sabato 7 agosto 2010

Sen, l'amore e l'odio

Allampanato, vestito in una giacca nera troppo grande e una camicia rosa, occhi vivacissimi e belli dietro le spesse lenti degli occhiali, Amartya Sen non dimostra i suoi 77 anni. Seduto a un tavolino della terrazza dell'Hotel Bauer a Venezia: una vista da cartolina, tra il cielo azzurro leggermente velato e le gondole coi soliti turisti americani, il Nobel per l'economia è allegro e ironico. Qualche settimana fa Mondadori ha pubblicato in italiano 'L'idea di giustizia', il suo libro che segna una rivoluzione nella storia della filosofia politica e che pone al centro del dibattito concetti come equità e libertà, le pratiche concrete che portano al cambiamento sociale, a scapito di ogni utopia di perfezione. Fondamentale la distizione, presa dalla tradizione filosofica indiana, tra la giustizia come ideale da realizzare a ogni costo ('Niti') e la giustizia come un combinato disposto di azione e delle conseguenze di tale azione ('Nyaya'). Tra le tante curiosità: uno scoop storico-filosofico su come Gramsci abbia influenzato, tramite il comune amico Sraffa, la teoria del linguaggio di Wittgenstein. Ma quando il discorso cade sull'Italia, Sen dice di conoscere troppo poco la situazione nel nostro Paese, per poi confessare di non capire come una nazione che ha dato i natali a Gramsci non sia in grado di produrre una sinistra degna di questo nome. Non si sottrae invece al ragionamento sul ruolo delle opposizioni e spiega perché non basta essere una maggioranza per avere ragione.

Professor Sen. Lei dice spesso che la democrazia significa prima di tutto dibattito pubblico...

'Un dibattito che non deve cessare mai, che deve proseguire anche quando la decisione è stata presa e una delle parti è stata sconfitta. Coloro che si trovano in minoranza non debbono arrendersi. Se i loro argomenti erano validi, rimangono validi anche dopo le elezioni e i referendum. È sempre legittimo dire che chi è stato eletto o chi ha vinto una consultazione sbaglia nel merito. In una democrazia, la discussione è sempre aperta, se non altro perché l'essenza della democrazia è che il potere viene esercitato tramite il pubblico dibattito'.

Alla base di ogni democrazia c'è l'idea di giustizia. Perché ci indignamo di fronte a una palese ingiustizia?

'Perché la giustizia è riflessiva: riguarda cioè i rapporti tra gli umani. L'idea della giustiza è strettamente legata all'equità. E se mi chiede che cosa è l'equità, rispondo dicendo che ne parlano perfino i bambini in tenera età. Secondo Noam Chomsky, le nostre capacità linguistiche (grammatica, sintassi) sono innate. Io penso che anche il senso dell'equità sia innato. È una questione biologica. Ma non mi interessa l'aspetto biologico di questa storia'.

Perché non le interessa?

'Perché la questione dell'equità va posta sul piano etico, non su quello dell'evoluzione della specie. Faccio un esempio: agli uomini e alle donne piace fare l'amore. E l'origine biologica del desiderio è probabilmente la sopravvivenza della specie. Ma quando seduciamo o siamo sedotti non lo facciamo perché pensiamo a come dare continuità alla specie umana'.

Dove vuole arrivare?

'Voglio dire che i nostri comportamenti non sempre sono dettati da un calcolo razionale: causa-effetto. Ecco perché è importante che tutti noi abbiamo il senso della giustizia. È meno importante invece capire perché lo abbiamo'.

Se il desiderio di giustizia e di equità è innato ed è riflessivo, vuol dire che sono innati anche valori come solidarietà ed empatia: la capacità di mettersi nei panni altrui.

