mercoledì 3 ottobre 2007

Civiltà

La civiltà è uno spazio luminoso segnato da confini, non sconfinata. Quanto può vivere una civiltà che trascura il suo perimetro visibile ed invisibile, le sue forme e la sua essenza, la sua cultura e le sue tradizioni ?
Siamo lungo il declivio inarrestabile della decadenza. Le aspettative oggi vengono trasferite nel privato, attengono esclusivamente all’individuo e al suo stare bene, a prescindere dal contesto. Ma la civiltà è una connessione a tre dimensioni: con il mondo circostante e presente, con il passato, le sue testimonianze e le sue generazioni e con il futuro, le sue attese e, ancora, le sue generazioni. Civiltà è collegamento nella tradizione.

La civiltà è un legame e il suo contrario è il dissolvimento della stessa. Senso della storia, della tradizione e della comunità, valore delle eredità e delle esperienze vissute, degli stili di vita e delle espressioni condivise, percezioni di un limite e di una forma.
Oggi la nostra civiltà è minata da una guerra in atto: spirituale, culturale, morale e mette in discussione gli assetti millenari e fondamentali della vita pubblica e privata.

Il male principale della civiltà torna a essere quello a cui faceva riferimento, preveggente, Nietzsche: la stanchezza. Siamo stanchi di vivere e di costruire, facciamo notte ogni giorno, il piacere ci affatica più del lavoro e la libertà ci stressa più della schiavitù, abbiamo tanti desideri ma poche aspettative. L’età si allunga, ma la pazienza si accorcia. Siamo stanchi e perciò più vulnerabili, dai nemici di fuori e dai vigliacchi di dentro.
Siamo completamente disarmati, incapaci di accennare una reazione, disossati e invetebrati, senza più voglia di combattere, dal profilo culturale e civile.

Un civiltà sorge dallo spirito di conquista, che non è volontà di potenza e di dominio, comune anche ai barbari; ma è il gusto di fondare, fecondare, costruire, dare forma, nome e alito alla vita del mondo e, se neccessario, combattere e morire per difenderla.

Ai tempi dell’impero romano le vie della civiltà coincidevano con le strade romane oggi i confini sono segnati dalla copertura o meno di rete telefonica cellulare. Si sta sostituendo la civiltà con la civilizzazione, ma senza la prima la seconda è una forma accessoriata di barbarie. Un degrado di vita, di forme e linguaggi si insinua nelle società più avanzate che a volte sembrano le più avariate.
Siamo una civiltà stanca di vivere, ma vogliosa di farlo, vorrebbe divertirsi con tutta l’anima, ma ha anche il morale a terra… come la morale, schiacciata tra due impulsi: teme il futuro, teme la crisi economica, ma dall’altra parte teme la depressione, teme la solitudine e allora spende per distrarsi.

Per suscitare o resuscitare una civiltà occorre una casta di uomini liberi dalla paura di perdere qualcosa, vita inclusa. Uomini che in casi estremi arrivino a dire: se perdo la vita non è la fine del mondo… Una civiltà risorge se non ha paura di morire, se non bada solo a sopravvivere e se è animata dallo spirito di conquista.

Nessun commento: