sabato 31 ottobre 2009

I campioni

I campioni non nascono in palestra. I campioni sono fatti di qualcosa che hanno dentro, nel profondo: un desiderio, un sogno una visione.
Devono avere l'energia per l'ultimo minuto, devono essere un pò più veloci, devono avere la pratica e la volontà .
Ma la volontà deve essere più forte della pratica.
Muhammad Ali

mercoledì 28 ottobre 2009

Conoscere il proprio obiettivo

Conoscere il proprio obiettivo è sinonimo di sicurezza; solo la sicurezza porta tranquillità; solo la tranquillità porta la pace interiore; solo la pace interiore permette ragionamenti seri e assennati; solo ragionamenti seri e assennati portano al successo.
Lao-Tzu

venerdì 23 ottobre 2009

Una riflessione sulla vita

Questa mattina, presto come mio solito, leggevo alcune considerazioni fatte da Seneca e riflettevo ancora una volta sulla estrema attualità che tanti scritti, antichi di millenni, posseggono tuttora.
Sulla vita diceva che non è breve, siamo noi a renderla tale bruciando il nostro tempo. Consumiamo e ci consumiamo in una costante accelerazione che non paga.
Questa affermazione di migliaia di anni fa, quando certamente l'aspettativa di vita era notevolmente minore, ma anche i tempi erano certamente dilatati, mantiene oggi tutta la sua forza e il suo monito al genere umano.
Il primo destinatario sono io che, nonostante pensi spesso al tempo della vita, mi faccio poi fagocitare dall'azione continua. In certi momenti sento la mancanza di un "mentore", una persona che possa aiutarmi a fare chiarezza tu tante domande e mi sia di sostegno nelle decisioni. Le letture sono certamente utili, ma il confronto con qualcuno che ascolta con attenzione ciò che dici e magari sa formulare le domande giuste, é raro da trovare. Anche perché mi capita il contrario: le persone desiderano essere ascoltate.

lunedì 19 ottobre 2009

Il potere delle domande

Spesso conviene pensare che l'intero Universo congiuri per renderci la vita difficile, ogni volta più difficile. Ma se riuscissimo continuamente e indipendentemente dalle circostanze a pensare e agire responsabilmente, cercando ogni volta le possibili risposte, da un lato potremmo trovare nella nostra vita più soluzioni rispetto all'ipotesi opposta, ma dall'altro nel lungo periodo potremmo incrementare la nostra autostima con effetti benefici e duraturi per l'umore. Ottimismo della volontà come energia.
Il metodo per essere responsabili consiste nell'imparare a farsi sempre, anche nelle situazioni più spiacevoli, le domande "giuste", non smettendo mai di farsene anche quando le risposte tardano ad arrivare o sono parziali, incomplete, insoddisfacenti. Purtroppo si tende a porsi le domande "sbagliate" del tipo: "di chi è la colpa ?".
Di solito la colpa non è mai nostra, ma degli altri, per cui "non ci si può fare nulla". Ne consegue la contemplazione del proprio "dolore" e della propria impotenza con le prevedibili conseguenza sull'autostima.
La domanda invece è: "di chi è il problema ?", "che cosa posso fare per agire sulle cause di questo dolore ?".
Le possibili risposte dimostreranno a noi stessi che non siamo impotenti perchè qualcosa avremo ottenuto.

venerdì 16 ottobre 2009

Stai attento

Stai attento ai tuoi pensieri, perchè diventano parole.
Stai attento alle tue parole, perchè diventano abitudini.
Stai attento alle tue abitudini, perchè diventano carattere.
Stai attento al tuo carattere, perchè diventa il tuo Destino.
Frank Outlaw

giovedì 15 ottobre 2009

Onora il Padre


Alcuni giorni fa è stata data la notizia della morte di Tommy Berger, di cui avevo letto il suo libro "Onora il padre".  Mi aveva colpito molto il racconto della sua storia, tanto che al termine della lettura, gli avevo anche scritto esternandogli le mie emozioni. Una storia che spesso si ripete, soprattutto quando ci sono dei soldi, molti soldi. La sua testimonianza riporta il susseguirsi di eventi che portano, i figli, ad appropriarsi del capitale creato dallo stesso Berger nella sua vita. Una vita non semplice, ma di un uomo dalle grandi intuizioni ed enorme tenacia nel perseguire globiettivi. Lui dichiarava di aver scritto il libro per far conoscere a tutti ciò che gli era accaduto e aveva disposto che fosse regalata una copia del libro, al compimento del 18 compleanno, ad ogni nipote perchè potessero giudicare l'operato dei propri genitori. In tutti i casi, una storia molto triste.

