domenica 29 novembre 2009

Quei pensieri del mattino

Mantenere la calma in tutte le avversità della vita significa per me quanto immensi e numerosi siano i mali e le avversità che si incontrano nella propria vita.
Progetti e preoccupazioni per il futuro, a volte un pò di nostalgia per il passato, rischiano di tenermi occupato in modo talmente continuo che molte volte ho la percezione che il presente perda la sua importanza e venga trascurato. E dire che sono consapevole del suo valore, è la sola certezza che ho perchè il futuro e anche il passato sono sempre diversi da come li ho pensati. Il presente è l'unico scenario da cui trarre felicità. Ciò che è vero adesso, non è sempre vero che lo sia domani. In questi momenti la mia mente torna a mio Padre e alla sua vita: a 14 anni perse un braccio per un bombardamento, a 59 - l'anno della pensione - un tumore se lo portò via. Avrà vissuto il presente ? O tutti i sacrifici, i problemi, le difficoltà di quegli anni lo avranno fatto sperare in momenti di tranquillità e felicità futura mai giunti...

Cerco di utilizzare per ogni pensiero un "cassetto" e, quando ne apro uno, chiudo gli altri. In questo modo tento di evitare che una preoccupazione più o meno grave distrugga un piccolo piacere del presente , privandomi della tranquillità necessaria.
Allo stesso modo cerco che il mio "inguaribile" ottimismo nella vita e negli altri, non diventi il primo motivo di infelicità. Guardo, di conseguenza, ciò che possiedo con gli stessi occhi con cui guarderei se mi fosse sottratto. Seppur poco possiedo, questo atteggiamento aiuta a percepirne il valore: penso se dovessi perderlo. Appena attivo questo modo di pensare, immediatamente mi sento più felice e allo stesso tempo mi serve per attivarmi e organizzare la mia vita per prevenire in tutti i modi che ciò avvenga.  La chiave di volta è la domanda  che dovremmo sempre farci: " se perdessi tutto questo ?" e non " se questo fosse mio ?" aumentando il senso di privazione e attivando una domanda inutile al nostro spirito. Ripensando ancora a mio padre, ma anche mia madre che non ha avuto maggiore fortuna, tengo sempre presente che i nove decimi della felicità sono dovuti al nostro stato di salute. Da essa dipende in primis la serenità d'animo. Sembrano luoghi comuni, ma tali non sono. Viviamo le cose della vita in funzione del nostro stato di salute che ha il potere dei renderci felici o infelici, indipendentemente dal contesto esterno. La salute e la serenità che l'accompagna è in grado di sostituire ogni cosa, ma nulla può prendere il suo posto. Rifletteteci con attenzione.
La follia più grande non è quindi sacrificarla per qualsiasi altro motivo ? Mi chiedo molte volte quando sono impegnato nel mio lavoro, nelle molteplici attività, se ne vale la pena, se non sto esagerando. Mens sana in corpore sano dicevano gli antichi. Forse vale la pena mirare meno al possesso di beni esteriori e mantenere un temperamento sereno, felice e di buonsenso, che poi sono gli elementi che danno felicità.
Ancora una volta: l'unica mia certezza è il dubbio.

Sopportare e rinunciare. Porsi delle mete, ma essere altresì consapevoli che non tutto è raggiungibile nella nostra vita, di ciò che desideriamo. Sforzarsi e lottare contro gli ostacoli - che siano materiali o spirituali - per raggiungere gli obiettivi prefissati, è il bisogno essenziale della natura umana, penso che sia il vero piacere, il più completo e che costituisca il pieno godimento dell'esistenza umana.

E' importante ciò che si è e non ciò che si rappresenta. Posso essere un manager, un imprenditore, un operaio, qualsiasi cosa, ma se sono un arido, una persona che sacrifica tutto di fronte al proprio tornaconto, alla fine vengo sempre rinviato a me stesso, a chi sono realmente. Non penso che queste persone siano felici, per me sono eternamente insoddisfatte, alla continua ricerca di un qualcosa che mai troveranno e sempre critiche su tutto. La personalità, quella interiore, vera, è la felicità più alta che si possa raggiungere. Aristotele ha detto: " La natura è solida non le ricchezze".

sabato 28 novembre 2009

Desiderio continuo

Ma, finchè è lontano, ciò che desideriamo ci sembra superare ogni altra cosa; poi quando quello ci è dato, aneliamo ad altro ancora e un eguale sete di vita perennemente ci affanna.

