domenica 6 gennaio 2008

Quei dolci della Befana nati nella civiltà contadina


Quando già a Roma la nascita di Cristo si celebrava il 25 dicembre allo scopo di sostituire una precedente festa pagana dedicata al “Sole Invicto” (Solstizio Invernale), nella Chiesa d'Oriente si continuò per molto tempo a mantenere il 6 gennaio come data identificativa più importante. A questo proposito ricordo nitidamente che per tutti gli anni ’60 almeno, i regali più importanti per i bambini (quale io ero) si ricevevano per la Befana e non per Natale (molti ricorderanno che c’erano fin dagli anni ’20 “famose” Befane per “ceto lavorativo” destinate ai bambini).

Il 6 gennaio era stata scelta inizialmente perché non si conosceva la data del Redentore e quindi si era puntato su quella del suo battesimo nel Giordano che, essendo la prima manifestazione divina (in greco significa appunto epifania), diede anche il nome alla festa. In seguito, dal momento che nell'ambito della religione mitriaca il 6 gennaio si festeggia la venuta dei Magi (sacerdoti persiani), la Chiesa di Roma modificò il ciclo natalizio dedicando quel giorno all'adorazione dei Re Magi.
Befana: il suo nome è dovuto ad uno storpiamento del vocabolo Epifania e la sua figura è costituita da una vecchietta, brutta e rugosa, con naso aquilino da strega e con i vestiti vecchi e rattoppati, che la notte tra il 5 e il 6 gennaio, volando nel cielo a cavallo di una scopa, dispensa dolci e caramelle ai bambini buoni, mentre a quelli cattivi lascia carbone e cipolle rosse. La leggenda più accreditata sulla festa della Befana trova anch’essa la sua genesi nei riti pagani del folklore pre-cristiano, come le tradizioni propiziatorie agrarie legate all’inizio dell’anno. La vecchia simboleggiava infatti l’anno trascorso, al quale veniva dato l’addio bruciando sul rogo un fantoccio con abiti vecchi e strappati, dando così il benvenuto all’anno nuovo. I regali e i dolci erano simboli bene auguranti per l’anno nascente e quindi propiziatori per un ricco e abbondante raccolto.
La civiltà contadina e la cultura della terra sono l’anima del territorio romagnolo, e se i “mangiari”, l'arte di creare cibi (combinare i prodotti della terra e gli ingredienti, elaborarli creativamente, fino ad ottenere un prodotto diverso dalla loro somma) è la più antica forma di cultura popolare orale per eccellenza, la Romagna è una di quelle terre dove la storia delle tradizioni e delle memorie popolari combacia straordinariamente con la storia della sua cucina.

Il giorno della Befana i cibi importanti erano i dolci e quello più importante che ha fatto le veci in questa terra per tantissimo tempo, prima che arrivasse il panettone, era la ciambella romagnola (brazadèla o brazzadella) che chiudeva i ricchi pasti di queste feste, ancora oggi il dolce più caratteristico e gradito in Romagna. Con la ciambella l’altro pezzo forte era la zuppa inglese (che di inglese ha solo il nome), sempre presente un tempo in occasioni importanti che fossero pubbliche, private o religiose. Questo dolce che ha diverse varianti di ingredienti, dai liquori utilizzati (alchelmers, rosolio, ma anche cognac), col cioccolato, mandorle, pinoli e ciliegie sotto spirito fino alla base che varia dal pan di spagna ai savoiardi e amaretti.
Altri dolci del 6 gennaio erano i tortelli o ravioli con marmellata, castagne e saba anche fritti (naturalmente nello strutto). I “sùgal” (sughi) un altro dolce romagnolo antichissimo composto da mosto bollito, pane grattugiato, farina di granoturco, mela cotogna, buccia di limone e anice. Il sanguinaccio o migliaccio o “burleng” (da non confondere con “E’ bustrengh” altro dolce tipico, ma con farina bianca e gialla, pangrattato, zucchero, uova, latte e buccia di limone) fatto con il sangue di maiale e arricchito con moltissimi elementi quali ad esempio il cioccolato, le mandorle dolci, i canditi, la saba ed altro. Un dolce per me buonissimo, ma che, data l’origine, oggi poco proposto perché i “gusti” sono cambiati (salvo poi ingerire porcherie di altro genere di cui nulla si sa sulla esatta lavorazione dei componenti). In provincia di Ravenna poi c’erano (e ci sono ancora) “I sabadò” (tortelli con la sapa o saba) che contengo farina, fagioli lessi, castagne secche cotte, sale, saba e buccia di limone. In base alle località si potevano trovare anche budini vari (al ghiaccio, allo zabaglione, di riso, ecc.), latte alla portoghese, torta di mele e “E castagnaz” (in Appennino soprattutto) fatto con farina di castagne, buccia di limone e di arancia grattugiata, arricchito variamente con mandorle, pinoli, fichi secchi ed altro.

Sono tipici poi di questa festività anche il croccante, il torrone artigianale, gli zuccherini, la crema e il… carbone per i più cattivi (ma anche questo alla fine, dolce).

Scritto da Pierangelo Raffini e pubblicato sul Sabato Sera Bassa Romagna

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