domenica 23 settembre 2012

Il social media logora chi non ce l'ha

Il mondo è diventato comunicazione, chi non ha accesso ai nuovi strumenti
è tagliato fuori

Perché si parla tanto di social media (da domani al centro di una manifestazione internazionale che per l’Italia sarà ospitata a Torino)?

Circa vent’anni fa l’inventore del web, Tim Berners-Lee, progettò il web in modo che fosse strutturalmente «read/write», ovvero, «leggi/scrivi». In altre parole, il web nasce come una biblioteca i cui scaffali possono essere arricchiti da chiunque voglia contribuire, senza filtri all’ingresso. E non solo con libri e riviste, ma anche con diari, manifesti, lettere, fogli sparsi e semplici bigliettini. Si tratta di un cambiamento radicale del concetto tradizionale di «pubblicazione», un cambiamento col quale stiamo facendo ancora i conti.

Per pubblicare su Internet, però, occorre avere a disposizione un computer specializzato detto server web. Poiché purtroppo non è agevole avere un proprio server, a inizio secolo alcuni imprenditori iniziano a offrire spazio - a basso costo o addirittura gratuitamente - sui propri server. Per gli utenti è come accedere a scaffali gratuiti invece di doversene procurare di propri, una semplificazione molto gradita. Nascono quindi le prime piattaforme online che nel giro di pochi anni permettono dapprima la rapida diffusione dei blog e poi anche di fotografie e video. Naturalmente il servizio gratuito comporta rischi - incluso quello che lo scaffale scompaia all’improvviso o che il proprietario sorvegli, o magari reprima, le attività degli utenti - ma è innegabile che grazie alle piattaforme centinaia di milioni di persone sono riuscite a far sentire la propria voce online.

Negli ultimi anni avvengono due ulteriori svolte che portano alla situazione attuale. La prima è basata sul fatto che molte persone hanno almeno saltuariamente il desiderio di comunicare qualcosa di breve, come la segnalazione di un libro o di un link web, un commento o una notizia. Insomma, di inviare qualcosa che potremmo chiamare sms pubblici. Nascono quindi le piattaforme di «microblogging», tra cui le più famose sono oggi Twitter (circa 150 milioni di utenti attivi) e, con funzionalità più potenti, Tumblr (circa 65 milioni di microblog).

A questo sviluppo se ne affianca un secondo, ancora più rilevante, ovvero, l’aspetto sociale. A tutti, infatti, piace (anche per contrastare il sovraccarico informativo) concentrare l’attenzione su persone che per un qualche motivo interessano - che siano amici, conoscenti o persone famose - e a tutti piace avere canali per raggiungere la propria cerchia (o, meglio ancora, cerchie) di contatti. Questo desiderio è alla base del successo sia delle già menzionate piattaforme di microblogging, che sono tutte in qualche modo sociali, sia delle piattaforme più specificamente sociali come Facebook.
Grazie a questi strumenti, chiamati complessivamente «media sociali», e grazie anche ai sempre più diffusi smartphone, comunicare non è mai stato così facile, anche se spesso la comunicazione si riduce a un semplice «mi piace» o a un «retweet».

Le conseguenze sono pervasive. Dall’ambito personale da cui erano partiti, i media sociali sono ormai strumenti di informazione scientifica, di attività politica, di diplomazia internazionale, di pubblica amministrazione, di lavoro, di cultura, di marketing nonché di formazione della pubblica opinione. Discussioni che una volta si svolgevano esclusivamente nei bar (o nelle mailing list), ora si articolano anche su Twitter o su Facebook - con forti limiti, ma anche con una vitalità spesso straordinaria.

Con la consueta, ferrea transizione dal «si può» al «si deve» che caratterizza la tecnologia, sta quindi diventando difficile non avere una presenza «social», così come in precedenza, per restare ad anni recenti, era diventato difficile non avere un telefono cellulare. Ciò vale per aziende e istituzioni, ma anche per un numero crescente di individui, fosse anche solo per migliorare le proprie prospettive lavorative: molti datori di lavoro, infatti, usano i media sociali per trovare le persone di cui hanno bisogno (e viceversa). La chiave per affrontare questo cambiamento è triplice: chiarire i propri obiettivi comunicativi; informarsi sugli strumenti che si intende usare, e infine - e soprattutto - provare. Perché - più ancora che per altri aspetti del web - solo sperimentando di persona si riescono veramente a capire potenzialità e limiti di questi strumenti, che ormai sono diventati parti essenziali dell’esperienza digitale.

