domenica 22 agosto 2010

Sulla vita

La maggior parte dei mortali, o Paolino, si lamenta per l’avarizia della natura, perché veniamo al mondo per un periodo troppo breve di tempo, perché questi intervalli di tempo a noi concessi scorrono tanto velocemente, tanto rapidamente, al tal punto che, se si fa eccezione per pochissimi, la vita abbandona gli altri proprio mentre si stanno preparando a vivere. Né di questo male comune a tutti, come ritengono, non si lamentano solo la massa e il volgo sciocco; questo stato d’animo suscitò le lamentazioni anche di uomini illustri. ...
... Non abbiamo poco tempo, ma ne abbiamo perso molto. Ci è stata data un vita abbastanza lunga e per il compimento di cose grandissime, se venisse spesa tutta bene; ma quando si perde tra il lusso e la trascuratezza, quando non la si spende per nessuna cosa utile, quando infine ci costringe la necessità suprema, ci accorgiamo che è gia passata essa che non capivano che stesse passando. È così: non abbiamo ricevuto una vita breve, ma l’abbiamo resa tale, e non siamo poveri di essa ma prodighi. Come ricchezze notevoli e regali, quando sono giunte ad un cattivo padrone, in un attimo si dissipano, ma, sebbene modeste, se sono state consegnate ad un buon amministratore, crescono con l’uso, così la nostra vita dura molto di più per chi la dispone bene. ...

... la vita, se tu sai usarla, è lunga. Uno lo tiene l’avarizia insaziabile, un altro lo zelo faticoso per le occupazioni inutili; uno è pieno di vino, un altro è intorpidito dall’inerzia, uno lo sfinisce l’ambizione sempre preoccupata dai giudizi altrui, un altro il desiderio frenetico di commerciare lo porta attraverso ogni terra, ogni mare, con la speranza del guadagno, certi li tormenta la passione per la vita militare sempre o attenti ai pericoli altrui o ansiosi per i propri; ci sono quelli che l’ossequio accolto senza riconoscenza verso i superiori consuma tanto quanto una schiavitù volontaria; molti li tien occupati l’aspirazione a raggiungere la bellezza altrui o la preoccupazione della propria; i più, senza avere mai uno scopo preciso, li spinge attraverso progetti sempre nuovi una volubilità scontenta di sé. Ad alcuni non piace nulla dove dirigano l’interessa, ma li sorprende il destino mentre sono annoiati e sbadiglianti, a tal punto che io non dubito che sia vero ciò che in forma di oracolo è stato detto presso il più grande dei poeti: "è breve la parte della vita che viviamo". Certamente tutto lo spazio rimanente non è vita ma tempo. I vizi incalzano e circondano gli uomini da ogni parte e non gli permettono di rialzarsi o di levare gli occhi all’esame del vero, ma li tengono immersi nelle passioni. A loro non è mai consentito rifugiarsi presso di sé; se talvolta per caso capita capita loro una certa quiete, ondeggiano, come in un mare profondo, nel quale, anche dopo che è caduto il vento, rimane l’agitazione delle onde, e non esiste pace per loro un luogo di pace, al riparo dalle passioni. Credi tu che io parli di costoro i cui mali sono palesi? Guarda quelli la cui prosperità fa accorrere la gente: sono soffocati dai loro beni. A quanti le ricchezze sono di peso! A quanti l’eloquenza e la quotidiana preoccupazione di ostentare il proprio ingegno cava il sangue! Quanti sono pallidi per i continui piaceri! A quanti la folla dei clienti accalcata intorno non lascia libertà! Insomma, passa in rassegna tutti costoro, dagli infimi sino ai più potenti: questo chiama aiuto, questo lo presta, quello si trova in pericolo, quello difende, quello giudica, nessuno rivendica il possesso di sé per sé stesso, l’uno si logora per l’altro. Chiedi di costoro, i cui nomi si imparano a memoria, vedrai che questi si distinguono per questi segni: quello è amico di quell’altro, questo di quello, nessuno appartiene a sé stesso. Quindi è assai stolta l’indignazione di certuni: si lamentano della boria dei superiori, perché non hanno avuto tempo quando essi volevano chiedere udienza. Osa lamentarsi della superbia di un altro uno, che mai egli stesso ha tempo per sé? Tuttavia quello, chiunque sia tu, sia pure con atteggiamento certo arrogante, una volta ti ha guardato in faccia, lui ha porto orecchio alle tue parole, lui ti ha accolto al suo fianco: tu non ti sei mai degnato di guardare te stesso, di stare ad ascoltarti. Non è dunque il caso che tu metta nel conto ad alcuno queste tue attività, perché le compivi, tu non volevi stare con altro, piuttosto non potevi stare con te stesso. ...

... Richiama al tuo ricordo quando sei stato sicuro nelle tue decisioni, quanti giorni sono trascorsi come tu avevi prestabilito, quando hai avuto la disponibilità di te stesso, quando il tuo volto è rimasto impassibile, quando il tuo animo intrepido, che cosa tu abbia veramente compiuto in una vita così lunga, quanti hanno saccheggiato la tua vita, senza che tu ti rendessi conto di cosa perdevi, quanto tempo ti ha sottratto il vano dolore, la stolta allegrezza, la bramosa avidità, i lusinghevoli rapporti umani, quanto poco ti è stato lasciato di ciò che ti appartiene: ti renderai conto che tu muori immaturamente. Qual è il motivo? Voi vivete come se foste destinati a vivere per sempre, non vi viene mai in mente la vostra fragilità, non pensate a quanto tempo è già trascorso; voi sprecate come attingendo a una botte piena e abbondante mentre forse proprio quel giorno, che donate a qualcosa o a qualcuno, è l’ultimo della vostra vita. Di tutto avete timore, come mortali, di tutto avete brama, come se foste immortali. Sentirai molti dire: "A cinquant’anni mi ritirerò a vita privata. A sessant’anni mi dimetterò da ogni incarico". E chi prendi come garante di una vita più lunga? Chi permetterà che queste cose vadano come tu le programmi? Non ti vergogni di riservare per te i rimasugli della tua vita e di destinare al retto vivere solo quel tempo che non può essere impiegato in nessun’altra attività? Com’è tardi mettersi a vivere proprio quando è tempo di concludere la vita! Quale stolto oblio della propria condizione di mortali rinviare al cinquantesimo e al sessantesimo anno i retti propositi, e voler cominciare la vita dal punto al quale pochi l’hanno portata. ...

Seneca - De brevitate vitae


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