrebbe essere la parola d'ordine oggi nel mondo dell'imprenditoria. Alle prese con la recessione e con le conseguenze dei processi di ristrutturazione, la resilienza connota la capacità di resistere, di accusare il colpo, ma di riuscire comunque a uscirne migliori. La resilienza è il processo di riadattamento di fronte ad avversità traumi, tragedie, minacce, o anche significative fonti di stress per seri  problemi legati a pesanti situazioni finanziarie e lavorative. Resilienza significa riprendersi dalle esperienze difficiliCon le proprie forze.

I resilienti sono abili "bricoleur" della vita, capaci con pazienza e con tenacia di usare tutto quello che hanno a disposizione, anche se non si tratta delle risorse ideali, per trovare una via di uscita dai problemi. Fanno tesoro del passato per vivere il presente ed esserci anche nel futuro. L'obiettivo è restare a galla. Anche se la fase lavorativa non è la migliore. Good enough. Resistere.
Approfittare anche di questi momenti per riflettere, magari fare un pò di "downshifting", scalare un pò le marce, recuperare tempo per sé, lasciare più spazio alla meditazione, darsi altre priorità. Ma non mollare.


martedì 17 gennaio 2012

Falsificare Pound


Ezra Pound era un grande poeta. Meglio: un grande poeta fascista. Forse gli scrittori e gli intellettuali che hanno firmato una lettera di solidarietà alla figlia di Pound in lotta contro l’«appropriazione indebita» da parte di Casa-Pound pensano invece che un grande poeta non possa essere un grande poeta fascista. Dicono infatti di essere «sdegnati» per l’«uso improprio» che l’estrema destra farebbe del «valore universale della poesia» di Pound. Perché, le poesie di un grande poeta fascista, nel caso fossero grandi poesie belle ed emozionanti, non possono avere un «valore universale»? Dicono anche con una certa imprudenza interpretativa, i Belpoliti e i Cucchi, i Magrelli e i Guglielmi, i Ghezzi e i Balestrini e gli altri firmatari dell’appello, che l’estrema destra che si appropria del nome di Pound sarebbe lontana «dall’universo culturale» del grande poeta (fascista). «Lontano» in che senso?
Ezra Pound era un grande poeta fascista. Era così fascista che concepì i suoi meravigliosi Cantos vicino a Pisa, precisamente nel campo di Coltano, insieme a numerosi altri fascisti che lì erano internati dopo il 25 aprile, dove il grande poeta venne rinchiuso in una gabbia all’aperto, sotto il sole cocente o sotto una pioggia torrenziale: non ci furono grandi poeti e scrittori dello schieramento antifascista che si sentirono di difendere il «valore universale» di Pound. Pound era così fascista che venne segregato per tredici anni in un manicomio criminale perché, da fascista, durante la guerra aveva fatto il propagandista di Mussolini contro gli Stati Uniti: un fascista, e per giunta traditore del suo Paese. Pound era un grande poeta. E purtroppo, con le sue polemiche sull’usurocrazia delle banche a suo avviso pervase di «spirito giudaico», non esente da un antisemitismo imperdonabile. Non c’è nessuno scandalo nel fatto che, amolti anni di distanza, dei gruppi giovanili fascisti si rifacciano al nome di un grande poeta fascista. Come non ci sarebbe scandalo se un gruppo dell’estrema sinistra si richiamasse al comunista Bertolt Brecht, o al comunista Pablo Neruda. Ne verrebbe forse compromesso il «valore universale» di magnifiche opere teatrali e di splendide poesie?
