domenica 31 maggio 2009

Così il Dio del denaro inganna gli uomini

La Repubblica, 28 maggio 2009 - Enzo Bianchi
Pecunia, l’argent, il denaro: il motore dell’economia? Il mezzo di scambio per eccellenza che si è imposto come standard universale? Misura non solo per il mercato dei beni e dei servizi, ma anche misura sul mercato del lavoro? Il denaro mi spinge a esprimere il valore economico mediante l’aggettivo «caro» («Questo prodotto è più o meno caro…»), in parallelo all’affetto che induce a dire a un altro «caro» («Mio caro..»). Caro, cher, dear: una stessa parola per misurare il denaro e per misurare l’affetto…
Ma il denaro è un mezzo o un fine? Dipende per chi. Non è certamente un fine per l’economia, che insegue la produzione e la distribuzione dei beni e dei servizi. Non è un fine neppure per l’impresa, la quale vuole creare una ricchezza, un utile. E per l’individuo? Il fine è la felicità che dipende dall’amare e dall’essere amato, dal senso trovato nel vivere, da un certo benessere materiale, dunque anche dal denaro. Sì, per alcuni il denaro è percepito come la chiave per accedere alla felicità.Platone nei Nómoi e Aristotele nella Politeía pensano che sia naturale trarre vantaggio dalla terra e dagli animali, ma che non lo sia arricchirsi con il denaro. Allo stesso modo i profeti di Israele, seguiti dai padri della chiesa, condannano quanti prestano denaro a interesse, creando denaro con il denaro. Questa patologia del legame con il denaro è stata definita «cupidigia» e letta come la fonte di molti mali, di enormi disastri, economici, politici e oggi anche ecologici.
Dunque il denaro è un mezzo necessario, in sé non è né bene né male: è uno strumento che esiste dal VI secolo a.C. sotto forma di moneta, che sta nell’ordine delle mediazioni e come tale permette lo scambio (allo stesso modo del linguaggio, per esempio), è «una vittoria sulla distanza» – afferma Georg Simmel nella sua Filosofia del denaro –, è un mezzo che permette di abbattere le frontiere sociali e geografiche. D’altra parte il denaro, proprio per la sua qualità rappresentativa, può essere un fine in sé, un agente di accumulazione delle ricchezze, capace di possedere una grandezza autonoma e una forza seducente.
Lao Tze, il sapiente cinese fondatore del taoismo (VI secolo a.C.), racconta una storia paradigmatica, la storia di Tsi. Questi era un uomo sedotto dal denaro, avido di ricchezza. Un mattino, recatosi al mercato, vide un banco di cambio, rubò il denaro e fuggì, ma fu subito arrestato da una guardia che gli domandò: «Come hai potuto pensare di rubare questo denaro e poter fuggire inosservato?». Tsi rispose: «Mentre rubavo il denaro io non vedevo la gente, vedevo solo il denaro!». Ecco, il denaro esercita un tale fascino che occulta la presenza di altre persone e altre cose, un fascino che accorda addirittura la forza di rubare… Sì, il denaro ci seduce, entra in noi come una presenza efficace e contribuisce in modo sordo ma reale a tessere i nostri rapporti, le nostre relazioni con le cose e con gli uomini. Io possiedo il denaro, ma il denaro mi possiede altrettanto. Il denaro ha un posto invadente nei miei desideri, decide di molti miei desideri.
Per questo nell’Antico Testamento il denaro è definito mediante la parola keseph, la cui radice verbale (kasaph) indica il «desiderare ardentemente», il vero e proprio «languire» per qualcosa. Diventa allora rivelativa la lettura del Vangelo, dove il denaro è personificato. Gesù dichiara che il denaro è una potenza, anzi è un dio: «Nessuno può servire a due signori: o odierà l’uno e amerà l’altro, o si attaccherà all’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a mammona» (Mt 6,24; cf. Lc 16,13). E si badi bene: il termine «mammona» è in opposizione a Dio, l’amore per mammona esclude l’amore per Dio. Questo è il radicalismo evangelico di Gesù. Il denaro per lui non è semplicemente una cosa che l’uomo può possedere o no: può diventare facilmente un dio, un idolo al quale sacrifichiamo facilmente la vita degli altri e alieniamo noi stessi. Lo esprime bene l’autore della Lettera di Giacomo, quando descrive il denaro come un verme che divora coloro che lo possiedono, ingannandoli e portandoli alla distruzione e, nello stesso tempo, è fonte di ingiustizia: E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dai vermi (dalle tarme); il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore dell’universo (Gc 5,1-4).
Nel cristianesimo, inoltre, il rapporto con il denaro va letto nello spazio della possibile idolatria (cf. Col 3,5: «La cupidigia è idolatria»), e «l’idolo prima di essere un falso teologico è un falso antropologico» (Adolphe Gesché), un’alienazione dell’uomo. Non si dimentichi, in proposito, che il termine «mammona» deriva dalla radice ebraica aman (da cui viene amen), che contiene l’idea dell’aderire con fiducia, dunque della fede. Il denaro infatti chiede fede-fiducia in sé e diventa sicurezza, falsa sicurezza contro la morte, saturazione dei bisogni più veri che abitano il cuore dell’uomo, presenza potente che induce a vedere solo lui, il denaro, e a non vedere gli altri, ad agire senza gli altri e, se necessario, anche contro gli altri. Per questo le parole di Gesù sono macigni:
Non accumulate tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano … Perché dov’è il tuo tesoro, là è anche il tuo cuore (Mt 6,19.21).
Ecco la domanda essenziale: dove sta il mio cuore? Qual è per me la vera ricchezza? Il denaro è per me strumento di relazione e di condivisione, e dunque di comunione con gli altri, oppure strumento di egolatria? E attenzione: Gesù non era un profeta pauperista che non toccava il denaro. Nella sua comunità c’era una «cassa comune» (Gv 12,6; 13,29), appunto del denaro messo in comune, non sottoposto al regime del «mio» e del «tuo», ma destinato alla communitas, destinato anche a chi era nel bisogno, in modo che la koinonía fosse la forma del vivere insieme. Comprendiamo allora come normante per la comunità cristiana la descrizione fatta da Luca della primitiva chiesa di Gerusalemme, nata dalla Pentecoste: “Tutti coloro che diventavano credenti … tenevano ogni cosa in comune (At 2,44)”; “Tutto tra loro era comune … nessuno era bisognoso” (At 4,32.34).
Nella storia del cristianesimo questa «utopia» è stata ininterrottamente meditata e interpretata, e ancora oggi le esigenze poste dal Vangelo non hanno perso nulla della loro attualità e del loro valore ispirante e normativo per la prassi cristiana. Se mai, occorrerebbe l’onestà di chiedersi per quale motivo siamo diventati così restii ad ascoltare queste parole, che suonano desuete agli orecchi della maggior parte dei cristiani: perché insistiamo tanto su altri aspetti dell’agire morale, mentre preferiamo essere tiepidi o addirittura tacere sulla necessità della condivisione materiale dei beni, via maestra per eliminare, o almeno attutire, il bisogno e la povertà?
La regina pecunia, il dio denaro, chiede affidamento, fiducia, sottraendoli in tal modo al rapporto con gli altri. E in questo tempo in cui – come ha scritto di recente Luigi Zoja – non solo Dio è morto, ma è morto anche il prossimo, il denaro domina e seduce più che mai. In realtà l’unico nemico capace di duellare contro la morte, l’unico capace di vincerla non è il denaro ma l’amore, l’amore dell’altro e degli altri, è la comunicazione, la condivisione, la comunione per quanto è possibile.