Lucrezio

giovedì 26 novembre 2009

Educazione e Valori


PADRE E FIGLI / Educare con l'esperienza

di Angelo Scola *

«Le crisi dell'insegnamento non sono crisi di insegnamento; denunciano crisi di vita e sono crisi di vita esse stesse». Ancora una volta è il genio di un poeta come Charles Péguy che, sbaragliando una serie di luoghi comuni e analisi superficiali, sa andare al cuore di quella che ormai da tutti è riconosciuta come l'emergenza educativa. Una questione posta a tema, studiata e rilanciata come sfida educativa dal Progetto culturale della Conferenza episcopale italiana che vi ha dedicato il suo primo rapporto-proposta (divenuto un volume dal titolo La sfida educativa, Editori Laterza).
Péguy colpisce nel segno: dove non esiste una vita adeguata non si può comunicare nulla, non si può educare. Il rapporto-proposta è stato costruito e redatto sulla convinzione documentata per cui «l'attuale crisi dell'educazione ha a che fare non soltanto con singole difficoltà, ma piuttosto con l'idea che abbiamo dell'uomo e del suo futuro. Perciò è indispensabile non limitarsi a una prospettiva settoriale di educazione, né è sufficiente riflettere sulle metodologie pedagogiche, ma è necessaria una visione antropologica ed essenziale del fatto educativo come tale». In altre parole l'educazione è un'opera che investe tutti gli ambiti e gli interessi della vita di una persona: la famiglia, la scuola, la comunità cristiana, il lavoro, l'impresa, il consumo, i mass media, lo spettacolo, lo sport... Nulla dell'uomo resta fuori da quest'opera, perché essa riguarda radicalmente l'esperienza umana elementare che è fatta di lavoro, affetti e riposo.

Si è giunti a parlare di emergenza educativa perché si è inceppato qualcosa, in particolare nell'Europa "impagliata". Si è in un certo senso interrotta la cura tra generazioni, si è spezzata la catena della trasmissione di uno stile di vita buona capace di rispondere a quel desiderio di felicità e libertà che morde il cuore degli uomini e delle donne di oggi. E questo dato ci provoca a un cambiamento. Il primo passo è semplice, anche se indubbiamente arduo: è il porsi della persona dell'educatore. È l'adulto colui che deve dare testimonianza alla verità che propone. Sull'adulto cade la responsabilità educativa. Ma posto il soggetto, a cosa educare? Ai valori, si risponde abitualmente. Forse non c'è mai stata un'epoca in cui si sia parlato tanto di valori come quella attuale. Ma il punto è che non si educa ai valori parlando di valori, ma facendone fare esperienza. Non educo all'amicizia spiegando ostinatamente il concetto di amicizia, ma facendo fare concretamente l'esperienza di amicizia.
A molti pensatori post-moderni la categoria di valore appare compromessa. Non solo mettono in dubbio i valori propri della modernità, ma negano anche validità al concetto di valore e contestano la stessa idea di soggetto personale. Per questo non sarebbe più possibile una vera e propria impresa educativa (paideia), ma solo un'istruzione. L'equivoco circa la natura dei valori può essere risolto chiarendo che essi non sono una "carta di concetti astratti" da applicare poi alla vita, ma fanno parte dell'indistruttibile esperienza elementare dell'uomo, del suo rapporto costitutivo con le persone, le cose e le circostanze. Se valore è ciò che permette di dare un significato all'esistenza umana, i valori non esistono al di fuori dell'uomo.
L'educazione è quindi impossibile se si prescinde dal rapporto tra la persona e la comunità - e quello di entrambe con il "reale inafferrabile", come diceva Buber - all'interno del quale si fa esperienza, perché solo in quanto effettivamente comunicato un valore può dare all'esistenza una direzione, un significato.
Si capisce allora perché il proprium di ogni esperienza educativa risieda, come sopra indicato, nella «cura delle generazioni», da assicurare in nome di «un'eredità da trasmettere per nuovi arricchimenti in virtù di un'appartenenza a una comune origine (genealogia)», come scrive il rapporto-proposta. La catena delle generazioni (oggi sempre più dai bisnonni ai pronipoti) è il luogo in cui la persona fa esperienza del bene primario della relazione. La promessa di bene con cui il bambino si imbatte fin dalla nascita e nei rapporti iniziali con i suoi cari - «esperienza relazionale basilare che è affettiva e morale allo stesso tempo» - sarà poi chiamata ad attuarsi mediante il compito della trasmissione e dell'assunzione del senso pieno della vita. I nostri bimbi non diventano uomini se non sono aiutati a scoprire questa origine. I ragazzi e i giovani ai quali, quando il loro disagio esplode in forme irrazionali e violente, si dedicano fiumi di parole tanto scandalizzate quanto impotenti, hanno bisogno di vivere relazioni buone per imparare a fare il bene. In famiglia come a scuola o negli spazi della convivenza sociale devono poter contare su adulti impegnati in prima persona con il vero, il bello e il bene, che propongono. Porre l'esperienza come fattore essenziale per un'autentica educazione implica inevitabilmente accettare e rilanciare le categorie di rischio e di testimonianza. L'educazione riesce non quando si applicano correttamente determinati modelli, ma quando l'educatore e l'educando si giocano in un libero coinvolgimento personale. Nell'incontro con la realtà l'educando sperimenta il rischio perché, pur percependo l'intrinseca positività della realtà stessa, può rimanere bloccato nell'aderirvi fino ad abbandonarsi allo scetticismo. Ma il rischio non è risparmiato neanche all'educatore che, nel comunicare all'educando è chiamato ad auto-esporsi, a testimoniare nella sua persona la bellezza dei valori che propone. Educa chi - come diceva Sant'Agostino - sa risvegliare «il maestro interiore». Ma per farlo occorre riconoscersi a propria volta figli di un maestro e di un padre, come rilevava Gilles Deleuze: «Maestro non è chi dice "fai così", ma chi dice "fai con me", in un rapporto anzitutto di testimonianza, e poi di fiducia, di libertà tra libertà e disciplina». E di nuovo la luce cade sugli adulti: sono genitori ed educatori che, nel loro modo concreto di amare e di lavorare, testimoniano ai figli la verità della vita.

