domenica 27 maggio 2012

Rinascita italiana, il modello è Olivetti

Tecnologia e welfare: il pensiero del manager di Ivrea la chiave per tornare a crescere e prosperare
Strano Paese il nostro, è italiano l’algoritmo di Google e di Bing, è italiana la piattaforma openosurce sulla robotica più nota al mondo (arduino), è italiana l’idea e la costruzione del lanciatore per satelliti più innovativo (Vega) e la costellazione di satelliti più tecnologicamente avanzata (Cosmo-SkyMed). Come mai questo paese di inventori non riesce a tornare ad essere capace di creare nuove sfide industriali per crescere? Da troppi anni abbiamo perso il senso della sfida di essere un paese industriale.
Un paese fortemente manifatturiero, ancora capace di produrre prodotti tecnologici sofisticati e con una università capace di sfornare ricerca di avanguardia e talenti che si trasforma in “cliente” di tecnologia. Ci siamo ritagliati il ruolo di “terzisti”, costretti a ridurre il nostro potere di acquisto per competere sul costo del lavoro anziché sul valore del prodotto. Una trasformazione prima culturale e manageriale che tecnologica. Torna di prepotente attualità l’ “eresia”di Adriano Olivetti che ha saputo tra gli anni ’30 e il 1960 dimostrare che è possibile vincere la sfida e che è possibile farlo ribaltando le regole in voga nell’industria nostrana che dipende troppo spesso da basso costo del lavoro, spesa pubblica e clacestruzzo e sempre meno dal prodotto e dall’innovazione.
L’ “eresia” di Olivetti è fatta da qualità del prodotto e del lavoro, equità, welfare e alti profitti mettendo al centro della fabbrica la persona. Adriano Olivetti porta a sé tra i più importanti intellettuali e filosofi insieme al meglio della ricerca tecnologica, convinto che mettendo insieme queste due anime si sarebbero potuti produrre prodotti migliori ma soprattutto persone migliori. Aveva anche capito che il welfare non è un costo ma un ingrediente necessario per incrementare la produttività e il profitto. La Svezia nel 2010 è cresciuta del 5,7%, quasi a ridosso della Cina e recenti indagini internazionali dicono che le persone con maggior talento preferiscono un buon welfare aziendale e un buon ambiente al denaro.
Fu anche antesignano della responsabilità sociale di impresa quella che oggi obbliga Apple a rivedere la sua catena produttiva a fronte della mobilitazione contro i suicidi nelle fabbriche dell’iPad. “Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?”, si chiedeva nel 1955, parole moderne anche oggi dove vediamo le imprese misurate solo sul valore di Borsa.
Olivetti riesce a tirare fuori tutto il meglio che gli italiani sanno dare e trasformarlo in voglia di sfida, “Nel lavoro intelligente e scrupoloso dei nostri ottocento operai, nello studio metodico e incessante dei nostri quindici ingegneri, c’è la certezza di progresso che ci anima. La lealtà dei nostri lavoratori è il nostro attivo più alto”. Nel 1952, di fronte ad una crisi pesantissima, che lo avrebbe costretto a licenziare 500 operai, rispose assumendo 700 venditori, reinventando il marketing e le scuole di formazione per la vendita, riorganizzando la catena degli agenti e aumentando vendite e profitti.
Quando Olivetti entrò nell’elettronica fu per l’idea che solo stando più avanti degli altri nell’innovazione si poteva alimentare crescita e prosperità. Si posizionò davanti alla Ibm, andando incontro alle esigenze del mercato con qualcosa di tecnologicamente ardito.  Dove è finito questo coraggio di imprendere? Dove è finita la voglia di crescere e prosperare?
Si tratta di riprendere la sfida, di rimboccarci le maniche, di mettere intorno ad un progetto i migliori imprenditori, manager, tecnici, umanisti.
Siamo noti per la nostra capacità di ribaltare gli esiti scontati: dalla battaglia sul Piave ai mondiali del 2006. Questo è il momento di riprendere il testimone di Olivetti, di tornare ad essere protagonisti dell’innovazione, di buttare via abitudini vecchie che non funzionano e lasciarci alle spalle questo declino che appare ineludibile ma non lo è. Chi avrà il coraggio di provarci?


venerdì 25 maggio 2012

Senza paura non c'è successo

Lezioni di coraggio da Oscar Farinetti, che nella sessione conclusiva di sabato 19 maggio de Linkontro Nielsen in Sardegna, intervistato da Maria Latella, ha raccontato la propria esperienza imprenditoriale e i propri desiderata per il futuro. A livello filosofico, la sintesi è certamente nella parola del momento richiesta dalla Latella: forse.

Il dubbio come metodo
“Tutti dobbiamo cominciare a porci dubbi e non pensare di avere sempre ragione” -spiega Farinetti- che racconta di cambiare mestiere ogni dieci anni. Tra i freni dell'Italia c'è la mancanza di cultura, di senso civico e rispetto del prossimo, e ancora, che nei momenti di crisi diventiamo egoisti e cinici, “mentre sarebbe il momento di rinunciare a favore della solidarietà”.