Dulcis in fundo… i cannoli alla crema

Hanno aperto nel 2004 e si sono distinti subito in città per la qualità della proposta nel campo della pasticceria. Parlo del Dulcis - caffè-pasticceria - che si trova ad Imola nei locali che si affacciano su Piazza Bianconcini ad Imola. Il merito principale va ascritto certamente a Matteo, maestro pasticcere con una significativa esperienza maturata nello stellato ristorante San Domenico di Imola, il quale, utilizzando materie prime eccellenti, crea e sforna dolci – e salati – molto golosi che mettono sempre in tentazione anche se si accede al locale con la “volontà incrollabile” di bere solo un cappuccino o un caffè. Entrando, le paste dolci, le brioche, i mignon, i bicchierini e tutto il resto che viene realizzato dalle abili mani di Matteo si presentano ai vostri occhi e tutto quanto trasmette immediatamente un messaggio di bontà e fragranza, mischiata ad una certa dose di “sana” opulenza che rende difficile resistere dall’assaggiare qualcosa. Giudico veramente superlativi – e introvabili in altri esercizi – i cannoli di pasta sfoglia alla crema. Consiglio a tutti di “farci un giro”, l’esperienza vale la pena, ma raccomando di vivere il momento con lentezza, con calma, per poter assaporare fino in fondo questa delizia. Personalmente amo abbinare il cannolo con il cappuccino, in special modo quello che prepara Irene che, oltre all’abilità nel dare cremosità al latte montato, utilizza il cacao al momento giusto durante la preparazione. Giudico Irene una delle più brave professioniste nel settore, una persona che ama il proprio lavoro, sempre molto attenta all’ambiente e alla clientela di cui ricorda sempre gusti e preferenze, queste attitudini – sarete d’accordo – non sono oggi così comuni e per un locale fanno la differenza, soprattutto quando supportati dalla qualità della proposta. E la grande frequentazione del Dulcis ne sono la conferma.
Pubblicato su Il Domani-L'informazione di domenica 1 giugno 2009

mercoledì 27 maggio 2009

Vivere

Vivere non è accettare tutto, ma scegliere, sfrondare, sacrificare. La linfa dell'albero sale solo quando i rami sono stati potati.
Ludovic Girard