Hag, Faemino, Digerselz, Fonti Levissima. Sono i grandi marchi che si legano a Tommaso Berger, imprenditore di origini austriache e morto all'eta' di 80 anni mentre si trovava a Rio De Janeiro. Negli Anni 50 e 60 fu proprietario dello stabilimento della 'Crippa&Berger-Fonti Levissima' di Cepina (Sondrio) decretando il salto di qualita' del marchio tanto che nei primi anni '90 la maggior parte dei 300 miliardi di lire di fatturato medio annuo proveniva proprio dallo stabilimento della Valtellina, gia' all'epoca considerato asset strategico. Bergher era nato a Vienna da una ricca famiglia ma era sostanzialmente cresciuto a Milano dove il padre dirigeva la branca italiana dell'azienda ereditata dal nonno. Le leggi razziali lo indussero, nel 1938, a fuggire in Svizzera. Torno' nel capoluogo meneghino con la Liberazione. E' il 1951 quando assume la guida dell'azienda in concomitanza con la morte del padre. Ed e' qui che crea uno dei piu' grossi imperi industriali nel settore alimentare italiano: dal caffe' Hag (marchio rilevato nel '50 da un industriale tedesco), alle acque minerali Sangemini e Fiuggi, oltre a Levissima. Berger ha sempre creduto nella pubblicita' sin dai tempi di Carosello. In anni successivi passo' anche a prodotti non alimentari: la pomata Vegetallumina inventata dal padre e lanciata definitivamente sul mercato da Tommaso Berger e il lucido per scarpe Guttalin. Tutti i marchi da lui detenuti furono venduti nel 1992 alla Garma di Raoul Gardini.

martedì 13 ottobre 2009

Trova il tempo

Trova il tempo per lavorare, è il prezzo del successo.
Trova il tempo per riflettere, è la fonte della forza.
Trova il tempo per giocare, è il segreto della giovinezza.
Trova il tempo per leggere, è la base del sapere.
Trova il tempo per essere gentile, è la strada della felicità.
Trova il tempo per sognare, è il sentiero che porta alle stelle.
Trova il tempo per amare, è la vera gioia di vivere.
Trova il tempo per aiutare gli altri, è la magia che combatte la solitudine.
Trova il tempo per essere contento, è la musica dell'anima.

