domenica 11 novembre 2012

L'Italia deve fare l'Italia


Una crisi lunga e dura, aggravata dalla perdita di credibilità della politica e delle istituzioni. Per affrontarla l'Italia ha bisogno di pane ma anche di rose. Ha bisogno del pane di una buona politica in grado di fronteggiare, senza nulla nascondere delle reali difficoltà, i problemi aperti. Non solo il pesante debito pubblico ma i nostri mali antichi: l'illegalità e l'evasione fiscale, le diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza, il Sud che perde contatto, una macchina pubblica spesso inefficiente, una burocrazia soffocante.

Servono però anche le rose di una visione ambiziosa, non solo economica, che dia speranza al Paese e sia in grado di mobilitare le migliori energie. Di metterle in campo nelle sfide del futuro legate all'affermarsi nella politica e nell'economia mondiale di grandi Paesi che ne erano ai margini, ai cambiamenti tecnologici, alle questioni ambientali. Ma, per non essere velleitari, è necessario partire dal censimento e dalla messa in rete dei tanti talenti dell'Italia che c'è. Certo, guardandola con le lenti giuste, che non sono solo quelle delle agenzie di rating o della finanza internazionale. Uno sguardo che non sia pigro, vecchio o ostile. Perché, per dirla come Proust, «un vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre, ma avere nuovi occhi». 

È quello che in questi anni cercano di fare la fondazione Symbola e Unioncamere, in particolare con il rapporto Green Italy. I risultati sono di grande interesse per chi non voglia farsi ipnotizzare dal mantra del declino e della delocalizzazione. Emerge un'Italia che, pur nelle difficoltà del momento, ha accettato la sfida del cambiamento, facendosi forte dei nostri cromosomi antichi. In cui la green economy va oltre i più classici settori delle fonti rinnovabili, dell'efficienza energetica, del ciclo dei rifiuti e della protezione della natura. Un filo verde che attraversa, innova e rende più competitivi, tutti i settori della nostra economia, compresi quelli più tradizionali del Made in Italy, incrociando high-tech e territori, cultura e bellezza. Un'Italia dove il saper fare artigianale si sposa con l'innovazione e la banda larga. Del resto, diceva Mahler che «tradizione non è culto delle ceneri ma custodia del fuoco».

Decine di migliaia di imprese dal Nord al Sud in questi anni stanno investendo in tecnologia e prodotti green. Rappresentano il 23,6% delle imprese industriali e terziarie e sono spesso le più vitali. Il 37,9% delle imprese che investono in ecosostenibilità hanno introdotto innovazioni di prodotto e di servizio, contro il 18,3% delle altre. Il 37,4% delle imprese green esportano, contro il 22% delle imprese che non investono nell'ambiente. È sempre da queste imprese vengono quest'anno circa il 38% delle assunzioni previste. In alcuni casi, come nelle fonti rinnovabili o nel credito di imposta del 55% per il recupero energetico nell'edilizia, la politica ha favorito tali processi. In molti altri no e a innescarli non è stata solo una nuova sensibilità ambientale ma la ricerca di nuovi spazi per innovare e rendere più competitivo il Made in Italy. 

In alcuni casi questi processi, per le imprese di piccole dimensioni, sono stati favoriti da nuove reti. In altri hanno giocato un ruolo importante nel creare nuova economia le amministrazioni locali. È accaduto ad esempio nella Pollica di Angelo Vassallo: quasi sempre buone pratiche amministrative legate all'ambiente si sposano con innovazioni tecnologiche e valorizzazione dei talenti e dei territori.
C'è stata in Italia una provinciale disattenzione per le motivazioni che hanno spinto il sindaco di New York, Michael Bloomberg ad annunciare il suo endorsement per Obama in quanto più capace di affrontare il grande tema dei mutamenti climatici. Una disattenzione ancora più miope perché da noi le scelte per la sostenibilità, che incrociano stili di vita e innovazione, qualità e bellezza sono un formidabile strumento per rimanere e rafforzare quella domanda di Italia che affiora ovunque nel mondo, ma che non è certo una rendita acquisita. Sembra quasi un ragionamento scontato ma non è così né in politica né in economia. 

Mi ha colpito la battuta su Firenze, in seguito parzialmente smentita, di Sergio Marchionne irritato dagli sferzanti giudizi del sindaco Renzi su Firenze. Mi ha ricordato quei film di fantascienza degli anni Cinquanta, nei quali si individua l'alieno ostile dall'improvviso emergere di un particolare, il colore degli occhi, un'anomalia anatomica. Se si pensa a Firenze come a «una città piccola e povera», diviene più difficile produrre in Italia belle auto o vendere automobili italiane all'estero. 
Il presidente Monti nelle scorse settimane ha parlato dell'importanza del soft power per il nostro Paese, come base anche di un'economia competitiva, quella che chiamiamo soft economy, e dell'opportunità che Expo 2012 sia una vetrina formidabile del saper fare italico in versione green. Non mi pare francamente che questo disegno traspaia dalle scelte del Governo. La visione, le rose, di cui il Paese ha bisogno non sono però appannaggio solo di un Governo, dei partiti o dei media. 

Potremmo affrontare con successo le difficili sfide dei prossimi 150 anni se sapremo muoverci insieme senza lasciare indietro nessuno, metterci in gioco senza perdere la nostra anima. Green Italy dimostra che siamo in grado di combattere la crisi, che le radici del futuro sono potenzialmente forti ma che vanno individuate e curate. C'è spazio per noi in un mondo che cambia, se l'Italia fa l'Italia.

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