lunedì 25 maggio 2009

L'ultima moda degli chef ? Inviare una ricetta via sms

"50g cipolla, 1l acqua. Bollire x 7'-mixaraffreddare-guarnire con menta-burrata-caviale-RHCP(pepper)", bastano i 140 caratteri di un sms del cellulare e via, lo chef ti manda la ricetta di un piatto prelibato. Alla faccia dello slow food o della riscoperta dei valori della lentezza a tavola, oggi sta prendendo piede la moda ispirata dal formato "Twitter" (letteralmente cinguettio), un sistema di microblogging che sta spopolando nel mondo, paradigma di un modo di essere, dire e pensare che si basa sulla sintesi. In Italia questo sistema non è ancora così pervasivo, ma noi ci difendiamo comunque con il grande numero di cellulari e l'uso massivo degli sms. In un mondo che va sempre più veloce tutto diventa rapido e deve essere alla portata di "un click". Il fenomeno nato prima on-line (su internet per intenderci) è migrato anche sulla tecnologia dei messaggini dove i consigli degli chef si sono trasformate - per chiare esigenze di spazio - in micro ricette. Naturalmente è stato il mondo anglosassone ad iniziare e la lingua inglese è favorita in ciò dall'utilizzo di segni convenzionali, in italiano è difficile essere sintetici e così le ricette possono apparire formule industriali: "Olio colatura di alici pomodorini e basilico per strozzapreti frullare squacquerone latte e peperoncino stenderlo alla base sedano crudo"; così - ad esempio - Massimo Bottura de La Francescana di Modena oppure Uliassi da Senigallia: "Crudo di rossetti: in piatto 40gr di rossetti, 3gr di rossa tropea tritata com 1/2cucchiaino di aceto rosso,olio di raggia" e ancora Anthony Genovese, Il Pagliaccio a Roma: "Risotto di Torrone salato Preparate un risotto con burro e parmigiano,tritare noci mandorle e pistacchi e aggiungerli a fine cottura". In America hanno addirittura già pubblicato una libro di ricette da 140 caratteri, disponibile rigorosamente in formato elettronico, a 21,40 dollari. Chi non è un minimo tecnologico rischia di non partecipare... al banchetto.

sabato 23 maggio 2009

Essere veramente ciò che si è

Spesso le persone tentano di vivere la loro vita al contrario: cercano di "avere" più oggetti o più denaro per poter fare ciò che desiderano e che le renderebbe felici. Ma in realtà è vero il contrario: devi prima "essere" ciò che veramente sei, poi "fare" quello che devi fare per te stesso, per poter alfine "avere" ciò che vuoi.
Margaret Young

