venerdì 30 maggio 2008

Se le virtù del manager vanno oltre il mercato

«Il 2005 è arrivato e se ne è andato velocemente. Abbiamo iniziato l´anno portando sulle spalle una lunga storia di fallimenti, delusioni e di promesse mancate. Assieme ad una profonda preoccupazione per le sfide future. Mi ricordo di quando ero seduto con voi in una sala riunioni del Lingotto all´inizio del 2005 e vi ho detto che avreste raggiunto gli obiettivi e che nonostante tutte le difficoltà, non vi avrei permesso di mancarli. Mi ricordo anche dello sguardo perplesso e incredulo sul volto di alcuni di voi mentre guardavate questo uomo che in vita sua non aveva mai costruito o venduto una automobile, ma era così determinato nel costruire il futuro. Il vostro futuro. Bene, un anno è passato e voi avete raggiunto gli obiettivi. Anzi, li avete raggiunti e superati.
Quello che sapevo allora e che ho imparato durante la mia crescita come leader è che la cultura, il collante delle organizzazioni, non è solo una parte della vita aziendale: è l´essenza stessa della vita. Questo collante è tenuto assieme, continuamente, incessantemente da tutti i membri di un gruppo, e non dalle azioni di un singolo individuo.
Adesso noi dobbiamo completare quello che abbiamo iniziato nel 2005, con precisione e con la stessa passione che ci ha portato fino a qui e che ci ha permesso di celebrare il nostro primo piccolo successo». «Tra gli indigeni dell´Africa sub-sahariana è diffuso lo spirito di ubuntu. Questa parola fa parte di una frase più lunga, umuntu ngumuntu nagabantu, che tradotto letteralmente dallo Zulu vuol dire "una persona è una persona grazie agli altri".
Quando tu ti muovi in questo ambiente, la tua identità, quello che sei come persona, deriva dal fatto che sei visto e riconosciuto come una persona dagli altri. Questo si riflette nel modo in cui le persone si salutano. L´equivalente di "salve" è sawu bona che letteralmente significa "ti vedo". La risposta è sikhona, "sono qui". Quello che è importante nello scambio di saluti è che non esisti fino a quando non sei riconosciuto. Le implicazioni di questi usi sociali sono importanti. Nel mondo occidentale noi pensiamo che sia normale non salutare qualcuno quando siamo sotto pressione per lavoro o altri impegni. Nel mondo di Ubuntu questo annullerebbe l´esistenza dell´altro. Il riconoscimento da parte degli altri è quello che ci rende persone. Senza questo riconoscimento non esistiamo.
Nel rendere Fiat un grande gruppo, il nostro compito è di affrontare questa enorme sfida con il reciproco rispetto e predisposizione che fanno parte dello spirito di Ubuntu. La forma e il significato di Fiat dipenderanno dalle aspirazioni e dall´impegno di coloro che la guidano. È´ una straordinaria responsabilità, ma non c´è niente di meglio nella vita. Da parte mia, quale vostro leader, vi posso dire una sola cosa. Vi vedo. Sono lieto che siate qui».
La lettera finisce qui. Quello che intendo dire è che il rispetto per gli altri deve rimanere un valore essenziale in tutto quello che farete. E´ l´unica cosa che ci rende davvero persone. Rispetto per gli altri significa soprattutto rispetto per le diversità. Il progresso dipende in gran parte da quanto saremo in grado di costruire una società pluralista e multiculturale. Tutto questo richiede una grande apertura mentale.
Credo che ci siano due modi per affrontare le sfide di un´epoca globale. Il primo è quello di restare concentrati su se stessi. Di pensare che la propria cultura e le proprie convinzioni siano le uniche valide. Di credere che la verità e la ragione stiano sempre da una stessa parte. Di arrogare a sé il diritto di insegnare agli altri. Il secondo atteggiamento, invece, è quello di chi ascolta. Di chi è consapevole che esistono altri valori e altre culture e che ci sono tradizioni e aspettative differenti. Questo, ovviamente, nel rispetto delle regole e dell´ordine sociale, che sono elementi necessari in ogni comunità. Si tratta di due strade molto diverse. La prima è più semplice e più rassicurante. La seconda è senza dubbio più laboriosa, perché richiede di porsi molte domande e di farsi venire tanti dubbi. L´una non porta a nulla se non al conflitto, l´altra apre una prospettiva di crescita collettiva. L´una ti rende straniero, l´altra cittadino del mondo.