lunedì 12 ottobre 2009

Il mondo secondo Cucinelli: cachemire, utili e filosofia


C' è chi sguazza nel mondo del fashion tra un party e un evento mondano, con immancabile codazzo di celebrities per promuovere le proprie collezioni. E chi, come Brunello Cucinelli, diserta il jet set modaiolo "predicando" la semplicità (che è difficile a farsi, scriveva Bertolt Brecht) insieme al ritorno a una vita normale. Non parla di fashion, ma di moda. Non legge i manuali dei guru dell' economia e della finanza, ma i pensieri dei grandi uomini che hanno fatto la storia. Non usa termini come business, sales, ebitda o roe: preferisce raccontare di fatturati, utili o ritorno sugli investimenti. Tutte voci che nei bilanci della sua azienda sono in crescita da anni. Anche in questi ultimi, segnati dalla crisi. Dati alla mano il fatturato del gruppo (che comprende i marchi Brunello Cucinelli Cashmere, Gunex e Rivamonti) è passato dai 120,76 milioni di euro del 2007 (+32,34% rispetto al 2006) ai 143,86 del 2008 (+19,21). La previsione per il 2009 è di chiudere l' esercizio con un giro d' affari di 154 milioni di euro. Vale a dire il 7,04% in più. Linea del grafico verso l' alto anche per gli utili (prima delle imposte) che dai 6,59 milioni del 2007 (+76,68% rispetto al 2006) hanno raggiunto i 7,93 milioni nel bilancio 2008 (+20,33). E nel difficile scenario economico che tutti conosciamo, non ha lasciato a casa nessuno. Anzi. Ha fatto nuove assunzioni: i 414 dipendenti interni del 2007 oggi sono diventati 465. Senza contare i collaboratori dell' indotto che sono ormai più di un migliaio. Esporta il 65% del fatturato nei principali mercati del mondo - Stati Uniti, Europa, Giappone e Far East - attraverso 35 negozi monomarca (diretti e in franchising) e «972 multimarca di fascia alta. Partner importanti - tiene a dire Cucinelli - perché sono i veri giudici delle collezioni. Se hai il coraggio di ascoltarli, e noi lo abbiamo sempre avuto, ti sanno dare grandi consigli». E ai suoi 972 partner si è rivolto nel momento peggiore dei mercati. Nel pieno della crisi, che in molti hanno definito peggiore del crollo del 1929, «gli imprenditori come me avevano paura, paura di perdere le proprie aziende. Allora insieme ai miei collaboratori, con cui da sempre condivido le scelte, abbiamo deciso di scrivere ai nostri partner dicendo: siamo qui. Resistiamo». E i partner hanno capito. «Persino Saks ci ha risposto dicendo che un' azienda come la nostra va sostenuta». Una bella soddisfazione per Cucinelli che proprio dagli Stati Uniti ha ricevuto per due anni consecutivi (2003, 2004) il premio "Best of the Best" come «migliore e più sofisticato stilista al mondo nel settore sportwear di cachemire». Ma forse, il riconoscimento più gratificante è quello che a giugno gli ha assegnato l' Associazione archivio storico Olivetti, nominandolo "Imprenditore Olivettiano 2009". Anche perché in poche righe i giudici di Ivrea sono stati davvero bravi a raccontare chi è e cosa fa l' imprenditore filosofo (come è stato ribattezzato Oltralpe): «Ha creato e sviluppato un gruppo industriale italiano di grande successo sui mercati internazionali basandosi su valori fondamentali, quali il rispetto delle persone, la ricerca costante della bellezza dei prodotti, l' amore per l' ambiente e per il territorio umbro, la promozione dell' arte e l' impegno per la rinascita del borgo di Solomeo alle porte di Perugia (dove ha sede la sua azienda n. d. r.). La sua esperienza imprenditoriale è in forte sintonia con i valori che hanno caratterizzato l' azione di Adriano Olivetti». La scorsa settimana ha inaugurato a Roma il primo monomarca Brunello Cucinelli nella capitale, in partnership con la famiglia Sermoneta, «storica dinastia di mercanti. Nell' accezione nobile del termine», sottolinea Cucinelli che ha "usato" l' occasione per parlare di futuro. Futuro della sua impresa che, dopo l' inaugurazione del mononarca a Tokyo di qualche settimana fa, prevede di aprire a New York (Madison Avenue), Miami, Knokke, Monaco e Dubai. E futuro dell' umanità in cui Cucinelli vede «qualcosa di nuovo. Penso che oggi sia possibile, e dunque doveroso, un risorgere economico, morale, civile». Una visione positiva che trova ragione nella storia. «Il quadro storico dei nostri giorni è profondamente diverso da quello antico - racconta - tuttavia le difficoltà e le incertezze di oggi gettano sul futuro ombre non meno dense di quelle che agitarono il mondo ai tempi di Marco Aurelio. In questo contesto la Storia ha chiamato a guidare l' America Barack Obama. Il suo destino e la sua viva testimonianza mi hanno suscitato forte emozione e un' ammirazione che fino a oggi avevo provato soltanto dinanzi alla figura di Marco Aurelio, l' imperatore che fu responsabile dei destini di tutto il mondo allora conosciuto». Per condividere questa visione, Cucinelli ha regalato ai suoi collaboratori, agli amici e alle persone con cui dialoga quotidianamente, i Pensieri di Marco Aurelio, i discorsi di Barack Obama e un quaderno di "Riflessioni" in cui lo stesso Cucinelli immagina un dialogo tra i due grandi statisti.

domenica 11 ottobre 2009

Italia una società bloccata

IRENE TINAGLI

Cosa spinge le persone a studiare, lavorare e impegnarsi ogni giorno per fare sempre un po’ di più? È la speranza di poter garantire a se stessi e ai propri figli un futuro migliore. Una speranza che si realizza quando in un Paese esiste mobilità sociale. È questa prospettiva di crescita personale che fa muovere un Paese, che stimola le persone a imparare, a produrre e a creare ricchezza, non l’obiettivo della pensione o quello di ridurre il debito pubblico.