DEMOCRAZIA Che cosa si rischia senza l' informazione

Repubblica — 19 maggio 2009 pagina 44 sezione: CULTURA
SI CHIAMA Il destino della democrazia. Relativismo e universalizzazione ed è il convegno che si svolgerà il 21, il 22 e il 23 maggio a Castel dell' Ovo a Napoli del Nisa (Network of Italian Scholars Abroad) la rete degli studiosi italiani con incarichi nel Nord America, nata per iniziativa dell' Istituto Italiano di Scienze Umane. Tre giorni di dibattito e confronto tra studiosi di scienza politica, giuristi, sociologi, economisti, filosofi, storici e antropologi, studiosi di letteratura. Tra cui Remo Bodei, Nadia Urbinati, Nadia Fusini e Roberto Esposito. Al convegno parteciperà anche il Premio Nobel per l' Economia Douglass C. North e le conclusioni saranno affidate a Giovanni Sartori, docente emerito dell' Università di Firenze e della Columbia University. La democrazia non ha un altrove nel senso che i suoi fondamenti non stanno fuori o al di sopra di essa e nel senso che in nessun altro sistema come in questo è cruciale che mezzi e fini non siano in disaccordo. È questo il senso della massima che Alexis de Tocqueville ricavò dal suo viaggio in America: la democrazia non ci dà la certezza di ottime o anche buone decisioni (spesso anzi le sue decisioni sono pessime); ciò che ci dà è la certezza di poter emendare e cambiare quelle decisioni senza il rischio o il bisogno di revocare l' ordine politico. In questo senso quello democratico è un sistema che ha dentro di sé il suo punto archimedeo, che non ha un altrove. Tuttavia, solo la democrazia rappresentativa è riuscita a realizzare la massima di Tocqueville e a vanificare i suoi nemici. Il demos ateniese non è mai riuscito a incorporare gli oligarchi e l' anti-democrazia ha condizionato la sua identità ideologica e istituzionale. (...) La democrazia dichiarava la propria autorità oltre l' imperium; dichiarava che fuori di essa non c' era ordine legittimo e che la sua legittimità era etica non solo istituzionale. Questo scopo, le democrazie moderne lo hanno raggiunto scrivendo costituzioni, costruendo le loro istituzioni su premesse che tutti nella condizione ipotetica dell' atto fondativo possono comprendere e accettare: come scrisse Hannah Arendt in On Revolution, i Padri fondatori americani pensarono al loro ordine in termini di eternità non di una temporalità definita. Seguendo questo stesso criterio, John Rawls ha congetturato la posizione originaria sub specie aeternitatis. (...) La collocazione dei pochi è il problema. Lo aveva ben compreso Niccoló Machiavelli, quando nei Discorsi ricordava ai nemici del governo della multitudine che non sono i molti ad avere il desiderio di esercitare il poteree prendere parte attiva alla politica, ma i pochi. Ai molti è bastante sapere di essere sicuri nella libertà personale, nei possessi e nella tranquillità domestica e del lavoro. Essere non dominati è per i molti sufficiente. Ma non lo è per i pochi o i grandi. Questi devono poter soddisfare la loro passione per il potere; e i buoni ordini, ammoniva Machiavelli, sono quelli che sanno contenere l' hybris dei pochi attraverso un sistema di controllo e di partecipazione che coinvolga i molti; o, per ripetere James Madison, attraverso i checks and balances e la rappresentanza. Se, come ha con chiarezza analitica dimostrato Robert Dahl, i pochi, non i molti sono il problema, allora sembra legittimo pensare che i moderni siano riusciti a vincere la loro battaglia contro i nemici politici della democrazia meglio degli antichi. La loro strategia vincente è stata, più ancora che la costituzione scritta (che, come ben sappiamo, può essere ignorata e violata), la rappresentanza. Perché, come ben compresero i federalisti americani, essa soddisfa l' interesse dei molti a controllare e quello dei pochi a non vedersi fatalmente in minoranza. Il potere deterrente delle elezioni sta nel fatto che esse hanno la capacità di stimolare attivismo decisionale in coloro che possono essere resi responsabili ( accountable ): nei rappresentanti cioè, non nei cittadini. I politici eletti sono sufficientemente controllati, dice la teoria elettoralistica della democrazia, dalla preoccupazione dei sondaggi e dal desiderio di essere rieletti. Ecco perché, come ha osservato Giovanni Sartori, «una volta che ammettiamo il bisogno di elezioni, minimizziamo la democrazia per la semplice ragione che riconosciamo che il demos non riesce da se stesso a far funzionare il sistema politico». Il meccanismo elettorale rende la partecipazione diretta inessenziale per il funzionamento e la sicurezza delle istituzioni. Tuttavia, la politica democratica non è solo partecipazione diretta. Dunque, con la rappresentanza, i pochi hanno trovato la loro collocazione e ciò ha contribuito a stabilizzare la democrazia. La differenza tra antichi e moderni è qui notevole. Perché le nostre costituzioni sono riuscite a preodinare, regolandole, tutte le forme di dissenso e a rendere la lotta per il potere una strategia stabilizzante. (...) Sembra dunque di poter dire che la democrazia moderna non ha più nemici perché è riuscita a renderli parte del giuoco politico. Vista da questa angolatura, la rappresentanza non è una violazione della democrazia, ma invece il mezzo che l' ha rafforzata liberandola da quell' antitesi radicale che per secoli l' ha tenuta sotto scacco - moderando non solo o tanto il potere dei molti ma in modo particolare quello dei pochi. (...) Alcune costituzioni sono più attrezzate di altre. L' articolo5 della Costituzione della Repubblica federale tedesca dichiara che «ognuno ha diritto di esprimere e diffondere liberamente le sue opinioni con parole, scritti e immagini, e di informarsi senza impedimento attraverso fonti accessibili a tutti». La nostra Costituzione non è altrettanto esplicita nel proclamare la libertà dei cittadini di essere informati, benché l' evoluzione della nostra giurisprudenza (anche grazie allo stimolo di quella comunitaria) è andata nella direzione dell' affermazione della libertà di informazione, sia come libertà di esprimere opinioni che come diritto a essere informati (una libertà che leggi improvvide hanno vanificato permettendo la formazione di fatto di un sistema di monopolio privato dell' informazione e non liberando il servizio radiotelevisivo pubblico dal dominio del parlamento e quindi della maggioranza). L' informazione mette in atto due forme di libertà: quella civile o dell' individuo e quella politica o del cittadino. Essa sta insieme al processo di formazione dell' opinione: come cittadini democratici abbiamo bisogno di sapere per poterci formare un' opinione e decidere; e abbiamo bisogno di sapere per controllare chi decide. Diceva Thomas Jefferson che è preferibile una società senza governo ma con molti giornali a una con un governo ma senza giornali. L' informazione è un bene pubblico come la libertà e il diritto (e come libertà e diritto non è a discrezione della maggioranza); un bene del cittadino, non soltanto dell' individuo. È soprattutto un bene che ci consente di avere altri beni: di monitorare il potere costituito, di svelare ciò che esso tende a voler tener segreto. L' informazione fa parte perciò dell' onorata tradizione dei poteri negativi o di controllo, anche se il suo è un potere indiretto e informale. Senza questo controllo le democrazie moderne sono a rischio, anche qualora il diritto di voto non sia violato; anche qualora non ci sia più, nemmeno nell' immaginario, l' idea di un altrove rispetto alla democrazia; anche qualora la democrazia non abbia più nemici politici.
NADIA URBINATI