* Patriarca di Venezia

martedì 24 novembre 2009

Le tre regole di lavoro

1. Esci dalla confusione, trova semplicità.
2. Esci dalla discordia, trova armonia.
3. Nel pieno delle difficoltà risiede l'occasione favorevole.

Albert Einstein

venerdì 20 novembre 2009

Premio Ernst & Young: Brunello Cucinelli è L’Imprenditore dell’Anno 2009

Si è svolto a Milano presso Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana, la Cerimonia di premiazione del Premio Ernst & Young L’Imprenditore dell’Anno: i riflettori sono puntati sui 17 imprenditori selezionati dalla Giuria indipendente del Premio, presieduta da Piero Bassetti, e a confronto tra loro nel contesto della tavola rotonda “Lezioni dal cambiamento: le esperienze degli imprenditori vincenti”.

Sul podio quale Vincitore Nazionale sarà chiamato Brunello Cucinelli, Presidente e Amministratore Delegato di Solomeo, situata nell’omonimo borgo in provincia di Perugia e famosa in tutto il mondo per i suoi capi in cashmere a colori. La Giuria gli ha assegnato il massimo riconoscimento “per la continua ricerca del benessere psicofisico e della qualità della vita negli ambienti di lavoro e per l’importante azione svolta per il recupero e il restauro di costruzioni storiche e la continua attenzione in favore dell’educazione e della cultura”.

“Essere premiato come Imprenditore dell’Anno 2009 e quindi chiamato a rappresentare l’Italia alla prossima edizione mondiale di questa manifestazione mi riempie di orgoglio - commenta Brunello Cucinelli, che prosegue - Quando ho cominciato la mia attività non avevo la minima idea di cosa volesse dire essere un bravo imprenditore. Ho quindi cercato prima di tutto di essere un brav’uomo. Con coraggio e passione ho cercato di dare dignità economica e morale all’essere umano nel lavoro. Migliorare la vita dell’uomo: che l’uomo viva e lavori nella sua terra d’origine, che il lavoro umano non sia merce di scambio, che all’uomo sia dato di riconoscere il proprio valore spirituale nelle forme sensibili dell’Arte e della Natura.
Nel borgo restaurato di Solomeo si sono aperti i nostri laboratori artigianali che, come antichi cantieri medievali, non hanno proprietari, ma solo ruoli e responsabilità diverse: vere botteghe d’arte, sono fucine vitali delle nuove proposte e delle nuove idee che, rinnovandosi di anno in anno, si volgono ad ogni parte del mondo. Luoghi dei quali io stesso mi sento "custode" e non proprietario…”

Cucinelli rappresenterà l’Italia all’edizione internazionale del Premio, World Entrepreneur Of The Year 2010 che si terrà a Montecarlo, ove i vincitori nazionali dei 50 paesi in cui Ernst & Young promuove il Premio, concorreranno per il riconoscimento di miglior imprenditore a livello mondiale.
“Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati dall’andamento negativo e da un clima pesante di preoccupazione, non solo nell’economia italiana ma in tutti i mercati del mondo. Ecco perché il riconoscimento odierno ad un imprenditore quale Brunello Cucinelli, che da sempre ha dichiarato di mettere l’uomo al centro della sua visione d’impresa, può rappresentare un elemento di positività sulla scia dei primi, piccoli segnali di ripresa che alcuni indicatori e talune istituzioni stanno rilevando. – ha commentato Giorgio Mosci, partner di Ernst & Young che prosegue – D’altronde Solomeo è un gruppo imprenditoriale che ha saputo crescere anche in un momento difficile quale quello che stiamo vivendo. Non solo in Italia ma anche all’estero, dando nuovo lustro ad un Made in Italy che, combinando valori tradizionali e capacità d’innovare, potrà continuare ad essere protagonista nei mercati internazionali”.

L’iniziativa, giunta in Italia alla tredicesima edizione, è nata negli Stati Uniti oltre venti anni fa, con l’obiettivo di premiare l’eccellenza, riconoscendo gli imprenditori capaci di tradurre la propria cultura aziendale in elemento positivo di crescita e fattore differenziante per la creazione di valore, anche in contesti di mercato nazionali e internazionali incerti quali quelli attuali, contribuendo allo sviluppo socio-economico del paese. Anche quest’anno si sono candidati imprenditori alla guida di aziende, in attività da almeno 3 anni, che nell’ultimo esercizio hanno registrato un fatturato a partire dai 25 milioni di euro.
 