Eppure, noi ci preoccupiamo solo delle pensioni e di escamotage contabili per far tornare i conti. Legittimo, anche questo è necessario. Ma abbiamo smesso di preoccuparci di ciò che davvero contribuisce alla costruzione del futuro, di quello che i cittadini sperano, sognano, temono. Abbiamo dismesso le loro paure, bollandole come «psicologiche», irrilevanti. Così facendo abbiamo commesso due gravi errori. Primo, abbiamo dimenticato quello che ormai tutti gli economisti sanno: che sono proprio le percezioni e i fattori psicologici che alla fine determinano le scelte e i comportamenti economici delle persone. Se le persone sono convinte che qualsiasi cosa facciano sarà inutile ai fini della loro crescita personale, smetteranno di investire in se stesse, di impegnarsi nello studio o nel lavoro che fanno.

Secondo, abbiamo rinunciato ad analizzare e capire la realtà in cui vive il Paese. Il sentire delle persone non nasce dal nulla, nasce da esperienze concrete e dalle dinamiche sociali ed economiche. È importante cogliere questi fenomeni con tempismo per adottare politiche e interventi adeguati. Un’analisi approfondita di queste dinamiche mostra che l’Italia è in effetti un Paese bloccato e che il rallentamento della mobilità sociale non è una percezione infondata. È invece legato a problemi reali del nostro sistema economico e sociale che si sono acutizzati nel tempo. Negli ultimi anni in Italia sono aumentate le diseguaglianze, e la povertà si è diffusa tra i giovani e le famiglie con i bambini piccoli, tanto che oggi l’Italia è il Paese europeo con il più alto tasso di bambini a rischio di povertà. Non solo, ma l’Italia è anche uno dei Paesi in cui è più difficile uscire dal disagio. Questi sono tutti elementi che rendono la nostra società sempre più rigida e difficile da «scalare». Una società in cui la famiglia di origine è sempre più determinante nell’accesso alle opportunità e nella probabilità di successo delle nuove generazioni. Abbiamo uno dei tassi di «ereditarietà» della ricchezza più alti d’Europa: i dati sull’elasticità dei redditi tra padri e figli ci dicono che in Italia circa il 50% del differenziale di ricchezza dei genitori si trasmette ai figli, un dato altissimo se confrontato con altri Paesi europei in cui si aggira attorno al 20%.

Cosa significa questo? Significa che i figli dei ricchi tendono a restare ricchi e i figli dei poveri tendono a restare poveri. Non solo, ma è sempre più difficile per i ragazzi nati in famiglie umili avere la possibilità o la forza di riscattarsi. In Italia la probabilità che un giovane con padre non diplomato si laurei è solo del 10%, contro oltre il 40% dell’Inghilterra e il 35% della Francia, per fare un esempio. Questo ci dice che milioni di giovani in Italia stanno gettando la spugna. La situazione è particolarmente allarmante perché non esiste in Italia nessun piano o misura che si proponga di affrontare il problema in modo strategico e sistematico. Ed è proprio questo quello che più di ogni altra cosa ci distingue rispetto ad altri Paesi. Infatti, l’irrigidimento della società è un problema che non riguarda solo noi ma che, in vario grado e misura, caratterizza anche altri Paesi industrializzati come Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti. Tuttavia in questi Paesi esiste una consapevolezza maggiore verso questi temi, che ha portato all’adozione di misure strutturali volte a recuperare dinamismo e restituire opportunità a ceti sempre più esclusi. Una strategia che in Italia manca completamente.

Ma quali sono le politiche attivabili per riattivare la mobilità sociale di un Paese? Da un lato politiche sociali efficaci per garantire a cittadini di ogni provenienza sociale pari accesso alle opportunità di crescita, dall’altro un sistema economico in grado di riconoscere i meriti e dare modo a chi è bravo di far carriera. I Paesi che stanno cercando di recuperare mobilità sociale intervengono in queste direzioni, soprattutto in quella su cui sono più carenti. Per esempio Inghilterra e Stati Uniti, che tradizionalmente hanno privilegiato i meccanismi meritocratici di mercato, stanno investendo pesantemente in politiche sociali per restituire ai ceti più deboli opportunità di crescere e migliorarsi. L’Italia invece è debole su entrambi i fronti. Ha un sistema economico ancora molto ingessato da protezioni di vario genere, e una spesa sociale dominata per il 60% dalle pensioni che non lascia spazio per lo sviluppo dei bambini, per i giovani, e per tutti quei servizi che aiutano le giovani famiglie a conciliare lavoro e carriera e a crescere. Possiamo continuare ad ignorare il problema e ad evitare le necessarie riforme ed investimenti, ma dobbiamo allora essere pronti a subirne le conseguenze. Conseguenze che sono visibili già oggi, ma che saranno ancora più gravi tra qualche anno. Perché se i dieci milioni di bambini e ragazzi che ci sono oggi in Italia non avranno l’opportunità o la motivazione di studiare, impegnarsi e migliorarsi, non riusciranno ad avere le competenze necessarie per competere su un mercato del lavoro sempre più agguerrito e globalizzato. E se non saranno competitivi loro, non lo sarà nemmeno l’Italia.