Si fatica ad accettare l’idea che una grande cultura possa essere partorita da un fascista e che tra fascismo e cultura, malgrado le indicazioni di Norberto Bobbio contenute in una delle opere meno brillanti del grande filosofo torinese, non ci siano una inconciliabilità e una incompatibilità assolute. Si considera ancora il fascismo dei grandi scrittori, artisti, poeti, architetti, drammaturghi, registi fascisti come una parentesi insignificante, un accidente biografico, al massimo un deplorevolema momentaneo cedimento che non inficia la grandezza dell’arte e della letteratura. Oppure li si depura, si dà loro una versione purgata, narcotizzata, decolorata della loro arte e del loro pensiero.
Si sente ancora l’eco delle furiose polemiche degli heideggeriani di sinistra contro una biografia di Heidegger che si era permessa di sottolineare l’adesione del grande filosofo tedesco al nazismo e il celeberrimo discorso universitario in cui il grande filosofo tedesco riconosceva in Adolf Hitler l’uomo del Destino venuto a guidare il suo popolo verso le vette dell’autenticità.
Anche Carl Schmitt è stato sottoposto a un processo di denazificazione postuma per farne un maestro della filosofia politica asettico e neutro. I recenti lavori critici di Ernesto Ferrero e Riccardo De Benedetti hanno restituito di Louis-Ferdinand Céline una pienezza di significati che non prescinde dalle nefandezze antiebraiche profuse da Céline nelle pagine delle Bagatelle per un massacroViaggio al termine della notte è un capolavoro della letteratura del Novecento, ma l’opera di Céline non può essere tagliata a fette, a seconda delle simpatie e delle convenienze. Céline era un grande scrittore, ma un grande scrittore antisemita. Purtroppo le due cose possono convivere: la cosa peggiore è far finta che non sia così, dare un’immagine di comodo di uno scrittore maledetto, scrostarlo di ogni contaminazione ideologica, darne una biografia culturale dimezzata. Del resto, non tardarono ad accorgersi dell’identità fascista degli scrittori e intellettuali appena menzionati i vincitori della Seconda guerra mondiale che non esitarono a sanzionare duramente Heidegger, Céline e Carl Schmitt (il cui caso finì addirittura a Norimberga). A Pound venne riservata, come abbiamo visto, la punizione più crudele. Furono pochissime le voci indignate per il trattamento subito dal grande poeta, pochissimi si interrogarono sul paradosso che vedeva un poeta artefice di poesie di «valore universale» trattato come un pericoloso criminale. E perché mai gli estremisti di destra non dovrebbero rivendicare la loro simpatia per Pound? E come si può ragionevolmente dire che Pound era «lontano» dall’universo culturale dell’estrema destra?
Il difetto sta appunto nel voler dividere l’indivisibile, nel nascondere le parti brutte per prenderne solo quelle più belle. Invece bisognerebbe per prima cosa riconoscere che cultura e fascismo non sono incompatibili. E in secondo luogo ammettere che l’ammirazione per le poesie di Pound (o per i romanzi di Céline, o per il teatro di Brecht) può benissimo convivere con la certezza che il loro autore disse e scrisse anche mostruose sciocchezze. In terzo luogo ricordare che purtroppo la stragrande maggioranza degli artisti e degli scrittori appoggiò uno dei grandi totalitarismi del Novecento, e talvolta, ma non tanto infrequentemente, tutti e due, in più o meno rapida sequenza. È così «improprio» ricordarlo?
Pierluigi Battista Il Club della Lettura - Corriere della Sera

domenica 15 gennaio 2012

Identificarsi

Il nemico peggiore si chiama identificazione. Credere che ci si debba per forza richiamare ad una visione comune. Rientrare in schemi che ci hanno disegnato altri. 
Normalmente passiamo il 99 % della vita ad imitare e a malapena l'1 % a creare.
Tutta la vita diventa una grande imitazione. Gli antichi lo avevano ben chiaro e chiamavano questa situazione Astarte, la dea che costringeva a somigliare continuamente ad un modello, per finire facile preda inconscia degli altri.