Ci salverà la bellezza
Che cosa invece può salvarci, nello “scenario catastrofico della società dei consumi che sta chiudendo bottega”? Non ci sono dubbi, la bellezza: agroalimentare, della moda, del design, dell'industria manufatturiera di precisione e del turismo. Ma bisogna andare a venderla all'estero: e qui Farinetti esorta i retailer italiani a spingersi fuori dai confini della Penisola.

Il massimo godimento è assumere
Il tema del coraggio richiama subito quello della paura, anche perché da ottimista quale tutti conosciamo Farinetti, oggi si dichiara catastrofista proattivo. “La paura è una componente fantastica del successo, senza la paura la creatività si ferma, e le componenti della creatività sono paura, coraggio e impegno”. Ma in quale chiave? La paura va abbinata all'amicizia “perché risolvi meglio e crea armonia”; il coraggio “è un grande creatore di felicità, e coraggiosi si può diventare”; l'impegno, perché “il massimo godimento è assumere.

Intervista a Oscar Farinetti a Linkontro

Cambiare, rischiare, sognare

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia il colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.

... Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare, chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante. Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Martha Medeiros

martedì 22 maggio 2012

Il lavoro

Sempre vi è stato detto che il lavoro è una maledizione e la fatica una sventura.
Ma io vi dico che quando lavorate esaudite una parte del sogno più remoto della terra, che vi fu dato in sorte quando il sogno stesso ebbe origine.
Vivendo delle vostre fatiche, voi amate in verità la vita.
...
Il lavoro è amore rivelato.
E se non riuscite a lavorare con amore, ma solo con disgusto, è meglio per voi lasciarlo e, seduti alla porta del tempio, accettare l'elemosina di chi lavora con gioia.
Poiché se cuocete il pane con indifferenza, voi cuocete un pane amaro, che non potrà sfamare l'uomo del tutto.

Kahlil Gibran - Dal libro "Il profeta"

lunedì 21 maggio 2012

Tu puoi fare la differenza

Là fuori, appena oltre la soglia dell'azienda, c'è il mercato, con le sue sfide.
Per sopravvivere, oggi più che mai, occorre creare nuovi valori. Ma non basta riconoscerlo, bisogna andare oltre per cogliere le piccole cose che stanno concretamente alla sua base.
Cose che fanno la differenza.
Cose che fanno scattare la molla del successo.

Dal libro wwworkers di Giampaolo Coletti

domenica 20 maggio 2012

Sorridere dei propri errori

Sorridere dei propri errori richiede una grande forza e una profonda fiducia in se stessi. Non è semplice, non è facile.
E' importante riflettere e reagire a quella che è una reazione naturale frutto della nostra cultura. Non comprenderlo può portare a sensi di colpa e a diventare vittime della passività e dell'inazione.
Se, diversamente, lo si capisce si impara dagli errori e ci permette di passare all'azione.

LinkedIn: per fare carriera bastano nove minuti al giorno


LinkedIn ha scoperto in un sondaggio planetario che secondo la maggior parte deiprofessionisti (anche italiani) bisognerebbe dedicare almeno 30 minuti al giorno al progresso della propria carriera. Numeri in contrasto con il parere di uno dei più grandi esperti mondiali in Personal Branding,William Arruda, che ne raccomanda solo 9: in 45 minuti alla settimana, è possibile alimentare una carriera di successo.
Tra i risultati più sorprendenti del sondaggio condotto da LinkedIn, il convincimento, pressoché generalizzato, che trascorrere un’ora con il proprio capo, preparandogli tè o caffè, e trascorrere lo stesso lasso di tempo aggiornando il proprio curriculum vitaeabbiano la stessa importanza. Un modello tipicamente relazionale, caldo, ma che non sempre è efficace, anche se un professionista su due ritiene che l’essere presente nei posti e negli eventi giusti faccia la differenza.
È emersa inoltre una netta divisione tra i sessi: gli uomini sono percepiti come migliori networker rispetto alle donne (42 per cento uomini, 20 per cento donne), mentre il 37 per cento degli intervistati ritiene che siano allo stesso livello. Il 79 per cento concorda sul fatto che gli uomini continuino ancora a occupare posizioni strategiche in ambito lavorativo, ma il 66 per cento crede che le donne rappresentino il futuro. E ancora, il 44 per cento pensa che la tecnologia e i social network servano già da aiuto ai lavoratori, siano essi uomini o donne, per gestire meglio lavoro e vita familiare.
Linkedin ha perciò dedicato uno spazio speciale ad Arruda stringendo con lui unapartnership e chidendogli di spiegare meglio questi concetti, utili ai milioni di iscritti del più grande e noto network professionale al mondo. Ecco i suoi consigli su come sfruttare al massimo questi 9 minuti sul proprio network, fisico ma soprattutto online:
1) Costruire il proprio network – costruire e mantenere relazioni è una componente fondamentale in una carriera di successo.
2) Mantenere nel tempo le relazioni, con segnalazioni ed eventuali congratulazioni nel caso di sviluppi positivi nelle carriere – a tutti piace essere riconosciuti e LinkedIn fornisce un modo semplice per farlo.
3) Chiedere consigli alla propria rete è fondamentale per acquisire credibilità.
4) Aggiornare il proprio status su LinkedIn ogni giorno, assicurandosi che anche il profilo e la foto lo siano.
5) Sviluppare il pensiero da leader; gestire un forum o gruppo su LinkedIn; pubblicare un articolo; aprire un blog; parlare in pubblico o raccomandare libri sull’app Amazon di LinkedIn.
6) Usare il potere del video per crea una bio differente per il proprio profilo LinkedIn.
7) Costruirsi uno staff – uno dei lavori più duri per un manager. Se costruisci la tua comunità di riferimento, i tuoi sostenitori vorranno lavorare per te.
8) Ricercare. Fare uno sforzo per conoscere meglio i propri clienti, partner e competitor. LinkedIn rappresenta un ottimo punto di partenza.
Mauro Viviani - Fonte: LinkedIn - 