sabato 10 ottobre 2009

Scendere in piazza

Abbiamo sempre avuto, dall'inizio della civiltà, il bisogno di socializzare. Abbiamo costruito spazi comuni (la città, il paese, il quartiere) dove ci si conosceva quasi tutti. Poi, con le macchine e una nuova cultura, è arrivato l'isolamento. Ma è già in corso una rivoluzione globale: il ritorno alla comunità. Digitale.
Per millenni la vita si è svolta nelle piazze, nelle terme, nelle cattedrali, nelle botteghe e nei salotti. Poi le macchine e la società industriale hanno provocato una rarefazione delle relazioni umane, come aveva profetizzato già nell'Ottocento Alexis de Tocqueville: "Vedo una folla smisurata di esseri tutti uguali fra loro, che volteggiano su se stessi per procurarsi piccoli e mescini piaceri. Ognuno, ritiratosi in disparte, è come straniero a tutti gli altri". Con l'avvento dell'informatica, rivive lo spirito comunitario che sonnecchiava nel nostro inconscio e si concretizza in network come Facebook, dove lo scambio di informazioni e di emozioni ricrea lo spirito dell'antico agorà.

domenica 4 ottobre 2009

Le crisi

”Non pretendiamo che le cose cambino, se facciamo sempre la stessa cosa. La crisi è la migliore benedizione che può arrivare a persone e nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dalle difficoltà nello stesso modo che il giorno nasce dalla notte oscura. È dalla crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i propri insuccessi e disagi, inibisce il proprio talento e ha più rispetto dei problemi che delle soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza. La convenienza delle persone e delle nazioni è di trovare soluzioni e vie d’uscita. Senza crisi non ci sono sfide, e senza sfida la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non ci sono meriti. È dalla crisi che affiora il meglio di ciascuno, poiché senza crisi ogni vento è una carezza. Parlare della crisi significa promuoverla e non nominarla vuol dire esaltare il conformismo. Invece di ciò dobbiamo lavorare duro. Terminiamo definitivamente con l’unica crisi che ci minaccia, cioè la tragedia di non voler lottare per superarla”.

Albert Einstein

venerdì 2 ottobre 2009

Il senso civico è uno stock di capitale

Con l'aiuto del premio Nobel Joseph Stiglitz, il governo Sarkozy ha elaborato dei nuovi criteri per valutare la performance di un'economia nazionale. Il prodotto interno lordo - si sa - è una misura molto approssimativa della ricchezza prodotta ogni anno. Non tiene conto del valore aggiunto non retribuito (per esempio i manicaretti fatti in casa, mentre conteggia quelli comprati al ristorante), del valore del tempo libero, dell'inquinamento prodotto. Anche se il risultato raggiunto dalla commissione Stiglitz è molto al di sotto della fanfara con cui è stato presentato, l'iniziativa è meritevole. Non tanto perché solletica l'orgoglio dei francesi, che guarda caso risultano molto più in alto nella classifica internazionale calcolata secondo i nuovi criteri, ma perché cerca di combattere alcune distorsioni prodotte da misure imperfette.

L'accountability tanto nel settore pubblico come in quello privato è un fatto molto importante e così sono gli incentivi volti a motivare le persone a conseguire dei risultati. Quando l'obiettivo da conseguire non è facilmente misurabile (come accade nella quasi totalità dei casi), però, l'accountability ha un lato oscuro: crea incentivi a massimizzare non l'obiettivo finale, ma la misura dell'obiettivo. Il manager pagato in base ai profitti annuali massimizzerà i profitti annuali, anche a costo di ridurre il valore dell'impresa. L'insegnante valutato sulla base dei risultati dei test degli studenti insegnerà come fare meglio nel test, anche a scapito dell'educazione dei ragazzi, e così via.