mercoledì 20 maggio 2009

Unire non dividere

... tendiamo a separare la nostra vita in due parti: quella personale e quella lavorativa. In quella personale tendiamo a valorizzare gli aspetti emotivi, sentimentali, culturali, affettivi e ludici, ricercando valori come l'armonia e la serenità, mentre nella vita lavorativa concentriamo gli aspetti legati alla negoziazione, all'interesse e al denaro, giustificando il conflitto come strettamente connesso al concetto di lavoro. Questa visione affonda una radice nella realtà delle cose e un'altra in considerazioni di ordine culturale: da almeno due secoli, l'uomo si è inconsapevolmente autoespropriato del lavoro come parte integrante e armonica della propria vita e fonte della propria realizzazione...
... Peter... era però convinto che nel mondo nuovo verso cui stiamo navigando si possa ritrovare, su un piano diverso, l'unitarietà della vita personale e lavorativa che contraddistingueva l'artigiano rinascimentale del quale ormai conosciamo la storia. Proprio per questo, pensava che fosse necessario portare nella sfera lavorativa quei valori di armonia, serenità e benessere interiore che fino ad oggi abbiamo considerato solo nella sfera personale...
Da "La leadership secondo Peter Pan" di Alessandro Chelo - Sperling & Kupfer Editori

lunedì 18 maggio 2009

Non solo pizza

Gaetano, Massimiliano, Massimo e Sergio sono i quattro soci della pizzeria Cadò in via Case di Dozza ad Imola, lavorano tutti nel locale e portano avanti la tradizione dell'ottima pizza che si poteva mangiare un tempo alla pizzeria Lanterna - per tutti gli imolesi più famosa come "nanetti" - locale molto frequentato da generazioni di concittadini. Nel 2004 decisero di aprire un locale tutto loro con l'obiettivo di mantenere la qualità del prodotto "pizza" di cui detenevano la "conoscenza", allargando contemporaneamente l'offerta con un menù più orientato alla ristorazione classica. Alla prova dei fatti e del palato, l'operazione appare ben riuscita e lo spirito che li ha animati nell'affrontare questa nuova sfida si nota già nell'architettura del locale, una vecchia rimessa pensata e arredata in modo molto moderno dal "sapore" un pò newyorkese. Ottima la classica margherita, ma anche le altre pizze, oltre al "nutriente" calzone - anche questo di antica memoria - con uova e prosciutto cotto. Segnalo alcuni menù con ottimo rapporto qualità/prezzo quali la paella o il pranzo completo a base di pesce - su prenotazione - anche troppo abbondante. In alcuni giornate può capitare che vi vengano offerti dei "fuori menù" particolari creati dalla fantasia dello chef in cucina, ricordo in inverno un ottimo piatto di cinghiale o una pasta particolare. La novità degli ultimi tempi è costituita dalla proposta di alcuni piatti della cucina molisana: ho avuto il piacere di assaggiare i "cavatelli", che non si trovano solo in Molise in verità, una pasta di grano duro che appare come un incrocio tra uno strozzaprete e un bucatino corto, condita con sugo mediterraneo, a base di pomodori freschi, arricchita con noce moscata, pepe, cozze e vongole. Vi consiglio di provare questi cavatelli, le porzioni sono generose e risultano molto appetitosi.
Pubblicato su L'informazione-Il Domani di domenica 17 maggio 2009

sabato 16 maggio 2009

Il tempo

"Più il tempo avanza verso il compimento del suo disordine, più l'uomo dovrà procedere verso la luce, suo termine"
Louis-Claude de S.Martin (filosofo e mistico)

martedì 12 maggio 2009

Concentrarsi su se stessi

Più si impara su se stessi - il modo di pensare, di sentire, di essere, di comportarsi - più la tua vita scorre via liscia e tranquilla dentro di te. Le scelte diventano "le tue scelte" migliori perché inizi a basarti sul tuo istinto, che ti guida. Conoscendo se stessi si impara anche a modificare il proprio comportamento, assumendone uno nuovo che diventa sinonimo anche di qualità della propria vita. Tutte le abitudini e i propri sistemi di credenze sono frutto degli ambienti in cui si vive e delle persone che si frequentano. Se si impara a circondarsi di persone positive, si hanno maggiori possibilità di cambiare e vedere finalmente tutte le opportunità che la vita offre. E' fondamentale poi concentrarsi sulle attività che si sa di svolgere in modo eccellente e che consentono quindi di ottenere ottimi risultati. Se ci si disperde il prezzo da pagare, diversamente, è un aumento dello stress. L'impegno quotidiano è focalizzarsi per buona parte del proprio tempo e delle proprie energie su ciò che ci riesce meglio. Solo così si raccolgono, alla fine, risultati. Questo significa avere anche una forte autodisciplina, ogni giorno essere sempre più consapevole delle attività a cui dedicare il proprio tempo. Fondamentale è chiedersi sempre se ciò che si sta facendo sta aiutandoci a raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati. Aiuta in questo prendersi il tempo per pensare, dedicare ogni giorno una porzione di tempo alla riflessione. Le migliori idee nascono quando si ha tempo per pensare.