JUAN CARLOS DE MARTIN - La Stampa

sabato 22 settembre 2012

Social network e lavoro: uno "slalom" fra personal branding, reputazione digitale e consapevolezza del valore del lavoro


Social network e lavoro. Una relazione nuova, ricca di potenzialità ma spesso ancora da comprendere e da esplorare. Ne avevo già scritto qui e provo di nuovo a tornare sul tema. Storie di successo ce ne sono, ovvero di chi attraverso i social network ha saputo trovare la propria strada, ma il web è anche un luogo in continuo divenire, dove le figure professionali devono ancora consolidarsi così come la mentalità delle aziende e dei candidati che scelgono di lavorare sul web o di trovare lavoro attraverso il web, due cose non necessariamente coincidenti. Provo a mettere un po’ di carne al fuoco segnalando in modo volutamente descrittivo alcune storie e spazi che ho avuto modo di conoscere dopo il mio post di giugno. Andiamo con ordine. Subito dopo quel post mi ha contattata Luna Margherita per segnalarmi il suo caso di successo lavorativo grazie alla rete, alle sue capacità di farsi imprenditrice della propria immagine e di osare con ironia. Luna Margherita, infatti, attraverso il gruppo Facebook “No Free Jobs” (di cui parlerò più avanti) ha trovato un’offerta di lavoro per Husqvarna Italia, si è candidata ed è stata reclutata. Ho provato a farle qualche domanda.
Come sei venuta in contatto dell'offerta Husqvarna e come hai promosso la tua candidatura?
Grazie ai Nomadi Digitali ho saputo dell'esistenza dei ragazzi di NoFreeJobs; pochi giorni dopo ho visto un loro post in cui commentavano questa iniziativa di Husqvarna: €2200 al mese per guardare un tosaerba automatico, richiesta un'approfondita conoscenza dei social media.
Incuriosita, ho cercato ulteriori informazioni ma c'era poco online: semplicemente la foto del tosaerba automatico e l'ormai famoso claim "Pigri si diventa".
Per accedere alle selezioni era necessario caricare una videopresentazione di un minuto, alla quale non ho resistito: nell'ultimo anno, infatti, mi sono specializzata in "video stupidini che cambieranno il mondo" - in cui mi sdoppio e mi triplico e creo dialoghi surreali con me stessa che vanno a scandagliare le mie paure, i miei desideri e le mie aspettative. Ultimo di questi video, un tutorial su come trovare lavoro grazie alla Timeline di Facebook: paradossalmente, questo video è stato utilizzato anche da Adecco Italia.
Dopo aver caricato la videocandidatura nel mio canale Youtube le visualizzazioni sono salite, grazie agli adorati iscritti al mio canale (che ringrazio di cuore). In più attraverso la newsletter del mio blogTwitter Facebook si è iniziata a spargere la voce e Husqvarna mi ha chiamata per un colloquio: lì ho capito che avrei dovuto prenotare un volo e iniziare a contattare le agenzie immobiliari di Altavilla Vicentina, perché c'erano buone probabilità che sarei dovuta rientrare in Italia.

