martedì 17 gennaio 2012

Falsificare Pound


Ezra Pound era un grande poeta. Meglio: un grande poeta fascista. Forse gli scrittori e gli intellettuali che hanno firmato una lettera di solidarietà alla figlia di Pound in lotta contro l’«appropriazione indebita» da parte di Casa-Pound pensano invece che un grande poeta non possa essere un grande poeta fascista. Dicono infatti di essere «sdegnati» per l’«uso improprio» che l’estrema destra farebbe del «valore universale della poesia» di Pound. Perché, le poesie di un grande poeta fascista, nel caso fossero grandi poesie belle ed emozionanti, non possono avere un «valore universale»? Dicono anche con una certa imprudenza interpretativa, i Belpoliti e i Cucchi, i Magrelli e i Guglielmi, i Ghezzi e i Balestrini e gli altri firmatari dell’appello, che l’estrema destra che si appropria del nome di Pound sarebbe lontana «dall’universo culturale» del grande poeta (fascista). «Lontano» in che senso?
Ezra Pound era un grande poeta fascista. Era così fascista che concepì i suoi meravigliosi Cantos vicino a Pisa, precisamente nel campo di Coltano, insieme a numerosi altri fascisti che lì erano internati dopo il 25 aprile, dove il grande poeta venne rinchiuso in una gabbia all’aperto, sotto il sole cocente o sotto una pioggia torrenziale: non ci furono grandi poeti e scrittori dello schieramento antifascista che si sentirono di difendere il «valore universale» di Pound. Pound era così fascista che venne segregato per tredici anni in un manicomio criminale perché, da fascista, durante la guerra aveva fatto il propagandista di Mussolini contro gli Stati Uniti: un fascista, e per giunta traditore del suo Paese. Pound era un grande poeta. E purtroppo, con le sue polemiche sull’usurocrazia delle banche a suo avviso pervase di «spirito giudaico», non esente da un antisemitismo imperdonabile. Non c’è nessuno scandalo nel fatto che, amolti anni di distanza, dei gruppi giovanili fascisti si rifacciano al nome di un grande poeta fascista. Come non ci sarebbe scandalo se un gruppo dell’estrema sinistra si richiamasse al comunista Bertolt Brecht, o al comunista Pablo Neruda. Ne verrebbe forse compromesso il «valore universale» di magnifiche opere teatrali e di splendide poesie?
Si fatica ad accettare l’idea che una grande cultura possa essere partorita da un fascista e che tra fascismo e cultura, malgrado le indicazioni di Norberto Bobbio contenute in una delle opere meno brillanti del grande filosofo torinese, non ci siano una inconciliabilità e una incompatibilità assolute. Si considera ancora il fascismo dei grandi scrittori, artisti, poeti, architetti, drammaturghi, registi fascisti come una parentesi insignificante, un accidente biografico, al massimo un deplorevolema momentaneo cedimento che non inficia la grandezza dell’arte e della letteratura. Oppure li si depura, si dà loro una versione purgata, narcotizzata, decolorata della loro arte e del loro pensiero.
Si sente ancora l’eco delle furiose polemiche degli heideggeriani di sinistra contro una biografia di Heidegger che si era permessa di sottolineare l’adesione del grande filosofo tedesco al nazismo e il celeberrimo discorso universitario in cui il grande filosofo tedesco riconosceva in Adolf Hitler l’uomo del Destino venuto a guidare il suo popolo verso le vette dell’autenticità.
Anche Carl Schmitt è stato sottoposto a un processo di denazificazione postuma per farne un maestro della filosofia politica asettico e neutro. I recenti lavori critici di Ernesto Ferrero e Riccardo De Benedetti hanno restituito di Louis-Ferdinand Céline una pienezza di significati che non prescinde dalle nefandezze antiebraiche profuse da Céline nelle pagine delle Bagatelle per un massacroViaggio al termine della notte è un capolavoro della letteratura del Novecento, ma l’opera di Céline non può essere tagliata a fette, a seconda delle simpatie e delle convenienze. Céline era un grande scrittore, ma un grande scrittore antisemita. Purtroppo le due cose possono convivere: la cosa peggiore è far finta che non sia così, dare un’immagine di comodo di uno scrittore maledetto, scrostarlo di ogni contaminazione ideologica, darne una biografia culturale dimezzata. Del resto, non tardarono ad accorgersi dell’identità fascista degli scrittori e intellettuali appena menzionati i vincitori della Seconda guerra mondiale che non esitarono a sanzionare duramente Heidegger, Céline e Carl Schmitt (il cui caso finì addirittura a Norimberga). A Pound venne riservata, come abbiamo visto, la punizione più crudele. Furono pochissime le voci indignate per il trattamento subito dal grande poeta, pochissimi si interrogarono sul paradosso che vedeva un poeta artefice di poesie di «valore universale» trattato come un pericoloso criminale. E perché mai gli estremisti di destra non dovrebbero rivendicare la loro simpatia per Pound? E come si può ragionevolmente dire che Pound era «lontano» dall’universo culturale dell’estrema destra?
Il difetto sta appunto nel voler dividere l’indivisibile, nel nascondere le parti brutte per prenderne solo quelle più belle. Invece bisognerebbe per prima cosa riconoscere che cultura e fascismo non sono incompatibili. E in secondo luogo ammettere che l’ammirazione per le poesie di Pound (o per i romanzi di Céline, o per il teatro di Brecht) può benissimo convivere con la certezza che il loro autore disse e scrisse anche mostruose sciocchezze. In terzo luogo ricordare che purtroppo la stragrande maggioranza degli artisti e degli scrittori appoggiò uno dei grandi totalitarismi del Novecento, e talvolta, ma non tanto infrequentemente, tutti e due, in più o meno rapida sequenza. È così «improprio» ricordarlo?
Pierluigi Battista Il Club della Lettura - Corriere della Sera

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