venerdì 9 dicembre 2011

Tutti quei gesti quotidiani «cancellati» dalla tecnologia


Con la meticolosa acribia degli anglosassoni, il Daily Mail ha pubblicato nei giorni scorsi l'elenco delle cinquanta occupazioni che hanno stravolto la nostra vita nell'era della tecnologia spinta. Ovviamente l'hanno stravolta in meglio, a dispetto di ciò che pensano i più luddisti o i più dandy di noi - per intenderci, quelli che spediscono ancora bigliettini di carta di riso vergati con la stilografica. Poter consultare l'orario ferroviario di qualsiasi paese, prenotare il posto desiderato - corridoio o finestrino, in senso di marcia o in direzione opposta - pagare digitando semplicemente i dati della carta di credito, il tutto senza recarsi all'agenzia di viaggi, restando anzi incollati alla poltrona del proprio salotto, bè, difficile negarne la comodità. Spedire e ricevere email, comunicazioni quasi sempre prive di fronzoli o preamboli, che non irrompono nella giornata con la petulanza del telefono ma attendono di essere lette finché non avremo la voglia e/o il tempo di farlo, bè, non è forse l'invenzione più civile che ci sia?

Già, però com'erano belle quelle telefonate a sorpresa! E anche i preamboli in fondo ci aiutavano a scaldare la conversazione, ci permettevano di arrivare al punto meno impreparati, dandoci comunque mille indizi sulla vita personale dell'interlocutore, sfumature spesso implicite nel tono di voce che ci dicevano come gli andava, che umore aveva, e finivano per situare la ragione della sua telefonata in un cuore vero, un cuore con nome e cognome, che sentivamo palpitare a distanza. E forse anche le code all'agenzia, o peggio all'ufficio postale, lasciavano uno spiraglio al caso, ci tenevano interconnessi in una rete più limitata (quella dei tizi e delle tizie stipate con noi in coda), ma fervida di possibili imprevisti e tendenzialmente più promettente sul piano dei rapporti umani. Esisteva il tempo, esisteva lo spazio, esisteva la simpatia. Insomma, non è facile venirne a capo. Per me almeno, e per tutta la generazione «anfibia», non lo è.


Nella mia esperienza di «testimone attivo» tendo a distinguere due fasi dell'avvento tecnologico: quella in cui i beni e i servizi sono entrati nelle nostre case e quella, più recente, in cui usciamo di casa inseguendo i nostri beni e i nostri servizi. Nella prima c'è la scoperta degli acquisti on line e di una nuova socialità virtuale: Skype, chat, social network, amicizie che nascono e muoiono senza strette di mano. Nella seconda c'è la scoperta degli smartphone e la rapida trasformazione della vita pubblica nell'ambito condiviso dei semafori, delle sale d'aspetto, delle pizzerie.
Ai semafori, chi non sapeva la strada si guardava attorno spaesato e finiva per abbassare il finestrino e chiedere informazioni all'automobilista accanto. In quell'attimo si creava un contatto: certo, superfluo, eppure di solito sia il richiedente che il rispondente si allontanavano con l'aria soddisfatta. Ora gli automobilisti (esattamente come i turisti a spasso nei dedali delle zone pedonali) seguono le indicazioni del navigatore satellitare.
In sala d'aspetto dal dentista quasi nessuno sfoglia più le riviste, avendo da aggiornare il profilo su Facebook o da postare il twitt «Ho sempre avuto un terrore folle dei dentisti». 
In pizzeria non è più possibile sparare quattro scemenze sull'ultimo film di Kaurismaki senza che almeno un paio di amici si tuffino all'istante su Wikipedia e perdano un'eternità chini così (leggono intere voci!) per dirti che in realtà «L'uomo senza passato» non è del 2000 ma del 2002 e comunque l'attrice Pelcola non si chiama Maria bensì Markku, con due k. Eccoci a un paradosso coi fiocchi: siamo gente che sta in compagnia quando resta sola in casa. E sta sola quando esce in compagnia.

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