mercoledì 18 novembre 2009

Realizzarsi compiutamente

Spesso il nostro "momento decisivo" corrisponde più a un modello che, lentamente, si imprime nel nostro comportamento nel corso della nostra vita. Una vita che è costellata di opportunità, colte o non colte, che in sè non hanno nulla di straordinario, ma garantiscono piccoli e grandi cambiamenti.
Penso che la base della nostra realizzazione sia il risultato di un viaggio introspettivo che può essere compiuto in un breve periodo, ma può prolungarsi anche nel tempo. Questo viaggio comporta l'apprezzamento verso noi stessi, chiara individuazione di tutto ciò che può sviarci ed impedirci di realizzare pienamente le nostre potenzialità facendo attenzione soprattutto a quelle debolezze che si manifestano come tendenze abituali; definizione degli obiettivi e delle ambizioni che ci motivano realmente; esatta comprensione di ciò che noi rappresentiamo e dell'impatto che vorremmo esercitare; sviluppo di una visione del mondo e della vita che diventi la nostra guida nell'interazione con gli altri e infine l'acquisizione dell'abitudine nel tenerci regolarmente e quotidianamente aggiornati.
Questo significa "ritagliarsi" del tempo nei nostri impegni quotidiani per attivare un processo di autoanalisi, scavando sotto la superficie della nostra vita quotidiana, rimettendo a fuoco i principi cardine e i Valori fondamentali. Riportarli alla luce significa rinnovare la nostra fermezza nei propositi professionali, ma anche privati, in modo che agiscano come trampolino per azioni corrette, ricche di spirito pragmatico, ma rispettose degli altri. Riuscendo a reiterare questo processo nel corso della vita, si può forgiare una forte ed autentica identità riconoscibile dagli altri e rispettata.
Nessuno può renderci consapevoli di noi stessi. E' il nostro cammino interiore che ci forma e ci completa veramente. E' un viaggio che intraprendiamo da soli alla ricerca di noi stessi chiamando a raccolta la nostra forza di volontà, la nostra onestà e il nostro coraggio. Un viaggio questo che dura tutta la vita, "levigando" continuamente quella "pietra grezza" che è la nostra anima, un impegno per raggiungere la piena consapevolezza de noi stessi.
Ma, ripeto, è indispensabile gettare innanzi tutto le fondamenta: obiettivi, Valori, condotta Morale, coscienza dei nostri punti forti e dei numerosi punti deboli, visione del mondo.

sabato 14 novembre 2009

De brevitate

Vivete come destinati a vivere sempre, mai vi viene in mente la vostra precarietà, non fate caso a quanto tempo è trascorso.
Sentirai i più dire: a partire dai cinquant'anni mi metterò a riposo, a sessanta andrò in pensione.
Chi ti garantisce una vita così lunga ? Chi farà andare le cose secondo il tuo programma ?

Seneca

venerdì 13 novembre 2009

Linkedin, trovare lavoro sul social network


ERNESTO ASSANTE

Un tempo c’erano i "curriculum", che andavano scritti in una forma particolare, e che servivano per presentare se stessi alle aziende professionalmente parlando, sperando che questa presentazione fosse in qualche modo interessante. Oggi, nell’era multimediale, invece del curriculum c’è Linkedin, un social network il cui scopo è quello di costruire una rete di relazioni tali da poter favorire la ricerca di un lavoro. E le imprese "pescano" nel sempre più ampio parco delle domande professionali che si trovano sul sito, per fare delle offerte di lavoro. Un network professionale, dunque, un sito di autopromozione, ma anche una comunità in cui chi opera in settori diversi del mondo del lavoro può trovare i suoi simili e confrontarsi con loro.

Linkedin ha sette anni ma già più di cinquanta milioni di utenti sparsi in duecento paesi del mondo, e la sua crescita è esponenziale, con una media di centomila nuovi utenti ogni mese. Al "comando" di Linkedin, "a place for serious business people to do serious business" come si legge nel sito, un posto dove si lavora seriamente insomma e solo le persone serie sono accolte, c’è un amministratore delegato, Jeff Weiner, che arriva da Yahoo, conosce bene il mondo di Internet e sembra avere le idee chiare su come far crescere l’azienda fondata da Reid Hoffman (attuale vicepresidente di PayPal), e valutata oggi circa un miliardo di dollari.

Innanzitutto Weiner ha molto chiara la differenza tra LinkedIn e gli altri social network come Facebook e Twitter: «Su LinkedIn c’è un network di professionisti, che non vuole sapere cosa fanno gli altri nella loro vita privata, che non vogliono vedere foto delle vacanze o dei bambini. Vogliono essere collegati con altri professionisti del loro campo, e sanno che noi offriamo esattamente questo».

Insomma, Linkedin non è fatta per perdere tempo, non serve per trovare vecchi compagni di classe (anche se per la verità una piccola sezione per le "reunion" c’è) ma nuovi datori di lavoro, serve per creare occasioni professionali non feste della rimembranza. «Serve per il lavoro, non per l’amicizia», dice ancora Weiner.