venerdì 6 gennaio 2012

E' il momento del coraggio

Coraggio. Forse la parola più importante del 2012 dovrebbe essere proprio questa. 
Coraggio per continuare a fare impresa, coraggio per rimettersi in gioco se non si ha più un lavoro, coraggio per realizzare le proprie idee, coraggio per credere in un futuro migliore nonostante tutto ciò che si legge o si ascolta. 
I momenti di crisi sono momenti anche di grandi opportunità, in questo tempo tribolato occorre mettere da parte l'inerzia, la pigrizia, la rassegnazione e mostrare il coraggio per trovare la forza di realizzare i propri sogni, le proprie aspettative.
E' il coraggio che permette di fare saltare l'ostacolo. E' sufficiente riflettete su chiunque abbia realizzato qualcosa di importante: alla base di tutto si sono misurati con il loro coraggio. E il coraggio è contagioso. Gli uomini non seguono gli uomini, seguono il coraggio. 
Mai porsi dei limiti, a nessuna età, guardare alto, lontano, con una forte determinazione e praticità. Non si tratta di fare voli pindarici che rischiano di avvitarci senza portare conclusioni, ma di usare la nostra forza di volontà per superare qualsiasi problema. Impedendoci di trovare scuse e giustificazioni. Questo significa avere il coraggio di assumersi le proprie responsabilità e rischi calcolati, per le proprie idee. Pensare in grande ed agire subito. Le decisioni portano al cambiamento.
Il coraggio si esercita anche quotidianamente, anche nelle piccole cose. Ci si può allenare al coraggio. In questo modo accresciamo la nostra autostima. Che permette di abbandonare l'abitudine di guardare la vita nello specchietto retrovisore. Lo sguardo invece deve essere rivolto in avanti. Verso il futuro.

E quindi: ad maiora, donec ad metam.

martedì 3 gennaio 2012

Un Capodanno Romagnolo

Vivere la fine dell’anno vecchio e l’inizio di quello nuovo in Romagna vuole dire assaporarlo in tutte le sue tradizioni, a forte valore simbolico, che avevano come obiettivo quello di assicurarsi l'abbondanza, il benessere e la felicità per l’intera festività dell’anno nascente. Il tutto si mostrava anche nella scelta dei cibi e di alcune usanze che dovevano contribuire ad assicurarsi un po’ di “benessere”. Per un 2012 che si annuncia già difficile prima di arrivare, potremmo provare a seguire la tradizione. Un po’ scaramanticamente, potrebbe funzionare... Nel passato i ceti più abbienti erano in grado di festeggiare anche il Capodanno con il “cenone” e le tavole erano imbandite con minestra di lenticchie - che sono foriere di benessere economico - cotechino e dolci quali la zuppa inglese (che di inglese ha solo il nome). Non mancava la ciambella da sposare con vino, che ritroviamo nei pranzi del primo dell’anno. Elemento essenziale a fine pasto l’uva, obbligatori 12 chicchi, vero cibo propiziatorio che racchiude in sé la forza rigenerativa dei semi e della polpa, capace nel magico processo fermentativo di cambiare essenza e di arricchirsi da se trasformandosi in vino. Simbolo rituale nel passaggio dell’anno, “dovrebbe” favorire la ricchezza e il guadagno. Non servirà però, poiché è anche piacevole, consiglio di mangiarne visti i anche chiari di luna. La maggioranza della popolazione, contadini e braccianti, limitava i festeggiamenti al pranzo del 1° gennaio con un menù che si presentava con il piatto forte di questa terra: i passatelli. Rigorosamente in brodo, di carne nell’entroterra, di pesce sulla costa, in base alle possibilità erano fatti solamente con il pangrattato oppure arricchiti con formaggi fatti in casa. Con il diffondersi del benessere economico si è virato all’utilizzo del parmigiano grattugiato. Completano la ricetta uova e noce moscata (alcuni mettevano la scorza di limone). Il brodo era insaporito con midollo di bue, a volte inserito anche nell’impasto, muscolo, rigata, osso di stinco ed eventualmente lingua, parti di gallina o oca. In alternativa poteva esserci una prevalenza di carne di “bassa macelleria”, con aggiunta di carote, sedano e, a volte, cipolla. E’ solo dagli anni ’60 che è aggiunta anche la “forma” (la buccia del parmigiano), servita poi come contorno unitamente a tutti gli altri prodotti rimanenti dalla bollitura del brodo. Per insaporire ulteriormente il brodo e i passatelli, una volta serviti, era usanza mettere un cucchiaio di Sangiovese, a testimonianza del forte legame che la Romagna ha sempre avuto con il vino. La minestra che poteva sostituire i passatelli in questo giorno erano le lasagne verdi alla romagnola. Anche questo un piatto che, per ricchezza d’ingredienti, voleva essere di buon auspicio per un anno di abbondanza. In Romagna l’inizio anno si viveva poi nel principio dell'analogia e del contrasto, si diceva, infatti, in dialetto, che “bisognava fare un poco di tutti i lavori perché cosi, andavano a riuscire tutti bene”. Un altro simbolo positivo in quel giorno era dato dall’incontro come prima persona di un uomo, ancor migliore se benestante. Non me ne vogliano le donne, ma, la tradizione è questa, d’altronde sacro e profano da sempre s’intrecciano in questa terra anarchica, repubblicana e socialista. 