Le prospettive che abbiamo di fronte sono quanto mai aperte. La forza del libero mercato in un´economia globale è fuori discussione. Nessuno di noi può frenare o alterare il funzionamento dei mercati. E non credo neppure sia auspicabile. Questo campo aperto è la garanzia per tutti di combattere ad armi pari. E´ l´unica strada per avere accesso a cose che non abbiamo mai avuto prima. Ma l´efficienza non è ? e non può essere ? l´unico elemento che regola la vita. Ci sono problemi più grandi, ai quali il mercato non è in grado di dare soluzione. E non credo riuscirà mai a farlo. Voglio citare le parole di una ragazza di 25 anni. Si chiama Asa. E´ una musicista che arriva dalla Nigeria e sta avendo un certo successo. Il suo brano d´esordio è già in testa alle hit europee e a marzo ha fatto il suo primo tour in Italia. Dovremmo fare tesoro di quello che dice: «Voglio che la mia Africa tocchi la gente. Voglio ridare speranza al mio popolo e parlare a loro nome. Ci sono molti artisti che parlano ai potenti della terra per cercare di risolvere i problemi che ci affliggono. Io invece voglio parlare ai giovani africani: dobbiamo cominciare a riflettere, a cambiare atteggiamento e prendere in mano le redini del nostro destino». Questi problemi chiamano in causa un aspetto più profondo, quello della responsabilità morale del nostro operato.
Nel 1999 Nelson Mandela, allora presidente della Repubblica del Sud Africa, fu invitato a parlare al World Economic Forum di Davos sugli effetti della globalizzazione. Ho avuto la fortuna di essere tra coloro che lo hanno ascoltato. Nel suo discorso, Mandela toccò alcuni tra i temi più spinosi con i quali tutti noi abbiamo a che fare. Ne ho fatto riferimento in altre occasioni, perché credo che sia questa la vera sfida dell´umanità. Vale la pena citarlo di nuovo: «È mai possibile che la globalizzazione porti benefici solo ai potenti, a chi ha in mano le sorti della finanza, della speculazione, degli investimenti, delle imprese? E´ possibile che non abbia nulla da offrire agli uomini, alle donne e ai bambini che vengono devastati dalla violenza della povertà? E ora capirete perché quest´uomo ormai vecchio, quasi al tramonto della propria vita pubblica e alle soglie del nuovo secolo, al quale avete concesso il privilegio di prendere commiato da voi, abbia sollevato questi aspetti così concreti di questioni ancora irrisolte». Tutto ciò richiede di prendere coscienza che non potranno mai esserci mercati razionali, sviluppo e benessere se gran parte della nostra società non ha nulla da mettere in gioco al di fuori della propria vita. Talvolta mi chiedo se abbiamo modelli mentali così rigidi che - anche di fronte a chiari segnali di minaccia dal mercato - continuiamo a restare indifferenti nel nostro benessere e non proviamo disagio di fronte a chi non ha nulla. Trovare una soluzione ai problemi sollevati da Mandela significa trovare una soluzione alla gestione del libero mercato. Abbiamo il dovere di contribuire a colmare questo divario. Abbiamo il dovere di riparare le conseguenze che derivano dal funzionamento dei mercati. Ognuno nel suo piccolo. Questo è un impegno che riguarda tutti. È una grossa responsabilità ed è la sfida più alta che possiamo e dobbiamo affrontare. Ma sono le grandi sfide che danno un significato più profondo a quello che siamo.
SERGIO MARCHIONNE - AD Gruppo FIAT - Politecnico di Torino - 28-05-2008