lunedì 11 maggio 2009

Il mio "modello" del vincente

- Utilizzare il proprio talento sviluppato nel tempo per raggiungere un obiettivo prefissato che ti renda felice.
- Essere una persona in grado di sognare cosa ti può far provare grande stima verso te stesso.
- Donare e ricevere in un'atmosfera di amore, di cooperazione, di partecipazione sociale e responsabilità.
- Donarsi liberamente agli altri senza secondi fini.
- Non provare mai invidia.
- Non cercare mai scuse.
- Giocare senza barare, confrontarsi con franchezza.
- Essere felici e in pace con se stessi.
- Essere fedeli ai propri principi, alle porprie idee, ai propri valori.
- Domandarsi sempre cosa ci ha insegnato una sconfitta o un'esperienza negativa.
- Vivere seguendo un'Etica coltivando una propria interiorità spirituale.
- Dare senza sperare di ricevere.
- Rispettare comunque le idee e le esperienze altri.

domenica 10 maggio 2009

I grandi sarti della cucina ora fanno anche piatti “prét-à-porter”

La crisi mondiale che ci ha colpito qualche beneficio l’ha prodotto anche nel settore enogastronomico. La ristorazione ha subito anch’essa un contraccolpo e ha costretto, come in altri settori, a correre ai ripari e “aguzzare l’ingegno”. Prova ne sono sia i menù proposti a “KM 0” (con prodotti del territorio), ma anche i grandi chef hanno cercato di affrontare questi difficili momenti, modificando la loro proposta oppure aprendo locali per una cucina di qualità, ma a prezzi “slow”. Sinceramente era ora. Come sta succedendo nell’abbigliamento, ci si è reso conto che si era “un po’ esagerato” sui ricarichi nonostante i costi – che ben conosco – necessari per fare della grande cucina. Mi considero un discreto buongustaio, ho visitato negli anni diversi “luoghi sacri”: Il Pescatore, La Pergola, L’Ambasciata, Le Calandre, La Francescana e tanti altri anche all’estero, ma ho sempre giudicato complessivamente – cucina, arte del piatto, servizio, location, ecc. - esagerati nei prezzi proposti. La crisi – colpendo anche i ceti più abbienti - ha messo a nudo questa situazione. Molti grandi maestri di cucina sono corsi ai ripari e il fenomeno non è solo italiano, pure i “guru” oggi più acclamati, dallo spagnolo Adrià al francese Bocuse hanno aperto - ad esempio - ristoranti dove propongono menù a prezzi che variano tra i 20 e i 30 euro. Del pari nel nostro paese è possibile oggi trovare con gli stessi prezzi menù interessanti, senza alcun compromesso sulle materie prime. Su cosa si risparmia ? Normalmente si semplifica il servizio che diventa più informale, non si accettano le carte di credito, si riduce il numero di tavoli, si è più rigidi sulle prenotazioni, si utilizzano cucine più piccole effettuando una rotazione dei cuochi della brigata provenienti dal ristorante “maggiore” e si preparano piatti che possano essere “trasversali”, cioè che soddisfino tutte le età, senza rinunciare a qualche piatto che identifichi lo chef di nome. Cito - a titolo di esempio - alcuni grandi cuochi che hanno fatto questa scelta, vicino a noi: Il Calandrino a Rubano (Pd), La Franceschetta (Mo), Anikò a Senigallia (An) e il Du de Cope a Verona. Era tempo che il “prét-à-porter” di qualità arrivasse.
Pubblicato sul Sabato Sera del 7 maggio 2009

giovedì 7 maggio 2009

Dal modello anglosassone al modello Mediterraneo così cambiano i consumatori

DI GIAMPAOLO FABRIS - Affari & Finanza 4 maggio 2009
Se fosse necessaria un´ulteriore conferma del declino dell´american way of life e dell´emergere di una diversa proposta di civilizzazione, che per semplicità chiamiamo mediterranea, l´occasione è platealmente offerta dalla richiesta a Fiat dagli Stati Uniti di tecnologie e di assistenza. Il modello americano dei consumi ha esercitato, negli ultimi decenni, un effetto referenziale a livello planetario. La vera struttura portante del modello da imitare o, comunque, a cui aspirare. Un modello in cui l´automobile ha goduto sempre di un particolare rilievo. Le macchine con "le pinne" – Cadillac, Chevrolet, Buick – hanno costituito gli archetipi della centralità dell´auto nello stile di vita americano. Quando poi hanno perso quella streamline, che tutta una filmografia hollywoodiana aveva consacrato, le dimensioni, i volumi, le marche del made in USA hanno continuato a costituire, nell´immaginario collettivo, una presenza emblematica e prestigiosa. Detroit non è mai stata soltanto la capitale dell´auto : anche uno dei miti del sogno americano.Adesso che Marchionne fa il pendolare tra una parte e l´altra dell´Oceano e il Presidente Obama indica esplicitamente in tipologie di auto tanto dissimili quelle da imitare, e nella Fiat il partner ideale, c´è qualcosa di più di un momentaneo intoppo dovuto alla crisi economica a minare il paradigma del modello americano. Auto piccole, con buone prestazioni, prezzi contenuti, bassi consumi, ecologicamente avanzate, estetica apprezzabile. E Fiat è scelta come compagno di viaggio. Addirittura come modello di management tanto da richiedere allo stesso Marchionne un ruolo di leadership di primissimo piano.Se l´auto è l´aspetto più vistoso di una weltanshauung messa drammaticamente sotto accusa è anche l´abnorme accesso al credito delle famiglie americane – proprio quello che consentiva di mantenere livelli di consumo affluenti e vistosi che il mondo guardava con invidiosa ammirazione – ad essere messo in prima fila sul banco degli accusati. Certo con la complicità di un sistema creditizio irresponsabile, vorace e truffaldino. Ma la decisione di indebitarsi, sia sotto forma dei mutui subprime che di ricorso indiscriminato al plastic money, è stata comunque presa autonomamente dal consumatore americano. Sempre il Presidente Obama nei giorni scorsi ha sentito la necessità di presiedere personalmente una riunione delle major delle carte di credito. Per sincerarsi meglio sull´entità della mina vagante del debito e per creare maggiori cautele, regole e garanzie per il futuro. Pensare che, solo in un recentissimo passato, la scarsa propensione del consumatore italiano al credito al consumo veniva bollata come arretratezza. E la sua tradizionale vocazione da formicuzza – laddove consumare viene indicato come un atto doveroso perché l´economia possa girare a pieno ritmo – come comportamento socialmente discutibile. Forse, ancora una volta, è l´area mediterranea, pur stereotipicamente tanto arretrata, non solo a differenziarsi per una atipicità di comportamenti ma a proporsi come riferimento per un diverso modo di consumare.