Come funziona? Lo scopo di Linkedin è quello di consentire agli utenti di costruire una rete di contatti di persone che conoscono e delle quali si fidano nel mondo del lavoro. Questa rete può essere usata anche per contattare persone che non si conoscono direttamente ma che possono essere contattate attraverso altri contatti "fidati", allargando così il proprio network professionale e facendo girare in ambiti più ampi e diversi il proprio "curriculum" elettronico, che viene compilato da ogni utente al momento dell’iscrizione al sito. Più di trenta milioni di utenti sono americani, una dozzina arrivano dall’Europa, il resto dalle altre aree del mondo. Nulla a che vedere con i 300 milioni di iscritti a Facebook ma Weiner tiene a sottolineare che nel caso di Linkedin «è la qualità degli utenti che conta». Secondo i suoi dati l’80 per cento degli utenti è laureato, il 60% è un "decision maker" nell’azienda in cui lavora, «e ogni azienda delle 500 elencate da Fortune è rappresentata». Gli utenti perfetti per gli investitori pubblicitari, ai quali Linkedin, servizio totalmente gratuito, punta per guadagnare, come ha dimostrato parlando a Cannes alla festa della pubblicità davanti ad una platea di agenzie di tutto il mondo. «Linkedin funziona bene», tiene a sottolineare, «siamo andati in utile nel 2008, lo saremo anche nel 2009».

In realtà proprio per conquistare nuovi utenti Linkedin mescola sempre di più gli elementi del classico social networking con quelli della ricerca professionale, per far restare sul proprio sito gli utenti e utilizzare la rete anche per scopi meno professionali. In quest’ottica ha aggiunto la possibilità di utilizzare altri software in connessione con il sito, di aggiungere i blog, o anche di avere la "Amazon reading list" per indicare i libri più letti. E sta allargando il campo d’azione anche alle applicazioni mobili, per raggiungere il gran mare degli utenti degli smart phones: «Vogliamo essere ovunque ci sono professionisti, ci piacerebbe essere ubiqui».

La Felicità

Per la Felicità devi lavorare sull'autostima, l'empatia, l'amicizia, l'amore, l'ottimismo, ma anche la creatività, la spiritualità, la musicalità e il senso dell'umorismo. E' necessario semplificare le cose e ricordare sempre che frustrazione e paura sono sentimenti naturali. Occorre avere la consapevolezza che la Felicità dipende da come sei dentro, non dal conto in banca, anche se una parte di persone è scettica sulla verità di questo ultimo punto. L'assuefazione è comune in tutte le cose della nostra vita. Anche per i soldi. Averne pochi o molti alla fine non fa molta differenza, se ti concentri su questo aspetto non saranno mai sufficienti e la propria vita non sarà mai Felice veramente.
Come diceva Democrito "Felicità ed infelicità sono fenomeni dell'anima, la quale prova piacere o dispiacere a esistere a seconda che si senta o non si senta realizzata".

mercoledì 11 novembre 2009

Quel pasticciaccio brutto di «internet superveloce»

Dal piano 2000 agli sprechi Infratel: 10 anni di promesse.

Il progetto di superconnessione per tutti gli italiani non decolla. La Finlandia in pochi anni arriverà ai 100 Mega

ROMA — Comprensibilmente irrita­to, l’attore Luca Barbareschi, oggi de­putato Pdl e vicepresidente della com­missione Comunicazioni non sa farse­ne una ragione: «Tutta questa storia è un mistero». Si riferisce alla decisione presa dal governo di congelare i finan­ziamenti (800 milioni di euro) per la banda larga «fino a crisi finita». A crisi finita? E chi decide quando finisce? Il pasticciaccio brutto della banda larga comincia una decina d’anni fa. Apprestandosi a vincere le elezioni del 2001, Silvio Berlusconi ha un piano. Di­gitalizzare l’Italia in un battibaleno, su­perando il divario che il Paese ha già accumulato con i concorrenti. Un an­no prima delle elezioni il futuro super­ministro Giulio Tremonti ha già le idee molto chiare.

Il 9 marzo 2000 dice a Dario Di Vico del Corriere : «Internet è quanto di più anti-giacobino possa esistere ed è ovvio che avvantaggi noi. La struttura delle vecchia società sta al­la nuova come un vecchio calcolatore sta a Internet. Quello era verticale, rigi­do, piramidale. La rete è orizzontale, flessibile, anarchica, federale». E obso­leta. Per questo il governo è intenzio­nato a lanciare un formidabile piano di modernizzazione. Nomina perfino un ministro. Non uno qualunque: nientemeno che l’ex manager europeo dell’Ibm, Lucio Stanca. Ma passa un an­no e mezzo, siamo nel dicembre del 2002, e del formidabile piano per digi­talizzare l’Italia nemmeno l’ombra. E Stanca consegna la sua delusione alla stampa. «Contavo di avere più soldi, ma in questa situazione è andata fin troppo bene. L’innovazione non ha lobby, girotondi, gruppi di pressio­ne... », si sfoga sempre con il Corriere.

La verità è che non ha una lira. Mentre vede i soldi che gli erano stati promes­si andare a ingrassare i bilanci dei par­titi politici, o qualche clientela, potreb­be forse rovesciare il tavolo e andarse­ne. Invece resta lì, a galleggiare. Lan­ciando di tanto in tanto qualche pol­petta alle masse. Come il primo agosto 2005: «La banda larga è un’assoluta priorità nell’agenda di governo, che ha varato una vera e propria riforma digitale per ampliare gli strumenti me­diante i quali possono esercitare una piena cittadinanza». Diventerà poi se­natore, quindi deputato, infine ammi­nistratore delegato dell’Expo 2015. Nel frattempo viene costituita pure una società, Infratel Italia, incaricata di cablare con la banda larga il Sud, col­mando così il cosiddetto digital divi­de . La mettono dentro Sviluppo Italia: poltrone, assunzioni, consulenze. Ine­vitabilmente. Nel 2007 la Corte dei con­ti gli riserva questo trattamento: «Alla data del 31 dicembre 2006 sono stati realizzati 510 chilometri di infrastrut­ture, pari al 29% delle opere previste nel piano. Va evidenziato che i chilo­metri realizzati sono risultati inferiori a quelli programmati mentre i costi di realizzazione risultano superiori». A quella data erano abilitate alla banda larga il 23% delle aree comunali previ­ste e delle 182 centrali telefoniche pro­grammate per la fibra ottica ne erano coperte appena 36.