mercoledì 28 maggio 2008

Il calo dei consumi del vino colpa della crisi economica ? Non solo...

Si leggono da qualche tempo articoli più o meno allarmistici sul fatto che gli italiani da alcuni anni hanno calato il consumo di vino. Sulle motivazioni la discussione è aperta. Il mercato interno in Italia è sempre stato importantissimo e i litri che venivano e vengono consumati nel nostro Paese, ne fanno ancora il mercato di riferimento più importante. Anche di molti altri paesi geograficamente molto più vasti del nostro. Ma le cose stanno cambiando, purtroppo. Faccio anche io qualche considerazione in merito basandomi su ciò che osservo e rifletto.

Per prima cosa ritengo che l’ incapacità di “fare sistema” anche per questo prodotto ci rende più vulnerabili sia per l’export che per il mercato interno. La stragrande maggioranza dei produttori italiani è fatta di piccole aziende per le quali, se il resto del mondo è irraggiungibile senza aggregarsi, sta diventando problematico il confronto anche sul mercato interno dove stanno avanzando concorrenti esteri molto più organizzati e agguerriti. Con prodotti, tra l’altro, che sono sempre più qualitativamente ottimi, anche perché si avvalgono di enologi italiani.

Un altro motivo è certamente riconducibili alle campagne antialcool, ma il fatto che i produttori sostengano che fare vini migliori costa sempre più caro e, di conseguenza, spesso tirino troppo la corda sui prezzi non aiuta. Come non aiuta trovarsi con sgradevoli sorprese di prezzo altresì quando si và direttamente in azienda ad acquistare il nettare. Complice a mio parere la grande “sbornia” di guide, premi e riconoscimenti che hanno fatto credere a molti produttori di avere una gioielleria. Non aiuta neppure che lungo la “filiera del vino” ci siano rincari eccessivi e assolutamente immotivati per un’offerta di non-organizzazione nella distribuzione – nonostante tanto invenduto nelle cantine - che si trasferisce poi al consumatore tramite le enoteche e i ristoratori che lamentano si la lievitazione dei prezzi in generale, ma stanno continuando da anni a proporre vini che mediamente sono prezzati al di sopra della loro qualità. Il risultato è che i clienti sempre più raramente al ristorante si permettono più d´una bottiglia.

Ritengo invece che la GDO (grande distribuzione organizzata) stia svolgendo un buon lavoro perché opera una certa selezione nelle bottiglie e nelle aziende – parlo ovviamente delle catene di distribuzione di peso, non gli “hard-discount” - garantendo qualità attraverso il proprio brand e mantenendo conte mporaneamente un prezzo “sostenibile”. I risultati, se i dati in mio possesso non sono errati, evidenziano infatti una crescita di acquisto proprio nei supermercati soprattutto nella fascia 3-5 euro (la bottiglia ovviamente).
Mi chiedo anche perché non viene adeguatamente incentivato il consumo anche del singolo bicchiere, come si fa da anni in molti paesi, nei ristoranti. Quando vi capita di andare a cena provate a chiedere, anche solo per sfizio, se è previsto il consumo del singolo calice. Questo servizio sta cominciando a prendere piede, ma potrete notare che la cosa non è mai estesa alle etichette più prestigiose. Ma questo sarebbe proprio il modo per incentivare i consumatori/clienti al vino di qualità facendo contemporaneamente buona informazione, soprattutto quando si parla di neofiti che avrebbero la curiosità e anche il desiderio di provare nettari di pregio, ma non possono (o non vogliono) farsi carico dei prezzi inabbordabili delle etichette (presunte) migliori. Sui prezzi infine sono molto pessimista, soprattutto quando leggo ad esempio di un titolare di un’enoteca di Roma che avrebbe offerto un vino al bicchiere a 5,5 euro (con un ottimo rapporto prezzo/qualità sostiene lui), ma si lamentava perché i clienti lo hanno rifiutato sostenendo che costasse troppo poco. Consentitemi, lasciandovi, di dissentire su questa cosa. Quell’enoteca si può permettere tali prezzi, forse perché a Roma, o forse perché frequentata da gente importante, ma io trovo “leggermente” immorale proporre un bicchiere di vino a più di 10.000 lire...
Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato sul Sabato Sera Bassa Romagna

martedì 27 maggio 2008

Le idee

" O siamo capaci di sconfiggere le idee contrarie con la discussione, o dobbiamo lasciarle esprimere. Non è possibile sconfiggere le idee con la forza, perchè questo blocca il libero sviluppo dell'intelligenza"
Ernesto Che Guevara