mercoledì 6 maggio 2009

A proposito di Etica...

C'è un'altra casta: i manager

In questi giorni mi è capitato sotto mano un vecchio ritaglio della Repubblica. Si tratta di un articolo di un paio d’anni fa, dedicato a Carlo Puri Negri, che fino all’altro ieri era il vicepresidente della Pirelli Real estate, società immobiliare del gruppo della gomma. L’incipit del pezzo è esaltante: “Carlo Puri Negri ha il merito di impersonare un caso che non è così frequente nel mondo dell’industria e della finanza. Quello di un manager che, dopo aver mosso i primi passi nelle più varie direzioni, scopre poi una vocazione precisa, e in essa si dimostra fantasioso e innovativo, e in grado di produrre valore”. Mi fermo qui, anche se il testo prosegue con altre deliziate immagini.Che razza di valore fosse in grado di produrre l’erede della dinastia degli pneumatici è noto a tutti. Nel 2008 la Pirelli Re ha perso quasi 200 milioni di euro ed è stata costretta a lanciare un aumento di capitale pari al doppio della perdita. Un disastro, insomma. Tralascio il fatto che due anni fa, quando uscì l’articolo della Repubblica, sul settore immobiliare già s’allungavano le nuvole nere della crisi. Non voglio infierire sull’anonimo redattore: capita a tutti di scrivere stupidaggini. Anche perché il punto non è ciò che è stato detto, semmai quello che si è taciuto. A stupirmi è infatti l’assenza (o quasi) di commenti alla notizia dell’addio dato dal manager alla sua creatura, un abbandono accompagnato da una buonuscita di 14 milioni di euro, nei quali sono compresi quasi 9 milioni e mezzo di indennità per l’anticipata cessazione del mandato e 3 milioni per convincere il manager a non fare concorrenza alla sua ex società.L’uomo che ha fatto 200 milioni di buco è stato ringraziato con 14 milioni di euro, che vanno ad aggiungersi ai 36 che ha incassato negli ultimi sette anni. E, tranne rare eccezioni, nessuno ha avuto nulla da ridire: i quotidiani hanno dato la notizia nelle pagine economiche, senza commentare, come fosse routine. A me non pare una cosa così ovvia: come si fa a corrispondere una liquidazione da milioni di euro a un manager che ha creato una voragine di debiti e di perdite? Come si fa a invocare il valore e il merito e premiare chi il valore lo ha distrutto e ha solo il merito di essersi costruito un contratto blindato, a prova di licenziamento?Quello di Puri Negri è un caso clamoroso, ma non il solo. Nelle scorse settimane la Seat Pagine gialle, altra società straindebitata che nel 2008 ha perso 179 milioni di euro, ha gratificato Luca Majocchi, amministratore delegato uscente, con quasi 8 milioni di euro, 5 dei quali a ricompensa del patto di non concorrenza. Oltre al danno, c’è la beffa di dover pagare il manager che viene congedato perché non provochi altri danni.Non voglio fare il moralista, ma c’è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo. Per anni ci siamo sbracciati a spiegare a operai e impiegati che il salario non è una variabile indipendente dai risultati di un’azienda. Oggi ci accorgiamo che esiste un’altra variabile indipendente che negli ultimi anni ha consentito a una casta di dirigenti di moltiplicarsi la remunerazione senza tenere in alcun conto il reale andamento dell’impresa. È come se esistesse una scala mobile dei top manager che sale sempre più in alto, senza alcun controllo, né di chi nell’azienda ci lavora, né dei suoi azionisti.Nel passato ci spiegarono che le public company, ovvero le società senza proprietari di riferimento, erano il futuro, perché liberavano le aziende dai padroni. Non vorremmo che le finte public company italiane si fossero sì liberate dal controllo e dagli interessi dei propri azionisti, ma solo per rimanere prigioniere dei propri manager voraci.
Panorama - Editoriale di Maurizio Belpietro

