Prima gli elettrodomestici. Poi i megastore della buona cucina. Sempre collezionando successi, fino al più grande dei suoi negozi, quello appena aperto a Roma. Ma ha l'idea di mollare tra due anni. Per fare che cosa? Visto il successo, magari la politica... Il patron di Eataly Oscar Farinetti si racconta.
Oscar Farinetti è un uomo sfrontatamente contento della vita. Lo ascolti mentre ti mostra con occhi ridenti la sua ultima realizzazione, lo smisurato luna park romano di cibi buoni e sani, e ti convinci che l'ha fatto per te. Mica per soldi, per business, per fare impresa, ma per addolcire la vita a quelli come te. Che forse ancora non sanno che mangiare bene è un piacere del corpo che affina lo spirito, alimenta la cultura e salverà l'economia.
I tentativi di sottrarsi all'entusiasmo contagioso di questo signore piemontese, che in pochi anni è diventato l'emblema della qualità alimentare italiana nel mondo, vacillano di fronte alla mozzarella campana impastata a vista, alla produzione diretta della birra, alla frutta saporosa, al pesce mediterraneo quasi vivo, ai 23 ristorantini tematici.
Ma crollano del tutto quando si entra direttamente nella favola, con la gianduia tiepida che scende senza interruzione da un rubinetto dorato. "La fabbrica del cioccolato" di Dahl è ora una realtà, qui a Roma, nell'ex Terminal Ostiense di Italia '90.
Farinetti, lei in questi giorni è al culmine del successo. Come sta vivendo il suo momento?
"Scoppio di orgoglio, non si vede? Cerco di non montarmi la testa, ma godo da morire. Il successo è un piacere che va provato in vita. Tra Leopardi e Alessandro Dumas padre, che vendeva la sua firma a 100 mila franchi, viva Dumas".
Eppure lei si definisce con parole modeste: droghiere, mercante.
"Se insinua che faccio il furbo, ha fatto centro. La furbizia ci vuole ma va abbinata a qualche concetto opposto, in questo caso l'onestà. Uno dei principi più forti di Eataly è quello di essere furbi ma onesti. Un altro è quello di essere informali ma autorevoli. Solo così si diventa speciali. Se vuole, mi faccio altri complimenti".
Le piacciono molto i complimenti?
"Ne vado matto, e adoro anche farli agli altri. Certi giorni esco di casa e a tutti quelli che incontro dico: "Come sei ringiovanito, come sei dimagrito!". Faccio felice la gente con poco".
Nei suoi megastore invece ha deciso di farci felici prendendoci per la gola.
"Sì, ma è una gola creativa, innovativa. Mi permetta di essere serio e mi creda sulla parola. In questa impresa io ci ho messo altruismo, onestà, passione. Credo alla supremazia dell'altruismo sull'egoismo, come una volta si credeva alla supremazia culturale della sinistra. Oggi questo è il mio modo di far politica".
Ha conosciuto altri modi in altri tempi?
"Guardi questa tessera che tengo in tasca come una reliquia. Era di mio padre, c'è la foto di Nenni e la mia firma come segretario della sezione di Alba del partito socialista. Era il 1981 e avevo 27 anni, poi il Psi di Craxi mi deluse irreversibilmente e da allora vivo l'impresa come un missionarato".
Non sta esagerando, Farinetti? Così sovverte due secoli di capitalismo.
"Può darsi, ma oggi quella dell'imprenditore è una missione. Deve dare lavoro e farlo in modo equo. Io ho un programma in tre punti: la quindicesima a tutti, e finora ci sono sempre riuscito; nessun salario inferiore ai mille euro, e ci sto quasi riuscendo; lo stipendio più alto che non deve superare più di cinque volte il più basso. E poi lezioni per bambini e pensionati. Agli anziani insegniamo a cucinare piatti ricchi con ingredienti poveri. Così la sardina diventa un branzino".
Insomma un Adriano Olivetti aggiornato al Duemila.
"Tengo un suo ritratto nelle sedi Eataly".
Come mai per la sua missione ha scelto il cibo di qualità o il vino senza solfiti e non altre merci?
"Perché questo è il momento del buon cibo ed io ho forse il merito di averlo capito per primo, ispirato anche dal lavoro di Carlo Petrini, amico mio da sempre, e dal suo geniale slow food".
Non sente un piccolo stridore a offrire tutta questa opulenza in tempo di crisi?
"Al contrario. Io dimostro che si può comprare una mozzarella sublime allo stesso prezzo di una pessima. E così forse contribuisco a uscire dalla crisi".
Come?
"Indicando un modello di sviluppo diverso, che ci salvi o ci faccia riprendere dall'imminente collasso della civiltà dei consumi. Noi italiani potremo farcela solo attraverso la nostra creatività, come è già avvenuto nel Rinascimento. Allora c'era l'arte, oggi ci sono l'agro-alimentare, il design, la moda, la cultura, l'industria manifatturiera di precisione. E allora via con le esportazioni delle nostre eccellenze, magari legandole a un logo che ultimamente siamo tornati ad amare: la bandiera italiana. Sarebbe una forma eccezionale di pubblicità".