'Sì. Ma attenzione, dobbiamo sempre sottoporre il nostro desiderio di giustizia ed equità a un esame critico. Esistono degli istinti di base che provocano sentimenti come rabbia e odio. Ma ogni volta che li proviamo dobbiamo chiederci: sono sentimenti giustificati? E che tipo di argomenti potrei opporre a questi sentimenti?'.

Lei come risponde?

'Che dobbiamo trattare gli altri nella stessa maniera in cui vorremmo essere trattati noi. Ecco spiegato il senso della giustizia. Ma c'è dell'altro'.

Sta per introdurre il concetto di razionalità?

'Sì. Stavamo parlando di rabbia e odio, come di sentimenti che rispondono a certi istinti. E anche del fatto che non sempre i nostri comportamenti sono razionali. Ma sarebbe un errore dire che queste sensazioni sono buone e giuste perché, appunto, primordiali. Noi umani abbiamo infatti non solo istinti, ma anche la capacità di ragionare e di mettere in dubbio tutto. Siamo in grado di trovare le ragioni per rifiutare l'odio e la rabbia'.

Concretamente?

'Dobbiamo sempre chiederci: che tipo di ragione posso adottare per giustifcare il mio comportamento? E dobbiamo trovare la forza per non seguire quegli istinti a cui non trovo una giustificazione razionale. È una cosa meravigliosa il fatto che la natura ci abbia dato la capacità di ragionare. Un importante imperatore moghul del Sedicesimo secolo, Akbar il Grande diceva: per respingere un argomento ragionevole, devi averne un altro, ancora più ragionevole. Il mondo della ragione e della discussione è l'unico in cui vale la pena di vivere'.

Qualche decennio dopo Akbar, il francese Pascal spiegava però che esistono anche 'le ragioni del cuore', una ragione non razionale. Per esempio desideriamo essere felici. Perché vogliamo esserlo? Ed è la ragione a decidere se lo siamo o no?

'La vera ragione per cui vogliamo essere felici la troviamo quando riflettiamo se abbiamo agito bene. Non dico che facciamo determinate cose per creare la felicità nel mondo. Però, quando le abbiamo fatte e bene, ne troviamo una fonte di felicità'.

Vuole dire, sono felice se faccio felice mia moglie o mio figlio?

'È un buon esempio. Il Nobel norvegese Ragnar Frisch diceva di non comprendere perché gli economisti insistono a sostenere che lo scopo della vita sia cercare la felicità individuale e non quella degli altri, mentre per la verità succede il contrario. Quando porto a cena mia moglie non ordino il cibo e il vino che fa felice me, ma cibo e vino che spero possa fare felice lei. O per tornare al discorso sulla seduzione e la riproduzione: quando facciamo l'amore, la felicità è vedere il nostro partner soddisfatto'.

La felicità è quindi un fatto sociale?

'Sì, ma anche un indicatore. Lo dice un classico dell'economia come Adam Smith in 'Teoria del sentimento morale''.

Abbiamo parlato di giustizia e di felicità. Il terzo elemento di ogni sua teoria è la libertà. Perché la vogliamo? Uno schiavo può essere contento se ha da mangiare, un tetto e dei vestiti.

'Perché vogliamo la libertà? Perché essa è in rapporto diretto con la nostra capacità di ragionare. E in quanto animali pensanti siamo sempre preoccupati per come il nostro ragionamento si riflette nell'azione'.

Lo può spiegare?

'Elementare. Se vogliamo che le nostre azioni corrispondano al nostro pensiero dobbiamo avere la libertà di scelta. O rovesciando il discorso: senza la libertà di scegliere, non possiamo trasformare le nostre idee in fatti concreti'.

Con quello che ha finora detto di giustizia, felicità, libertà e il loro rapporto con la ragione, ha dato la definizione di cosa sia la dignità.

'Il richiamo alla dignità ha talvolta una grande forza. Penso all'uso che ne ha fatto Gandhi nella lotta contro l'Impero britannico e per affermare l'unità del popolo indiano. Però la parola diginità è ambigua, e può essere usata per scopi meno nobili'.