Cosa ti ha dato questa esperienza? Costa stai facendo adesso?
Già prima di iniziare avevo intuito che questa esperienza avrebbe segnato la mia vita professionale: ora la gente mi saluta per strada dicendomi "Ehi, ma tu sei la pigra!"...al di là di questo aspetto simpatico, Husqvarna si è dimostrata un'azienda solida, sana e in crescita; hanno avuto il coraggio e la lungimiranza di associare il loro nome al mio volto e molte persone si sono rivolte all'azienda parlando direttamente con me, hanno conosciuto attraverso i video come sono gli uffici, come si lavora lì dentro...si è creato un ponte diretto tra utenti e azienda e credo sia proprio questo il senso della presenza di colossi del mercato nei social media. Addirittura diversi clienti mi hanno invitata ad andarli a trovare e conoscere i loro tosaerba! Sono molto affascinata da questo processo di "umanizzazione" dell'azienda e del prodotto, che sta avvenendo in tempi lampo.
Dopo l'esperienza con Husqvarna approfondirò la mia conoscenza dei social media attraverso dei corsi; professionalmente sono stata contattata da un'agenzia di comunicazione e da una radio locale, ma la proposta che mi interessa di più è quella di un'altra multinazionale...ancora preferisco non dire niente! Continuerò senza dubbio a fare la spola tra Italia e Inghilterra, con presenza fissa su YouTube, Facebook e Twitter e sicuramente lavorerò come graphic designer freelance, la mia prima passione e professione.
Il mio sogno nel cassetto è creare una figura professionale trasversale, che unisca le mie conoscenze teoriche e tecniche di comunicazione, passando dal video, alla fotografia, alla grafica, applicate nel mondo dei social media; il tutto condito dalla mia personalità, che non nascondo mai!

Che formazione hai? Come ti sei avvicinata al mondo dei social media?
Dopo aver conseguito una triennale in Graphic Design al Centro Sperimentale Design Poliarte di Ancona, ho sentito l'esigenza di ampliare le mie conoscenze e di cercare un approccio meno tecnico ai progetti: il mio interesse era rivolto soprattutto alla fase progettuale creativa, più che all'esecuzione.
Ho iniziato a scandagliare l'offerta formativa delle più importanti università europee, alla ricerca di qualcosa che mi permettesse non tanto di specializzarmi in uno specifico ramo del design, bensì un tipo di formazione ad ampio raggio che neanche io sapevo definire.
Ho trovato esattamente quello cercavo nel Master in Applied Imagination in the Creative Industries al Central Saint Martins College of Arts&Design di Londra. Un Master a cui accedono studenti da tutto il mondo, provenienti da background culturali molto variegati: i miei compagni erano ingegneri, designer, architetti, musicisti, laureati in economia...
Quello che ho imparato da questo Master è che non c'è niente che non possa essere portato a termine, indipendentemente dalla tua formazione: il mio progetto di tesi era un'applicazione iPhone basata sui baci e sul geotagging, in cui i social media erano il punto di forza per il broadcasting. Insieme al Dott. Beau Lotto, Neuroscienziato Presidente del LottoLab dello Science Museum di Londra, ho iniziato ad analizzare la natura dei social media e da lì è cambiato il mio approccio con questi mezzi che da sempre mi hanno affascinata, ma che mai avevo preso in considerazione professionalmente. Ora anche questo progetto si è evoluto e sta prendendo un'altra forma, che spero potrete tutti vedere presto.

Si tratta certo di un caso particolare, ma di storie analoghe se ne possono trovare diverse, come quella segnalata anche da Giovanna Cosenza sul suo blog il cui comun denominatore sembra essere in primo luogo la voglia di osare, di mettersi in gioco e di essere convinti nei propri mezzi (nonchè in quelli del web).
No Free Jobs è un’iniziativa nata quasi un anno da un hashtag Twitter ideato da Cristina Simone  e che è diventato poi “un movimento di sensibilizzazione contro il lavoro gratuito”, come si legge sul sito di Cristina, con una pagina Facebook e un profilo Twitter. Ho chiesto a Cristina di raccontare sinteticamente il progetto:
Puoi fare un bilancio di No free jobs?
No Free Jobs è un'iniziativa nata davvero per caso che, purtroppo, ha raggiunto l'interesse di tante persone online e offline. "Dico "purtroppo" perché non mi aspettavo che tante persone fossero entrate in contatto con offerte di lavoro di questo tipo. In questi mesi, quasi un anno a novembre, l’interesse non è scemato e ancora oggi sono tante le segnalazioni di proposte di lavoro indecenti che ci arrivano via Twitter, Facebook o e-mail.
Ma non solo segnalazioni in negativo, perché qualche mese fa avevamo segnalato sui nostri social network l’iniziativa di Husqvarna e una nostra follower, Luna Margherita, aveva visto l’annuncio e possiamo dire che, anche grazie a noi, ha trovato lavoro. Inoltre, la cosa che più ci piace è il fatto che tanti ci vedono come un sostegno morale e ci scrivono per sfogarsi o semplicemente per raccontare la loro esperienza, proprio come si fa con gli amici offline.