Un «risultato poco soddisfacente», secondo la Corte dei conti, che rilevava pure come «la re­munerazione del personale manageria­le Infratel» era apparsa «particolar­mente elevata tanto da arrivare a 1.200 euro al giorno» mentre per gli «incari­chi di consulenza» (1.283.799 euro e un centesimo) si sottolineava che era­no stati «effettuati intuitu personae, in violazione dei principi di pubblici­tà, concorrenza e trasparenza». In seguito le cose sarebbero andate un po’ meglio. Ma pur sempre nella precarietà finanziaria. Sapete quanti soldi aveva destinato a superare il co­siddetto divario digitale un Paese che è agli ultimi posti in Europa per la dif­fusione di Internet? 351 milioni. Che sono poi diventati 301, perché, beffa nelle beffe, 50 sono stati prelevati per la copertura dell’abolizione dell’Ici, promessa in campagna elettorale dal­l’attuale premier Silvio Berlusconi. Non che le cose andassero molto me­glio durante il governo di Romano Pro­di, al punto che il presidente dell’Auto­rità per le comunicazioni, Corrado Ca­labrò, il 24 luglio 2007, avvertiva: «Sia­mo al capolinea. La situazione del mer­cato italiano della larga banda non ap­pare soddisfacente. La copertura, la dif­fusione, il livello concorrenziale delle offerte segnano il passo rispetto ai Pae­si più virtuosi d’Europa. La diffusione è al 14,5%, il che ci piazza all’ultimo po­sto dei Paesi del G7 e anche dei 27 membri dell’Unione europea».

Nel 2007 il tasso di crescita della banda larga in Italia era del 3%, il livel­lo più basso d’Europa con l’eccezione del Lussemburgo. Poi è arrivato il nuo­vo governo e il viceministro alle Comu­nicazioni Paolo Romani, assessore del Comune di Monza, ha preparato un piano da 800 milioni in cinque anni. Entusiasta, ha dichiarato non più tardi del 25 settembre 2009: «Il governo ri­tiene di poter digitalizzare il Paese en­tro il 2012 e di farlo anche prima di al­tre nazioni». Quando però gli 800 mi­lioni sono stati messi sul binario mor­to (servono forse per altre cose, come tappare il buco degli stipendi per i fo­restali calabresi?) non ha fatto una pie­ga: «Il blocco dei fondi da parte del Ci­pe è un falso problema. Il piano è parti­to e va avanti». Campa cavallo. La Fin­landia annuncia che fra qualche anno garantirà a tutti i cittadini la connes­sione a 100 mega e noi siamo sempre alle prese con le stesse sardine. Con tutto il rispetto per le sardine.

Sergio Rizzo - 9 novembre 2009

martedì 10 novembre 2009

Stai attento

Stai attento ai tuoi pensieri, diventano parole.
Stai attento alle tue parole, diventano azioni.
Stai attento alle tue azioni, diventeranno abitudini.
Stai attento alle tue abitudini, diventeranno carattere.
Stai attento al tuo carattere, diventerà il tuo Destino.

domenica 8 novembre 2009

La grande baldoria


Ho appena terminato di leggere questo libro e trovando su "La pagina aubertiana" (un Blog di una libreria di Aosta), una recensione che combacia perfettamente con ciò che penso del libro, la pubblico perchè molto completa e esaustiva.

La Grande Baldoria è un incredibile affresco del capitalismo finanziario qui incarnato dal Miglio Quadrato (una dei nomignoli più ricorrenti assieme a quello di "City" per evocare l'epicentro borsistico di Londra), specchio di una società e di una mentalità che con la globalizzazione sembrano ormai invasivi a livello mondiale.

Attraverso una prosa sciolta, fresca e giovane Freedman rievoca i suoi trascorsi da broker e raccoglie un'enorme quantità di materiale documentario catturando accattivanti interviste ai protagonisti della City. Introducendoci ai termini tecnici (broker, dealer, headge fund, DCO, Subprime, ecc.) in maniera vivace e colorita Freedman cattura una serie di istantanee per larghi tratti impietose, dipingendo una classe dirigente completamente fuori dalla realtà nonchè priva della benchè minima moralità. Nient'altro che un ammasso di esseri poco meno che automatici il cui unico fine è far soldi per fare altri soldi, con modalità che lo stesso autore accomuna in maniera pericolosa al gioco d'azzardo e ad una mentalità al limite della schizofrenia collettiva. La cosa sorprendente è che Freedman ottiene tutto ciò con un linguaggio semplice e diretto, sempre alla portata di un lettore tendenzialmente ignorante e avulso da nozioni economiche e finanziarie.

