giovedì 2 aprile 2009

L'ultima beffa: aranciata senza arance

Sì del Senato alla legge Ue: bastano aromi e coloranti. Coldiretti: la vittoria dei cibi finti
di Lucia Granello
E venne l'ora delle aranciate senza arance. Con l'approvazione dell'articolo 21 della annuale Legge Comunitaria, ieri il Senato ha dato il via libera alla commercializzazione di bibite con colore e aroma d'arancia. Dell'agrume mediterraneo, nemmeno l'ombra, visto che la norma spazza via l'obbligo del già misero 12%, percentuale minima ammessa finora.Tutte sul piede di guerra, le associazioni di categoria, dai consumatori dell'Adoc («Una legge che mette a rischio la salute e la qualità dell'alimentazione dei cittadini, e crea un danno di centinaia di milioni di euro ai produttori di arancee al made in Italy»), ai commercianti della Fipe («Un inganno per i consumatori e un danno di immagine ai pubblici esercizi»).Si calcola che grazie alla normativa approvata ieri, in un anno verranno azzerati circa 7 milioni di litri di succo destinato ai consumatori, pari a 235 mila quintali di arance. Destinate, in mancanza di altri sbocchi, al macero. Il tutto, senza dimenticare che l'Italia è uno delle nazionali a più alto tasso di sovrappeso infantile. Se per un bambino su tre (uno sue due da Roma in giù) esiste un problema di disciplina alimentare, l'irrompere sul mercato di bibite sempre meno valide e sempre più "vuote" dal punto di vista nutrizionale può avere soltanto effetti deleteri. In realtà, la scomparsa delle arance dalle bibite che ne portano il nome è solo l'ultimo - e sicuramente non definitivo - anello di una catena viziosa destinata a spolpare gli alimenti migliori della loro stessa essenza, in nome dell'omologazione del gusto e delle produzioni. Un mix nefasto di interessi industriali, ignoranza e menefreghismo sta facendo terra bruciata di tradizioni e qualità.La Coldiretti ha stilato un elenco di cibi che formano da secoli il nostro miglior mangiare quotidiano - vini, cioccolato, formaggi - oggi tradotti in prodotti truffaldini, anche grazie alle etichette-fantasma, dove dettagli di irridente inutilità tolgono spazio a quelli basilari. Del resto, l'Unione Europea ha regolamentato la proporzione tra ingombro delle confezioni e dimensione delle etichette, evitando accuratamente di andare oltre il minimo indispensabile in materia di informazioni: marchio, peso e pochissimo altro.Così, sono passati i vini senza uva - da fermentazione di frutti rossi, per compiacere i Paesi nordici - i formaggi senza latte (economicissimi caseinati per filare le mozzarelle), il cioccolato impastato con l'olio di palma (il burro di cacao vale molto di più se venduto all'industria cosmetica). E fino a luglio - ammesso e non concesso che la legge voluta dal governo Prodi diventi finalmente esecutiva - è a tutti gli effetti italiano l'olio da olive albanesi o greche, purché italiana sia la fabbrica che lo imbottiglia. In attesa del prossimo scempio, chissà chi avrà voglia di brindare con una bella aranciata, rigorosamente finta.
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