domenica 3 maggio 2009

Pizza per tre generazioni

A seguito di una chiacchierata fatta qualche giorno fa parlando con alcune persone che conosco, sui locali e la gastronomia imolese, mi sono chiesto se ci fosse ad Imola un luogo, un negozio, un “qualcosa” in sostanza che potesse essere elevato a simbolo gastronomico trasversale a tante generazioni. Prendendo in esame mentalmente un arco temporale che andasse dalla seconda metà degli anni ’50 (quando iniziò il boom economico italiano, il benessere insomma), ai giorni nostri, uno di questi simboli l’ho individuato nella pizzeria che si trova sotto al centro cittadino (per gli imolesi l’ex-casa del fascio) sul lato della via XX settembre, per intenderci. Questo piccolo locale rimasto praticamente immutato nel tempo, oltre ad avere fatto – ritengo – la fortuna dei vari gestori che si sono succeduti, ha certamente contribuito alla soddisfazione del palato di intere “classi” generazionali. Antesignana della pizzeria al taglio e d’asporto, riunisce in se il piacere di concedersi una pizza, meglio, una pizzetta dalle somiglianze di una pizza normale con il vantaggio di non farti sentire troppo in colpa, viste le ridotte dimensioni. Ricordo con un po’ di nostalgia i pomeriggi, d’inverno soprattutto, negli anni ’70, quando verso le 17 ci si trovava davanti a quel locale dando così inizio al pomeriggio tra amici: 500 lire e due pizzette dai loro contenitori in metallo finivano incartate per metà, da sapienti e decise mani, in una carta oleata di antica memoria e tu eri pronto a gustarti quelle delizie appena sfornate. Un tempo proprio lì accanto c'era anche l'ingresso di una scuola e questo favoriva certamente ancora di più l'esercizio. La "freschezza del prodotto" è un’altra caratteristica distintiva che mi viene in mente di questo luogo, la richiesta è talmente elevata che si ha la garanzia della qualità della pizza “appena sfornata”, unitamente alla continuità della tradizione nella ricetta che, nonostante alcuni cambi di gestione è rimasta praticamente immutata. Ogni gestione si propone anche come rosticceria e qualcuno ha tentato altresì di presentare varianti differenti di questa pizzetta, ma la versione originale - che veramente ha caratterizzato questo locale - è la classica margherita con quella sua crosta leggermente croccante e dal sapore sempre invitante.
Pubblicato su l'Informazione - Il Domani di domenica 3 maggio 2009

sabato 2 maggio 2009

L'Etica del Guerriero

Un Guerriero ricercatore della verità è colui che prova a non escludere nulla di quello che gli viene proposto, che non ha alcun tipo di pregiudizio sugli altri esseri umani e sulle altre tradizioni e che, oltre alla lotta fisica, conduce una battaglia continua contro le proprie incertezze, paure ed egoismi, rifiutando sempre la menzogna. Tenta di abbinare il combattimento - della vita quotidiana - alla ricerca di se stesso, cerca di trovare il giusto equilibrio in ogni azione e studia incessantemente la via iniziatica per sviluppare la capacità di meditare e concentrarsi su ciò che fa. Sente di essere tutt'uno con la spada che simbolicamente lo affianca quale unione tra la spirito e la materia nella difesa dei Valori. Lavora costantemente su se stesso e spesso il suo metodo di combattimento è quello del "non combattere", per far abbassare l'aggressività degli altri tramite la sua calma interiore. Non mira all'eliminazione fisica del nemico, cerca di bloccarne l'azione aggressiva, negativa, cerca quindi di rendere positivo ciò che è negativo. Solo così interpreta la vittoria. Vincitore non è colui che abbatte il nemico, ma chi riesce a ricavare dal combattimento un insegnamento. Rispetta alcune regole etiche interiori, non vissute come imposizioni, ma come parte integrante della propria sensibilità nella ricerca del vero. Cerca di essere onesto, aperto, combatte le ingiustizie -prima di tutto le proprie - sapendo che per combattere per il miglioramento della vita altrui deve innanzi tutto migliorare la propria, iniziando dalla propria etica oltre che dal proprio fisico. Non ha dogmi, segue dogmi di altri, vuole essere un uomo libero con una continua voglia di crescere e conoscere che lo deve portare ad accettare tutto e diffidare di tutto cercando conferma di ciò che gli è stato detto e, solo dopo averlo scoperto personalmente, esprimere il proprio parere. Le sue regole sono semplici: non mentire mai e per nessun motivo, essere onesto verso se stesso e gli altri, avere la giusta ed eguale considerazione delle persone senza fare alcuna distinzione di razza, età, sesso, convincimenti o status economico.

Un nuovo inizio

Insegnami ad intraprendere un nuovo inizio, a rompere gli schemi di ieri, a smettere di dire a me stesso "non posso" quando posso, "non sono" quando sono, "sono bloccato" quando sono totalmente libero.
Rabbi Nacham