Le affinità fra il modello olivettiano e quello cooperativo
di Mauro Casadio Farolfi
Parte da Imola una riflessione sull’attualità del modello aziendale dell’imprenditore Adriano Olivetti e sulle sue affinità con i valori espressi dalla cooperazione industriale. Imola è certo la sede naturale di tale riflessione, per il suo imponente contributo alla storia del mondo cooperativo e per essere sede, da un lustro, dei convegni organizzati dall’associazione Città dell’uomo sul pensiero del grande imprenditore di Ivrea.
Mauro Casadio Farolfi, è ideatore e fondatore dell’associazione Città dell’Uomo di Imola. Casadio Farolfi, qual è l’attualità del pensiero di Adriano Olivetti?
«Lo stile aziendale olivettiano era innanzitutto basato sulla valorizzazione delle risorse umane e più in generale dei fattori immateriali dell’impresa, su un fecondo rapporto fra azienda e cultura e sull’interrelazione tra impresa e la sua responsabilità sociale ed etica con il territorio. Sono temi di un dibattito da alcuni anni avviato in molte imprese private e cooperative. Le imprese cooperative industriali, a partire da quelle presenti nel nostro polo economico possono trovare nel confronto con l’esperienza olivettiana nuovi riferimenti etici, aggiornando quei valori di mutualità e solidarismo che caratterizzarono la loro origine».
Ma Olivetti fu un industriale, non un cooperatore.
«Fu un grande industriale che intese l’azienda come centro di una comunità che saldasse uomini, lavoro e cultura. Nella visione di Adriano Olivetti l’impresa è motore di sviluppo economico e sociale della comunità, è cuore produttivo e centro di diffusione di valori etici per la persona e per la comunità. La sua era una cultura imprenditoriale costruita su forti convinzioni riformiste e solidaristiche, con una forte influenza da parte del padre socialista di origini ebree e della madre di fede valdese. Il suo pensiero politico, alimentato sempre da valori di origine spirituali liberi da dogmi, ebbe una pluralità di riferimenti storici e culturali: da Jacques Maritain a Emmanuel Mounier, da Simon Weil ad Altiero Spinelli. Fondamentali nella visione olivettiana furono le esperienze di comunità di Robert Owen e il pensiero di Lewis Mumfod, precursore del federalismo».
Ma come fece ad applicare la sua «utopia concreta»?
«La principale aspirazione di Adriano Olivetti fu di sperimentare il connubio tra etica e produzione, di coniugare modernizzazione e umanesimo. Per giungervi fondò un modello industriale che al lavoro affiancò servizi socio-assistenziali e il varo di una rivista e di un movimento politico fregiati dell’identico nome “comunità”. Una “comunità concreta”, ossia un raggruppamento di forze sociali, individualizzato storicamente, geograficamente ed economicamente, che fosse in grado di soddisfare con la propria azione collettiva i bisogni essenziali dell’uomo: il lavoro, l’abitato, la cultura, il tempo libero, l’ambiente. L’esperienza di Olivetti ebbe anche un altro enorme merito: mirò a valorizzare le competenze culturali dei tanti storici, sociologi, urbanisti ed esperti del design che trovarono nell’azienda una sorta di fucina in cui forgiare le proprie idee e, grazie all’apporto delle menti più evolute nei rispettivi ambiti, una vera agorà utile all’impresa e alla società per un rinnovamento quotidiano. Attorno a Olivetti crebbe in tal modo un’intera generazione di uomini che hanno in seguito caratterizzato fortemente il terreno culturale dell’Italia repubblicana, una generazione tutt’oggi molto attiva che ha tramandato alle generazioni successive gli ideali di quell’esperienza».
Dunque un’alternativa ai modelli dominanti?
«L’impianto ideologico che sorreggeva il progetto olivettiano L’Associazione Città dell’Uomo affronta «l’utopia concreta» del grande imprenditore con la visione etica e mutualistica della cooperazione industriale. Superare le dualità dipendente-socio e capitale-lavoro nel rilancio di una nuova fase economica era quello di fondare una “terza via” tra liberalismo e socialismo di stato. Questa “terza via” mirava a conservare le linfe migliori dei modelli economici già sperimentati, a preservare dunque sia il liberalismo e sia il socialismo, coniugandoli in uno stampo aziendale dove al centro ci fosse l’uomo.
Per Olivetti il capitalismo basato su un liberismo senza regole era “cieco”, per cui pensò che fosse necessario far convivere nella società capitalismo d’impresa, socialismo fabiano e democrazia partecipata. L’ideazione di quel percorso e la sua attuazione pratica sono movimenti di squisita natura “politica”. L’idea olivettiana fu idea politica nel senso pieno del termine, rivolta cioè alla “polis”, alla “comunità”, cui egli intendeva fornire un centro forte: l’azienda».
Ma arriviamo alla cooperazione.