Ritenete che iniziative come la vostra siano utili per sensibilizzare su un tema importante come questo? Avete in mente altri progetti?
Cambiare le abitudini è la cosa più difficile e questo vale anche in campo lavorativo. Riuscire ad eliminare la pratica di offrire posti di lavoro senza salario è un’impresa ardua, ma la sensibilizzazione viene prima di ogni cosa. È importante far capire, soprattutto, ai giovani che si approcciano per la prima volta al mondo del lavoro quanto sia negativo accettare lavori che non prevedono almeno un rimborso spese.
Rispetto ai progetti per il futuro a lungo termine ci piacerebbe collaborare con le aziende che sposano la nostra causa “no free jobs” e come progetto a breve termine stiamo cercando di candidare #nofreejobs come hashtag dell’anno per i Macchianera Awards 2012 [obiettivo non raggiunto n.d.r.].

La funzione dei social network non si esaurisce nel cercare lavoro e nel mostrare il proprio talento. Fare network, cercare e trovare supporto sembrano infatti, in un momento di forte transizione e crisi nel mondo del lavoro, costituire il loro valore aggiunto, insieme alla possibilità di crearsi una “reputazione digitale”.
Grazie a Roberto Favini ho conosciuto il gruppo LinkedIn JOB SEEKER ITALY - CERCO LAVORO IN ITALIA ideato da Enrico Filippucci, proprietario, manager e promotore del gruppo, che conta oltre 45.000 utenti e numerosi sottogruppi locali. Nel gruppo non ci sono solo segnalazioni di annunci, ma anche scambi di esperienze, consigli su come gestire al meglio la propria presenza su LinkedIn o il proprio CV. Per saperne di più ho parlato con uno dei moderatori più attivi, Paolo Bruno a cui ho posto alcune domande anche sugli effetti controproducenti che l’uso dei social network può avere a livello lavorativo.

Parliamo di LinkedIn: quanto può essere utile oggi per trovare un nuovo lavoro?
LinkedIn è uno strumento e come tale deve essere utilizzato nel modo corretto. Se usato nel modo errato potrebbe anche risultare dannoso. Principalmente LinkedIn serve per farsi trovare, non per cercare lavoro - in questo caso esistono già sistemi ben più funzionali simil Monster.
LinkedIn è una parte fondamentale per alcuni settori, in particolar modo se utilizzato al fine di raccolta informazioni su aziende e persone.
Più del 50% delle aziende Italiane si appoggiano al Social Recruiting durante un processo di selezione e nel ben oltre 30% dei casi hanno concluso utilizzando esclusivamente i Social Media. E' la normale evoluzione tecnologica, prima si portava il CV a mano o si spediva per posta, poi sono arrivate le mail e i grandi database ed ora è il momento dei Social Media - ciò non comporta che gli altri sistemi siano scomparsi ovviamente.
Sicuramente Linkedin non è un sostituto del CV - e viceversa - ma si integrano a vicenda aiutando a migliorare la propria visibilità e digital reputation. La presenza in rete è fondamentale, tra due candidati con lo stesso profilo è quasi naturale che la scelta ricadrà su quello di cui abbiamo maggiori informazioni.

Quello che i candidati scrivono su Facebook e Twitter conta nella selezione operata dai recruiter? Possono sussistere secondo te discriminazioni? 
Sì, durante la fase di selezione conta, e non poco. Un buon 25% dei selezionatori scarta i candidati per i contenuti presenti su Facebook e Twitter. Le discriminazioni ci sono ma durante la fase di selezione sono impossibili da scovare. Per legge il sesso o l'età non sono fattori discriminanti all'atto della selezione di un candidato, è raro, però, che si venga a conoscenza dei motivi per cui il proprio profilo non è stato selezionato. Ogni Social Network ha una funzione diversa, ad esempio la stessa immagine su Facebook o LinkedIn può avere un peso differente, in ogni caso sarebbe meglio prestare attenzione ai contenuti che si pubblicano in funzione del tipo di lavoro che si desidera.
Per quanto riguarda il periodo post-assunzione, salvo casi eccezionali - tipo violazione delle policy aziendali - in Italia è praticamente impossibile licenziare per i contenuti presenti sul web. Per quanto riguarda le discriminazioni sul posto di lavoro, è difficilmente dimostrabile, ma è facile dedurre che se un dipendente è visibilmente alla ricerca di un nuovo lavoro difficilmente otterrà una promozione all'interno dell'azienda attuale.