lunedì 26 maggio 2008

Le ciccione lo fanno meglio - Caterina Cavina

Ho conosciuto Caterina Cavina qualche tempo fa e ho appena finito di leggere il suo libro. Confermo ciò che lei mi disse subito quando ne parlammo: il titolo del libro porta ad equivocare ciò che sta scritto nel suo contenuto. Penso che dal punto di vista del marketing questo abbia giovato molto alla performance sulle vendite.
Buon per Caterina che se lo merita.
Il libro è piacevole e nei vari capitoli vi ho scorto alcuni riferimenti e immagini (non so quanto volontarie) a certi racconti di Stefano Benni (ricordate Bar sport ?) e ai film del nostro Federico Fellini. Uso volutamente il termine nostro perché da romagnolo quale mi sento, mi è stato forse più facile immaginare certe figure o situazioni grottesche ambientate proprio sul confine emiliano-romagnolo. Queste popolano tutto il libro creando più volte un effetto dicotomico: a dispetto del racconto che appare spiritoso e anche semplice nel suo progredire nella storia, si avverte per tutta la durata del libro non solo tristezza, ma anche sarcasmo e solitudine. Più si avanza nella lettura, più trasmette una sorta di fatalismo atavico vagamente “verghiano”. Solo in un punto sgorga poesia, un piccolo punto, come una gemma incastonata nel racconto, quasi l’autrice volesse in qualche modo rivelare la sua vera identità.

Caterina è una persona dolce, pacata e quasi spaventata da tutta questa attenzione di cui è fatta oggetto da riviste, giornali e media in genere.
Se ha voluto inserire uno sfondo autobiografico, forse ha cercato di comunicare che in lei c’è una grande sensibilità e una grande sofferenza vinta, ma non dimenticata. Consiglio assolutamente.

venerdì 16 maggio 2008

Sogno

Sogno e come un soffio
Attizza il fuoco della brace
Il Cuore mi luccica di un passato
Che non riesco a ricordare
Come il fiammeggiar delle braci
Non è il fuoco, ma un segno di fuoco
Io disperdo il tesoro vuoto
Del mio senso di me stesso
Come la pioggia nel mare
Io mi disperdo dentro di me