Per esempio?

'Parliamo della politica. Torniamo all'Ottocento. C'erano persone scontente del capitalismo e che volevano cambiare le istituzioni, come Marx o John Stuart Mills. Qualcuno pensava che occorresse riconoscere 'la dignità del lavoro'. Per alcuni riconoscere la diginità del lavoro significa l'emancipazione dei lavoratori. Ma può voler invece dire ai lavoratori: riconosciamo la vostra dignità, e ora state zitti. Il concetto della dignità può essere usato per impedire il dibattito, per lasciare le cose come sono. Sono invece la libertà e la ragione gli strumenti per cambiare la società'.

Cambiare come? Lei dice che è sbagliato sognare una società perfetta.

'Non è sbagliato sognare. Ma quando ci si immagina una società perfetta si fa poesia. Per carità, io amo la poesia. Se non altro, perché alla mia età mi è rimasto troppo poco tempo per leggere i romanzi. Ora, la parola d'ordine 'Liberté Égalité Fraternité' è pura poesia. Ma certamente non avrei consigliato i rivoluzionari francesi di sostituirla con una di tipo riformista: 'Un po' più di libertà, un po' più di ugaglianza, un po' più di fratellanza!'. Sarebbe ridicolo. Però, quando occorre prendere decisioni concrete, bisogna partire dal presupposto che ognuno di noi ha una visione differente della società, e che ogni visione è legittima. E qui torniamo alla questione del dibattito. Non occorre avere un'identica idea di cosa sia una società perfetta per mettersi d'accordo su quali sono i passi da fare, per migliorare la situazione. La scelta è sempre tra soluzioni parziali'.

Parliamo allora del rapporto tra gli scopi da raggiungere e i mezzi. In 'Idea di giustizia' lei cita la lite tra Krishna e Arjuna della mitologia indiana. Krishna dice ad Arjuna che il suo dovere di guerriero è combattere. Arjuna gli risponde che anche se vincesse la battaglia, il prezzo della vittoria sarebbe troppo alto: i morti, la distruzione. Non pensa che la posizione di Arjuna, con cui lei simpatizza, corrisponde a quella di certi pacifisti che dicevano 'Better red than dead', meglio rossi che morti?

'Durante il dibattito sull'abolizione della schiavitù in America, gli schiavisti dicevano: non è una situazione ideale quella attuale, ma se diamo la libertà a questi uomini e donne, li condanniamo alla morte per fame. Era un modo, simile a quello che lei ha descritto, di presentare le cose, da parte di certi pacifisti, oggi. Ma è un modo sbagliato. Non ci sono mai due sole alternative, per esempio o statalismo o liberismo. Ce ne sono altre: dipende da noi se siamo capaci di immaginarle'.

Parlando delle alternative: c'è chi dice che non possiamo imporre alle donne afghane di non portare il burqa, dato che questa è la loro tradizione.

'Se le donne afghane avessero la possibilità di conoscere l'alternativa, anzi tutte le alternative al burqa, allora potremmo parlare di una loro libera scelta. Ma non è così. Rimane la questione dei costi e benefici dell'intevento armato in Afghanistan'.

Ultima domanda. Lei citando Buddha dice che gli umani hanno responsabilità per gli animali, mentre gli animali non ne hanno alcuna per gli umani...

'Voglio dire che il rapporto tra chi ha il potere e chi lo subisce non è simmetrico. Chi ha i mezzi per decidere le sorti altrui, ne porta la responsabilità, e deve ricordarsi, e qui torniamo all'inizio di questa conversazione, che le sue decisioni devono avere come riferimento una pluralità di idee e di interessi presentati nella pubblica discussione. Si è all'opposizione contro il potere, non è normale né giusto essere al potere contro l'opposizione.
 
colloquio con Amartya Sen di Wlodek Goldkorn

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