Sei uno dei moderatore del gruppo LinkedIn "Job Seeker Italia", quali funzioni ha il gruppo?
Fa da tramite per l'offerta/ricerca lavoro e gli utenti possono sfruttare lo spazio per auto-candidarsi, aumentando la propria visibilità. Aziende, agenzie del lavoro, recruiter, Head Hunter inseriscono offerte di lavoro che cerco per quanto possibile di filtrare - l'immondizia non la vogliamo e non serve a nessuno. Parallelamente è anche un gruppo di discussione, visto l'argomento trattato alcuni post sono molto accesi, ne abbiamo molti con centinaia se non migliaia di interventi e commenti.
Il gruppo aiuta ed ha aiutato molte persone - I'm not user, I'm person - nella ricerca di un lavoro, nelle scelte di carriera, nel dissipare dubbi, in particolar modo grazie alla presenza di professionisti del settore e alla condivisione delle singole esperienze, favorendo anche la crescita del gruppo stesso.

Sei anche un "Job Angel", hai qualche consiglio sulla gestione della digital reputation da dare?
Già prima ho accennato alla Digital Reputation, argomento complesso e che andrebbe valutato singolarmente, non vale solo per i candidati ma anche per le Società di Selezione.
Un solo consiglio - tutto il resto lo trovate su Google: pianificate e programmate prima la vostra carriera e poi di conseguenza strutturate la presenza on-line. Immedesimatevi in un'azienda, voi siete la vostra azienda. Fareste mai marketing senza aver prima pianificato gli obiettivi? Ponetevi degli obiettivi e stabilite gli step per raggiungerli, piccoli passi, fate un vero e proprio business-plan. La Digital Reputation non è un fungo, spesso ci vogliono anni per ottenere risultati, chi prima inizia meglio si troverà in futuro.
Abbiate costanza, un profilo morto equivale al non averlo e non fermatevi al raggiungimento dell'obiettivo, potreste crollare da un momento all'altro.

Elisabetta Locatelli per Linkiesta
* Il post è stato aggiornato in data 20 settembre 2012.

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/blogs/galassia-zuckerberg-inattuali-dal-web/social-network-e-lavoro-uno-slalom-fra-personal-branding#ixzz27AvuJdDU

domenica 9 settembre 2012

I ristoranti nell'era di Groupon

Siamo nell’era di Internet 2.0 dove la comunicazione ormai è “glocal”, globale e locale allo stesso tempo, la mobilità e le app (applicazioni per smartphone e tablet) ci permettono di ricevere e trasmettere informazioni praticamente da ogni luogo. Siamo in un’era dove il business cambia velocemente e la tecnologia è fondamentale per rimanervi. E siamo anche in un periodo di grande difficoltà economica per le imprese e per le famiglie. Ma ogni crisi può diventare un’opportunità come ci spiega la filosofia orientale che utilizza lo stesso ideogramma per rappresentare questa situazione.
Cambiano le regole ugualmente nell’offerta enogastronomia e così molti ristoranti, anche quotati, hanno deciso da tempo di proporsi sulle piattaforme di “gruppi di acquisto” tipo Groupon il più famoso, GroupaliaBazarcoupon, ecc., con offerte veramente speciali. In momenti di crisi dove si taglia sul superfluo e dove pure le pizzerie sono in difficoltà, è sempre più faticoso attirare clienti e garantire un numero di coperti costante. Soprattutto se un ristorante è “griffato” e magari decentrato rispetto alle grandi città. Come si dice quindi si fa di necessità virtù e è spinti a provare formule nuove e strade impensabili qualche anno fa. 