Fernando Pessoa

giovedì 15 maggio 2008

Per favore: basta con i piatti quadrati


Suddivido i ristoranti in 4 categorie principali: i «Top», quelli segnati al massimo di punteggio in tutte le guide che solitamente fanno molta sperimentazione e costano troppo; i «Migliori», quelli dove puoi godere della lentezza conviviale in tutte le sue forme e sensazioni ad un prezzo corretto; i «Senza Memoria», luoghi dove vai mangi, spendi a volte anche un po’ di più di quello che valgono, ma non ti ricordi nulla e, tante volte, nemmeno di tornarci. Infine il «Resto del Mondo»: pizzerie/ristoranti dove, ora, si comincia a pagare un po’ troppo per il servizio e il cibo che ti viene servito, ma che sono i più frequentati perché considerati di «buon comando» dalle persone e dalle famiglie. Frequentando anche questi ultimi ho notato che ormai i piatti quadrati sono arrivati anche qui.
E’ un segnale positivo, vuol dire che siamo alla fine di questo fenomeno e nel giro di qualche tempo scompariranno definitivamente. I piatti quadrati sono uno specchio di come le oscillazioni del gusto e i meccanismi della moda arrivino anche in cucina e sulla tavola. All’inizio adottati solo da «un’elite» di ristoratori, in seguito arrivano alla massa per poi essere abbandonati da chi li aveva lanciati, per finire poi completamente in disuso e dimenticati. In questi anni in realtà ci sono stati proposti piatti di tutte le forme, tranne che rotondi. Ho avuto più volte il sospetto che i ristoratori siano stati succubi di designer e architetti nel servire le varie portate in piatti di tutte le forme eccetto che tondi. Quasi si temesse di proporre il piatto classico. Devo dire che questa ricerca della «quadratura del cerchio» oltre a non averla mai capita, non l’ho nemmeno mai gradita perché la trovo un’inutile ostentazione nel tentativo di offrire un «servizio di lusso» per portate non sempre di qualità, oppure il modo di proporre sbaffi di salsine e ghirigori con aceto balsamico o altro per far somigliare il piatto ad un’opera d’arte, ma con l’opera (il cibo) di modesta fattura. Soprattutto da quando la moda è dilagata nei locali del «Resto del Mondo». Nella versione migliore dei miei pensieri, invece, ho sempre visto il piatto quadrato non come un’innovazione, ma come l’imitazione di antiche tradizioni orientali, importate sulle nostre tavole insieme alla moda del Sushi (il cibo a base di pesce crudo tipico del Giappone e di una parte dell’oriente). Il piatto quadrato, in alcune varianti proposto nel modello «lastra di vetro», tante volte mi ha fatto sorridere perché essendo una superficie priva di bordi, mi è capitato spesso di vedere delle prime forchettate che hanno provocato il lancio del cibo sulla tovaglia, in rispetto alla regola che conferma la scarsa funzionalità nell’utilizzo di forme creative. Naturalmente esistono anche le eccezioni.
Ma volendo portare il pensiero su un piano più filosofico, tra il serio e il faceto, trovo in definitiva il piatto quadrato una forma di ostilità alla vita, perché il quadrato è una forma con degli spigoli creata per respingere gli uomini. Anche nel lessico quotidiano si usano termini come «fare quadrato» (che è anche una tecnica militare per difendersi dal nemico) oppure si parla di «uomini spigolosi» che non è destinato a persone particolarmente empatiche. In più a sbattere contro gli spigoli ci si fa male…Volete invece mettere la rotondità in genere? E’ più sensuale, naturale, se vogliamo erotica (non si parla forse della «rotondità delle sue forme» in tante opere ?) e infine artistica (Giotto docet).Insomma, per concludere, come amo dire: facciamo qualcosa di nuovo, torniamo all’antico. Torniamo al caro piatto tondo e… chiudiamo il cerchio.


Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato sul Sabato Sera Bassa Romagna e su Rizomedia

martedì 13 maggio 2008

Carpe diem

Un'esistenza efficiente è fatta anche di presa di contatto col presente, penso. Vivere ora, nel momento, per assaporarlo fino in fondo. Se ci penso il presente è tutto ciò che possiedo in quanto il futuro non è che un nuovo momento del presente che potrò e andrò a vivere quando arriverà, ma finché non giunge è impossibile viverlo. Allo stesso modo il passato lo devo escludere, perché passato e ormai non più vivibile. La nostra Cultura, intendo quella Occidentale, ci chiede in pratica di non tenere mai troppo in conto il presente, ma di proiettarsi risolutamente al futuro. Il problema è che quando arriva esso diviene presente e siamo nuovamente nella situazione di prima. Il risultato è che godiamo raramente del presente perché pensiamo già al futuro o, peggio, a quello che è stato. In questo modo la nostra Felicità la rinviamo sine die perché ci sfugge di continuo.
Il presente invece andrebbe assorbito in ogni sua sfumatura per vivere pienamente tutte le nostre esperienze. Ed esserne contenti.
Insomma il carpe diem reso così celebre dall'omonimo film non era solo un invito a cogliere il presente come unico momento di cui uno veramente dispone, io l'ho sempre inteso ancor più come un monito sulle attese del futuro che, quando si realizzano, spesso non sono mai all'altezza di come le abbiamo immaginate.

venerdì 9 maggio 2008

Presenza o pensiero ?

Se intendo cambiare la mia vita forse non potrò mai farcela ragionando sopra alla cosa, a volte mi chiedo se la mia forza interiore, il mio animo, la mia realizzazione, vivano agli antipodi dei pensieri. L'anima ama i pensieri ?
Forse è necessario essere presenti, ogni momento ed essere presenti significa non pensare, ma ascoltare i propri stati d'animo senza giudicarli. Lasciarsi trascinare da loro.

Penso molto, sempre, il pensiero è il mio compagno di viaggio e a volte mi sento più forte con i miei pensieri, altre volte sono una fortezza in cui nascondersi, isolarsi, quando il mondo "fuori" sembra non capirti e congiurare contro di te. Con il pensiero cerco di correggere certi miei atteggiamenti, certi errori, certe sbavature della vita, cerco insomma di rimettere le cose a posto.

