Con l'aiuto del premio Nobel Joseph Stiglitz, il governo Sarkozy ha elaborato dei nuovi criteri per valutare la performance di un'economia nazionale. Il prodotto interno lordo - si sa - è una misura molto approssimativa della ricchezza prodotta ogni anno. Non tiene conto del valore aggiunto non retribuito (per esempio i manicaretti fatti in casa, mentre conteggia quelli comprati al ristorante), del valore del tempo libero, dell'inquinamento prodotto. Anche se il risultato raggiunto dalla commissione Stiglitz è molto al di sotto della fanfara con cui è stato presentato, l'iniziativa è meritevole. Non tanto perché solletica l'orgoglio dei francesi, che guarda caso risultano molto più in alto nella classifica internazionale calcolata secondo i nuovi criteri, ma perché cerca di combattere alcune distorsioni prodotte da misure imperfette.
L'accountability tanto nel settore pubblico come in quello privato è un fatto molto importante e così sono gli incentivi volti a motivare le persone a conseguire dei risultati. Quando l'obiettivo da conseguire non è facilmente misurabile (come accade nella quasi totalità dei casi), però, l'accountability ha un lato oscuro: crea incentivi a massimizzare non l'obiettivo finale, ma la misura dell'obiettivo. Il manager pagato in base ai profitti annuali massimizzerà i profitti annuali, anche a costo di ridurre il valore dell'impresa. L'insegnante valutato sulla base dei risultati dei test degli studenti insegnerà come fare meglio nel test, anche a scapito dell'educazione dei ragazzi, e così via.
Questa distorsione è presente non solo quando esiste un vero e proprio contratto di incentivo, ma anche quando un manager o un politico sa di essere valutato dall'opinione pubblica sulla base di alcuni parametri. In dibattiti e campagne elettorali, la performance di un governo è misurata sulla base di misure imperfette: la crescita del Pil, il livello di inflazione, il livello di disoccupazione, il deficit pubblico. Non a caso tutti i governi (chi più, chi meno) hanno sempre cercato di manipolare queste statistiche, anticipando le entrate e posticipando le spese, escludendo alcuni beni da imposte o rincari per ridurre l'inflazione misurata, eccetera.
La creazione di misure alternative serve a ridurre gli incentivi a manipolare gli indicatori a spese dei risultati. Il manager che è pagato non solo in base ai profitti di quest'anno ma anche al valore creato sul lungo periodo avrà meno incentivi a sacrificare l'uno per l'altro. Ben vengano quindi misure alternative di performance nazionale, che aiutino a ridurre il focus dei politici su obiettivi di breve periodo, a scapito di quelli di lungo.
A questo riguardo mi permetto di aggiungere un utile indicatore, non presente nelle proposte di Stiglitz: un indicatore del senso civico di una popolazione. Se in Svezia la gente paga le tasse, rispetta le code, e non butta le carte per terra, non è perché gli svedesi sono geneticamente superiori, ma perché nei decenni (se non nei secoli) hanno accumulato dei valori e delle aspettative che inducono gli abitanti a comportarsi in questo modo virtuoso. La scuola ha insegnato loro l'importanza di questi comportamenti per il bene collettivo e l'esperienza quotidiana li ha educati sui costi sociali e legali di deviare da questi comportamenti virtuosi. Se gli americani non parcheggiano illegalmente non è perché sono più onesti, ma perché l'esperienza ha loro insegnato che ogni qualvolta lo fanno vengono severamente puniti. Nel tempo questo atteggiamento diventa un'abitudine e persiste anche in assenza di una punizione. Ad esempio alcuni ricercatori hanno scoperto che il numero di parcheggi illegali effettuati dai rappresentanti nazionali all'Onu di New York (che godono del beneficio della extraterritorialità e quindi non devono pagare le multe) sono molto diversi a seconda del paese di provenienza. I rappresentanti svedesi non parcheggiano mai illegalmente mentre quelli italiani vantano la bellezza di 14,6 infrazioni per ogni diplomatico.
Questo senso civico è equiparabile ad uno stock di capitale, non fisico, ma virtuale, che caratterizza una società. Questo capitale si traduce in una migliore performance da tutti i punti di vista. In paesi dove il capitale civico è più elevato, l'amministrazione pubblica funziona meglio, i beni pubblici sono meglio conservati, l'economia prospera, l'ordine pubblico viene assicurato a più basso costo.
È tanto più importante misurare questo capitale, perché si tratta di uno stock che viene accumulato molto lentamente, ma può venire dissipato molto rapidamente. Ci vogliono alcune generazioni perché gli immigrati in America raggiungano il livello di senso civico dell'americano medio. Ma se ci vogliono generazioni per migliorare, si può peggiorare molto rapidamente. Sacrificare l'interesse particolare per il bene collettivo è costoso, ed è sostenibile solo quando viene percepita come una norma comune. Senza questa convinzione la stragrande maggioranza dei cittadini finisce per ignorare il bene collettivo.
Proprio perché questo prezioso capitale è a rischio di un deprezzamento rapido sarebbe utile misurarlo regolarmente, affinché possa diventare uno degli indicatori della performance di un governo. Prendete lo scudo fiscale approvato ieri dalla Camera con la fiducia. Valutato secondo i parametri tradizionali rappresenta una manovra brillante: riduce il deficit, senza aumentare le tasse. Ma come impatta il nostro capitale civico? Affrancando per pochi euro evasioni fiscali e reati contabili, questa legge rafforza la percezione che in Italia ad essere onesti siano solo i fessi. Forse questa percezione esisteva già e il ministro Tremonti - che confida nel successo del provvedimento - non ha fatto altro che trarne le logiche conseguenze, ma senza una misura del danno, la tentazione di deprezzare il capitale civico per un vantaggio immediato diventa irresistibile. A pagare il conto saranno le generazioni future: un conto più elevato del debito pubblico che lo scudo aiuta a ridurre.
1 Ottobre 2009 - Luigi Zingales - Il Sole 24ore