Altro dato interessante è il carattere essenzialmente descrittivo della narrazione, quasi a sfondo documentario., lasciando al lettore il compito di formulare un giudizio complessivo sulle varie vicende. L'autore si astiene infatti dal condannare il comportamento dei suoi ex colleghi, anzi tende a difenderli, come una categoria che lungi dall'essere un'accozzaglia di banditi e truffatori appare nient'altro che un riflesso estremo di una società e del suo sistema di valori. Sono questi, ed altri attori ipocriti (duri gli attacchi verso Gordon Brown e la mentalità progressista laburista e democratica) ad essere i veri protagonisti di fondo della crisi finanziaria del 2008. Una crisi che affonda quindi le sue radici nei presupposti di un sistema malato all'origine, non nelle sue propaggini più macabramente estetiche (il settore finanziario).

Quasi in maniera inconsapevole Seth Freedman traccia di fatto un atto d'accusa enorme verso il capitalismo e il liberismo sfrenato, intesi soprattutto come sistemi incapaci di garantire un'adeguato livello di vita psicofisica all'individuo medio, facendolo invece entrare in una spirale in cui ciò che conta viene ad essere esclusivamente il profitto.
 
Seth Freedman, giornalista e scrittore, vive a Gerusalemme. Collabora con il Guardian, dove i suoi articoli hanno suscitato il record di risposte da parte dei lettori. Prima di trasferirsi in Israele ha lavorato come agente di borsa nella City per sei anni. Il suo primo libro, Can I bring my own gun? è uscito nel gennaio 2009

13 spunti per la vita (Gabriel García Márquez )

1 -Ti amo non per chi sei ma per chi sono io quando sono con te.

2 -Nessuna persona merita le tue lacrime, e chi le merita sicuramente non ti farà piangere.

3 -Il fatto che una persona non ti ami come tu vorresti non vuol dire che non ti ami con tutta se stessa.

4 -Un vero amico è chi ti prende per la mano e ti tocca il cuore.

5 -Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è esserci seduto accanto e sapere che non l’avrai mai.

6 -Non smettere mai di sorridere, nemmeno quando sei triste, perché non sai chi potrebbe innamorarsi del tuo sorriso.

7 -Forse per il mondo sei solo una persona, ma per qualche persona sei tutto il mondo.

8 -Non passare il tempo con qualcuno che non sia disposto a passarlo con te.

9 -Forse Dio vuole che tu conosca molte persone sbagliate prima di conoscere la persona giusta, in modo che, quando finalmente la conoscerai, tu sappia essere grato.

10-Non piangere perché qualcosa finisce, sorridi perché è accaduta.

11-Ci sarà sempre chi ti critica, l’unica cosa da fare è continuare ad avere fiducia, stando attento a chi darai fiducia due volte.

12-Cambia in una persona migliore e assicurati di sapere bene chi sei prima di conoscere qualcun’altro e aspettarti che questa persona sappia chi sei.

13-Non sforzarti tanto, le cose migliori accadono quando meno te le aspetti.

sabato 7 novembre 2009

Fernando Pessoa

Cieca, la scienza ara la gleba inutile.
Folle, la fede vive il sogno del suo culto.
Un nuovo dio è solo una parola.
Non cercare e non credere: tutto è occulto.

Fernando Pessoa

La via interiore

L'uomo diventa più forte fisicamente e spiritualmente quando è messo alla prova da resistenze o contrarietà. Il fallimento e le sconfitte sono esperienze costruttive che ci forgiano e possono aiutare a migliorare le proprie prestazioni. In qualsiasi attività che intraprendiamo e in ogni settore della nostra vita.

venerdì 6 novembre 2009

L'economia e l'etica sono sorelle e non rivali

Una delle questioni centrali affrontate nell'Enciclica papale Caritas in Veritate riguarda i rapporti tra etica ed economia. È il momento giusto per discuterne, anche perché la crisi finanziaria ha sollevato nuovi interrogativi proprio su questi aspetti.
Talvolta si pensa che etica ed economia siano due mondi distinti e separati. Non è così. Non lo è innanzitutto con riferimento al metodo di analisi delle scienze economiche. In base a un popolare stereotipo, le scienze economiche si basano sul presupposto che gli individui massimizzano solo il benessere materiale e pensano solamente al profitto. In realtà il metodo dell'economia è l'"individualismo metodologico". Esso muove dalla premessa che i fenomeni economici e sociali vanno spiegati a partire dai comportamenti individuali. Per spiegare questi ultimi, dobbiamo presupporre che l'individuo si comporti "in modo appropriato alla situazione". Cioè l'individualismo metodologico e il metodo dell'economia si basano sulla logica situazionale: spiego il comportamento spiegando la situazione. Ma "in modo appropriato alla situazione" non vuol dire massimizzare il benessere materiale. Al contrario, questo principio è compatibile con qualunque ipotesi sulle motivazioni individuali. In altre parole, non dobbiamo confondere l'individualismo con l'egoismo, così come l'altruismo non va confuso con il collettivismo.

