domenica 5 dicembre 2010

Sulla difesa della nostra Cucina ci vuole coerenza

Il ministro Zaia e la promozione dell’hamburger italiano.

Forse a molti è sfuggita una notizia di qualche settimana fa, corredata anche di foto, in cui il ministro per le Politiche agricole, Luca Zaia, si faceva ritrarre insieme all’Amministratore delegato di Mc Donald’s Italia con un grembiule della stessa società americana, mentre stavano per addentare “l’hamburger italiano” inserito nella proposta della multinazionale statunitense. Se questo voleva essere una testimonianza dell’attenzione che il ministero pone per la salvaguardia della nostra Cucina, mai il messaggio poteva essere più dannoso, ambiguo e grave di conseguenze. Attenzione, non sto scrivendo un documento anti-americano. Chi mi conosce sa che appena mi si presenta l’occasione, ormai da più di vent’anni, volo negli States perché è un Paese ricco di stimoli e di novità da cui cogliere insegnamenti e idee. Ma da ogni cultura cerco di cogliere il meglio. Chi si batte per la chiusura dei kebab (che personalmente apprezzo assai), dovrebbe essere più attento alle diverse situazioni, esprimendo coerenza nella comunicazione. Il messaggio proposto da Mc Donald’s è esattamente all’opposto della filosofia che risiede, intrinseca, nella cultura enogastronomica italiana. Non smetto mai di ricordare in ogni situazione come, anche la cucina, contribuisce a mantenere la memoria di un popolo. E’ anch’essa la sua identità. Stravolgendola, pagheremo sulle generazioni future. La nostra cucina si distingue in tutto il mondo per alcune peculiarità che la rendono unica: freschezza, naturalità, scansione ternaria del pasto, forte componente di socialità, territorialità, una certa “lentezza” conviviale e la riscoperta delle produzioni a “km 0”. Tutto questo è assolutamente in antitesi con il modello dei “fast food” dove la velocità (appunto) è sempre stato un punto cardine della proposta, unitamente alla proposizione di un cibo iper-calorico, dannoso per il colesterolo, indifferenziato, confuso nei sapori grazie anche alle salse che la arricchiscono. Sono altresì d’accordo su quanti avanzano dubbi sul valore simbolico ed economico dell’accordo. Cercare di rappresentare l’italianità gastronomica con un unico “piatto” affogato nella proposta di Mc Donald’s, offre il fianco al fatto che si generi un errore di comunicazione sulla nostra cucina, generalizzandola e inserendola in un limbo identificativo. Già sono in atto da tempo continue contraffazioni dei nostri cibi più rappresentativi (parmigiano docet), con un fortissimo danno economico, e “appropriazioni” indebite sulla paternità (vedi la pizza). Rischiamo di vanificare tanto lavoro fatto fino ad ora, non solo dagli Enti proposti, ma anche da associazioni come lo Slow Food e l’Accademia Italiana della Cucina che da anni si battono per la valorizzazione della nostra “Civiltà della Tavola”. Infine ritengo che l’industria agroalimentare italiana non avrà alcun beneficio da questa “novità”, in qualità di potenziali fornitori. Certificare in modo così autorevole questa proposta alimentare porta certamente vantaggi, ma ad una sola parte: quella della multinazionale americana che da noi ha sempre incontrato qualche problema nel farsi accettare proprio per l’offerta nutrizionale. Sono contrario alla demonizzazione delle alternative, ma anche alle forme di autolesionismo a scapito dei nostri “asset”.

scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato su Onli.it

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