Questa distorsione è presente non solo quando esiste un vero e proprio contratto di incentivo, ma anche quando un manager o un politico sa di essere valutato dall'opinione pubblica sulla base di alcuni parametri. In dibattiti e campagne elettorali, la performance di un governo è misurata sulla base di misure imperfette: la crescita del Pil, il livello di inflazione, il livello di disoccupazione, il deficit pubblico. Non a caso tutti i governi (chi più, chi meno) hanno sempre cercato di manipolare queste statistiche, anticipando le entrate e posticipando le spese, escludendo alcuni beni da imposte o rincari per ridurre l'inflazione misurata, eccetera.

La creazione di misure alternative serve a ridurre gli incentivi a manipolare gli indicatori a spese dei risultati. Il manager che è pagato non solo in base ai profitti di quest'anno ma anche al valore creato sul lungo periodo avrà meno incentivi a sacrificare l'uno per l'altro. Ben vengano quindi misure alternative di performance nazionale, che aiutino a ridurre il focus dei politici su obiettivi di breve periodo, a scapito di quelli di lungo.

A questo riguardo mi permetto di aggiungere un utile indicatore, non presente nelle proposte di Stiglitz: un indicatore del senso civico di una popolazione. Se in Svezia la gente paga le tasse, rispetta le code, e non butta le carte per terra, non è perché gli svedesi sono geneticamente superiori, ma perché nei decenni (se non nei secoli) hanno accumulato dei valori e delle aspettative che inducono gli abitanti a comportarsi in questo modo virtuoso. La scuola ha insegnato loro l'importanza di questi comportamenti per il bene collettivo e l'esperienza quotidiana li ha educati sui costi sociali e legali di deviare da questi comportamenti virtuosi. Se gli americani non parcheggiano illegalmente non è perché sono più onesti, ma perché l'esperienza ha loro insegnato che ogni qualvolta lo fanno vengono severamente puniti. Nel tempo questo atteggiamento diventa un'abitudine e persiste anche in assenza di una punizione. Ad esempio alcuni ricercatori hanno scoperto che il numero di parcheggi illegali effettuati dai rappresentanti nazionali all'Onu di New York (che godono del beneficio della extraterritorialità e quindi non devono pagare le multe) sono molto diversi a seconda del paese di provenienza. I rappresentanti svedesi non parcheggiano mai illegalmente mentre quelli italiani vantano la bellezza di 14,6 infrazioni per ogni diplomatico.

Questo senso civico è equiparabile ad uno stock di capitale, non fisico, ma virtuale, che caratterizza una società. Questo capitale si traduce in una migliore performance da tutti i punti di vista. In paesi dove il capitale civico è più elevato, l'amministrazione pubblica funziona meglio, i beni pubblici sono meglio conservati, l'economia prospera, l'ordine pubblico viene assicurato a più basso costo.

È tanto più importante misurare questo capitale, perché si tratta di uno stock che viene accumulato molto lentamente, ma può venire dissipato molto rapidamente. Ci vogliono alcune generazioni perché gli immigrati in America raggiungano il livello di senso civico dell'americano medio. Ma se ci vogliono generazioni per migliorare, si può peggiorare molto rapidamente. Sacrificare l'interesse particolare per il bene collettivo è costoso, ed è sostenibile solo quando viene percepita come una norma comune. Senza questa convinzione la stragrande maggioranza dei cittadini finisce per ignorare il bene collettivo.

Proprio perché questo prezioso capitale è a rischio di un deprezzamento rapido sarebbe utile misurarlo regolarmente, affinché possa diventare uno degli indicatori della performance di un governo. Prendete lo scudo fiscale approvato ieri dalla Camera con la fiducia. Valutato secondo i parametri tradizionali rappresenta una manovra brillante: riduce il deficit, senza aumentare le tasse. Ma come impatta il nostro capitale civico? Affrancando per pochi euro evasioni fiscali e reati contabili, questa legge rafforza la percezione che in Italia ad essere onesti siano solo i fessi. Forse questa percezione esisteva già e il ministro Tremonti - che confida nel successo del provvedimento - non ha fatto altro che trarne le logiche conseguenze, ma senza una misura del danno, la tentazione di deprezzare il capitale civico per un vantaggio immediato diventa irresistibile. A pagare il conto saranno le generazioni future: un conto più elevato del debito pubblico che lo scudo aiuta a ridurre.

1 Ottobre 2009 - Luigi Zingales - Il Sole 24ore