Altra arte in cui lei si diverte a innovare. Semina dubbi sul suo stesso lavoro, fa autocritica...
"Sì, ho deciso di farla finita con il modello Mosè, il primo che ha lanciato un messaggio promozionale. È andato sul monte più alto e ha detto: se seguite questi dieci precetti vi prometto il paradiso. Da allora tutti hanno creduto che bisognasse far promesse".
Invece?
"Io ho rivoltato la frittata. Per esempio, fra pochi giorni usciremo con una pagina pubblicitaria con lo slogan "Non siamo ancora soddisfatti" e racconteremo tutti i nostri errori. C'è del vero ma è anche una furbata: se chiedi scusa in anticipo, nessuno ha più il coraggio di criticarti. Mase fosse per me farei pubblicità anche più azzardate".
Chi glielo impedisce?
"I miei figli. Mi censurano un sacco di idee".
Ne racconti qualcuna.
"L'ultima è quella del lievito madre. Ho proposto di ribattezzarlo "lievito padre" spiegando che è maschio, è ciò che entra, è lo sperma. Mi hanno detto che non si può. Qualche tempo fa mi hanno anche vietato di mandare a Berlusconi un dissuasore sessuale e di raccontarlo pubblicamente. Lei sa cos'è?".
Francamente no.
"È uno strumento che sostituisce i concimi chimici. I dissuasori attirano i parassiti maschi che, scambiandoli per delle femmine, fanno autoerotismo illudendosi di far l'amore. Un modo geniale di bloccare la riproduzione senza far del male a nessuno. La lettera di accompagnamento per Berlusconi diceva: "Usi questo, presidente, così avrà tempo per dedicarsi al Paese". Niente da fare, me lo hanno bocciato".
Ha dei figli moralisti?
"Ho dei figli geniali. Il più grande, che somiglia molto a mio padre, mi mette addirittura la stessa soggezione che provavo per lui, grande comandante partigiano della brigata Matteotti, poi a lungo presidente dell'Anpi, ma sempre un po' distante. Troppo mitico come padre".
Come ha vissuto da ragazzo la diceria che indicava in suo padre uno di quelli che si era appropriato di un leggendario tesoro affidato ai partigiani?
"Come una leggenda, appunto. E come la rivalsa degli invidiosi. Si figuri che, quando a 24 anni ho cominciato a lavorare nel suo supermercato, mio padre spesso non aveva neanche i soldi per pagarmi lo stipendio. Si andava avanti grazie alle 600 mila lire mensili di mia moglie, che per fortuna aveva vinto un concorso in banca".
A proposito di sua moglie, lei è sposato da più di trent'anni. Qual è il trucco per far durare così tanto un matrimonio?
"Non dimenticare mai il passato e non cedere alle tentazioni dei cinquant'anni. Non è difficile. Mia moglie mi è stata sempre accanto e oggi lavora con me. Abbiamo fatto tre figli maschi che non consideriamo una proprietà, ma un contributo dell'amore alla società. Ci siamo sempre sentiti in due".
Un capitolo di un suo libro si intitola "Meno Chiesa più Gesù". È il suo modo di essere religioso?
"È il mio modo di detestare il potere della Chiesa che si perpetua attraverso l'uso del mistero per impedire alla gente di pensare. Immagini che effetto le farebbe se alle domande che lei mi sta facendo, io rispondessi ogni volta: "Eh... mistero!". Troppo facile. Gesù invece è stato il più grande genio dell'umanità. Se tornasse oggi, scaccerebbe tutti i mercanti da tutti i templi, compresi quelli della finanza e delle banche che hanno snaturato l'economia".
È per questo che, nonostante i suoi successi, ancora non si quota in Borsa?
"La Borsa, che era una cosa seria e valutava le aziende secondo la verità delle loro performances, è diventata una scommessa, peraltro truccata, perché aziende che vanno bene scendono, altre che vanno male salgono. Finché è così, non mi avrà".
Un'ultima domanda, Facchinetti. Lei ha mai conosciuto l'ozio?
"Ma certo! Sono un pigro incorreggibile. Vivo con il rimorso perenne di non essermi svegliato un'ora prima, anche se poi le cose le faccio lo stesso. A proposito, non le ho ancora detto che io vado a cicli e cambio mestiere ogni otto-dieci anni. L'ho fatto con Unieuro e lo farò con Eataly. A fine 2014 passerò il testimone ai figli".
Per fare che cosa?
"So che mi metto nei guai ma glielo sussurro: forse la politica. Però per cortesia scriva che non voglio andare a scaldare qualche poltrona a Roma. Voglio fare la politica vera, nel territorio, quella che può cambiare davvero le cose. E prometto che farò solo due mandati. Tanto dopo dieci anni cambierei di nuovo".
Stefania Rossini - L'Espresso