Ma a volte "penso" che sarebbe meglio osservare gli stati d'animo, come dicevo senza commentarli, soprattutto gli stati d'animo negativi: disagio, incertezza, tristezza. Prendere atto dei propri stati d'animo e basta, senza ragionarci su, senza cercare di dare delle spiegazioni alle proprie emozioni. E' strano cerchiamo di darci risposte soprattutto alle emozioni negative, difficilmente a quelle positive, eppure sono pur sempre emozioni e hanno un punto di genesi comune; forse avendo una connotazione negativa tendiamo a non accettarli.

Ma come l'acqua anche i sentimenti negativi se ne vanno. Forse se ci faccio tanti ragionamenti sopra rischio di fissarli più a lungo in me. Quando si fanno degli errori nella vita o si sbaglia nelle decisioni si pretende subito dopo di "imporsi" una svolta per garantirci che non succederà più. E sbagliamo ancora una volta.

Non devo diventare un buon venditore, un buon manager o un uomo realizzato negli affari e nella vita, forse devo semplicemente "vivere" pienamente quello che sto facendo, attimo dopo attimo. Così si costruisce il futuro ?

Ha scritto Nietzsche che "...noi abbiamo inventato il concetto di scopo, ma nella realtà lo scopo manca... si è necessari, si è un frammento di Destino, si appartiene al Tutto, si è nel Tutto...".

Se così è occorre porre attenzione in ogni azione che si compie, concentrarsi sull'azione, rimanere nell'azione e dimenticare totalmente lo scopo. Quando si agisce senza un fine, senza alcuna aspettativa, l'azione stessa diventa un fine e la ricompensa è immediata.

Allora in conclusione: "Fare è Ricevere" ?

mercoledì 7 maggio 2008

Il dubbio

"In ogni cosa è salutare, di tanto in tanto, mettere un punto interrogativo a ciò che a lungo si era dato per scontato."

Bertrand Russell

lunedì 5 maggio 2008

L'età di mezzo

Tra i quaranta cinque e cinquant'anni penso che si sia in un momento importante della propria vita, un momento di scelte decisive per almeno due motivi: da una parte constatiamo che molti ideali non si sono realizzati - o solo in parte - dall'altra c'è il desiderio di recuperare nella vita privata. Per cultura, per predisposizione personale, frutto anche di riflessioni, i piaceri e l'attenzione alla qualità della vita stanno diventano molto più importanti. E quando parlo di qualità non mi riferisco al "lusso" o alla possibilità di permettersi qualsiasi cosa.
Provo invece il desiderio di dare in qualche modo una svolta alla mia vita e recuperare anche certi aspetti del privato che ho trascurato.
E' un periodo della vita questo in cui i sogni sono più aderenti alle nostre reali possibilità, è più chiaro cosa ci fa stare bene, che ci appaga, che conta veramente. Direi che vivendo più consapevolmente la propria vita ci sembra di "assaporarla" e compenetrarla maggiormente. Molti "attimi" si dilatano nella nostra anima e nel nostro pensiero.
Questa è un'età, oggi, che è probabilmente l'età giusta per cominciare, se non ci fosse in prospettiva una nuova carriera, sicuramente una nuova vita.
Imparare ad ascoltarsi, dare forma alle voci che sono più o meno nascoste in noi, provare nuove esperienze, scoprirsi ancora curiosi, conquistarsi i propri spazi interiori. Scoprire la felicità di sentirsi in pace con se stesso e con gli altri, dando le giuste distanze a cose che un tempo parevano importanti, urgenti, improrogabili, definitive.
Sono convinto che il mio percorso non sia alla conclusione, ma, alla pari di altri, possa iniziare nuovamente. Oggi non ho certamente quello che pensavo di avere a venticinque anni, anche se ho di più, ma ho maggiore consapevolezza, maggiore tranquillità interiore, maggiore esperienza. Non ho più soldi, più fama, più potere, ma tutto ciò che ho vissuto ha radicato in me sentimenti più solidi.