lunedì 14 maggio 2012

Come avere successo ? Pensare da impresa

Diventare il Ceo della tua vita, una versione beta permanente di te stesso, acquisire la mentalità dello startupper per farsi strada nella vita. Il consiglio è di Ben Casnocha, imprenditore prodigio della Silicon Valley, che insieme a Reid Hoffman (co-fondatore e attuale presidente di LinkedIn) hanno dato alle stampe «Start-up of You» (in Italia è stato tradotto da Egea col titolo «Teniamoci in contatto», sottotitolo: la vita come impresa).

Un manuale assertivo, in stile Power Point, motivazionale come sanno essere solo alcuni manager americani. L'idea suggestiva (e molto di moda in questi tempi di startup fever) è quella di resettare il nostro approccio al lavoro. Imparare a gestire la nostra carriera con la mentalità dell'imprenditore. Anzi no, con la mentalità di chi nella vita decide di fondare una startup. Il ragionamento di partenza è lineare: l'ascensore sociale è bloccato, non sale più come nel passato, i tassi di disoccupazione sono alle stelle (in Italia si è toccato a marzo il record del 9,8% ndr.), la distruzione creatrice di schumpeteriana memoria sta colpendo le imprese di qualsiasi settore e, non ultimo, la globalizzazione ha reso in Occidente il mercato del lavoro drammaticamente competitivo.

La chiave di volta è tutta nella nostra testa, cambiare mentalità. «Chi fonda un'impresa - si legge nell'introduzione del libro - prende una serie di decisioni in un contesto caratterizzato da poche informazioni, poco tempo e poche risorse. Non ha garanzie né reti di sicurezza, così assume rischi di una certa entità...Il mondo sta cambiando. E il periodo di tempo in cui mantieni lo stesso impiego è sempre più breve. Di conseguenza devi adattarti continuamente. E se non riesci nessuno - né il tuo datore di lavoro, né lo Stato - ti salverà».
Insomma, siamo tutti work in progress. Ogni giorno, affermano i due autori, ci offre l'opportunità di imparare di più, di fare di più. Essere di più, crescere di più nella vita privata e in quella professionale. «Ripensare alla carriera come una fase beta permanente, aiuta a non sederti, ti obbliga a riconoscere che hai dei bug, che hai ancora un'opera di sviluppo da compiere su te stesso, che dovrai sempre adattarti ed evolverti».

Le pagine del libro traboccano della mistica che anima la Silicon Valley: il fallimento come "plus" da mettere sul curriculum, la costante valutazione degli sbocchi sul mercato, la flessibilità come strumento per rivedere e rigenerare i propri asset, i social network come bacino informativo attraverso cui cogliere opportunità di crescita e di lavoro. Tutto giusto in teoria ma l'Italia, va da sè, non è la Silicon Valley. Forse non lo è ancora, o forse non lo sarà mai. Il nostro mercato del lavoro non è quello americano, la struttura delle nostre piccole imprese è poco hi-tech e quasi per nulla flessibile come in California.

Eppure, molti dei consigli presenti nel libro non sono da buttare. Soprattutto per un Paese come il nostro che lamenta una bassa propensione al rischio. Più convincente il capitolo sui social network. L'utilizzo dei social media, sostiene Casnocha, favorisce lo scambio, allarga gli orizzonti, contribuisce a creare contatti e potenzia le prospettive. In sostanza, aiuta a crescere.

Luca Tremolada - Nova 24

domenica 13 maggio 2012

Cambiamento

La fatica, il dolore e la sofferenza provocati dal cambiamento sono salutari.
Il cambiamento è un momento di crescita che provoca sensazioni forti.