Mi è capitato così che curiosando nella rete abbia incrociato un’offerta anche del nostro San Domenico ad Imola. Ristorante con 2 stelle sulla guida Michelin. L’offerta era “ghiotta” in tutti i sensi: 119 Euro per un menù di coppia che comprendeva un flùte di Franciacorta come aperitivo, un’entrèe, un antipasto, un primo, un secondo, il dolce e la (famosa) piccola pasticceria del San Domenico. Vino escluso ma con il 15% di sconto sull’eventuale bottiglia scelta. 
Ci ho pensato un poco se provare quest’esperienza perché avevo letto su alcuni blog molte critiche su queste formule. La disapprovazione che generalmente viene mossa ai ristoratori, dopo aver fatto la visita “in offerta”,  è quella che faticano a capire che non dovrebbero esserci disparità di trattamento tra chi paga il prezzo pieno e chi compra il coupon scontato su internet. Ai Portali che offrono questo servizio invece viene imputata leggerezza e scarso controllo sulle proposte. Vero è che piattaforme d’acquisto come Groupon non servono a riempire dei tavoli e neppure ad aggiustare i conti. Sono un vero e proprio investimento, un efficace mezzo per farsi pubblicità, per far conoscere la bontà della propria cucina e per provare a conquistare nuova clientela. Non tutti quelli che usufruiscono delle offerte di Groupon sono persone che cercano sempre e solo l’affare. 
Un po’ perché sono un curioso delle nuove tecnologie un po’ per gusto della sperimentazione mi sono deciso e ho aderito alla proposta pagando con carta di credito l’importo. Mi è arrivata immediatamente una prima email dove mi confermavano l’operazione e il giorno dopo ne ho ricevuta un’altra che mi avvertiva che potevo contattare il partner, il ristorante, per fissare la data. Così ho fatto e mi sono presentato nel giorno stabilito. 

Nonostante Groupon non sia stato molto chiaro nell’illustrare gli step da seguire per la prenotazione e il menù previsto, Natale Mercatilli vero maestro di sala non ha fatto alcun problema sfoderando tutta la professionalità e il servizio che si possono avere in questo ristorante. Scelti i piatti si è iniziato: flùte di aperitivo e una piccola insalatina d’asparagi con guanciale croccante; il famoso Uovo Mollè, famoso come l’altro Uovo in Raviolo (entrambi i piatti provengono dalle segrete ricette di Nino Bergese il famoso cuoco dell’aristocrazia che ruotava intorno a casa Savoia); Gnocchi di “Patata Rossa” di Imola al lardo di Arnad, fave novelle e pomodorini confit al timo; Guancialino di vitello brasato con polentina gratinata al formaggio di fossa; tris di dolci fantastici accompagnati dalla piccola pasticceria e caffè finale. 

Il test è stato veramente positivo e sono rimasto molto soddisfatto. Nessun trattamento diverso né atteggiamenti sgraditi. Tutt’altro. Non voglio dubitare sulla veridicità dei commenti che ho letto in Rete, ma come tutte le cose di questo mondo la ricetta giusta la fanno gli uomini. Se il ristoratore ha ben inquadrato l’utilità e l’obiettivo che si pone con questo tipo di iniziative e il cliente non si avvicina in modo prevenuto o diffidente, ritengo che non si corrono rischi di brutte sorprese. Naturalmente l’eccezione non fa la regola.

Pierangelo Raffini per Leggilanotizia

domenica 2 settembre 2012

Cappuccino e pizza sono italiani ma i soldi li fanno Starbucks e PizzaHut

Pizza e pasta sono italiane ma l’idea di inserirle in un concept innovativo di ristorazione è venuta a Pizza Hut che ne ha fatto un successo mondiale. L’Italia ha inventato il cappuccino e l’espresso, ma sono Starbucks e Nestlé-Nespresso a dominare nel mondo. Sono i colossi francesi Lvmh e Ppr che salvano e vendono il lusso italiano di Gucci, Bottega Veneta, Bulgari e le scarpe di RossiModa. Forse l’Italia non è degna della grandezza del Made in Italy?
Dal libro La sindrome del turione di Giovanni Costa

E se provassimo a spiegare la crisi attuale (iniziata prima di quella finanziaria) con una carenza di spirito imprenditoriale capitalistico, a lungo occultata dalla retorica dell’imprenditorialità diffusa? In Italia, non mancano certo le piccole imprese, mentre non sono abbastanza numerose le imprese in grado di essere protagoniste nei settori che crescono e si globalizzano. Le conseguenze sono presto dette: minore sviluppo del mercato finanziario (quello sano), minore produttività, minore capacità di pianificare il medio termine, minore capacità di investire in ricerca e sviluppo, minore managerialità, minore internazionalità. Le carenze nella finanza e nella ricerca e sviluppo non però vanno drammatizzate ricordando i tempi non lontanissimi in cui, pur con le stesse carenze, lo spirito imprenditoriale italiano è riuscito a creare onde lunghe di sviluppo, mobilitando forze «deboli».

