sabato 3 aprile 2010

Il vantaggio delle rotondità a tavola

Il ritorno del tavolo rotondo. Al ristorante senza gerarchie

L’indecisione su chi far sedere a capotavola. Le lunghe tavolate (con le temibili varianti a L o a U) dove la conversazione non supera il vicino di sedia. Inconvenienti che si dileguano davanti alla nuova frontiera della socialità: il tavolo rotondo. Annulla le gerarchie, è democratico e favorisce il dialogo: nei ristoranti la lista per prenotarlo è affollata. «Una volta ti chiamavano per sapere cosa c’era nel menu, oggi vogliono la certezza di cenare al tavolo tondo», dice Alfredo Tomaselli, patron del Bolognese, che sia a Roma che a Milano asseconda da anni il piacere del tavolo circolare. «Il principe Ruspoli era un fanatico e Mario D’Urso cena preferibilmente in tavoli tondi. Quando non riesci ad accontentarli e li sistemi in un tavolo quadrato, i clienti si sentono trattati da serie B». Piace alle comitive, si addice alle coppie («si sta più vicini, senza spigoli e barriere», osserva Tomaselli) ed è adatto per le rimpatriate familiari. Al ristorante Rigolo di Milano, lo stesso tavolo rotondo è prenotato ogni domenica, da 40 anni, dalla stessa famiglia. «Ha iniziato la bisnonna, oggi siamo arrivati ai pronipoti», dice il proprietario Renato Simoncini. «Mano a mano che la famiglia si allarga il posto a tavola si restringe».
Tanto meglio, perché più la tavola è compressa più la riuscita della conversazione è assicurata. «A tavola si deve stare ben bene appiccicati, a garanzia di una godibile chiacchierata», suggerisce la marchesa Bona Frescobaldi. Le regole del galateo non cambiano, anzi in qualche caso la buona educazione ne guadagna. «Non si alza più di tanto la voce per attirare l’attenzione e i gomiti rimangono sospesi in aria, invece che comodamente adagiati sui bordi». Intanto anche il termometro sociale Facebook registra la tendenza: nel social network è nato lo sparuto gruppo «Chi rompe per il tavolo rotondo e poi pacca». «Segno concreto di come tra le comitive, ormai il tavolo rotondo sia la regola», dice Enrico Roffi, proprietario del ristorante milanese il Giardinetto. I tavoli rotondi del suo locale ospitano 3, 5 o 7 persone «perché è proprio il numero dispari ad essere problematico», dice Roffi.
Tra gli affezionati anche clienti anziani («accostando l’orecchio eliminano i problemi d’udito) e uomini d’affari. «Parlare di business guardandosi in faccia è più rassicurante: e quando l’affare va in porto, per scaramanzia, prenotano per la volta successiva». Dopo l’esordio in sordina nei ristoranti orientali — tra i primi a far sedere la gente in cerchio — ora il nuovo modo di mangiare travalica i confini dell’Oriente. Il ristorante Mandarin di Milano riceve prenotazioni di settimana in settimana per i soli due tavoli tondi disponibili. «Le persone si guardano in faccia ed è più facile "pescare" tutti dallo stesso piatto», dice il proprietario. E anche Andrea Berton, chef stellato del Trussardi Alla Scala, riconosce la «circolarità» delle vivande grazie al tavolo tondo. «È più facile degustare nei piatti dei vicini senza dare troppo nell’occhio: così ne guadagna il gusto e la familiarità»
Con la filosofia dell’atmosfera rilassata a Rimini è nato il circolo enogastronomico Empty Space, dove i tavoli sono solo tondi: «lo stile èminimal, ma la scelta dei tavoli fa sentire tutti a casa», dicono i proprietari. Anche il dandy-ristoratore Italo Manca asseconda la nuova mania: i due tavoli tondi del suo bistrot «La Libera», vengono prenotati con largo anticipo dai clienti. «La gente si sente in famiglia, come nel cucinotto di casa: è un po’ lo specchio della società del tinello, ma va bene così», ironizza Manca, che confida nella buona educazione dei clienti, per non trasgredire troppo alle vecchie regole di Monsignor Della Casa. «Ma alcuni trucchi ci sono anche nel tavolo tondo», spiegano Ivan e Masa, celebre coppia del catering. «La persona più "importante" della comitiva dovrebbe conquistare la posizione di visuale che domina la stanza. Le signore, invece, dovrebbero volgere le spalle alla sala, per non svelare troppo velocemente la loro identità».

Michela Proietti - Corriere della Sera

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