Economia ed etica non sono separate anche in un secondo senso, ancora più rilevante. Come è sottolineato da un'antica tradizione di pensiero liberale, il buon funzionamento di un'economia di mercato e di uno stato di diritto si basano anche su presupposti etici che devono essere condivisi e su un particolare sistema di valori.
Ricordo due idee di questa tradizione. La prima è l'idea che il rispetto e l'applicazione dei contratti non può fare affidamento solo sulla legge. Occorre anche che gli individui abbiano interiorizzato le norme che governano gli aspetti contrattuali, indipendentemente dal timore delle sanzioni per chi è colto a violare lo spirito o la forma della legge.
Il rispetto per i diritti di proprietà, il mantenimento della parola data e degli impegni presi, il rispetto delle aspettative e delle intenzioni tra le parti contraenti devono discendere anche da un comune sistema di valori, non solo dagli incentivi economici o dal timore di essere sanzionati dalla legge. Senza questi presupposti, un sistema basato sul libero scambio difficilmente potrebbe funzionare.

Una seconda idea è l'importanza dell'etica professionale. Indipendentemente da incentivi e sanzioni, chi svolge determinate professioni ha obblighi e responsabilità anche morali nei confronti della società: il medico nei confronti dei pazienti, l'avvocato verso i clienti o, per ricordare un esempio recente in cui questo principio era evidentemente venuto meno, l'auditor verso i risparmiatori.
Questa tradizione di pensiero liberale trova conferma anche in una recente letteratura empirica in economia e scienze politiche. La storia ci mostra come società e paesi traggano il loro successo anche dal radicamento e dalla diffusione tra i cittadini e nelle istituzioni di queste regole di comportamento e dalla forma che esse assumono. Una distinzione importante a questo proposito è tra norme di moralità limitata o generalizzata. La moralità limitata applica la nozione di giusto o sbagliato solo a un certo ambito di interazioni sociali: la famiglia, il clan, la comunità a cui si appartiene. Al di fuori di questo ambito, quasi tutto è moralmente permesso. La moralità generalizzata si fonda invece sul presupposto che la nozione di giusto o sbagliato debba valere universalmente, nei confronti di tutti gli individui.
Non sorprendentemente, la diffusione di norme di moralità generalizzata si accompagna alla diffusione di fiducia reciproca tra estranei, e spinge a forme di organizzazione economica, sociale e politica più efficienti e progredite. Un'abbondante e convincente evidenza empirica mostra che dove vi è più fiducia generalizzata le imprese hanno un'organizzazione più decentrata, l'economia di mercato funziona meglio, vi è più senso civico, anche la partecipazione politica è più attenta al bene pubblico piuttosto che agli interessi di parte. Insomma, numerose ricerche in campo economico e politologico suggeriscono che la diffusione di norme di moralità generalizzata sono un ingrediente centrale per spiegare lo sviluppo economico e il buon funzionamento delle istituzioni.

Tuttavia la tradizione liberale si ferma qui. Essa sottolinea l'importanza di condividere un particolare insieme di regole di comportamento che facilitano la convivenza sociale. Ma si guarda bene dal chiedere che vengano condivisi anche i fini, se non nel senso del principio kantiano, che gli individui devono sempre essere riconosciuti come fini e mai usati come mezzi per raggiungere un altro fine. Al contrario, nel pensiero liberale l'economia di mercato in uno stato di diritto è molto più di un mezzo per produrre ricchezza e allocare con efficienza risorse scarse. Esso è anche e soprattutto un sistema che consente a ogni individuo di perseguire il suo fine, i suoi obiettivi personali, di autodeterminarsi in linea con il suo particolare sistema di valori. Possiamo invocare un legame più stretto di così tra etica ed economia, o invocare principi etici più forti, senza rinnegare la visione liberale dell'economia di mercato in uno stato di diritto? In particolare senza correre il rischio di interferire con la libertà individuale di autodeterminarsi? Qual è il ruolo della politica al riguardo? Come evitare che anche la politica diventi occasione di abusi e di sopraffazione, magari nel nome del bene comune, come è avvenuto in passato? Queste domande entrano in dialettica con l'enciclica papale e aprono un serio e opportuno confronto. Nel rispetto di un altro importante principio caro alla tradizione liberale: che la verità non è manifesta; e che il modo migliore per progredire nella ricerca della verità è cercare di correggere gli errori. Il che richiede un dibattito aperto e critico tra diversi punti di vista.

L'articolo è tratto dall'introduzione al dibattito all'Università Bocconi, "Caritas in veritate - Un'altra economia è davvero possibile?", con la partecipazione del cardinale Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano.

di Guido Tabellini - Il Sole 24ore - 5 Novembre 2009

martedì 3 novembre 2009

Le difficoltà

Le difficoltà sono parte della vita, il vero problema sta nel modo in cui le affrontiamo. Cerco sempre di sforzarmi, di fronte ad un momento difficile, di pensare che differenza farà tutto questo nella mia vita domani, un mese o un anno dopo. Solitamente mi rasserena: nel tempo certe cose che appaiono enormi, diventano piccole e insignificanti per la nostra vita nel proseguio.

domenica 1 novembre 2009

Il pericolo della mediocrità

Dovunque e comunque si manifesti l'eccellenza, subito la generale mediocrità si allea e congiura per soffocarla.
A. Schopenhauer