Alcuni esempi:
– agganciare l’abbigliamento a uno stile di vita emergente e a tutti i valori che lo alimentano, è stata un’idea base per molte aziende del fashion che da Benetton a Diesel hanno modificato, assieme al prodotto, il modo di fabbricarlo e distribuirlo;
– trasformare una protesi sanitaria (occhiale da vista) o uno strumento di protezione (occhiale da sole) in un accessorio di moda che risponde al bisogno di cambiarsi un po’ la faccia senza ricorrere alla chirurgia, è stata l’idea base da cui ha preso il volo l’occhialeria griffata, da Luxottica a Safilo;
– convertire la grappa, un alcolico dai sapori grevi in un distillato evocativo di valori e sapori raffinati, è stata l’idea che ha trasformato un sottoprodotto della vinificazione in un business di tutto rispetto da Nonino a Poli;
– mettere alla portata dei sempre più numerosi single il tortellino di pasta fresca, tipico prodotto della famiglia tradizionale, è stata la scommessa vincente che ha portato Rana ad affermarsi in un settore molto frazionato.

E non mancano altri esempi in settori più tecnici. Le imprese leader che si sono imposte nei decenni passati, oggi sembrano ferme. Di nuovi protagonisti non ne appaiono e quelli affermati amministrano talora molto bene i loro successi, e i loro patrimoni, o poco più. Eppure basterebbe tirar fuori un po’ di grinta capitalistica per rivitalizzare un patrimonio di competenze che ci appartiene. Partiamo dalle cose più semplici: in Italia la pizza e la pasta fanno parte della cultura alimentare e culinaria, eppure l’idea di inserirle in un «concept» innovativo di ristorazione è venuta a Pizza Hut che ne ha fatto un successo mondiale. L’Italia ha inventato prodotti come il cappuccino, il caffè espresso, i gelati ma ha lasciato a Starbucks, Nestlé-Nespresso, Baskin-Robbins l’opportunità di farne dei business mondiali. Solo recentemente c’è qualche tentativo di recupero come è dimostrato dalle gelaterie Grom di Federico Grom e Guido Martinetti; e da Eataly di Oscar Farinetti.

Molti pensano all’Ikea come un gruppo che ha dato un colpo mortale ai mobilifici italiani. Ma è l’Ikea che vende i mobili italiani: nel 2009, l’Italia rappresentava il quinto mercato di vendita con circa il 5-6% del fatturato globale di Ikea, era però il terzo mercato di approvvigionamento dopo Cina e Polonia. È la dimostrazione che la fase manifatturiera non è più in grado da sola di garantire ricchezza e occupazione qualificata a una nazione. Sono i colossi francesi, Lvmh e Ppr, che salvano e vendono il lusso italiano di Gucci, Bottega Veneta, Bulgari e le scarpe di RossiModa. Riescono a farlo perché hanno la finanza, il marketing, la distribuzione idonei a gestire brand che «o sono globali o non sono». Salvano persino le tanto celebrate (ma solo nei libri e nei convegni) competenze artigianali italiane. Chi avesse dei dubbi, visiti a Fiesso d’Artico, nel cuore del distretto calzaturiero della Riviera del Brenta, l’avveniristico stabilimento dal nome inequivocabile di «Manifacture des souliers Vuitton» che appare come un monumento a tutte le sciocchezze che si sono dette e scritte sulla capacità di auto organizzazione dei distretti.


*Professore emerito all’Università di Padova. Attualmente è docente di Strategia d’Impresa alla Facoltà di Economia. È vicepresidente del Consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo e presidente della Cassa di Risparmio del Veneto.

La sindrome del turione; Nordest, mercato globale e imprese adeguate
di Giovanni Costa
Nordest Europa/Marsilio, pp. 167, euro 10