«L’origine del movimento cooperativo industriale imolese fu caratterizzato dalla forte influenza politica e culturale di Andrea Costa e quindi del pensiero socialista, cui si affiancarono influenze di uomini con impronta politica liberale e cattolica che avviarono cooperative in vari settori e fecero del polo cooperativo imolese un unicum per pluralità d’esperienze. Centrale per una riflessione su quest’aspetto di mescolanza di cultura politica è la collocazione del polo imolese in un modello economico e sociale, quello dell’Emilia Romagna, dove da oltre un secolo uomini e idee si sono fatti portatori di un processo di governo riformatore di impronta cattolica, liberale, socialista. La storia dell’economia della nostra regione ha suscitato l’interesse di molti studiosi europei ed anche di premi Nobel per l’economia, come l’americano Joseph Stiglitz e il premio Nobel Amartya Sen. La ricerca e l’innovazione delle imprese cooperative devono andare di pari passo con la cultura della cooperazione, aggiornata e calata nelle esigenze e nelle sfide attuali, mantenendo l’impegno anche sugli aspetti dell’etica e dei valori base fondanti. La cooperazione nazionale può rappresentare una valida proposta imprenditoriale con una missione basata sul principio di partecipazione del lavoratore alla conduzione dell’impresa, capace nello stesso tempo di competere sui mercati mondiali».
Etica e competitività possono coesistere?
«Al centro del pensiero economico e sociale olivettiano c’è un’etica di impresa che non mira solamente al profitto, ma rispetta il legame profondo con la società civile. Al fianco di una buona redditività deve esserci, per qualsiasi impresa, una vocazione umanistica del lavoro, che non si esprime solamente in un taylorismo dal volto umano ma in una concezione più ampia. Era evidente in Olivetti l’aspirazione a un’impresa etica che per rafforzarsi ed espandersi necessitava di un coinvolgimento più ampio del sistema economico, sociale e anche politico sull’intero territorio nazionale. L’impianto del pensiero olivettiano si basa su alcuni pilastri forti e fra loro conseguenti: la persona, la comunità, l’impresa socialmente responsabile e non ultimo il federalismo. In Olivetti non c’era alcun desiderio di un ritorno a una visione romantica della comunità, bensì la costruzione di una comunità aperta, moderna rivolta prevalentemente al futuro. C’era in lui una forte attenzione per la ricerca di un modello aziendale partecipativo, non antagonista, dove i lavoratori a tutti i livelli devono avere un ruolo nei processi decisionali».
In che modo, oggi?
«Parlando di cooperative, occorre valorizzare la crescita culturale e professionale del management e più in generale delle modalità di selezione della classe dirigente cooperativa, occorre rendere condivisi e compartecipati dai singoli lavoratori i comportamenti etici dell’impresa cooperativa, nel rispetto della persona. Occorre trasferire nelle persone quelle “tracce di comunità” presenti nelle cooperative affinché siano consapevoli e protagonisti di un processo collettivo di trasformazione dell’economia, soggetti attivi per una comunità concreta. Il dibattito sulla cooperazione e le sue prospettive non può prescindere da alcuni nuovi interrogativi per estendersi al di fuori dei distretti storici, come quello imolese, per proporsi come modello economico e sociale valido in tantissimi comparti imprenditoriali e affiancarsi con proprie modalità alle imprese private e pubbliche».
Imprese private e imprese cooperative?
«Una cooperazione di tipo nuovo e un capitalismo di stampo etico devono insieme affrontare le sfide del futuro ssumendo processi di innovazione e modernizzazione anche nei rispettivi processi di “governance”, di codici aziendali spesso superati, utilizzando, però, tutti i nuovi strumenti che il mercato mette a disposizione. Tra questi l’accesso in borsa anche per alcune cooperative, attraverso forme societarie che possono essere quotate, ma pur sempre gestite con l’obiettivo finale di perseguire i propri fini sociali e mutualistici. La trasformazione del capitalismo da industriale a finanziario, sempre più accentuato negli ultimi decenni, fu una delle cause, insieme alla improvvisa morte a soli 59 anni di Adriano, del declino della Olivetti e rappresenta tutt’ora una sfida e nel contempo un’opportunità per le imprese private e cooperative in continua evoluzione verso un capitalismo finanziario sempre più aggressivo e senza regole. La finanziarizzazione dei mercati va affermando la preminenza dell’economia speculativa su quella produttiva e sociale e ciò richiede che tutti noi adottiamo un nuovo paradigma di lettura, compiendo ulteriori riflessioni sul capitalismo “senza volto e nomade” e su quali misure fiscali siano possibili senza attivare semplicistiche quanto impossibili barriere di protezionismo».
MAURO CASADIO FAROLFI
«Quattro anni con Olivetti» è il titolo del volume appena pubblicato e curato da Antonio Castronuovo e Mauro Casadio Farolfi (Editrice La Mandragora, Imola), che raccoglie gli atti dei convegni organizzati dal 2004 al 2007 dall’associazione Città dell’Uomo e dedicati al pensiero del grande industriale Adriano Olivetti. Il libro si completa con le interviste di alcune figure di spicco dell’imprenditoria (e del mondo cooperativo): Ludovico Acerbis, Alberto Alessi, Benito Benati, Federica Ghetti, Marino Golinelli, Adolfo Guzzini, Enrico Loccioni, Marco Roveda, Stefano Venturi, Romano Volta.