E' importante trovare la Felicità in azienda

Sembra l'uovo di Colombo, una frase fatta, una delle cose più ovvie, ma non sempre si pone cura a questo aspetto. Il lavoro occupa gran parte della nostra vita e più le persone sono felici sul posto del lavoro più aumentano la loro produttività. E' un progetto importante che ogni società dovrebbe far proprio. Unire dipendenti, clienti e fornitori facendo conoscere loro ciò che l'azienda sta facendo. E il fatturato non è la cosa più importante. E' il benessere delle persone che vi lavorano l'asset più importante e il vero trait d'union con il risultato economico.

Nel nostro Paese prevale il modello top down con "l'uomo solo al comando" che spesso finisce con l'irrigidire tutta la struttura, limitandone la creatività, l'intraprendenza e una presa di responsabilità diretta.

Chiaramente chi dirige non può dire tutto, ma le informazioni che si possono passare ai collaboratori sono molte come quelle che si possono raccogliere: i loro punti di vista e i problemi rilevati per esempio. Si può ottenere anche maggior impegno.
Anche gli ambienti possono aiutare, dagli open space alle pareti trasparenti, dalle porte aperte ai locali  curati del mobilio, magari con opere d'arte alle pareti, e corsi per rafforzare il team e la voglia di fare squadra.
Tutto è propedeutico al progetto Felicità in azienda.

domenica 1 gennaio 2012

2012: facciamo pulizia

E' arrivato anche questo nuovo anno. Il momento è propizio per mettere ordine: nella nostra casa, nella nostra vita, nella nostra mente. Per chi vuole naturalmente. 
Un esercizio che consiglio. Il massimo è metterlo in pratica almeno ogni sei mesi. Un bel check. Facciamo il punto della situazione ed eliminiamo ciò che non serve, che è superfluo, che ci distrae, che non ci appartiene più perché siamo cambiati, sono variati i nostri gusti o si sono modificati i nostri obiettivi.

Puntare all'essenziale è la parola d'ordine. "L'essenziale è invisibile agli occhi" è scritto ne "Il piccolo principe". Il segreto della perfezione sta nel sottrarre non nell'aggiungere.
Come nell'ambiente dove viviamo così nella nostra vita dobbiamo liberarci di ciò che ci toglie lo spazio vitale per essere soddisfatti di noi stessi. Per sentirci completi, pronti ad affrontare la vita. Soprattutto in questi momenti particolari e difficili, fare pulizia e focalizzarsi diventano i fattori critici di successo.

Quindi facciamo decluttering, tecnica anglosassone del togliere ciò che ingombra. Nella nostra casa, nel nostro ufficio, nella nostra vita e nella nostra mente, sottraiamo tutto quello che ci impedisce di sentirci più leggeri  e di raggiungere gli obiettivi prefissati. Non è difficile alla fine. Tutti noi, nell'animo, sappiamo ciò che è superfluo, che non utilizziamo più, che ci danneggia, che è inutile. A volte però ci attacchiamo ad essi per paura del cambiamento. 
Per star bene, per evolvere e crescere non possiamo ancorarci al passato, che è giusto ricordare, ma guardare al nuovo.
Investiamo in questo inizio anno un po' di tempo su noi stessi e saremo ripagati da quel senso di rigenerazione che, dopo, ci pervade positivamente.